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Presentazione [Spazi di memoria nella Berlino post-socialista, Mimesis, Milano, seconda edizione, 2018]

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Prefazione L. Candidi Spazi di memoria nella Berlino post-socialista, Mimesis, Milano, seconda edizione

L'oggetto del testo che state per leggere è la selezione, l'utilizzo e la cancellazione del passato nella costruzione di una memoria sociale nella Berlino del primo decennio del terzo millennio. L'ottica con cui Liza Candidi affronta questa tema è eminentemente politico: infatti gli “spazi di memoria” evocati nel titolo possono essere intesi sia come il riconoscimento dell'importanza della dimensione spaziale nella rappresentazione del passato sia come un riferimento allo spazio concesso e negato alle memorie, diverse e conflittuali, che si contendono l'attenzione e la legittimità pubblica. Il libro è una delle esemplificazioni più riuscite delle strategie istituzionali contemporanee nella rappresentazione della storia, di quanto operazioni cognitive apparentemente neutre riguardanti le tracce di ciò che è stato (ricordare e scordare, preservare e cancellare, raccontare e tacere, esporre e occultare) siano, in realtà, cariche di valenza politica. La raffigurazione del passato è giustamente considerata dall'autrice un ingrediente essenziale nella costruzione di una ideologia egemonica. La strategia di meticolosa elaborazione di una interpretazione pubblica di come si debba ricordare della ex-DDR acquista un interesse particolare perché indagata a Berlino, uno dei contesti al contempo più evocativi e divisivi di Europa. In un'era come quella contemporanea in cui vengono sempre più ridimensionati i rituali collettivi faccia-a-faccia, in cui si guarda con sempre più sospetto alla sacralizzazione della politica, in cui si fa difficoltà a sollecitare identità collettive e posizionamenti etici condivisi, lo spazio urbano rimane un luogo privilegiato in cui plasmare un senso di appartenenza che riesca a definire non solo chi siano gli abitanti della città ma chi siano stati e, di conseguenza, chi saranno o comunque dovrebbero essere. L'urbanistica permette di trasformare operazioni apparentemente tecniche, come il rinnovamento infrastrutturale, nella abile rimodulazione di un senso del destino collettivo. Chi avrà la pazienza di entrare nella imponente, articolata, complessa mole di documentazione, presentata dall'autrice in modo scrupoloso e convincente, apprezzerà una magistrale illustrazione di politica della rappresentazione, in cui Berlino diventa il luogo in cui si da forma e contenuto non solo all'abiura della DDR ma, per opposizione, alla indiscutibile superiorità dei valori dell'Occidente.

La qualità, quantità ed estensione della documentazione proposta è straordinaria. La ricerca etnografica di pregio, come quella della Candidi, riesce a far interagire molteplici fonti su un tema convergente e a nutrirsi della profonda e intima immersione della ricercatrice nell'oggetto investigato. Si tratta di una etnografia urbana alimentata sia da strumenti di indagine classici (quali l'intervista biografica o tematica, l'osservazione nei musei, nei mercati o durante le commemorazioni) sia

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dalle tecniche di ricerca rese possibili e indispensabili nei contesti contemporanei (indagine telematica, film e stampa, libri di testo scolastici, statistiche, sondaggi), nonché da un'attenta e scrupolosa analisi delle strategie istituzionali (accanitamente indagate sia nella loro dimensione progettuale che nella implementazione). L'autrice riesce a restituire le trasformazioni del panorama sociale e urbano della Berlino post-socialista nella sua ricca varietà attraverso questa molteplicità di strumenti di indagine, tarati specificatamente per ciascuno degli ambiti che compongono l'oggetto della ricerca e segnano la divisione in parti del volume. Ogni parte, organizzata e illustrata accuratamente, esplora un ambito mnemonico: la memoria iscritta nella città, che interroga il senso delle trasformazioni urbanistiche e architettoniche; quella museale che prende in rassegna musei, esposizioni, mostre e memoriali; quella storica che discute l'uso degli archivi e delle commemorazioni; quella dei media che si sofferma sul revival nostalgico della DDR sotto forma di mercatini, cinematografia, programmi televisivi e traiettorie editoriali; quella privata che lascia spazio ai cittadini della ex-DDR, alla loro percezione di ciò che è successo dopo la riunificazione e alle loro riflessioni sulla credibilità delle rappresentazioni del passato. L'etnografia esplora, per ciascun tema, la tensione tra progetti istituzionali e reazione popolare tenendo insieme le varie prospettive di indagine con rimandi teorici sull'analisi spaziale, la costruzione della memoria, la politica della rappresentazione e gli stratagemmi di codificazione simbolica. La profondità e l'ampiezza della documentazione genera un testo che non solo delinea i tratti principali della gestione della memoria della ex-DDR a Berlino, ma si trova con una tale abbondanza di dettagli significativi che fanno difficoltà a essere contenuti in un volume per quanto corposo, e trovano quindi spesso spazio in riquadri tematici che approfondiscono specifici tracciati analitici. Eppure, con il passare delle pagine, questa imponente ricchezza documentaria va a costituire, senza forzature, un quadro sufficientemente coerente delle strategie egemoniche di ciò che è stata la Germania socialista. Le parti si completano, come tasselli di un mosaico, per dare forma ad una immagine nitida.

Durante gli otto anni di ricerca, sotto gli occhi dell'autrice si dispiegano una molteplicità di fenomeni apparentemente sconnessi (dalle sostituzioni architettoniche ai rimpiazzi toponomastici, dalle modifiche dei monumenti agli allestimenti di mostre, da inaugurazione di musei alla istituzione di nuovi percorsi turistici, dalla apertura di archivi segreti alle commemorazioni, dalla diffusione di mercatini dell'usato alla affermazione di un inedito filone cinematografico, dalle simpatie elettorali alla crescente gentrificazione) che si rivelano, nello scorrere del testo, espressione di una convergente logica istituzionale di gestione della rappresentazione storica. L'etnografa sottopone a vaglio critico proprio questi presupposti impliciti e scontati

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riguardanti come il potere politico ed economico dominante ha scelto di inquadrare e caratterizzare il passato orientale della Germania. Il senso complessivo dell'assemblaggio istituzionale della memoria della DDR è reso nel testo illustrando criteri e tendenze ricorrenti che possono essere individuati se si tralasciano le compiacenti giustificazioni istituzionali delle operazioni di selezione e allestimento coreografico che invocano motivazioni estetiche e funzionali. Il criterio della raffigurazione, il disegno mnemonico che si vorrebbe egemonico, viene alla luce se ci si pone domande apparentemente banali: Chi rappresenta e chi viene rappresentato? Cosa entra nel panorama urbano e cosa viene cancellato? Su cosa pone l'enfasi e cosa tralascia la ricostruzione storica? Chi decide le parole usate per narrare il passato e chi viene nominato? In sintesi, chi gestisce la memoria pubblica e chi la subisce? Se si fanno queste domande appare evidentemente sia che non ci siano stati spazi né per un pari riconoscimento di dignità né per ibridazioni culturali: il socialismo, ormai annientato economicamente e politicamente, viene giustiziato senza possibilità di repliche nella opinione pubblica. L'intera strategia di rappresentazione della unificazione è giocata su una dicotomia tra un Occidente patria della libertà e un Oriente ridotto a dittatura: è solo quest'ultimo ad essere problematizzato. La strategia di raffigurazione binaria, fondata sulla opposizione tra bene e male, cancella necessariamente continuità o somiglianze.

Nella mia lettura, non è tanto la critica al controllo ossessivo nella DDR ad essere problematica, sebbene l'autrice faccia notare amplificazioni, semplificazioni, essenzializzazioni ed esagerazioni, ma la totale assenza di una predisposizione, forse anche della concettualizzazione della possibilità, di uno sguardo altrettanto critico sui governi occidentali. Ad esempio la criminalizzazione del muro di Berlino come simbolo ed espressione di esclusione, violenza, persecuzione non sollecita giudizi o paralleli sui muri (Israele/ Palestina, USA/ Messico, enclave di Ceuta e Melilla) che si stavano innalzando, estendendo e rafforzando proprio nella prima decade del terzo millennio, quando Candidi conduce la ricerca; i muri degli Stati democratici sono evidentemente ritenuti a priori più benevoli, nonostante alcuni stiano indubbiamente generando una maggiore mortalità rispetto a quello berlinese. Il giudizio di valore irrimediabilmente negativo sulla DDR serve a promuovere una raffigurazione dell'Occidente luogo della libera realizzazione umana, destino universale positivo e inevitabile, pacifico e legittimo. L'enfasi ossessiva sul controllo della Stasi, elevata ad oppressione assoluta, è contemporanea alla messa a punto della sorveglianza globale degli utenti internet tramite un controllo telematico minuzioso, occulto e invasivo a fini sia commerciali che polizieschi che va ben oltre la capacità di controllo di qualsiasi dittatura. L'identificazione del male assoluto nella mostruosa alterità socialista permette da un lato di minimizzare l'autoritarismo delle democrazie

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liberali, dall'altro di ergersi, come tendenzialmente mira a fare qualsiasi ordine politico-istituzionale, ad unica opzione praticabile. La DDR assume una dimensione particolarmente convincente di alternativa fallita se dopo essere stata domata, i suoi cittadini si prestano alla pubblica espiazione: si chiede quindi a tutti, soprattutto agli sconfitti della ex-DDR, di fare penitenza, di ripudiare la propria storia, non solo quella istituzionale ma anche quella umana, in linea con quanto proposto dalla rappresentazione istituzionale. Non c'è conseguentemente traccia di quei processi coinvolgenti, dialogici e polifonici che hanno caratterizzato la fine dei regimi in altre parti del mondo, come la Commissione per la verità e la riconciliazione in Sud Africa o il processo di giustizia e riconciliazione in Ruanda.

Costruita la dicotomia tra democrazia e dittatura ne consegue necessariamente un accanimento. Dalla criminalizzazione etica derivano due dinamiche storiografiche curiose e ironiche. Primo, la democrazia istituzionale si rivela ben poco democratica nella gestione della rappresentazione dell'altro: impone una condanna totalitaria della dittatura, sia per la scarsa polifonia concessa alle voci discordanti sia per la grandiosità delle trasformazioni orchestrate per imporre la presa egemonica della visione neoliberista della storia. Ad esempio la conversione istituzionale del tessuto urbano per impatto ed imposizione di simbologie manipolatrici ricorda quella delle dittature, sebbene la velocità sia indubbiamente quella del capitalismo contemporaneo. Secondo, se si deve purgare Berlino simbolicamente dalle scorie dittatoriali iscritte nel tessuto urbano ci si vede costretti a riproporre come memoria collettiva un passato remoto che, non potendo evocare il periodo nazista, deve andare a scovare una genealogia spendibile nello stato prussiano Ottocentesco, un modello che oggi forse non è il massimo in termini di capacità di evocare un'immedesimazione etica.

Candidi sceglie una narrazione che non sposa il post-modernismo dominante nella rappresentazione della politica: il testo non enfatizza né la negoziazione dei significati, né la polifonia, né presuppone che il potere sia diffuso e difficilmente interpretabile. Dal testo emerge con chiarezza che nella ristrutturazione dello spazio urbano così come nelle esposizioni museali, nei nomi delle strade, nei media, nelle rappresentazioni museali e nei libri scolastici, viene convogliata semplicemente la visione imposta dai vincitori. La trasformazione della Berlino post-socialista e della sua memoria non è narrata come un campo di scontro tra agencies concorrenti perché nel complesso la gestione è unidirezionale: le istituzioni sono allineate su un programma che se non viene esplicitato nella sua brutalità, è evidente nella sua implementazione. Si tratta di eliminare sistematicamente la dignità del patrimonio mnemonico degli sconfitti, cancellandolo o rappresentandolo in termini riduzionisti di povertà, oppressione, ignoranza, passività, conformismo. L'autrice non trascura le

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resistenze ma questo concetto nel testo ha un peso limitato, quanto ne ha avuto nel dare forma alla Berlino post-socialista. Le resistenze che costellano il testo non vengono esaltate per il loro eroismo né oscurano le dinamiche di potere prevalenti che rivelano una sistematica sconfitta di quelli che non condividono la ristrutturazione dello spazio urbano e mnemonico collettivo in linea con quanto previsto e realizzato dalle potenze amministrative che emanano le letture legittime di come si debba intendere il passato socialista. Il potere non negozia, non interpreta, decide e impone le sue deliberazioni.

L'intero libro è impostato su una dialettica tra operazioni istituzionali egemoniche nell'ambito pubblico, che si presentano come super partes o semplicemente funzionali in termini commerciali, e la percezione di queste da parte di chi si sente obliterato, mal rappresentato, denigrato, stigmatizzato, deriso, sensazioni maggioritarie tra i cittadini della ex-DDR, esternate, però, in ambiti privati. Il posizionamento dell'autrice non è occultato ma è tendenzialmente discreto, si fa evidente nella simpatia umana più che politica, verso quelli che si rifiutano di sposare le verità promosse dalle istituzioni. La parte forse più interessante e imprevista della ricerca è proprio il fallimento del tentativo egemonico che va cercato nella ricaduta esistenziale delle politiche di brutale cancellazione e di riduzionismo storico promosse dal governo, percepite come una colonizzazione dell'Occidente sull'Oriente e dei potentati politici ed economici sui cittadini. Se le istituzioni, ragionando da istituzioni, impostano la memoria della DDR come il salutare superamento di lasciti opprimenti, si scordano che ciò che viene invaso e ristrutturato forzatamente non sono solo i governi ma territori abitati, spazi vissuti, ricordi di vite. Sebbene non ci fosse spesso una sintonia tra istituzioni socialiste e popolazione, gli spazi mnemonici che vengono stravolti, eliminati, occultati con la riunificazione nell'ottica dei cittadini ex-DDR non sono assimilabili al governo socialista; le strade, i giardini, gli edifici, i servizi, gli oggetti, le scuole forgiano l'intima esistenza passata della gente comune. L'insistente attacco delle trionfanti istituzioni neoliberiste contro le istituzioni dittatoriali orientali eccede l'arroganza del governo vincente sul perdente e umilia l'intera popolazione, mortificando l'intero spettro esistenziale vissuto. Nelle voci di chi ha vissuto la DDR emerge un senso di frustrazione per ciò che vengono visti come gli stereotipi, le parzialità, le deformazioni, le manipolazioni di una rappresentazione faziosa, aggressiva e altezzosa. Candidi nota come anche quando la memoria della DDR assume connotazioni tutto sommato positive, o perlomeno quando esce dalla riduzione a dittatura, come nel fenomeno noto come Ostalgie, la narrazione del passato viene comunque spesso percepita come frutto di una espropriazione ed alienazione della loro storia a fini commerciali, creando in molti cittadini della Germania orientale un senso di ripudio per la mercificazione della loro intimità

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esistenziale. Questo senso di depressione e rabbia nel vedere denigrate le loro vite insieme alla frettolosa condanna senza appello del comunismo, non trova spazio nella comunicazione pubblica: il paziente lavoro dell'etnografa, confermato da sondaggi, riesce a mostrare la violenza esperita da tanti cittadini orientali. Il ripudio della verità istituzionale prende forma in ricorrenti critiche esplicite contro i valori capitalistici imposti in dinamiche coloniali interne alla nazione, e nella rivendicazione di una superiorità etica e sociale della solidarietà orientale.

E' un libro prezioso perché coniuga la riflessione antropologica sulla costruzione del ricordo ad un rigoroso metodo scientifico e ad un testardo impulso etico. Ne emerge un lavoro che difende la memoria e l'umanità dei perdenti, offre loro lo spazio per affermare la propria dignità e la propria visione degli eventi; e allo stesso tempo smaschera quanto siano diventati impermeabili al dialogo i potentati economici e amministrativi contemporanei, sedicenti democratici e liberali.

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