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Direzione formale del processo e sinteticità degli atti giudiziari

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IL DIRITTO DEGLI AFFARI

Anno X Fasc. 1 – 2020

BEATRICE FICCARELLI

DIREZIONE FORMALE DEL PROCESSO

E SINTETICITA’ DEGLI ATTI GIUDIZIARI

Estratto

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GIURISPRUDENZA – Sez. II

Il diritto degli affari, n. 1/20

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DIREZIONE FORMALE DEL PROCESSO E SINTETICITA’ DEGLI ATTI GIUDIZIARI

Tribunale di Firenze sez. I, ord. 16 gennaio 2020 (Giudice delegato dal Presidente, Schiaretti)

Nell’ambito di un procedimento per separazione giudiziale caratterizzato da alta conflittualità ed in cui le parti avevano provveduto, per il tramite dei loro atti introduttivi, ad allegazioni fattuali estremamente ampie ed analitiche, il giudice concedeva con ordinanza ai sensi dell’art. 708 c.p.c. i provvedimenti temporanei ed urgenti reputati opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi e nominava sé medesimo giudice istruttore fissando udienza di comparizione e trattazione.

Con il medesimo provvedimento, il giudice, dopo aver assegnato al ricorrente il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento per il deposito in cancelleria di memoria integrativa e al convenuto termine per la costituzione in giudizio, nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, visti gli artt. 175 c.p.c. e 111 Cost. invitava le parti a rispettare il principio di sobrietà e sinteticità degli atti affermando che, se la particolare ampiezza degli atti giudiziari certamente non pone un problema formale di violazione di prescrizioni, essa, tuttavia, non giova alla chiarezza degli atti stessi e concorre ad allontanare l’obiettivo di un processo celere “che esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio”, come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito (Cass. 4 luglio 2012, n. 11199; nonché Trib. Milano, sez. IX, 2 ottobre 2013, in www.ilcaso.it).

Il Tribunale di Firenze si è pertanto confrontato con il problema di ricomprendere il suesposto “invito” del giudice, circa il rispetto dei principi di sobrietà e sinteticità degli atti, in quei poteri di direzione formale del processo di cui al combinato disposto degli artt. 175 c.p.c. e 111 Cost., intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento stesso. Si tratta, come noto, di poteri caratterizzati dalla quasi assoluta discrezionalità, non essendo sindacabili dal collegio e ancor meno dal giudice di legittimità (sulla discrezionalità dei poteri direttivi del giudice e la loro ritenuta “incensurabilità” o “insindacabilità” nei giudizi di gravame v. per tutti L.P. COMOGLIO, Etica e tecnica del “giusto processo”, Torino, 2004, 337 ss.).

In forza di questi poteri il giudice che dirige l’udienza può fare o prescrivere, anche oralmente, e senza l’osservanza di particolari formalità, quanto occorra per una trattazione ordinata e proficua della causa, regolando la discussione, determinando i punti e le questioni su cui essa

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deve svolgersi e dichiarandola chiusa quando la ritenga sufficiente (art. 127 comma 2, c.p.c.).

Il Tribunale di Firenze dimostra così di accogliere le istanze secondo cui l’art. 175 c.p.c. estende il proprio ambito di applicazione anche al controllo delle tecniche utilizzate nel processo, conferendo al giudice il compito di monitorare costantemente i comportamenti delle parti e dei difensori attraverso gli atti giudiziari anche in vista del rispetto dei valori di lealtà e trasparenza consacrati nell’art. 88 c.p.c.; valori tutti che possono manifestarsi attraverso l’adozione di un linguaggio contenuto, rispettoso del carattere personale della controversia e del coinvolgimento della sfera più intima della persona (v. DANOVI, Processo di separazione e divorzio e tecniche della

difesa, in Fam. dir., 2019, 950).

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