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Caratterizzazione pomologica, agronomica e biochimica di una vecchia cultivar di Actinidia deliciosa A. Chev. dimenticata, la ‘Bruno’, a confronto con la 'Hayward' per il suo potenziale recupero produttivo

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Tesi di Laurea Magistrale in

Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Caratterizzazione pomologica, agronomica e biochimica di

una vecchia cultivar di Actinidia deliciosa (A. Chev.)

dimenticata, la ‘Bruno’, a confronto con la 'Hayward' per il suo

potenziale recupero produttivo

Relatore

Candidato

Prof. Rossano Massai

Francesco Ierace

Correlatore

Prof.ssa Lucia Guidi

Anno Accademico 2017/2018

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Introduzione……….4

1. Actinidia: Cenni storici e diffusione della coltura……….…………...6

2. Caratteristiche botaniche e cultivar di interesse commerciale appartenenti al genere Actinidia………...9

3. Situazione economica della coltura in Italia e in Europa………...15

4. Cenni agronomici sulla tecnica di coltivazione e condizioni pedoclimatiche ideali………19 4.1 Suolo………..19 4.2 Condizioni climatiche………19 4.3 Forma di allevamento……….20 4.4 Impollinazione………...21 4.5 Cure colturali………..23 4.6 Potatura………..23 4.7 Diradamento………...25 4.8 Concimazione………26 4.9 Irrigazione………..………26 4.10 Raccolta e conservazione………...………..27

5. Composti bioattivi e composizione nutrizionale del kiwi………..29

6. Caratteri vegetativi e distinzione tra cultivar ‘Hayward’ e ‘Bruno’……34

6.1 Caratteri vegetativi……….34

6.2 Fiori e frutti………37

7. Scopo della tesi………..39

8. Materiali e metodi………40

8.1 Materiali……….40

8.1.1 Attività in campo………..40

8.1.2 Campionamento dei frutti……….41

8.2 Metodi………42

8.2.1 Peso fresco, peso secco……….42

8.2.2 Diametro………..42

8.2.3 Gradi Brix………42

8.2.4 Durezza della polpa………..42

8.2.5 Acidità titolabile………...43

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8.2.7 Capacità antiossidante totale………45

8.2.8 Concentrazione in acido ascorbico totale……….46

8.2.9 Determinazione della concentrazione in clorofilla e carotenoidi………..46

9. Risultati e discussioni………...48

9.1 Caratteri vegetativi……….48

9.2 Analisi pomologiche………..50

9.2.1 Dimensione dei frutti e differenze varietali……….……….51

9.2.2 Indici di qualità: grado rifrattometrico, indice penetrometrico e sostanza secca……….54

9.3 Analisi fisico-chimiche………..62

9.3.1 Acidità titolabile………...………62

9.3.2 Determinazione della concentrazione in clorofilla e carotenoidi………..67

9.3.2.1 Clorofille e carotenoidi nella polpa………..……68

9.3.2.2 Clorofille e carotenoidi nella columella………75

9.3.2.3 Confronto varietale della concentrazione in clorofille e carotenoidi nei frutti……….81

9.3.3 Concentrazione in acido ascorbico totale…...………..83

9.3.4 Concentrazione in antiossidanti totali: fenoli e DPPH………..88

9.3.4.1 Fenoli totali………..89

9.3.4.2 Potere antiossidante: saggio DPPH………..93

10. Conclusioni………...98

10.1 Confronto biologico e agronomico tra le due cultivar...98

10.2 Pezzatura e conformazione dei frutti…….……….101

10.3 Confronto varietale dei frutti, al momento ottimale per il consumo...102

10.4 Effetto dell'epoca di raccolta sui risultati durante la conservazione...104

10.5 Andamento dei parametri qualitativi durante la conservazione……..106

10.6 Andamento delle diverse componenti chimiche e biochimiche durante la conservazione………...107

10.7 Risultato finale: la cultivar migliore per il consumatore……….109

11. Ringraziamenti……….111

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Introduzione

I frutti antichi sono quelli che, nell’arco degli ultimi 30-40 anni, hanno conosciuto un lento e silenzioso abbandono per l’affermazione della frutticoltura moderna, ovvero di quella industriale. I frutti antichi sono espressione di un valore che può racchiudersi in un concetto quale quello della biodiversità. Le coltivazioni intensive hanno imposto un ritmo di produzione standardizzato: varietà tutte uguali, molto produttive, ma spesso prive di gusto, facilmente manipolabili, conservabili e idonee alla commercializzazione su filiere lunghe. Il rischio per le antiche varietà è proprio quello di estinguersi, in quanto non più interessanti dal punto di vista commerciale, a causa della loro minore produttività e allo scarso adattamento a condizioni pedoclimatiche molto diversificate. Di conseguenza la loro estinzione potrebbe avere gravi ripercussioni sulla ricchezza della variabilità genetica e sulla biodiversità dell’ecosistema.

Tuttavia, oggigiorno, molte aziende, agricoltori e ricercatori lavorano per rivalorizzare i frutti antichi ormai sconosciuti o dimenticati. Questa tendenza, che risulta in crescendo, è legata sia ad un loro riutilizzo nell’interesse di una agricoltura sostenibile, che mira all’incremento della biodiversità, ma anche ad una nuova ottica del consumatore, che risulta sempre più attento alla sostenibilità del prodotto, la provenienza ed il contenuto nutraceutico dello stesso. Infatti, anche grazie all’evoluzione del consumatore, le attività di ricerca vengono svolte in questa direzione, con la comparazione delle varietà antiche, in via di rivalorizzazione, con le varietà commerciali, soprattutto dal punto di vista nutraceutico e funzionale, con attenzione anche sugli aspetti agronomici della coltura.

E’ appunto in quest’ottica che è stato svolto il presente lavoro di tesi sperimentale. Sono state comparate due vecchie varietà di Actinidia (Actinidia deliciosa) a polpa verde di cui una commercialmente nota a livello mondiale, la ‘Hayward’, e l’altra in via di rivalorizzazione, ’Bruno’ sotto tre differenti aspetti: fenotipico, nutraceutico ed agronomico. Inoltre, gli stessi caratteri nutraceutici, sono stati determinati in diversi stadi di raccolta e di conservazione del frutto, per valutare quindi, i cambiamenti in composti bioattivi delle due varietà durante il periodo di stoccaggio.

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E’ doveroso sottolineare il lavoro di recupero del Dott. Pacini, co-titolare dell’omonima azienda, situata a Rigoli (PI), impegnata ormai da diversi anni nella commercializzazione di questa antica varietà di Actinidia, la ‘Bruno’.

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1. Actinidia: Cenni storici e diffusione della coltura

Il genere Actinidia è originario della Cina, in particolare della valle del fiume Yang Tze. Le popolazioni di queste zone raccolgono, infatti, il frutto da tempo immemorabile (testimonianze dell’utilizzo di Actinidia risalgono alla dinastia Ming, 1200 a.C.), al fine di consumarlo tal quale, in confettura o come succo. In Europa il frutto venne introdotto dall’esploratore Robert Fortune nel 1847, pur senza apprezzabile successo, a seguito di una spedizione in Oriente organizzata dalla Royal Society of Horticulture di Londra. Miglior risultato sortì invece un secondo tentativo, operato dal botanico E.H. Wilson, che spedì in Inghilterra dalla Cina alcuni semi. I vivai inglesi Weitch and Son, destinatari della spedizione, presentarono al pubblico le prime piantine di Actinidia nel 1903. Va ricordato, però, che in un primo momento l’Actinidia attrasse l’interesse del pubblico come pianta ornamentale, in virtù della sua grande vigoria e della bellezza del fogliame. A breve distanza di tempo la specie fece la sua comparsa anche in Francia, mentre non è noto con certezza l’anno di introduzione in Italia. Contemporaneamente alla diffusione nel Vecchio continente, l’Actinidia venne importata anche in America ed in Oceania (1904). Proprio in Oceania, e più precisamente in Nuova Zelanda, la pianta incontrò condizioni ambientali estremamente favorevoli, tanto che il lavoro vivaistico svolto in questa zona dal botanico Alexander Allison tra gli anni ’20 e ’30 portò alla costituzione della maggior parte delle cultivar attualmente note.

Dopo essere tornata da un viaggio in Cina, Isabel Fraser (insegnante di Wanganui in Nuova Zelanda) portò con sè diversi semi di Actinidia deliciosa. Questi furono piantati dall'orticoltore Alexander Allison, facendo germinare parecchie piante, che subito dopo cominciarono a dare frutti, dai quali è stata selezionata una delle prime varietà commerciali di Actinidia a polpa verde che è ancora conservata, la cv. 'Allison'. Ma un evento importante che segnerà la storia della coltivazione dell’Actinidia fino ai giorni nostri si verificò nel 1928, e cioè la comparsa della varietà a polpa verde per eccellenza, ovvero la 'Hayward'; fino ad oggi coltivata in tutto il mondo la cultivar 'Hayward' ha caratteristiche che sono ancora difficili da superare.

Fu lo scienziato e orticoltore Hayward Wright, che ottenne questa varietà che attirò l'attenzione per le sue dimensioni, la sua forma ovale, il suo sapore delizioso e, soprattutto, il suo lungo periodo di conservazione. (Rubio et al., 2014). ‘Hayward’

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aveva incontrato subito i favori degli agricoltori, poiché presentava caratteristiche estremamente positive: i frutti erano, infatti, superiori in pezzatura, aroma e colore, e consentivano un’agevole conservazione. Questo ultimo aspetto permetteva di mantenere inalterate le caratteristiche durante i trasferimenti via mare consentendo così la commercializzazione su lunghe distanze.

La prima coltura commerciale di Actinidia, che a quel tempo era ancora conosciuto come ‘ribes cinese’, è stata avviata nel 1934 dall’agricoltore Jim Mac Louglin a Te Puke, nella baia di Plenty in Nuova Zelanda. Fino al 1950 la produzione neozelandese fu però destinata al solo mercato interno finché nel 1952 Mac Louglin decise di commercializzare i primi frutti al di fuori della Nuova Zelanda, inviandone 20 scatole, per nave, in Inghilterra. Da questa data in poi le esportazioni verso gli altri continenti fecero sì che l’Actinidia assumesse effettiva importanza anche dal punto di vista commerciale. A partire dal 1959, il frutto fu battezzato definitivamente con il nome di ‘Kiwi’, come è attualmente noto in tutto il mondo. Questo nome deriva da una specie di uccello aptero e ricoperto di peluria, endemico della Nuova Zelanda, che è un simbolo in questo paese (Rubio et al., 2014). In seguito, la Nuova Zelanda, con una lungimirante operazione di marketing, costituì appositamente la ‘New Zeland Kiwifruit Growers Corporation’. Sull’onda del grande successo neozelandese la coltura si diffuse quindi negli altri Paesi: in America, ad esempio, venne costituita nel 1972 la ‘California Kiwifruit Growers Association’, che promosse lo sviluppo della coltura fino a fare degli Stati Uniti il terzo produttore mondiale di Actinidia. Per quanto riguarda la diffusione in Italia, testimonianze della presenza di Actinidia risalgono ai primi anni ’30 (Catalogo vivaistico del Giardino Allegra di Catania, 1934). Le prime coltivazioni produttive si presentarono, in seguito alla forte spinta commerciale attuata da vivaisti francesi desiderosi di esplorare nuovi mercati, alla fine degli anni ’60 in Lombardia, quindi in Puglia, e via via in tutte le altre Regioni. La diffusione dell’Actinidia subì tuttavia una momentanea contrazione nel quinquennio ’74-’79, a causa degli scadenti risultati ottenuti da arboreti mal condotti o messi a dimora in ambienti non adatti (Fenaroli, 1978). Negli anni ’80 la coltura accese nuovamente l’interesse dei frutticoltori, che diedero vita tra l’altro ad iniziative consortili quali il CIK (Consorzio Italiano Kiwi; 1984), e la diffusero capillarmente fino a portare l’Italia nell’anno 1985 a divenire il secondo produttore a livello mondiale. Nel 1990 l’estensione risultava di oltre 21.000 ettari, con una decrescita negli anni seguenti, a

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seguito delle mutate condizioni economiche, in maniera lenta e costante. Dall’anno 2000 in poi l’Italia si è insediata stabilmente al primo posto tra i produttori a livello mondiale, e ne detiene attualmente la leadership.

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2. Caratteristiche botaniche e cultivar di interesse commerciale

appartenenti al genere Actinidia

REGNO: Plantae DIVISIONE: Magnoliophyta CLASSE: Magnoliopsida ORDINE: Ericales FAMIGLIA: Actinidiaceae GENERE: Actinidia

Tutte le specie di Actinidia presentano individui perenni, con portamento rampicante o prostrato, per la maggior parte decidui, sebbene alcune forme nelle zone a clima più caldo siano sempreverdi. Ci sono dozzine di specie che comprendono il genere Actinidia (Ferguson e Huang, 2007). A livello commerciale, le specie di kiwi più diffuse appartengono ad Actinidia deliciosa (kiwi verde), anche se molte varietà di questo frutto sono prodotte da altre cultivar o da un altro tipo di piante, come Actinidia

chinensis (kiwi giallo) e Actinidia Kolomikta e Actinidia arguta (baby kiwi) (García

et al., 2014).

Il genere Actinidia si caratterizza per essere una specie dioica, con individui portanti i fiori maschili e individui portanti i fiori femminili: risulta quindi possibile effettuare una suddivisione tra individui pistilliferi e staminiferi. Gli individui femminili portano fiori con stami apparentemente normali, e in numero superiore alle piante maschili, che tuttavia non producono polline vitale. Gli individui maschili presentano invece fiori (in numero variabile da 3 a 5 per ogni racemo) con aborti degli ovari e dell’apparato femminile. I fiori, di colore bianco-crema, possono essere portati singolarmente oppure raggruppati. Grande influenza sulla carica fiorale risulta avere il soddisfacimento del fabbisogno in freddo (600-850 ore a temperature inferiori a 7°C). L'impollinazione è di tipo entomofilo, sebbene i fiori non siano molto attrattivi per i pronubi, e in misura minore anche anemofilo. Botanicamente il frutto è una bacca, contiene un elevato numero di semi e si presenta ricoperto da peluria, con polpa di colore verde, punteggiata da semi di minuscola dimensione, violacei o neri. I frutti possono essere singoli, in grappoli di 3-5 oppure in infruttescenze di 30 e più elementi,

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a seconda della specie presa in esame. Le dimensioni del frutto stesso sono variabili, così come la sua forma, la tomentosità, il colore e la consistenza della polpa. La pianta presenta un fusto legnoso con numerosi tralci di variabile lunghezza che portano gemme miste (da cui si originerà un germoglio fertile) e gemme a legno. L’apparato fogliare è costituito da foglie semplici, decidue, cuoriformi e lungamente picciolate, con caratteristiche leggermente differenti a seconda della posizione occupata sulla pianta. L’apparato radicale è superficiale (Testolin e Crivello, 1987).

La propagazione dell’Actinidia può avvenire per seme al fine di ottenere portainnesti e per poter effettuare il miglioramento genetico; al Centro-Nord si utilizza la talea in modo da poter ricostruire la pianta dai ricacci qualora si verificassero danni da freddo, mentre al Centro-Sud si fa ricorso a piante innestate. La tecnica della micropropagazione risulta essere poco impiegata, poiché le piante così ottenute mostrano un certo ritardo nell'entrata in produzione (Spada e Marini, 2000).

Il ciclo vegetativo annuale ha inizio in primavera con il germogliamento, che avviene normalmente tra la fine di marzo e la prima decade di aprile. Esso è preceduto dalla ripresa dell’attività radicale e dalla circolazione della linfa nel mese di febbraio. A partire da tale epoca è possibile osservare una abbondante fuoriuscita di linfa a seguito di tagli nel legno (il c.d. ‘pianto’). Con il germogliamento inizia l’accrescimento di diversi tipi di germogli, la cui evoluzione dipende dal tipo di gemma da cui hanno origine. Sui tralci di un anno si distinguono infatti gemme a legno e gemme miste: le gemme a legno danno origine a germogli vegetativi sterili ad accrescimento più o meno indeterminato durante la stagione vegetativa mentre le gemme miste sono in grado di dare origine ad un germoglio fertile. Le gemme miste si formano all’ascella delle foglie a partire dal 4°-5° nodo basale su tutti i nodi successivi. Con l’invecchiamento del legno su cui sono inserite, le gemme miste che non schiudono in primavere perdono la loro funzionalità, mentre le gemme a legno e le sotto-gemme conservano la facoltà di germogliare. Con il germogliamento ha inizio la crescita di un nuovo germoglio, il quale allungandosi differenzia in sequenza a spirale a tasso costante nuovi nodi e nuove foglie, con un ritmo di crescita dei germogli particolarmente elevato (fino a 60 mm al giorno). I germogli fertili possono presentare

sia accrescimento determinato che accrescimento indeterminato.

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distensione delle foglie all’ascella delle quali si formano le gemme dormienti per lo sviluppo dell’anno successivo.

Come già accennato, non tutte le foglie sono uguali: nella parte basale del germoglio infatti si ha la formazione di perule, mentre i nodi basali, quelli destinati a dare germogli vegetativi, presentano foglie cosiddette di transizione (taglia ridotta e lamine allungate). I nodi successivi presentano invece foglie normali, con lamina molto ampia. Dopo breve tempo, all’ascella delle foglie dei rami fertili si rendono visibili gli abbozzi dei fiori. La fioritura avviene normalmente tra la fine di maggio e i primi di giugno e si protrae per una decina di giorni. Nelle cultivar che presentano racemi con più fiori, inizia a schiudere il fiore centrale e successivamente schiudono quelli laterali. La fecondazione è di tipo incrociato, trattandosi di specie dioica. I fiori maschili producono polline vitale solamente i primi 2-3 giorni dopo la schiusura, e il polline conserva un elevato potere germinativo per oltre due giorni dal momento in cui è prodotto. La ricettività del fiore femminile è piuttosto elevata, potendosi protrarre per una settimana, fino all’inizio della caduta dei petali. La fecondazione avviene in circa 40-70 ore e può interessare fino a 1300-1400 ovuli. La fecondazione è anemofila ed entomofila (Pierpolini, 2004). Terminata la fioritura i frutti iniziano il proprio accrescimento che si sviluppa in 4 fasi: la prima si protrae per circa 70 giorni a partire dalla piena fioritura, ed è caratterizzata da un accrescimento molto rapido alla fine del quale il frutto ha raggiunto già oltre il 60% del proprio volume finale. Questa prima fase si conclude attorno alla metà di agosto. Segue un secondo periodo, caratterizzato da crescita lenta che dura circa 30 giorni, durante i quali i semi completano la propria formazione. Verso la metà di settembre si assiste ad un secondo periodo di forte crescita, che porta in 20 giorni il frutto prossimo alle dimensioni finali. Nell’ultimo mese prima della raccolta il frutto completa molto lentamente il proprio sviluppo dando avvio alla fase di maturazione, caratterizzata da trasformazioni biochimiche dei metaboliti di riserva e degli acidi organici (Testolin e Crivello, 1987).

A livello botanico e commerciale è necessario distinguere le diverse specie di

Actinidia coltivate e le relative cultivar presenti, alcune in minoranza rispetto ad altre,

sui mercati nazionali ed esteri.

Actinidia deliciosa è sicuramente la specie più coltivata al mondo. Presenta una

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raggiunge i 12-14 ° Brix. Ha eccezionali proprietà nutrizionali, con contenuti minerali e vitaminici molto elevati, essendo uno dei frutti con il più alto contenuto di vitamina C. Anche se ci sono molte varietà in questa specie, la cultivar di A. deliciosa più popolare e commercializzata è ‘Hayward’ (García et al., 2014). Come già accennato nel precedente paragrafo, ‘Hayward’ è stata selezionata alla fine degli anni '20 ed è ancora oggi di gran lunga la cultivar più coltivato nel mondo. E’ una pianta mediamente vigorosa e molto produttiva. I fiori sono solitamente solitari, uno per peduncolo, oppure riuniti in racemi di 2 o 3 fiori, grandi, da 5 a 7 cm di diametro, con petali bianchi molto attraenti. Il frutto è grande, con un peso medio superiore a 100 g, di forma ellissoidale ed ha un'alta densità che lo rende uno dei migliori nel rapporto peso-volume di tutte le specie coltivate appartenenti al genere Actinidia. La buccia è marrone, con uno sfondo più o meno verde ed è rivestita da una sottile peluria. Raggiunta la maturità la polpa è molto succosa con un colore verde brillante ed ottimo sapore. I frutti di questa varietà possiedono anche la migliore conservazione frigorifera rispetto alle altre (fino a più di sei mesi se conservati in atmosfera controllata). La raccolta avviene verso la prima metà di novembre.

Negli anni recenti sono apparsi alcuni cloni derivati da ‘Hayward’, che in alcuni casi possono migliorare alcune sue qualità:

 ‘Hayward clone 8’: di origine greca, molto produttivo, che ha un peso medio del 20% superiore ad ‘Hayward’ e matura una settimana prima.  ‘Top Star’: è una mutazione di ‘Hayward’, molto produttiva, con frutti di

buone dimensioni e priva di peluria.

 ‘Summer Kiwi’: è una selezione ottenuta in Italia attraverso incroci diretti. Attualmente è la raccolta più precoce di kiwi verdi sul mercato. Viene raccolto circa 35 giorni prima di ‘Hayward’. È molto produttivo e può essere un po' più vigoroso di ‘Hayward’.

Vanno poi annoverate le vecchie cultivar di Actinidia deliciosa selezionate negli anni 30’ in Nuova Zelanda, successivamente introdotte in Italia ed ancora oggi presenti sul mercato. Tra queste troviamo la varietà che, attraverso il lavoro di tesi sperimentale, abbiamo messo a confronto con ‘Hayward’ e cioè ‘Bruno’.

 La cultivar ‘Bruno’ è una pianta molto vigorosa e rustica. Si differenzia da altre varietà dal rigoglio della sua vegetazione e dal verde intenso delle sue

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chiome. Ha fiori leggermente più piccoli di ‘Hayward’ e fiorisce pochi giorni prima di questo. Il frutto è di medie dimensioni, da 60 a 70 g e completamente cilindrico. La pelle è marrone scuro, con molta pelosità, peli lunghi e duri. La polpa è verde traslucida, acidulata e contiene più vitamina C rispetto alla maggior parte delle varietà. Rispetto ad ‘Hayward’, la raccolta avviene circa una settimana prima e la conservazione dei frutti in ambiente refrigerato è molto inferiore a questa.  ‘Abbott’: varietà vigorosa con entrata in produzione anticipata. Fiorisce

3-4 giorni prima di 'Hayward'. Il frutto ha forma ellissoidale e dimensioni medie. La buccia è marrone chiaro, peluria abbondante con peli corti. Ha una columella piuttosto dura, anche dopo la conservazione frigorifera.

Viene raccolto una settimana prima di ’Hayward’ e ha un breve periodo di conservazione.

 ‘Monty’: pianta rustica di medio vigore, più tollerante alla siccità rispetto ad altre varietà. La stagione della fioritura è simile a ‘Abbott’ e ‘Bruno’. Il frutto è di piccole dimensioni, ha caratteristici solchi verticali e con molta tendenza a produrre tre frutti per peduncolo. Il sapore è leggermente acido Raccolta e conservazione sono simili ad ‘Abbott’ e ‘Bruno’.

 Esistono altre varietà simili a queste (‘Allison’, ‘Elmwood’, ‘Greensil’, ‘Gracie’, ‘Vicent’, ‘Blake’, ‘Tewi’ ecc.), con scarso interesse commerciale, a causa delle dimensioni ridotte del frutto, della minore produttività e fondamentalmente per avere una frigoconservazione molto più breve.

Actinidia chinensis è la seconda specie di Actinidia per importanza, in termini

di superficie coltivata. I frutti della varietà di questa specie sono caratterizzati dall’avere una polpa giallo-brillante, bassa acidità e una maggiore dolcezza del kiwi verde, cosa che li rende più appetibili specialmente in determinati mercati, come ad esempio in Asia. Le cultivar di interesse commerciale appartenenti ad

Actinidia chinensis sono: ‘Jintao’ (‘Jing Gold’) selezionato in Cina e introdotta in

Europa dal consorzio italiano Kiwi Gold nel 1998; ‘A 19’ (‘Enza Gold’) e ‘JB Gold’ (‘Kiwi Kiss’) selezionato in Nuova Zelanda da D. Skelton; ‘Sungold’ selezionato da 'Zespri'®; ‘Soreli’ varietà selezionata in Italia, dal professor Testolin e dal prof. Cipriani, dell'Università di Udine.

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Appartenenti alla famiglia delle Actinidiaceae vengono coltivate altre due specie: Actinidia arguta, a cui appartengono la maggior parte delle altre varietà a coltivazione commerciale, e Actinidia kolomita, chiamata anche ‘bellezza dell’Artico’. Sono molto resistenti al freddo invernale, poiché la loro origine è quella dall'Artico e dall'Asia orientale. I frutti di queste specie sono conosciuti in tutto il mondo come ‘baby kiwi’ per le piccole dimensioni dei frutti che raramente superano i 25 g. (Pinto eVilela, 2018). Le cultivar di interesse commerciale sono: ‘Ananasnaja’ (A. arguta); ‘Meader’ (A. arguta); ‘Larger’ (A. arguta); ‘Santyabraskaya’ (A. kolomikta); ‘Szymanowski’ (A. kolomikta); ‘Jumbo’ (A.

arguta) varietà di origine italiana; ‘Issai’ (A. arguta); ‘Transcarpazia’ (A. arguta)

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3.

Situazione economica della coltura in Italia e in Europa

Secondo le stime di produzione e commercializzazione, emanate dal CSO, in Italia nel 2018 sono presenti complessivamente circa 25.220 ettari in produzione (età maggiore di 2 anni) coltivati ad Actinidia, con una crescita del 2% rispetto al 2017. Di questi, 22.360 ha di superficie totale sono coltivati per produrre varietà di kiwi a polpa verde (-2% sul 2017), mentre 2.860 ha sono destinati alla produzione di varietà di kiwi a polpa gialla (+40% sul 2017); per questa varietà bisogna registrare che circa il 35% degli impianti è inferiore ai 3 anni di età, di conseguenza la superficie potenzialmente produttiva si attesta a 4.467 ha.

A livello regionale, il Lazio possiede il 29% della produzione totale nazionale (7.970 ha, - 4% sul 2017), con una un aumento della produttività rispetto alla precedente annata, caratterizzata da ingenti danni da gelo. Le aziende campionate da CSO Italy mostrano una numerosità di frutti nettamente più elevata rispetto allo scorso anno ma molto distante da un’annata di carica produttiva; continuano a diminuire le superfici del kiwi verde in favore del giallo e si riscontra una disomogeneità produttiva tra le diverse aziende con una forte variabilità in termini di numerosità dei frutti.

In termini di superficie investita, il Lazio è seguito dal Piemonte con il 19% (4.240 ha, -6% sul 2017) (Fig. 1 e 2). A causa del PSA (acronimo del batterio responsabile della malattia Pseudomonas syringae pv. Actinidiae, segnalato per la prima volta due anni fa, nel corso del 2018 è in netta diffusione e rappresenta il problema più impattante sulla produttività; infatti, ad oggi gli espianti hanno riguardato circa 400-500 ettari, di conseguenza la perdita produttiva si attesta al 15%. Tuttavia, la resa degli impianti sani risulta superiore a quella dell’anno scorso del +5/6%.

In Emilia-Romagna (16% della superficie totale nazionale; 3.976 ha, +3% sul 2017) (Fig. 1 e 2), le superfici in produzione nel complesso appaiono in lieve ascesa rispetto al 2017. Questo è dovuto all’entrata in produzione degli impianti più giovani con una maggiore incidenza delle superfici di 3 e 4 anni di età, mentre parallelamente diminuiscono lievemente le produzioni degli impianti più vecchi.

Nel Veneto (11% della superficie totale nazionale; 2.382 ha, -3% sul 2017) (Fig. 1 e 2), dopo un 2017 con ingenti danni da gelo, la stagione 2018 si è caratterizzata per una ripresa produttiva. La diffusione della moria interessa poco più di 1.200 ettari. Nel 2018 c’è un’ulteriore calo delle superfici che già lo scorso anno erano sofferenti

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(limitatamente a circa 50 ettari). Buona produttività negli appezzamenti esenti da asfissia con una numerosità di frutti nettamente superiore allo scorso anno. Segnalata una lieve presenza di PSA e cimice.

Per la Regione Toscana si nota un leggero incremento sia in termini di ettari investiti sia in termini di produzione tra il 2015 e il 2016, seguito da un decisivo decremento nell’anno 2017 (Fig. 1 e 2).

In maniera analoga anche la provincia di Pisa dopo due stagioni pressoché stazionare in termini di produzione, fa registrare un calo importante anche nella superficie investita ad Actinidia con ovvie conseguenze sulla produzione (Fig. 1 e 2).

Figura 1 Tendenze Regionali per superficie coltivata ad Actinidia negli ultimi 10 anni, fonte dati: ISTAT.

Brevemente, per quanto riguarda le altre regioni:

Friuli: Le superfici produttive del kiwi verde, nella stagione 2017, sono stazionarie. La resa è in ripresa (+10%) rispetto al 2017 caratterizzato dai danni da gelo. La moria si sta diffondendo anche in questa regione ma attualmente non sono

0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 7.000 8.000 9.000 10.000 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 e tt ari (h a)

Superficie coltivata ad Actinidia

Regione Lazio Regione Piemonte Regione Emilia Romagna Regione Veneto Regione Toscana Provincia di Pisa

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tanti gli appezzamenti interessati da problemi gravi. Risulta riapparso il PSA anche se in modo non preoccupante ed è in forte diffusione la cimice asiatica.

Figura 2 Tendenze Regionali per produzione totale di Actinidia negli ultimi 10 anni, fonte dati: ISTAT.

Lombardia: Lieve incremento delle superfici adottate (+2%), rese in aumento rispetto al 2017 (+15%).

Campania: Ancora un lieve incremento delle superfici in produzione +3% sul 2017. Previste rese unitarie in lieve calo rispetto alla passata stagione, che era risultata buona. Adottata una resa regionale pari a -5% sul 2017. Buona qualità.

Calo anche in Basilicata e in Puglia.

Calabria: (11% della superficie totale nazionale 2.376 ha, +1% sul 2017). E’ stata stimata una superfice produttiva in aumento per il prodotto a polpa verde ma con percentuali inferiori agli anni recenti (+1% sul 2017). Si continua a confermare l’espansione delle superfici per le cultivar a polpa gialla. Le rese 2018 sono in netta diminuzione rispetto a quelle più soddisfacenti del 2017, ma con una pezzatura migliore. In questa regione hanno inciso problemi di vento, piogge e grandinate. Viene dunque considerato un calo medio regionale del -30% al consuntivo 2017.

0 500.000 1.000.000 1.500.000 2.000.000 2.500.000 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Q u in ta li (q )

Produzione totale Actinidia

Regione Lazio Regione Piemonte Regione Emilia Romagna Regione Veneto Regione Toscana Provincia di Pisa

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Inquadrando l’Italia nel panorama europeo si può affermare che è il principale paese produttore europeo. Dopo la stagione 2017, caratterizzata da una offerta contenuta, dovuta a molteplici problemi climatici, era lecito attendersi, per la stagione 2018/19, un aumento produttivo, favorito dall’aumento delle superfici destinate alla kiwi coltura e da condizioni metereologiche migliori. . La produzione, secondo le stime emerse alla 37° edizione di Iko (International Kiwifruit Organization), si attesta sulle i 373.000 tonnellate di Actinidia a polpa verde con una crescita del 13% sul 2017; i livelli sono però nettamente inferiori al potenziale del paese. Infatti, sono inferiori del 16% rispetto alla media produttiva dei quattro anni precedenti. Il totale del kiwi a polpa gialla sale quest'anno fino a superare le 60.000 tonnellate, grazie alla progressiva entrata in produzione degli impianti recentemente messi a dimora. Nel complesso, il prodotto italiano commercializzabile dovrebbe attestarsi sulle 435.000 tonnellate, con un +18% sul 2017. (Macchi, 2018)

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4.

Cenni agronomici sulla tecnica di coltivazione e condizioni

pedoclimatiche ideali

Al fine di realizzare un nuovo impianto di Actinidia è necessario considerare condizioni ambientali e tecniche di coltivazione che risultano fondamentali per la buona riuscita dell’impianto stesso.

4.1 Suolo

I terreni destinati alla coltivazione dell’Actinidia devono rispondere a precise caratteristiche: essere profondi, freschi, ben aerati, mediamente acidi con un pH intorno al 6.2 e provvisti di sostanza organica sul 4%. A tal proposito, l’eventuale apporto di sostanza organica negli anni precedenti alla costituzione diviene particolarmente importante per contribuire ad evitare fenomeni di stanchezza del terreno che difficilmente possono essere superati con le concimazioni minerali. Un altro fattore limitante per l’Actinidia è il calcare attivo, che preferibilmente, non deve essere superiore al 5%, per evitare problemi di clorosi, dovute al mancato assorbimento di ferro e manganese. Si dovrebbero prediligere, nella scelta del luogo, le zone in leggera pendenza per favorire il drenaggio.

4.2 Condizioni climatiche

Il clima ideale è sicuramente quello temperato – umido, ma una caratteristica importante per questo aspetto è la costanza dei fattori che lo determinano: temperatura, umidità e pioggia. Nei mesi di dicembre-gennaio, quando la pianta è in completo riposo vegetativo, può sopportare temperature fino a -10 /-15 °C ma questa resistenza alle basse temperature diminuisce gradualmente, man mano che si passa alla ripresa vegetativa; così temperature di -3-4 °C raggiunte verso la fine di febbraio, al rigonfiamento delle gemme, possono provocare necrosi alle gemme stesse prima, e ai nuovi germogli poi. I danni alla nuova vegetazione risultano ancora maggiori se si verificano delle gelate durante i mesi primaverili. L’Actinidia per poter fruttificare deve interrompere il periodo di riposo vegetativo e ciò avviene solo se la pianta riceve un certo numero di ore di freddo ovvero una temperatura inferiore a 7 °C, di almeno 600/850 unità di freddo (U.F.). La cv Hayward necessita, per una produzione di qualità, dal germogliamento alla raccolta di 1.800 – 2.500 ore con temperature superiori a 10 °C. Altri eventi atmosferici da temere sono il vento e la grandine.

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Quest’ultima è particolarmente dannosa nel periodo autunnale quando i frutti sono ormai in fase di maturazione. Il vento, invece, causa un’eccessiva evapotraspirazione della pianta, rottura dei germogli, e in fase di impollinazione sfavorisce il volo dei pronubi.

4.3 Forma di allevamento

Per quanto concerne la forma di allevamento, attualmente la pergoletta (Figura 3) è la forma più utilizzata e più idonea sotto diversi aspetti, quali: gestione della potatura, curvatura dei tralci e minore incidenza di infezioni botritiche. Essa per le ragioni appena citate ha sostituito quasi completamente la vecchia forma a tendone anche nelle regioni del sud Italia. La forma a pergoletta è costituita dal fusto principale della pianta che si ripartisce in due cordoni orizzontali che si sviluppano nel senso del filare. Dai cordoni partono i capi a frutto di circa 20 gemme, che inizialmente hanno un andamento orizzontale lungo l'ala della pergoletta e una volta superato il filo di sostegno, tendono a ricadere verticalmente nell’interfilare. Un’evoluzione della pergoletta è rappresentata dal sistema denominato ‘T bar’ che si differenzia dalla pergoletta tradizionale per la piegatura dei tralci verso il basso aumentando la percentuale di germogliamento delle gemme. (Figura 4).

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Figura 4 Differenza tra pergoletta (sinistra) e T bar (destra) in piante di kiwi.

Il cordone permanente viene mantenuto 20-30 cm più alto della traversina orizzontale la cui lunghezza è di 140-160 cm. Con questo sistema i tralci assumono fin dall’inizio un’inclinazione verso il basso che favorisce la formazione di germogli di rinnovo vicini al cordone permanente utili per la produzione dell’anno seguente. La piegatura dei tralci determina inoltre una riduzione dello sviluppo dei nuovi germogli inseriti nella parte mediana e finale tanto più forte quanto più accentuata è la piegatura. La pezzatura dei frutti che derivano da questi tralci è in alcuni casi superiore a quella ottenuta con tralci orizzontali.

4.4 Impollinazione

L’impollinazione dei fiori è fondamentale per ottenere produzioni di ottima qualità sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Il rapporto consigliabile è di 1 maschio ogni 6 femmine con disposizione a quinconce (Figura 5). Per favorire una migliore fecondazione senza aumentare il numero delle piante maschili è possibile integrare i punti di impollinazione mediante innesti di rami maschi sulle femmine più distanti dai maschi.

Nel kiwi l’impollinazione può avvenire ad opera del vento, degli insetti ed anche per intervento diretto dell’uomo attraverso diversi sistemi (manuali o meccanici), anche se nessuno di questi metodi da solo si può considerare sufficiente, occorre eseguire degli interventi complementari.

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Figura 51 Disposizione a quinconce di piante staminifere e pistillifere in una piantagione di kiwi.

L’impollinazione entomofila è sicuramente la tecnica più importante ma non risolutiva, inoltre i fiori dell’Actinidia sono poco attrattivi per i pronubi poiché non producono nettare. Generalmente vengono introdotte 8-10 arnie per ettaro quando è presente il 10–30 % dei fiori aperti; è fondamentale adottare buone pratiche di apicoltura per rendere gli sciami ricchi di bottinatrici e ben nutriti per sopperire alla mancanza di nettare dei fiori di Actinidia. I fiori che non sono stati impollinati rimangono aperti per circa una settimana.

L’impollinazione manuale è una pratica che si attua molto semplicemente. Gli operatori prelevano, in epoca di fioritura, dei fiori maschili, ponendoli in un cesto e successivamente strofinando ogni fiore su una decina di fiori femminili. Vengono eseguiti più passaggi per impollinare i fiori che si aprono scalarmente. Generalmente si effettuano almeno due passaggi: il primo quando sono aperti il 40-50% dei fiori, il secondo col 90-100% dei fiori aperti. Il costo di questa operazione per ogni passaggio è quindi di circa 450–525 euro.

Con l’impollinazione meccanica il polline deve essere portato al fiore femminile, dosandolo con precisione, e deve esserne garantito l’ancoraggio al fiore femminile; tutto questo è reso possibile grazie all’utilizzo di una macchina dotata si tre componenti: Distributore di polline, Ventola, Umidificatore. Il momento migliore per iniziare con la movimentazione dell’aria è al 30-40% di fiori femminili aperti, per non disperdere il polline dei maschi inutilmente, visto che i fiori femminili sono ricettivi 30-48 ore dopo l’apertura. L’applicazione del polline si consiglia di farla quando la schiusura dei fiori femminili ha raggiunto il 95-98% e comunque i petali della maggior

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parte dei fiori siano non più bianchi ma giallo scuro. Questo nel caso che la fioritura abbia una durata regolare (6-8 giorni). Nel caso di fioriture prolungate sarebbe opportuno prevedere più passaggi. Nel caso di un clima caldo e secco si consiglia di irrigare con microjet per aumentare l’umidità ed evitare il disseccamento dei pistilli.

4.5 Cure colturali

L’Actinidia ha un apparato radicale superficiale, soggetto ad asfissia, per cui sono sconsigliate le lavorazioni superficiali a favore dell’inerbimento totale o parziale dell’interfila con diversi vantaggi per la coltura: arricchimento in sostanza organica del terreno e miglioramento della struttura fisica, maggiore diffusione delle radici in superficie dove esistono condizioni più favorevoli di abitabilità, migliore utilizzazione degli elementi minerali soprattutto per quanto riguarda il fosforo e il potassio, che vengono traslocati in profondità dalle piante erbacee sotto forma di composti prontamente assimilabili da parte delle radici dell’Actinidia. Tuttavia bisogna considerare che le piante erbacee esercitano concorrenza per acqua ed elementi nutritivi nei confronti della pianta arborea e che l’inerbimento comporta un aumento dell’incidenza del danno dovuto alle gelate, quest’ultimo risolvibile mantenendo falciato raso il prato. Per la costituzione del prato è preferibile ricorrere al trifoglio bianco (Trifolium repens) mantenendolo falciato nel periodo della fioritura dell’Actinidia perché le api risultano più attratte dai fiori di trifoglio rispetto a quelli della pianta fruttifera.

4.6 Potatura

Al secondo anno d’impianto si completa la formazione delle piante. Dal terzo anno in avanti la potatura, definita di produzione, deve essere fatta in modo tale da garantire sia la quantità che la qualità dei frutti. Per calcolare la quantità di tralci da lasciare dobbiamo stimare la produzione che potrebbe fare una pianta al terzo anno. Una pianta al terzo anno con una vegetazione abbondante potrebbe produrre circa 20 kg rappresentati da circa 250 frutti. Per ottenere questa produzione servono 125 gemme. Se calcoliamo che un buon tralcio può portare 15 - 20 gemme serviranno (125:15 o 20) 6 - 8 tralci per pianta da suddividere metà a destra e metà a sinistra del cordone permanente. Questi dovranno avere tra di loro una distanza minima di 30 cm ed essere legati con una angolazione di circa 90° rispetto al cordone permanente.

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Operando in questa maniera favoriremmo la formazione di nuovi capi a frutto nel punto di curvatura.

La potatura invernale ha come obbiettivo quello di equilibrare la carica vegetativa e produttiva, assicurare il rinnovo delle formazioni fruttifere e mantenere la pianta negli spazi assegnati dalla forma di allevamento scelta. Prima di iniziare la potatura di una pianta in produzione è opportuno considerare i tipi di rami presenti:

 Tralci grossi e pelosi (succhioni): sono da scartare poiché forniscono delle produzioni con un’alta percentuale di frutti piatti e tripli. Inoltre hanno alla loro base solo gemme a legno, mentre quelle che seguono subito dopo hanno una percentuale di fruttificazione molto bassa.

 Tralci determinati: lunghi circa 1 m che terminano con un gruppetto di gemme riunite; per dare alte produzioni devono essere stati in luce e non essere pelosi.  Tralci spur: tralci molto corti circa 30 cm che terminano con un gruppetto di

gemme riunite. Se maturi e ben esposti alla luce, forniscono delle buone produzioni anche se possono difettare in pezzatura. La fertilità è bassa, poiché possiede 1-2-3 gemme miste.

 I tralci buoni per la produzione sono quelli che hanno almeno 1 cm di diametro, non sono pelosi, hanno una lunghezza di oltre 20 gemme e forniscono delle produzioni abbondanti. Sono dotati di buona fertilità.

I tralci normali, quelli di circa 1 cm di diametro vanno cimati a 15 - 20 gemme e legati ai fili, mentre quelli determinati o spur vanno lasciati interi e senza legature. Il numero di gemme che dovremmo lasciare a mq. per ottenere delle produzioni di qualità è di un massimo di 20 gemme a mq.

La potatura invernale dovrà essere eseguita a fine gennaio - primi di febbraio prima che inizi il pianto, andando a selezionare i rami idonei per una corretta ed elevata produzione, ovvero quelli di medio vigore. Inoltre, occorre distanziare i rami in maniera tale da favorire l’arieggiamento e la penetrazione della luce, evitando di legarli assieme, e spuntare i tralci nella parte terminale.

La potatura verde è un’operazione che permette di agire positivamente sia sulla produzione dell’anno in corso sia su quella dell’anno successivo. Viene realizzata attraverso 3 interventi di potatura, a partire da alcune settimane prima della fioritura ed intercalati a distanza di un mese l’uno dall’altro:

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 Nel primo intervento devono essere spuntati i germogli sopra all’ultimo bottone fiorale per arieggiare e favorire la circolazione del polline, mentre i quelli eccessivamente vigorosi devono essere spuntati a 2/3 gemme per stimolare la produzione di tralci di rinnovo più idonei.

 Il secondo intervento, in post-fioritura, si abbina al primo passaggio di diradamento, da eseguire entro metà giugno e consiste nello spuntare i tralci vigorosi con e senza frutta, sempre con l’obiettivo di favorire la penetrazione della luce.

 Il terzo intervento è previsto nel mese di luglio, consiste sempre in una spuntatura dei germogli, con l’obbiettivo di favorire l’arieggiamento e l’ingresso di luce e di indebolire i tralci di rinnovo troppo vigorosi.

La potatura delle piante maschili è effettuata subito dopo la fioritura e durante il periodo invernale. La potatura invernale consiste nel lasciare dei tralci di varie lunghezze inseriti trasversalmente al cordone permanente ed eliminando tutti quelli che corrono longitudinalmente che con la vegetazione successiva potrebbero mettere in ombra molti fiori. Il numero dei tralci da lasciare è circa doppio di quello delle femmine. Una seconda potatura, poco intensa, deve essere eseguita subito dopo la fioritura eliminando i tralci che invadono le femmine. I tralci delle piante maschili non vanno legati ma lasciati liberi conferendo così alla chioma un aspetto abbastanza disordinato.

4.7 Diradamento

L’operazione di diradamento serve per equilibrare il rapporto tra frutti e vegetazione. Eccessi di carica possono portare alla produzione di frutti di bassa qualità, così come la presenza di pochi frutti può squilibrare le piante verso un eccesso di vegetazione. E’ importante stabilire il numero di frutti che si vogliono per pianta valutando anche lo sviluppo della parte aerea.

In genere si eseguono 3 passaggi di diradamento: il primo va ad eliminare le infiorescenze laterali ed i fiori deformi, appiattiti perché destinati a produrre frutti a ventaglio; il secondo, che dovrà essere completato entro metà giugno per poter essere efficace sull’incremento di pezzatura dei frutti, andrà ad eliminare tutti i frutti mal impollinati ed i laterali che non sono stati eliminati durante il primo intervento; il terzo

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viene essere eseguito entro fine Agosto con l’obiettivo di ripulire le piante dalla presenza di frutti di scarto o che presentano difetti estetici gravi.

4.8 Concimazione

Per una concimazione equilibrata è opportuno fare riferimento ai disciplinari di produzione integrata unitamente alle analisi del terreno, alternando i vari prodotti organici, ed eventualmente integrare gli elementi mancanti con la concimazione minerale, anche se è preferibile somministrarli in forma organica (ad esempio pollina e letami essiccati sono abbastanza ricchi di fosforo, oltre che di azoto, ma contengono poco potassio). È opportuno utilizzare reflui che abbiano subito un adeguato periodo di stoccaggio. Per stabilire la giusta quantità di fertilizzanti da somministrare è necessario considerare la dotazione del terreno, le asportazioni degli elementi minerali fatte dalle piante e le tecniche colturali adottate (presenza cotico erboso, trinciatura del legno di potatura ecc.). Un aspetto importante da tenere in considerazione è la conoscenza dei ritmi di assorbimento degli elementi da parte della pianta. Per gli elementi principali (azoto, fosforo e potassio) l’Actinidia presenta due momenti in cui l’assorbimento è massimo: il primo durante il mese seguente al germogliamento e il secondo nella fase successiva all’allegagione. Nella pratica è importante che i livelli nutritivi in queste due fasi siano ottimali in modo che non vengano compromesse la qualità e la pezzatura dei frutti.

4.9 Irrigazione

L’Actinidia è una specie molto esigente e necessita della presenza di umidità costante, ma non eccessiva, soprattutto nello strato superficiale del terreno dove è prevalentemente distribuito l’apparato radicale. Le esigenze idriche variano in funzione dell’andamento climatico e dello stadio fenologico della pianta, inoltre i sintomi di eccesso o carenza possono essere simili (il brusone delle foglie ad esempio, provoca il disseccamento di parte o dell’intero lembo fogliare a seguito della chiusura stomatica e quindi una ridotta traspirazione). E’ importante capire quando intervenire per poter restituire l’acqua che le piante consumano durante l’attività vegetativa. Un aiuto per individuare il momento in cui effettuare l’irrigazione è l’utilizzo dei tensiometri, strumenti che permettono di conoscere lo stato di umidità del terreno. Per poter avere un dato attendibile è necessario posizionare almeno 2 tensiometri ad una profondità di 15 e 30 cm nel terreno, lungo la fila in una posizione intermedia fra due

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gocciolatori, al fine di avere un’indicazione chiara. Complessivamente per ogni stagione vanno somministrati in media 4000-6000 m3 ha-1 di acqua utilizzando

possibilmente un sistema di irrigazione localizzato. È consigliabile adottare gocciolatori (o ali gocciolanti) con portate comprese tra 2 e 4 l/ora, disposti in maniera simmetrica rispetto alle piante, a una distanza dal tronco compresa tra 60 a 100 cm, dipendente dalla tessitura del suolo, cercando di ottenere una striscia bagnata nella zona interessata dalle radici, lungo l’asse del filare. La portata oraria dell’impianto dipende dal numero di gocciolatori per ettaro e dalle caratteristiche del suolo. La sensibilità della coltura allo stress idrico unitamente all’esiguità del volume di terreno su cui agiscono le radici consigliano turni irrigui molto stretti (1-2 giorni), restituendo integralmente l’intero consumo stimato.

4.10 Raccolta e conservazione

È di fondamentale importanza individuare il momento giusto per la raccolta del frutto, che è variabile in funzione dell’ambiente colturale e del decorso climatico stagionale. Uno dei sistemi più usati per determinare l’epoca del distacco dei frutti è la determinazione del grado zuccherino attraverso l’ausilio del rifrattometro; l’indice rifrattometrico ottimale per iniziare la raccolta oscilla tra i 6,5 e 8,5 °Brix.

Un gruppo di ricercatori statunitensi (Crisosto et al., 2012) ha condotto una serie di studi sulla sostanza secca come indice di qualità del kiwi dal 1999 al 2008. I ricercatori hanno osservato che la sostanza secca e la concentrazione di solidi solubili variava notevolmente a seconda del frutteto e della stagione, mentre i valori di acidità titolabile variavano soprattutto al variare delle condizioni climatiche stagionali. Si è scelto di utilizzare il contenuto in sostanza secca, poiché è un parametro che comprende sostanze solubili (zuccheri ed acidi) ed insolubili (carboidrati strutturali ed amido) e, soprattutto, non si modifica durante la gestione post-raccolta.

Oggi il contenuto di solidi solubili nel kiwi al momento della raccolta è il metodo ufficiale utilizzato dai maggiori paesi produttori, quali Nuova Zelanda, Italia, Francia, Grecia, Cile, Giappone e Stati Uniti. Il contenuto minimo di solidi solubili, per poter raccogliere il kiwi, varia dal 5,5 al 6,5%, poiché si è osservato che con un contenuto inferiore a 6,2% il frutto non si conserva oltre 3 mesi in cella refrigerata. Dopo anni di osservazioni e misurazioni, per soddisfare il livello di gradimento del consumatore, i ricercatori propongono che l'indice minimo di qualità consista in un contenuto in

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sostanza secca ≥16% quando l'acidità titolabile è ≥1,2%, oppure un contenuto in sostanza secca del 15% quando l'acidità titolabile è <1,2% (Crisosto et al., 2012).

La raccolta avviene manualmente distaccando con una leggera torsione i frutti dal peduncolo. Il frutto del Kiwi una volta raccolto viene stoccato in atmosfera normale o controllata con un abbassamento del livello di ossigeno. Effettuando la refrigerazione normale si porta la temperatura a 4 °C con una U.R. del 90-95%. La refrigerazione in atmosfera controllata comporta modifiche sulla presenza percentuale di ossigeno (1,5– 2 %) e anidride carbonica (4–4,5 %), ed una temperatura di 0,8–1 °C. (De Leo et al., 2014)

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5.

Composti bioattivi e composizione nutrizionale del kiwi

Negli alimenti di origine vegetale sono naturalmente presenti alcuni composti bioattivi, cioè composti aventi valore nutrizionale e dotati di attività biologica che si esplica nel ridurre il rischio di sviluppo di numerose malattie croniche, svolgendo, quindi, una fondamentale azione protettiva sulla nostra salute. All’interno di questo gruppo di composti si inseriscono gli antiossidanti, definiti come sostanze che, in basse concentrazioni rispetto al substrato ossidabile e sotto specifiche condizioni, sono in grado di ritardare o prevenire l’ossidazione del substrato stesso. L’importanza degli antiossidanti contenuti negli alimenti è da associare sia alla capacità di preservare la shelf-life degli alimenti, ritardando l’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi, sia di esplicare in vivo, nell’organismo umano, effetti benefici contro le malattie cronico– degenerative indotte dallo stress ossidativo e dalla senescenza. Sono principalmente annoverate come sostanze antiossidanti le vitamine, i polifenoli, i carotenoidi, tra cui la luteina, i sali minerali; il loro contenuto negli alimenti vegetali può essere influenzato da diversi fattori sia varietali, che pedoclimatici e tecnologici. Frutta e verdura contengono livelli significativi di composti biologicamente attivi, con funzioni fisiologiche e biochimiche a vantaggio della salute umana. Nel corso degli anni il cibo ha assunto sempre di più lo status di ‘cibo funzionale’; infatti, deve soddisfare le esigenze nutrizionali e, al tempo stesso, portare numerosi benefici fisiologici. Più di qualunque altro tipo di cibo, i frutti sono un ottimo alimento, caratterizzati da un basso contenuto di calorie e da un'elevata quantità di sostanze antiossidanti che sono in grado di prevenire una vasta gamma di patologie, come il cancro, le malattie cardiovascolari e le malattie degenerative legate ai processi di invecchiamento. (Tavarini et al., 2008) Di conseguenza, un aumento del consumo di frutta e verdura è associato ad una minore incidenza dell’insorgere di malattie degenerative. Questi effetti benefici sono stati attribuiti, da numerosi studi, ai vari antiossidanti contenuti in questi alimenti e sono diventati un argomento di ricerca comune poiché non possono essere generati dal corpo umano e quindi devono essere introdotti con la dieta. Sicuramente, uno dei principali antiossidanti nella frutta e nella verdura è l'acido L-ascorbico (AA), che è meglio conosciuto come vitamina C dalla maggior parte dei consumatori. Pertanto, la

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vitamina C’è diventata un indice qualitativo attrattivo per questi alimenti sia come vitamina che come antiossidante.

L'acido ascorbico, la forma più attiva di vitamina C, è una sostanza labile che è facilmente ossidabile in acido L-deidroascorbico (DHAA), principalmente a causa dell'attività di L-ascorbato ossidasi e successiva reazione con l’ossigeno in presenza di ioni metallici e luce. Sebbene il DHAA stesso non mostri attività della vitamina C, la sua attività biologica è stata considerata equivalente ad AA, poiché può essere prontamente convertita in AA nel corpo umano. L'attività della vitamina C è persa quando il DHAA è ulteriormente ossidato a acido 2,3-dicheto-L-gulonico, a causa dell'irreversibilità di questa reazione. Pertanto, il contenuto di vitamina C nel cibo è solitamente espresso come la somma di AA e la sua forma parzialmente ossidata, DHAA (Nishiyama et al., 2004)

Nei kiwi, la concentrazione di vitamina C è superiore a quella determinata in arancia, fragola, limone e uva; inoltre, Beever e Hopkirk (1990) hanno mostrato che la concentrazione di vitamina C nel kiwi era dieci volte più alta della stessa contenuta in mela e pesca. In particolare, alcuni autori hanno riportato che la concentrazione di vitamina C nei frutti di cv. 'Hayward' cambia da 37 a 200 mg/100 g di peso fresco (Lintas et al., 1991; Selman, 1983). In aggiunta, il kiwi è un frutto nutriente che si distingue dagli altri frutti per il colore verde attraente della sua polpa, dovuto principalmente allae clorofille a e b (Fuke et al., 1985; Possingham et al., 1980). Anche questi pigmenti apportano effetti benefici sulla salute. Da sottolineare come in passato, gli studi con procedure spettrofotometriche e cromatografia su strato sottile avessero rivelato che il colore verde della loro polpa fosse dovuto principalmente alla clorofilla

a e b (Fuke et al., 1985; Possingham et al., 1980; Robertson e Swinburne, 1981). Studi

più recenti, eseguiti con l'analisi della cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC), ha consentito una separazione più distinta dei pigmenti, dimostrando che l'estratto di kiwi conteneva xantofille, tra cui la neoxantina, la violaxantina e la luteina, clorofille e loro derivati e solo un carotenoide idrocarburico, il β-carotene (Cano, 1991).

È ben noto, inoltre, il ruolo che β-carotene e licopene hanno come attività di provitamina A. Alcuni carotenoidi, tra cui β-carotene, licopene, luteina e zeaxantina, sono potenti antiossidanti e scavenger di radicali liberi (Sies e Stahl, 1995), e un

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apporto alimentare elevato di tali carotenoidi è associato a un minor rischio di malattie cardiache e di alcuni tipi di cancro (Giovannucci, 1999; Granado et al., 2003). La luteina, insieme al suo isomero strutturale zeaxantina, è un carotenoide predominante che si accumula nel cristallino e nella regione maculare della retina. Sebbene la luteina e la zeaxantina non abbiano attività di provitamina A, esse sono fortemente implicate nella protezione contro la degenerazione maculare legata all'età e la formazione di cataratta. A questo proposito, possibili meccanismi di azione per questi carotenoidi, includono l'attività antiossidante e il filtraggio della luce blu dannosa (Krinsky et al., 2003).

Il contenuto di sostanze fitochimiche è influenzato da numerosi fattori come il periodo di maturazione, il genotipo, le tecniche di coltivazione, le condizioni climatiche che si verificano durante il periodo di pre-raccolta ma sono molto importanti anche le operazioni effettuate durante la conservazione post-raccolta. Alcuni autori (Esti et al., 1998) hanno osservato che il contenuto di vitamina C del kiwi dipendeva dal genotipo, dal grado di maturazione, dalla conservazione e dal metodo di analisi utilizzato. Infatti, questi autori, hanno dimostrato che il contenuto di acido ascorbico nei campioni di kiwi provenienti da genotipi di Actinidia chinensis (Planch) var. chinensis era superiore al tipico contenuto medio in Actinidia deliciosa (A. Chev) cv. 'Hayward’ (Esti et al., 1998). In generale, altri studi hanno sottolineato vari fattori (condizioni agronomiche, genomiche, pre e post raccolta e lavorazioni) che possono influenzare la composizione chimica degli alimenti vegetali e possono avere un ruolo significativo nel determinare la composizione fenolica e la bioattività di questi composti (Imeh e Khokhar, 2002).

Lo stadio di maturazione è un altro fattore importante che influenza la qualità compositiva di frutta e verdura. Infatti, durante la maturazione dei frutti, si verificano numerose modifiche biochimiche, fisiologiche e strutturali e questi cambiamenti determinano gli attributi della qualità del frutto. La raccolta nella giusta fase di maturazione è essenziale per una qualità ottimale e spesso per il mantenimento di questa qualità dopo la raccolta e la conservazione (Tavarini et al., 2008). In effetti la conservazione può influenzare gli indici di qualità e il contenuto nutrizionale della frutta fresca. Durante la conservazione post-raccolta delle colture orto-frutticole, possono verificarsi importanti cambiamenti nella capacità antiossidante(Ayala-Zavala et al., 2004). La gestione della temperatura è lo strumento più importante per

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prolungare la durata di conservazione e mantenere la qualità di frutta e verdura fresca. Oltre al contenuto in vitamina C, dal punto di vista nutrizionale il kiwi ha sole 44 kcal per 100 g di prodotto, è ricco di acqua e fornisce un buon apporto di fibre, contiene quantità significative di pigmenti, incluse clorofille e carotenoidi, ma soprattutto supera la maggior parte degli altri frutti per il suo contenuto di micronutrienti come potassio, fosforo, magnesio e folati.

In Tabella 1 è riportata la composizione nutrizionale del kiwi, secondo Fourie e Hansmann (1992).

Tabella 1 Differenza nella composizione nutrizionale tra Cv. ‘Hayward’ e ‘Bruno’ (Fourie e Hansmann, 1992).

Composizione nutrizionale kiwi

Composizione chimica Valore per 100 g

Cv. ‘Hayward’

Cv. ‘Bruno’

Acqua (g): 84,6 82,62

TSS (solidi solubili totali) (°B) 15,9 15,95

TTA (acidità titolabile totale) (meq/100g) 19,22 20,23 Proteine (g): 0,49 0,44 Carboidrati (g): 8,45 8,12 Fruttosio (g) 4,43 3,96 Glucosio (g) 4,02 3,71 Saccarosio (g) 0 0,45 Fibra totale (g): 1,98 3,43 Ceneri (g) 0,89 0,88 Sodio (mg): 2,34 1,93 Potassio (mg): 329,8 232,7 Ferro (mg): 0,28 0,25 Calcio (mg): 30,92 29,72 Fosforo (mg): 19,29 22,33 Magnesio (mg): 21,49 38,95 Rame (mg): 0,29 0,29 Manganese (mg): 0,90 0,12 Zinco (mg): 0,19 0,16 Vitamina C (mg): 86,8 144,8

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Nonostante il lavoro scientifico in questione mettesse a confronto diverse varietà di kiwi coltivate in Sud-Africa e, come sopra citato, la composizione chimica vari a seconda di diversi fattori agro-ambientali e varietali, i valori nutrizionali danno un indice realistico sulle differenze tra le due cultivar. Analizzando i dati proposti si nota come le due cultivar sono pressoché simili per quasi tutti i macro e micro nutrienti; la differenza sostanziale si ha nel contenuto in fibra alimentare, maggiore in ‘Bruno’ rispetto ad ‘Hayward’, ma soprattutto nella concentrazione in acido ascorbico, dove il maggior contenuto nella cultivar ‘Bruno’ è netto.

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6.

Caratteri vegetativi e distinzione tra cultivar ‘Hayward’ e

‘Bruno’

Col termine varietà si intende in senso descrittivo la diversità delle caratteristiche all'interno di una specie biologica, quindi a livello botanico due varietà sono distinguibili se un singolo carattere è sufficientemente diverso tra di esse, ma solitamente, la distinzione deve essere basata su diverse caratteristiche in combinazione. Molte di queste caratteristiche saranno influenzate da fattori ambientali, come il tipo di suolo e il clima, e in particolare dalle pratiche culturali per le specie coltivate o di interesse agrario. L’Actinidia, in quanto a pratiche colturali, richiede una formazione della chioma e quindi interventi di potatura, regolari. Caratteristiche come le dimensioni delle foglie, la dimensione dei frutti e la lunghezza dei germogli possono essere influenzate dalla severità di questo intervento, così come dimensione e forma dei frutti saranno variabili in relazione all’ambiente di coltivazione (Jie e Thorp, 1986). In ogni caso le differenze morfologiche tra la cultivar ‘Hayward’ e la ‘Bruno’, sono tali da consentire una distinzione sulla base di caratteri vegetativi e riproduttivi.

6.1 Caratteri Vegetativi

L’aspetto esterno delle branche in riposo vegetativo è molto simile per entrambi (Figura 6), ma con un’osservazione più oculata si può notare che le gemme ascellari dormienti e la proiezione nodale sono distinguibili (Figure 7 e 8). (Jie e Thorp, 1986)

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Figura 7 Gemma intermedia: faccia distale convessa incCv. ‘Hayward’ (Jie e Thorp, 1986).

Figura 8 Gemma intermedia: faccia distale dritta in cv. ‘Bruno’) (Jie e Thorp, 1986).

I tralci di Actinidia sono caratterizzati da una crescita apicale prolungata e dalla tendenza ad avvolgersi a spirale lungo eventuali sostegni. Questi possono essere tralci a sviluppo determinato, nel caso in cui la loro crescita venga arrestata dalla formazione di due gemme ravvicinate in posizione apicale. Possono raggiungere una lunghezza di 20-30 cm – ramo corto (o «spur»), tipico di piante poco vigorose o invecchiate – o di circa 1 metro. I rami corti portano la migliore produzione in piante gestite correttamente. Esistono poi tralci a sviluppo indeterminato che possono superare i 2 m di lunghezza mostrandosi anche particolarmente vigorosi (diventando succhioni); anche questi tralci possono produrre frutti. Nella porzione basale dei tralci, sono in genere presenti solo gemme a legno, che danno origine a germogli provvisti unicamente di foglie.

Nell’Actinidia, le gemme sono protette da peluria e da tessuti simili alla corteccia. Le gemme riproduttive, presenti lateralmente lungo i tralci, sono gemme miste che danno origine a germogli sui quali si sviluppano anche i fiori (germogli fruttiferi; Fig. 9). La gemma mista contiene, preformate, circa 20- 22 foglioline e all’ascella di alcune di esse si possono originare i fiori; questi possono essere presenti nei nodi compresi dalla quinta alla dodicesima posizione a partire dal basso e la medesima struttura si rispecchierà poi nel germoglio dopo la sua distensione. L’induzione a fiore avviene da

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inizio agosto alla tarda estate dell’anno precedente la fioritura, mentre la differenziazione dei fiori avviene molto tardivamente, pochi giorni prima del germogliamento, impedendo così di distinguere agevolmente le gemme miste dalle gemme a legno attraverso una semplice osservazione visiva. Sui tralci e sul tronco dell’Actinidia si formano frequentemente gemme latenti. (Massetani, 2017)

Figura 92 Morfologia germoglio fruttifero di Actinidia deliciosa (Vita in campagna, 2017).

Di conseguenza, in maniera specifica, si può affermare che:

‘Hayward’ presenta gemme di tipo misto molto piccole, grigie, con peli appena visibili; la faccia distale della proiezione nodale è convessa.

‘Bruno’ presenta gemme di tipo misto molto piccole, anche se variabili, di colore grigio-giallo, con peli appena visibili. La faccia distale della proiezione nodale è diritta. Altra piccola differenza si nota osservando la corteccia dei rami invernali, le lenticelle presenti, di colore grigio-giallo per entrambe le cultivar, sono piccole e in numero moderato su ‘Bruno’, di media grandezza e in numero inferiore su ‘Hayward’.

Anche i rami estivi sono molto simili tra le due cultivar; risultano differenti le lunghezze degli internodi (7,1 cm ‘Hayward’; 8,1 cm ‘Bruno’), la forma e dimensione delle foglie, il numero dei fiori per tralcio e l’incidenza di fiori multipli.

‘Hayward’ presenta foglie obovate, ampiamente depresse con l’apice che forma una piccola insenatura (emarginato), la pagina superiore è di colore verde scuro con moderato numero di peli di colore rosso chiaro, corti, lungo la vena principale; la pagina inferiore è di colore verde pallido con fitta presenza di peli bianchi stellati e moderato numero di peli rossi, principalmente corti lungo la vena principale.

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‘Bruno’ presenta foglie ampiamente obovate con apice cuspidato o troncato, la pagina superiore ha un colore da verde a verde scuro con pochi peli lunghi, rosso chiari, principalmente lungo la vena principale; la pagina inferiore è di colore verde pallido con moderato numero di peli bianchi stellati e pochi peli lunghi, rossi, per lo più lungo la vena principale.

Entrambe presentano foglie con macchie o striature viola su quasi tutta la superficie. Tuttavia a primo impatto visivo si nota come la vegetazione della cultivar ‘Bruno’ è più rigogliosa ed ha un colore verde-intenso rispetto ad ‘Hayward’

6.2 Fiori e frutti

Sicuramente i caratteri fiori e frutti sono i lineamenti distintivi di queste cultivar (Figura 10).

Figura 10 A sinistra fiore femminile di ‘Hayward’, a destra fiore femminile di ‘Bruno’.

I fiori di ‘Hayward’ hanno un colore bianco crema a volte con macchie gialle; in piena fioritura la corolla è a coppa; petali ovali, margine involuto con leggera rientranza e prevalentemente sovrapposti. Gli stili hanno un orientamento reclinato e sono fortemente ricurvi verso il centro.

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