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Dipartimento di Scienze Veterinarie
Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
“Studio di un protocollo per la valutazione
dell’elasticità epatica nel cane sano
con elastosonografia shear wave”
Candidato: Ilaria Antenucci
Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi
Correlatore: Dott.ssa Tina Pelligra
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Alla quotidiana, silenziosa e semplice tenacia
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INDICE
Riassunto ...5 Abstract ...5 INTRODUZIONE ...6 PARTE GENERALE ...81 Principi fisici e metodiche elastosonografiche ...9
1.1 Principi fisici ...9
1.2 Elastosonografia ...13
1.2.1 Origini dell’elastosonografia ...13
1.2.2 Metodi quasi-statici: strain imaging ...14
1.2.3 Metodi dinamici: shear wave imaging ...15
1.2.3.1 Transient Elastography (TE) ...17
1.2.3.2 Elastosonografia con tecniche ARFI ...18
1.2.3.2.1 Point Shear Wave Elastography (p-SWE) ...19
1.2.3.2.2 2-D Shear Wave Elastography (2-D SWE) ...20
2 Utilizzi dell’elastosonografia ...22
2.1 Elastosonografia in medicina umana ...22
2.1.1 Fegato ...23 2.1.2 Altri organi ...25 2.1.2.1 Seno ...25 2.1.2.2 Prostata ...26 2.1.2.3 Tiroide ...27 2.1.2.4 Sistema muscolare ...27 2.1.2.5 Rene ...29
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2.1.2.6 Apparato gastroenterico ...30
2.1.2.7 Milza ...31
2.1.2.8 Pancreas ...32
2.1.2.9 Sistema vascolare ...33
2.2 Elastosonografia in medicina veterinaria ...35
2.2.1 Elastosonografia nel cane e nel gatto ...35
2.2.2 Shear Wave Elastography nel cane: fegato ...36
PARTE SPERIMENTALE ...41
1 Introduzione ...42
2 Materiali e metodi ...45
2.1 Criteri di inclusione ...45
2.2 Criteri di esclusione ...46
2.3 Esame ecografico ed elastosonografico...46
2.4 Analisi statistica ...48 3 Risultati ...49 4 Discussione ...53 5 Conclusioni ...55 BIBLIOGRAFIA ...56 RINGRAZIAMENTI ...67
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RIASSUNTO
L’elastosonografia shear wave è un metodo diagnostico affermato per la valutazione dell’elasticità del fegato in medicina umana, poiché permette di rilevare precocemente alterazioni tissutali patologiche. In medicina veterinaria pochi studi hanno valutato la sua applicabilità ed il suo utilizzo potrebbe essere limitato per i potenziali fattori che possono provocare artefatti ed errori nelle misurazioni, tra cui il movimento del paziente. Inoltre, non sono stati condotti studi che valutino l’influenza dei farmaci anestetici sulle misurazioni elastosonografiche del fegato. Lo scopo del nostro studio prospettico e monocentrico è stato quello di verificare l’effettiva applicabilità della tecnica 2-D SWE, ricercare un range di riferimento per le misurazioni elastosonografiche epatiche nel cane sano e valutare una differenza significativa tra le misurazioni effettuate in fase pre-anestesiologica ed
anestesiologica. Nel nostro studio sono stati inclusi 20 cani, riferiti al reparto di Diagnostica per Immagini del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa nel periodo fra ottobre 2020 e gennaio 2021. Tutti i soggetti inclusi sono stati sottoposti ad esame
elastosonografico shear wave del fegato: alcuni solamente da svegli o in anestesia generale, altri in entrambe le condizioni. La 2-D SWE si è dimostrata una metodica
diagnostica utile, veloce e non invasiva nella valutazione dell’elasticità epatica. La fattibilità dell’esame è risultata migliore nei pazienti esaminati in fase anestesiologica rispetto
all’esame effettuato su pazienti svegli, per la minor presenza di artefatti da movimento. Tuttavia, è emersa una differenza significativa tra le misurazioni effettuate in fase pre-anestesiologica e in fase pre-anestesiologica. Questa potrebbe essere dovuta all’effetto dei farmaci anestetici sulla vascolarizzazione epatica, in particolare per il nostro studio, del propofol.
Parole chiave: cane, elastosonografia, fegato
ABSTRACT
Shear wave elastography is a valid method to evaluate the elasticity of the liver, as it allows the early detection of pathological changes. In veterinary medicine, a few studies have evaluated its applicability and its use is still limited due to the potential factors that can cause artifacts and errors during measurements, including patient movement. Moreover, there are no studies evaluating the anestethic drugs’ influence oh hepatic elasticity measurements. The aim of our prospective and monocentric study was to verify the effective applicability of the 2-D SWE technique, to search for a reference range for hepatic elastosonographic measurements in healthy dogs and to evaluate a significant difference between the measurements made in the pre-anesthetic and anesthetic phase. In our study, 20 dogs were included, referred to the Diagnostic Imaging Section of the Department of Veterinary Sciences of the University of Pisa, in the period between
October 2020 and January 2021. All dogs included underwent a shear wave elastographic examination of the liver: some only while awake or under general anesthesia, others in both conditions. The 2-D SWE has proved to be a useful, fast and non-invasive diagnostic method in the assessment of liver elasticity. The feasibility of the examination was better in patients examined during the anesthetic phase rather than in awake patients, because of the lower presence of movement artifacts. However, there was a significant difference between the measurements taken during pre-anesthetic phase and those taken during anesthetic phase. This could be due to anesthetic drugs’ effect on hepatic vascularity, and especially in our study, to propofol.
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INTRODUZIONE
Fin dalle antiche origini della medicina umana, la palpazione manuale rappresenta uno strumento utile nella valutazione qualitativa dell’elasticità del tessuto molle. Questa
dipende sia dalla sua composizione microscopica molecolare sia da quella macroscopica strutturale, entrambe spesso coinvolte ed alterate nel corso di un processo patologico. Tale alterazione determina un aumento della rigidità tissutale, rilevabile come un aumento del modulo elastico.
Sebbene la palpazione manuale presenti elevata sensibilità nel rilevare e talvolta
caratterizzare alterazioni dell’elasticità tissutale, questa risulta estremamente limitata nel valutare lesioni di piccole dimensioni o localizzate in porzioni parenchimali profonde. Tale necessità di
La necessità di valutare le caratteristiche elastiche di tessuti non accessibili alla normale palpazione manuale ha portato alla nascita dell’elastografia [1].
L’elastografia è una metodica diagnostica non invasiva che permette di valutare l’elasticità di un tessuto. Questo viene sottoposto ad uno stimolo di varia natura (meccanico esterno o una forza di radiazione acustica interna) ed in seguito monitorato. Questo permette di osservare il comportamento in risposta allo stimolo, al fine di dedurre le sue caratteristiche elastiche. Il monitoraggio di tale caratteristica può avvenire tramite risonanza magnetica nell’elastografia a risonanza magnetica (MRE) oppure tramite ultrasuoni
nell’elastosonografia [2].
L’elastosonografia, nata come estensione dell’ecografia tradizionale [3], comprende quelle tecniche elastografiche che impiegano gli ultrasuoni come mezzo per misurare i micro-spostamenti tissutali provocati da impulsi di varia natura, al fine di quantificare o dimostrare qualitativamente il modulo elastico o modulo di Young (E) del tessuto stesso [4].
A partire dalle prime applicazioni in medicina umana negli anni 70, l’elastosonografia è stata oggetto di numerosi studi. Questi, nei primi anni 90, hanno dato vita a due linee di ricerca, che hanno portato allo sviluppo di metodi quasi-statici e metodi dinamici, così denominati per il diverso tipo di eccitazione meccanica esterna applicata al tessuto [1,4-6]. Successivamente, questi metodi sono stati denominati rispettivamente strain imaging e
7 La shear wave imaging comprende la Transient Elastography (TE) e le più recenti ed accurate tecniche elastosonografiche ARFI ovvero la point shear wave elastography (p-SWE) e la 2-D shear wave elastography (2-D (p-SWE). Quest’ultima, permettendo di esaminare una porzione tissutale maggiore, è oggi considerata una tecnica diagnostica accurata ed ampiamente utilizzata nella diagnosi di fibrosi epatica nell’uomo [7-10].
A partire dal 2014 [11], le tecniche ARFI sono state introdotte anche in medicina veterinaria come strumento di valutazione dell’elasticità epatica del cane. Si sono susseguiti ulteriori studi sull’utilizzo della più recente 2-D SWE, condotti sia su soggetti sani che patologici. Nel 2016 uno studio [12] ha rivelato la capacità della 2-D SWE di individuare il grado di fibrosi epatica, in quanto le misurazioni elastosonografiche sono risultate correlate sia agli esiti istologici sia ai valori di funzionalità epatica. Nel 2019 [13] uno studio condotto in un gruppo di cani sani ha confermato le elevate riproducibilità e ripetibilità della 2D-SWE nell’esame epatico di soggetti non sedati.
Un recente studio prospettico [14] ha valutato l’effetto, sulle misurazioni epatiche, di alcuni fattori tecnici quali il sito di misurazione, l’approccio alla scansione e la profondità della ROI. Fin dal primo studio condotto [11], le misurazioni SWE sono risultate estremamente sensibili al movimento dei pazienti non sedati. Ogni minimo spostamento di questi, compreso il normale movimento respiratorio, può alterare significativamente i valori elastici riscontrati, soprattutto durante le misurazioni in profondità del parenchima epatico. Tuttavia, al momento non sono stati pubblicati studi che valutino l’effetto dei farmaci anestetici sulle misurazioni della SWV a livello del parenchima epatico.
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PARTE GENERALE
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1 PRINCIPI FISICI E METODICHE ELASTOSONOGRAFICHE
1.1 Principi fisici
L’elasticità di un materiale consiste nella resistenza che questo oppone alla deformazione. Può quindi essere espressa come deformabilità, ovvero come grado di deformazione ottenuto dopo l’applicazione di una forza [15].
L’elasticità di un materiale può essere espressa con il modulo elastico di Young (E), attraverso la legge di Hooke:
𝐸 = σ
ε [15]
Il modulo di Young è un parametro fisico che identifica la rigidità di un materiale [16], definito come rapporto tra forza deformante (σ) applicata al materiale e variazione di forma o dimensione (ε) che ne risulta a livello del materiale stesso.
La forza deformante (σ) e la variazione di forma o dimensione (ε) sono rispettivamente dette
stress e strain.
Lo stress è definito come forza applicata per unità di superficie (F/A) ed è espresso in Pascal. La strain è invece una grandezza adimensionale, definita come rapporto tra la variazione di dimensione (ottenuta dopo l’applicazione della forza) e la dimensione iniziale (ΔL/L0).
Il modulo di Young, essendo indice della forza necessaria per ottenere una determinata deformazione, fornisce una misura della rigidità (stiffness) del materiale esaminato. In particolare, un modulo di Young relativamente basso indica che il materiale esaminato è flessibile, poiché richiede uno sforzo ridotto per subire una determinata deformazione; al contrario un modulo di Young elevato indica un materiale rigido, che necessita una maggior forza applicata per risultare deformato [17].
10 Il modulo di Young è espresso in Pascal, ed è ritenuto costante nei materiali solidi che abbiano caratteristiche di omogeneità (comportamento meccanico identico in tutti i suoi punti) ed isotropia (proprietà meccaniche indipendenti dalla direzione considerata).
Anche i tessuti biologici, essendo descrivibili come materiali solidi elastici e lineari in corso di sforzi non troppo elevati e dotati di omogeneità ed isotropia, possono essere caratterizzati tramite il modulo di Young [18].
Risulta quindi possibile misurare il modulo di Young di un tessuto biologico, al fine di valutarne la rigidità (stiffness).
Tuttavia, è necessario considerare che nei tessuti biologici la rigidità può essere determinata da vari fattori, compresi i suoi costituenti di natura fibrosa e lipidica. Nonostante il modulo elastico sia stabilito indipendentemente da queste variabili, in realtà la rigidità del tessuto è fortemente dipendente dalla patologia presente e dalla sua progressione; ad esempio le placche aterosclerotiche diventano sempre più rigide con il progredire della patologia, ovvero con il progressivo cambiamento della sua composizione (da lipidica a fibrotica e calcificata) [15].
L’elastografia ha come scopo di valutare quantitativamente la rigidità (stiffness) di un tessuto, tramite calcolo del modulo di Young, parametro fisico corrispondente ad essa [19]. Questo determina due vantaggi:
il modulo di Young (E) varia significativamente tra tessuti biologici diversi, permettendone una precisa caratterizzazione [20]
il modulo di Young, essendo indice della rigidità di un tessuto, tende a tradursi nella riproduzione quantitativa della palpazione clinica, acquisendo un valore diagnostico rilevante. Questa correlazione tra palpazione ed elastografia ha portato quest’ultima ad essere denominata “palpation imaging”.
L’elastografia fornisce inoltre la possibilità di esaminare organi e tessuti profondi, non raggiungibili con la palpazione tradizionale applicabile solo su organi superficiali che permettano un contatto diretto [19].
L’elasticità di un materiale generico o di un tessuto molle può essere espressa tramite moduli elastici di differente tipologia, tra cui il modulo di Young (E) ed il modulo di taglio (G).
11 Questi indicano la difficoltà nel deformare il tessuto, rispettivamente, tramite compressione e tramite forza di taglio.
Il modulo di Young (E), ricavato tramite legge di Hooke (E = σ / ε), viene anche denominato “modulo di elasticità longitudinale” in quanto considera la deformazione (ε) come una variazione di lunghezza, ovvero come la differenza tra dimensione longitudinale iniziale e quella successiva all’applicazione della forza deformante [21].
Il modulo di taglio (G), anche detto “modulo di elasticità tangenziale”, può essere espresso tramite l’equazione:
𝐺 = τ 𝛾
Questa descrive il modulo di taglio (G) come rapporto tra lo sforzo di taglio (τ) e la deformazione di taglio o spostamento rispetto alla posizione iniziale (𝛾) ovvero precedente alla forza applicata [22].
Il modulo di taglio (G) viene anche considerato un parametro derivato, esprimibile tramite equazione:
𝐺 = 𝐸 2(1 + ν)
Dove E rappresenta il modulo di Young e ν il coefficiente di Poisson. Quest’ultimo, anche detto “coefficiente di contrazione trasversale”, rappresenta il grado in cui un materiale si restringe o si dilata trasversalmente in presenza di una sollecitazione [23].
Negli attuali sistemi di diagnostica per immagini, i moduli elastici di Young (E) e di taglio (G) vengono calcolati utilizzando una delle due seguenti equazioni, riferendosi alla quantità di deformazione tissutale misurata direttamente:
12 Calcolo del modulo di Young (E) dopo l’applicazione esterna di uno stress σ e la misurazione di una deformazione ε
2. E = 2 (1 + ν) G = 3G = 3ρcs (2)
Questa equazione che mette in relazione modulo di Young (E) e modulo di taglio (G) può essere ricavata attraverso i seguenti passaggi:
o Il modulo di Young (E) può essere ricavato tramite l’equazione determinante il modulo di taglio (G):
𝐺 = 𝐸 2(1 + ν)
𝐸 = 2(1 + ν)𝐺
o Potendo assumere che il coefficiente di Poisson (ν) nei tessuti molli sia circa 0,5, il modulo di Young risulta equivalente a circa tre volte il modulo di taglio (G) per i tessuti prevalentemente incomprimibili ed isotropi:
𝐸 = 3𝐺
o Il modulo di taglio (G) può essere calcolato esaminando la propagazione delle shear waves (onde meccaniche trasversali), in particolare misurando la loro velocità di propagazione (cs) e la densità del tessuto in cui si
propagano (ρ). Queste caratteristiche sono messe in relazione tramite equazione:
13 o Possiamo quindi esprimere il modulo di Young come:
𝐸 = 3𝐺 = 3 ρcs
Tale equazione conferma la relazione tra modulo di Young (E), modulo di taglio (G) e velocità di propagazione delle onde di taglio (cs) [15].
1.2 Elastosonografia
1.2.1 Origini dell’elastosonografia
Le prime applicazioni di tecniche di imaging ad ultrasuoni volte a indagare l’elasticità di un tessuto biologico risalgono agli anni 70, quando alcuni ricercatori francesi e belgi utilizzano scanner M-mode e B-mode statici per la valutazione della “compressibilità” delle masse mammarie, osservando il movimento degli echi in risposta alla pressione applicata dal trasduttore [1].
Nei primi anni 90, i due principali metodi fisici per il calcolo dell’elasticità sopracitati (equazioni 1,2) hanno dato vita a due linee di ricerca [4-6], che hanno portato allo sviluppo di metodi elastosonografici detti metodi quasi-statici e metodi dinamici, così denominati per il diverso tipo di eccitazione meccanica esterna applicata al tessuto. Successivamente, questi metodi sono stati denominati rispettivamente strain imaging e shear wave imaging in base alla grandezza fisica misurata.
Sia nella strain che nella shear wave imaging, tutto ha origine da una eccitazione meccanica applicata al tessuto, che può consistere in:
- una compressione manuale (data dalla mano dell’operatore, dalla pulsazione cardiovascolare o dal movimento respiratorio del paziente)
14 - un impulso di forza di radiazione acustica
- una vibrazione meccanica esterna [15].
L’elastosonografia è solitamente classificata in base a: grandezza fisica da essa misurata; metodo di eccitazione meccanica; modalità di dimostrazione visiva della grandezza misurata.
1.2.2 Metodi quasi-statici: strain imaging
I metodi elastografici quasi-statici sono così denominati per il tipo di stimolo meccanico esterno applicato al tessuto, che consiste in una forza costante [19].
I metodi quasi-statici sono stati successivamente denominati metodi di “strain imaging” ad indicare il loro scopo di misurare la deformazione tissutale (strain).
La strain imaging, primo metodo elastografico adottato nella pratica clinica, consiste nella misurazione della deformazione tissutale determinata dalla pressione esercitata dalla sonda poggiata sulla superficie del corpo [15].
In particolare, viene applicata sul tessuto una forza deformante sottoforma di compressione costante, che determina uno spostamento e una deformazione tissutale (ε). Quest’ultima viene stimata tramite rapporto tra la dimensione della lesione nell’immagine elastografica e la dimensione della lesione in B-mode.
Tramite la legge di Hooke, risulta quindi possibile ricavare il modulo di Young (E) che mette in relazione deformazione (ε) e forza deformante (σ) (equazione 1).
La strain imaging, data la difficoltà nel calcolare la distribuzione in vivo della forza applicata, assume che questa sia costante [15]. La tecnica non fornisce quindi informazioni sull’effettiva entità della forza deformante applicata, illustrando solamente l’elasticità del tessuto tramite costituzione di una mappa, talvolta chiamata “elastogramma” (figura 1). La sua mancata analisi della distribuzione della compressione deformante la rende quindi una tecnica incapace di fornire una valutazione quantitativa del modulo di Young. Tuttavia,
15 è stata spesso implementata su dispositivi di diagnostica per immagini per ricavare informazioni semplici, seppur indirette, sulla rigidità dei tessuti [19].
Le sue caratteristiche funzionali la rendono maggiormente appropriata nell’esaminare lesioni focali piuttosto che alterazioni diffuse. Inoltre, necessita una maggior esperienza da parte dell’operatore nell’acquisire le immagini, al fine di costituire “elastogrammi” di buona qualità. Per quanto riguarda i macchinari, sono tuttora auspicabili progressi quali migliori indicatori di qualità dell’immagine e metodi di quantificazione [24].
1.2.3 Metodi dinamici: shear wave imaging
I metodi elastografici dinamici sono così denominati per il tipo di stimolo meccanico esterno applicato, che consiste in una forza variabile nel tempo.
Questa forza variabile applicata al tessuto può essere una breve e transitoria forza meccanica (TE) oppure una forza oscillatoria con frequenza fissa (tecniche ARFI) [15,19]. In seguito all’applicazione della forza, nel tessuto si crea una perturbazione meccanica variabile nel tempo, che si propaga sottoforma di onde meccaniche che, nel corpo solido, possono essere onde di compressione o onde di taglio (shear waves).
16 Le onde di compressione si propagano velocemente (∼1500 m/s nel corpo umano) e, ad alte frequenze, costituiscono gli ultrasuoni, onde utilizzate per rappresentare tessuti e organi in diagnostica per immagini.
Le onde di taglio (shear waves) sono generate solo a basse frequenze (da 10 Hz a 2000 Hz) a causa dell’assorbimento che si ha a frequenze più elevate, si propagano più lentamente e la loro velocità (∼1-50 m/s) è direttamente correlata al modulo di taglio (G) (equazione 2), in cui ρ rappresenta la densità del tessuto (∼1000 kg/m3) [19].
Inoltre, le shear waves si propagano in modo diverso rispetto alle onde di compressione e di ultrasuoni. Mentre quest’ultime percorrono il tessuto nella stessa direzione dello spostamento tissutale indotto, le shear waves si propagano in direzione perpendicolare ad esso [15] (figura 2).
I tessuti biologici, potendo essere considerati materiali incomprimibili, omogenei, isotropi e con densità costante, presentano un modulo di Young corrispondente a circa tre volte il valore del modulo di taglio (G). Quest’ultimo risulta correlato alla densità del tessuto e alla velocità di propagazione delle onde di taglio. Data questa correlazione (equazione 2), la velocità di propagazione delle onde di taglio (shear wave speed) può essere utilizzata per ricavare il modulo di Young (E), strumento di valutazione quantitativa dell’elasticità del tessuto [15,19].
Fig.2 a: onda longitudinale (P) si diffonde conseguentemente a variazioni di volume del mezzo; lo
spostamento del mezzo (u) è parallelo alla sua direzione di propagazione, ed avviene a velocità VL. Gli ultrasuoni utilizzati in ecografia sono onde longitudinali.
b: onda di taglio (S) si diffonde conseguentemente a movimenti perpendicolari alla direzione di propagazione, con velocità VS (da Gennisson et al. 2013).
17 I metodi elastografici dinamici, che si basano sulla propagazione delle shear waves, forniscono valori e variazioni del modulo di Young attraverso una rappresentazione grafica quantitativa e a maggior risoluzione rispetto ai metodi quasi-statici.
Richiedono l’utilizzo di particolari macchinari, dotati di un apparato in grado di generare le shear waves (dispositivo di vibrazione meccanica o di emissione di particolari fasci di ultrasuoni) e, allo stesso tempo, di una sonda ecografica in grado di percepire i minimi spostamenti tissutali indotti dalle shear waves stesse [19].
I metodi dinamici sono stati successivamente denominati “shear wave imaging” ad indicare proprio il loro scopo di monitorare la propagazione delle onde di taglio nel tessuto [15]. La shear wave imaging, essendo quantitativa, è considerata maggiormente affidabile nel rilevare patologie parenchimali diffuse piuttosto che lesioni focali. Per quanto riguarda i macchinari, sono tuttora auspicabili ulteriori progressi quali: frame rate più elevati, maggior accuratezza nell’esaminare lesioni focali e risultati che siano maggiormente comparabili tra sistemi ecografici diversi [24].
La shear wave imaging comprende due tipologie elastosonografiche: Transient Elastography (TE) e l’elastosonografia con tecniche ARFI, anche detta “ARFI imaging”.
1.2.3.1 Transient Elastography (TE)
La Transient elastography (TE) prevede l’applicazione di un impulso meccanico esterno, in particolare una vibrazione controllata, tramite un particolare dispositivo vibrante con incorporata una sonda ecografica da 3.5 MHz (figura 3). La vibrazione indolore, di 50 Hz di frequenza e 2 mm di ampiezza, induce la formazione di onde di taglio che percorrono il tessuto ad una velocità media (shear wave speed) che può essere misurata e convertita nel modulo di Young tramite equazione (2).
Il suo funzionamento presenta il naturale vantaggio di poter meglio discriminare tra onde di taglio ed onde di compressione. Le onde di taglio infatti presentano una velocità minore rispetto alle onde di compressione, per cui la loro velocità risulta più facilmente valutabile [19,25].
18
1.2.3.2 Elastosonografia con tecniche ARFI
L’elastosonografia con tecniche ARFI prevede l’applicazione di impulsi focalizzati di forza di radiazione acustica (Acoustic Radiation Force Impulse, ARFI) al fine di provocare la formazione di shear waves.
La forza di radiazione acustica deriva dal trasferimento di un momento di forza dall’onda ultrasonora al tessuto in cui si propaga, a causa di meccanismi di assorbimento e diffusione. L’entità della forza di radiazione acustica applicata (F) risulta correlata alla velocità del suono (c) e all’assorbimento acustico (𝛼) nel tessuto e all’intensità media del fascio acustico (I) tramite l’equazione:
𝐹 =2𝛼𝐼 𝑐
(3)
Le onde di taglio provocate vengono monitorate in modo continuo tramite immagini B-mode acquisite dalla medesima sonda che le ha generate. Queste si propagano allontanandosi dal punto di applicazione dell’impulso (ARFI), in direzione perpendicolare allo spostamento tissutale indotto, con una certa velocità misurabile dal macchinario (shear wave speed,
Fig.3 Il dispositivo vibrante emette un impulso a bassa frequenza nel mezzo, provocando la formazione di onde di taglio (shear waves). La sonda ecografica, posizionata sul dispositivo, permette di monitorare la propagazione delle onde di taglio secondo profondità e tempo. Questo permette di dedurre la velocità delle onde di taglio e quindi il modulo di Young del mezzo esaminato (da Gennisson et al. 2013).
19 SWS). L’informazione ottenuta può essere riportata sia come valore medio all’interno di una ROI (come una misurazione puntiforme) sia sottoforma di immagine bidimensionale. I valori rilevati sono riportati sia direttamente come velocità dell’onda di taglio (shear wave speed) in m/s, sia convertiti in modulo di Young (kPa) tramite equazione (equazione 2). Tutto questo si traduce nella capacità delle tecniche ARFI di valutare in modo quantitativo la rigidità del tessuto esaminato, tramite misurazione della velocità delle onde di taglio indotte da uno stimolo meccanico [2,15,16,19].
Rispetto alla TE, tali tecniche risultano maggiormente suscettibili alla sovrapposizione delle onde di compressione e di quelle di taglio, in quanto queste hanno effetto rebound sulle interfacce e si confondono tra loro. Questo aspetto richiede l’applicazione di aggiustamenti strumentali che riducono la qualità delle valutazioni stesse [19].
Le tecniche che impiegano ARFI al fine di determinare onde di taglio possono essere a loro volta suddivise in due tipologie: point shear wave elastography (p-SWE) e 2-D shear wave elastography (2-D SWE). Queste differiscono tra loro per il diverso compromesso trovato tra precisione e risoluzione nelle misurazioni della SWS [2].
1.2.3.2.1 Point Shear Wave Elastography (p-SWE)
La point shear wave elastography (p-SWE) è una tecnica elastosonografica che effettua misurazioni “puntiformi” della SWS e/o del modulo di Young, ovvero misurazioni entro un’area (denominata ROI, region of interest) di dimensioni limitate (5 mm x 10 mm).
La p-SWE analizza distanze di propagazione ampie, in quanto queste permettono un aumento dell’accuratezza nella misurazione della SWS. Questo aspetto però, oltre al dover presupporre che l’area analizzata sia omogenea, determina una proporzionale riduzione della risoluzione spaziale [26]. Quest’ultima è anche determinata dalla ROI di dimensioni limitate e dalla mancanza di rappresentazione a colori dell’area esaminata. Questa ridotta risoluzione spaziale può portare alla mancata visualizzazione di aree fibrotiche disomogenee [15,27].
20
1.2.3.2.2 2-D Shear Wave Elastography (2-D SWE)
L’elastografia shear wave bidimensionale (2-D SWE) è una tecnica elastosonografica più recente rispetto alla p-SWE. A differenza di questa, effettua misurazioni in tempo reale della velocità media delle shear waves (SWS) e/o del modulo di Young all’interno di una ROI più ampia (figura 4), fornendo immagini bidimensionali [15]. Queste sono generate considerando distanze di propagazione minori, che permettono di ottenere una migliore risoluzione spaziale ma, allo stesso tempo, una riduzione dell’accuratezza delle misurazioni della SWS [28,29].
Una ROI più ampia permette di esaminare una porzione tissutale di maggior volume rispetto ad altre tecniche di elastografia shear wave (p-SWE e TE). Questo aspetto determina anche una buona accuratezza diagnostica, soprattutto nella diagnosi di fibrosi epatica nell’uomo
Fig.4 Immagine 2-D SWE di fegato di donna di 48 anni con funzionalità epatica alterata. Lo schermo si presenta diviso in due porzioni. Da notare la presenza del FOV (field of view), delineato dalla sagoma trapezoidale, area in cui vengono valutate e rappresentate le shear waves. Il cerchio rappresenta la ROI (region of interest), area limitata in cui si effettuano le misurazioni di SWV e modulo elastico. Il sistema fornisce: deviazione massima, mediana, minima e standard delle misurazioni di rigidità all'interno della ROI. In questo caso, il valore medio è 59 kPa (da Barr et al. 2015).
21 [7-10]. Recentemente, in medicina umana è stato pubblicato uno studio sulla S-shear wave imaging, una nuova tecnica 2D-SWE, caratterizzata da una ROI ancor più ampia (3 cm x 4 cm). Lo scopo degli autori è stato quello di analizzare le sue potenzialità, rispetto alla p-SWE, nell’individuare fibrosi epatica [30].
22
2 UTILIZZI DELL’ELASTOSONOGRAFIA
2.1 Elastosonografia in medicina umana
L’elastosonografia è un’estensione dell’ecografia tradizionale, al pari dell’Ecocoppler [3], che si serve della maggior parte delle informazioni contenute nel segnale di ritorno dai tessuti sottoposti a fascio ultrasonoro, al fine di ricavare una valutazione dell’elasticità di questi [4,31]. Tale caratteristica non è indagata dalla diagnostica ecografica tradizionale, in quanto, servendosi solamente del 15% circa delle informazioni contenute nel segnale di ritorno dai tessuti insonati, fornisce un’immagine composta fondamentalmente da segnali generati dalla riflessione e dalla diffusione delle onde ultrasonore, che si generano in corrispondenza di zone di differente impedenza acustica caratteristica [32]. Tutte quelle informazioni non impiegate dal B-mode, che dipendono dalla mano dell’operatore (leggera compressione o vibrazione) o dalla sonda ecografica stessa, vengono impiegate dall’elastosonografia [31].
Attualmente è ben noto che la combinazione di ecografia ed elastonosografia permetta di acquisire un maggior numero di informazioni, rispetto all’utilizzo indipendente delle singole tecniche [3]. In particolare, l’elastosonografia è oggi considerata una moderna estensione dell’antica palpazione manuale, che presenta persino vantaggi rispetto a questa, quali una più oggettiva valutazione dell’elasticità tissutale e una più precisa localizzazione delle aree esaminate [24].
In medicina umana, solamente l’elastografia a risonanza magnetica (magnetic resonance
elastography, MRE) può competere con l’elastosonografia, poiché non limitata da presenza
di osso o gas, capace di percepire movimenti omnidirezionali, di acquisizioni volumetriche ad alta velocità e di illustrazione di dati di immediata interpretazione, tutti aspetti che la rendono una tecnica fruibile anche da personale relativamente poco esperto.
Attualmente, anche in medicina veterinaria è stata applicata l’elastografia cardiaca a risonanza magnetica (cardiac magnetic resonance elastography, CMRE) come tecnica di
23 diagnostica per immagini non invasiva, per la valutazione quantitativa della rigidità del miocardio nel cane [33].
Nonostante gli aspetti vantaggiosi dell’elastografia a risonanza magnetica, l’elastosonografia rimane tuttora la tecnica più accurata, precisa e relativamente veloce, facilmente accessibile all’operatore e al paziente, eseguibile in tempo reale e con costi di applicazione relativamente bassi [34,35].
In medicina umana, la valutazione dell’elasticità di un tessuto biologico tramite elastosonografia rappresenta ormai uno step diagnostico fondamentale e clinicamente valido.
Valutare il grado di rigidità tissutale permette di fare diagnosi precoce di alcune patologie, poiché questo varia in presenza di cambiamenti qualitativi che insorgono ancor prima di cambiamenti morfologici evidenti. Permette inoltre di migliorare l’accuratezza della diagnosi di malattie caratterizzate da fibrosi (cancro, epatite cronica, aterosclerosi) e di valutarne il grado di progressione. Da pochi anni, l’elasticità tissutale è considerata un indice di risposta a trattamenti quali ablazione con radiofrequenza e chemioterapia [15].
2.1.1 Fegato
Il fegato è un organo in cui grado di elasticità parenchimale e presenza di epatopatia sono strettamente correlati. Questo perché un danno epatico cronico determina un’aumentata deposizione di matrice extracellulare fibrotica, che si traduce in aumento di rigidità del tessuto. Rilevare una diminuzione dell’elasticità epatica permette quindi di dedurre la presenza di fibrosi, indotta da un danno cronico persistente [2].
La fibrosi epatica è un processo dinamico e progressivo, importante da monitorare per determinare la prognosi del paziente e stabilire il trattamento della causa sottostante, al fine di ottenere una potenziale reversibilità del danno tissutale. Il suo stadio finale è costituito dalla cirrosi, accompagnata da conseguenze quali ipertensione portale, insufficienza epatica, carcinoma epatocellulare [36-38].
La stadiazione della fibrosi epatica può essere effettuata tramite esame istopatologico di un campione epatico acquisito tramite biopsia. Quest’ultima, pur essendo considerata il gold standard per la diagnosi di fibrosi e per la valutazione di altre caratteristiche tissutali
24 (steatosi, necrosi e infiammazione), rimane tuttora una pratica da evitare quanto possibile, per la sua caratteristica invasività. Oltre ad essere fastidiosa e talvolta dolorosa per il paziente, può infatti determinare complicazioni anche gravi nell’1% dei casi quali emorragie che richiedano trasfusione o intervento chirurgico ed ipotensione transitoria [39-41]. È inoltre una tecnica potenzialmente associata a errori di campionamento e di valutazione microscopica in quanto la porzione tissutale prelevata rappresenta solamente 1/50000 del volume epatico totale e la sua caratterizzazione può presentare una considerevole variazione inter-osservatori [42,43].
Per questi motivi, sono stati studiati approfonditamente metodi non invasivi, che fossero ben tollerati dal paziente e soprattutto capaci di diagnosticare e classificare la fibrosi epatica. Hanno destato particolare interesse i metodi elastografici [44], metodi non invasivi che permettono di valutare l’elasticità del parenchima epatico monitorando il suo comportamento in seguito alla somministrazione di uno stimolo di vario genere (forza meccanica esterna oppure un’onda acustica interna). Il monitoraggio può essere effettuato tramite risonanza magnetica (MRI) oppure tramite ultrasuoni (US) ovvero tramite elastosonografia.
L’elastosonografia è ormai considerata una metodica diagnostica affidabile nella valutazione della rigidità del parenchima epatico, visti i suoi più di dieci anni di applicazione [2].
Nonostante la Strain Elastography (SE) sia stata la prima tecnica elastosonografica impiegata per la valutazione dell’elasticità epatica, successivi studi hanno portato a prediligere le più recenti ed accurate tecniche basate sull’utilizzo delle shear waves, quali la Transient Elastography (TE) e le tecniche ARFI [45].
La TE viene effettuata con il sistema Fibro Scan ® (Echosens, Parigi, Francia), che nella sua versione più recente permette anche di stimare il grado di steatosi epatica misurando l’attenuazione del segnale ultrasonoro, tramite il parametro di attenuazione controllata (CAP) espresso in decibel per metro (dB/m). Il dispositivo presenta tre sonde di diversa frequenza, a seconda della profondità di scansione richiesta: sonda M (3.5MHz, misurazioni da 2.5 a 6.5 cm dalla cute), sonda XL (2.5MHz per misurazioni da 3.5 a 7.5cm) e sonda S (5.0MHz per misurazioni tra 1.5 e 5.0 cm, solitamente utilizzata nei bambini, con diametro toracico inferiore a 75cm) [2].
25 Le tecniche ARFI vengono effettuate tramite vari sistemi, tra cui Acuson 2000 e Acuson 3000 (Siemens Healthineers, Germania) e sono eseguibili con sonda sia lineare che curvilinea. Quest’ultima risulta maggiormente impiegata nell’esame elastosonografico del fegato, soprattutto nei pazienti adulti [2].
Le linee guida EFSUMB (2018) forniscono indicazioni e raccomandazioni a proposito dell’utilizzo di tali tecniche nella diagnosi di alcune patologie epatiche, quali epatite C, epatite B, steatosi epatica non alcolica (NAFLD) ed epatopatie croniche di varia eziologia. Inoltre, decreta la Shear Wave Elastography un ottimo metodo non invasivo per la diagnosi di fibrosi epatica, soprattutto nei casi in cui sia necessario escludere la presenza di cirrosi. Tutti i metodi elastosonografici sono ritenuti altamente riproducibili, ma potenzialmente influenzati nella loro accuratezza da aumento delle transaminasi, colestasi extra-epatica, insufficienza cardiaca congestizia o condizione di mancato digiuno [45].
2.1.2 Altri organi
Attualmente l’elastosonografia trova effettiva o potenziale applicazione nella diagnosi di patologie a carico di svariati organi e apparati tra cui seno, prostata, tiroide, sistema muscolare, rene, apparato gastroenterico, milza, pancreas, sistema vascolare.
2.1.2.1 Seno
L’elastosonografia è considerata una tecnica promettente nell’identificare lesioni neoplastiche del seno in quanto queste, per caratteristiche biomeccaniche peculiari, presentano una maggior rigidità rispetto al normale parenchima che le circonda [46]. Questa ridotta elasticità, un tempo riscontrata solamente tramite palpazione manuale, può essere oggi valutata e rappresentata tramite varie tecniche di elastosonografia, tra cui la Strain Elastography. Questa, tramite creazione di un “elastogramma”, rappresenta graficamente e in scala di colori le aree di diversa rigidità [47].
Anche le più recenti tecniche ARFI possono fornire informazioni utili sull’elasticità del parenchima mammario che, se associate agli esiti di un esame mammografico, risultano incrementare l’accuratezza e la specificità della diagnosi finale.
26 In particolare, secondo uno studio pubblicato nel dicembre 2020 [48], la SWE sembra poter facilitare la differenziazione tra patologia infiammatoria e neoplasia, ovvero tra mastite granulomatosa idiopatica (IGM) e carcinoma duttale invasivo (IDC).
2.1.2.2 Prostata
L’elastosonografia si mostra promettente nell’identificare lesioni neoplastiche prostatiche che, per loro caratteristiche biomeccaniche peculiari, presentano una rigidità aumentata rispetto al parenchima sano circostante. La Strain Elastography, tramite creazione di un “elastogramma” (figura 5), rappresenta graficamente e in scala di colori le aree di diversa rigidità, talvolta non riscontrabili in corso di esame digito-rettale [46].
La SWE in particolare ha mostrato alta sensibilità e specificità nel rilevamento del carcinoma prostatico (PC). Dato il suo alto valore predittivo, potrebbe permettere di discriminare quei casi in cui, nonostante il riscontro di elevati antigeni prostatici e anormalità all’esame digito-rettale, non sia effettivamente necessaria una biopsia prostatica [49].
Fig.5 Neoplasia prostatica anteriore non rilevabile tramite palpazione digito-rettale,
identificabile in Strain Elastography (SE) come un’area di aumentata rigidità tissutale, rappresentata con colore blu (da Daniaux et al. 2016).
27
2.1.2.3 Tiroide
La Strain Elastography è stata impiegata come strumento di diagnosi di tiroidite autoimmune, patologia caratterizzata da infiltrazione diffusa di linfociti all’interno del parenchima, associata a distruzione dei follicoli tiroidei. I valori di strain ratio (SR) parenchima/muscolo sono risultati predittivi di presenza di tiroidite autoimmune (figura 6), senza mostrare correlazione né tra rigidità e titolo anticorpale, né tra rigidità e stato funzionale dell’organo [50].
La più recente SWE è risultata essere un buono strumento per la discriminazione di noduli maligni. Seppur con valori di specificità e sensibilità inferiori rispetto alla classificazione ACR TI-RADS, ha dimostrato specificità più elevata rispetto alla tecnica con ago-aspirato (FNA) nella diagnosi di noduli tiroidei maligni [51]. Non sembra però permettere di identificare estensioni extra-tiroidee o metastasi linfonodali di carcinoma tiroideo [52].
2.1.2.4 Sistema muscolare
Uno studio pubblicato nel 2020 [53] ha impiegato la shear wave elastography (SWE) nella valutazione della forza muscolare, comparandola con i tradizionali test isocinetici e verificando l’influenza di vari fattori quali altezza, peso e indice di massa corporea.
Fig.6 Strain Elastography (a sinistra) ed immagine ecografica B-mode (a destra) della
28 Le misurazioni elastosonografiche (figura 7) sono state effettuate su pazienti sani, a livello del quadricipite femorale, in varie condizioni (posizione rilassata, tesa e sotto carichi di 1 e 2 kg). Allo stesso tempo, tramite test isocinetico, sono stati ottenuti parametri di forza muscolare quali picco di forza (PT), ratio PT/peso e lavoro totale (TW).
I risultati hanno quindi appurato la capacità della SWE di fornire misurazioni sulla forza muscolare, significativamente influenzate da età e genere. Risultano invece necessarie ulteriori indagini per stabilire quanto realmente influiscano sulle misurazioni altezza, peso e indice di massa corporea.
L’elastosonografia è risultata efficace anche nell’individuazione di variazioni patologiche a livello di tendini e nervi, quali quelle in corso di epicondilite laterale [54] e di sindrome del tunnel carpale.
Secondo un recente studio [55] la strain elastography sembra infatti essere un metodo capace di valutare l’efficacia dell’intervento chirurgico di rilascio del tunnel carpale. Il pressure-strain ratio, ovvero il rapporto tra pressione applicata e conseguente deformazione del nervo mediano, è risultato il parametro più affidabile per testimoniare il recupero clinico del paziente nel periodo post-operatorio.
29
2.1.2.5 Rene
In corso di molte patologie renali, la progressione della malattia cronica è caratterizzata da un processo fibrotico progressivo, che può coinvolgere prima i glomeruli oppure lo spazio interstiziale, a seconda della nefropatia iniziale [56,57].
Anche successivamente al trapianto di rene si osserva lo sviluppo di fibrosi interstiziale e atrofia tubulare, chiamata “nefropatia cronica da allotrapianto”, principale causa di insufficienza renale post-trapianto.
Per poter diagnosticare e monitorare la fibrosi renale in corso di queste patologie, sono stati ricercati metodi non invasivi, che potessero essere affiancati alla tradizionale quantificazione della velocità di filtrazione glomerulare [58,59].
Sulla base di studi preesistenti riguardanti il fegato [60], la shear wave elastography è stata applicata anche allo studio del rene. In uno studio del 2013 [61] la variabilità delle misurazioni renali si è mostrata aumentata rispetto a quella delle misurazioni epatiche, poiché dipendente dalla pressione della sonda sulla parete addominale e dall’anisotropia del tessuto (figura 8). Questo si è tradotto in necessità di ulteriori studi su modelli preclinici
Fig.8 Rappresentazione grafica dell’elasticità (elasticity map) in rene non trapiantato
30 e soggetti patologici, al fine di comprendere quali siano i fattori fisici di variazione e le cause istopatologiche alla base dei cambiamenti dell’elasticità del tessuto renale.
Un recente studio ha infatti indagato sull’affidabilità dei più recenti sistemi di shear wave elastography nel determinare i cambiamenti della corticale renale in corso di complicazioni trapianto. Il modulo elastico è risultato alterato in corso di tutte le complicazioni post-trapianto esaminate (danno renale indotto da farmaci, rigetto acuto, nefropatia cronica da trapianto e nefropatia da virus BK), rilevandosi quindi uno strumento valido per stabilire la gravità della fibrosi renale e dell’atrofia tubulare [62].
2.1.2.6 Apparato gastroenterico
L’endoscopia rappresenta la metodica gold standard per l’esame intestinale in corso di IBD [63]. L’ileocolonscopia presenta però notevoli limiti di applicazione in quanto invasiva e incapace di fornire informazioni sull’entità del coinvolgimento murale e su eventuali complicazioni presenti. Inoltre, non permette di visualizzare l’intestino tenue prossimale né l’ileo terminale nei casi in cui questo sia stenotico.
Per questo, le modalità di diagnostica per immagini più adatte nell’individuare e monitorare alterazioni della parete intestinale sono: tomografia computerizzata (CT), risonanza magnetica (MRI) ed ecografia. Quest’ultima si è rilevata ugualmente sensibile e specifica nell’individuare segni di infiammazione (IBD) e nel confermare sospetta malattia di Crohn (CD), particolare forma infiammatoria intestinale cronica che necessità monitoraggi frequenti. La principale caratteristica rilevabile ecograficamente è l’ispessimento della parete intestinale, uno dei migliori parametri diagnostici di CD e predittivi di attività infiammatoria. L’ecografia tradizionale è stata potenziata con la possibilità di utilizzare mezzi di contrasto (CEUS) e di rilevare le caratteristiche elastiche dei tessuti (elastosonografia) [63-67].
In uno studio del 2014 [68], la SWE è stata impiegata nell’esame di segmenti intestinali ottenuti da resezione chirurgica in pazienti con sospetta o confermata IBD. Questo ha dimostrato la sua capacità nel discriminare la presenza di fibrosi transmurale, tramite esame delle caratteristiche biomeccaniche delle pareti. In particolare, la SWV è risultata più elevata nei segmenti intestinali affetti da fibrosi (confermata con esame istopatologico), senza però variare significativamente tra gradi di infiammazione diversi.
31 Un ulteriore studio del 2015 [69] ha confermato l’idoneità della SWE nell’individuare fibrosi in corso di malattia di Crohn, poiché capace di rilevare differenti valori di modulo elastico tra segmenti intestinali patologici e segmenti intestinali sani
La SWE, secondo quanto dichiarato da uno studio pilota del 2011 [70], può essere praticata anche per via endoscopica al fine di distinguere tra malattia di Crohn e colite ulcerativa.
2.1.2.7 Milza
Sebbene l’elastosonografia non sia ampiamente utilizzata nello studio della milza, questa sembra poter fornire informazioni clinicamente utili.
Tramite SWE è stato riscontrato, in corso di fibrosi epatica indotta da infezione da HCV (virus epatite C) o HBV (virus epatite B), un aumento della rigidità del parenchima splenico, precoce persino rispetto all’aumento di rigidità epatica. Una aumentata rigidità splenica sembra inoltre essere predittiva di sviluppo ipertensione portale e di varici esofagee. Vari studi considerati da una recente review [71] hanno constatato l’importanza della valutazione dell’elasticità della milza come strumento supplementare nel trattamento dell’atresia biliare e nella mielofibrosi, seppure l’elastosonografia rimanga tuttora di dubbia utilità nel monitoraggio di altre malattie ematologiche (figura 10).
Fig.9 SWE di segmento di ileo affetto da Malattia di Crohn, ottenuto da resezione
chirurgica. A destra, elastogramma a colori in base alla SWV rilevata in ciascuna area, con posizionamento delle ROI (sagome quadrate gialle). Le frecce indicano la presenza di gas intraluminale (da Dillman et al. 2014).
32 Attualmente, la SWE bidimensionale (2D-SWE) del fegato e della milza sono ritenuti metodi complementari affidabili per la diagnosi di fibrosi in corso di epatite autoimmune (AIH). In particolare, le misurazioni spleniche sembrano essere meno influenzate dall’infiammazione presente rispetto alle misurazioni epatiche, facilitando la valutazione della fibrosi in pazienti non trattati o con epatite attiva [72].
2.1.2.8 Pancreas
La pancreatite cronica è una patologia infiammatoria caratterizzata dalla progressiva perdita di tessuto pancreatico funzionale, spesso diagnosticata in fase avanzata per mancanza di criteri diagnostici standard che possano individuarla precocemente [73-75]. L’ecoendoscopia (EUS) permette una valutazione ad alta risoluzione del parenchima
Fig.10 SWE di milza in paziente sano, con posizionamento della ROI in un’area tissutale
33 pancreatico, ma risulta associata a limiti quali una bassa riproducibilità, un’alta soggettività della valutazione delle caratteristiche ecografiche rilevate e la difficoltà di associare queste ad una verifica istopatologica [76-80].
Uno studio condotto nel 2017 [81] ha confermato la possibilità di diagnosticare la pancreatite cronica tramite SWE, in quanto il modulo elastico pancreatico riscontrato risulta altamente correlato allo stadio patologico presente. È stato persino dichiarato che la pancreatite cronica possa essere diagnosticata direttamente con SWE, senza eseguire endoscopia. I metodi elastosonografici in genere non risultano però capaci di differenziare tra lesioni di natura infiammatoria e neoplastica (figura 11), in particolare pancreatiti focali e adenocarcinoma duttale pancreatico [82].
2.1.2.9 Sistema vascolare
L’elastosonografia è considerata uno strumento diagnostico promettente nella valutazione delle placche aterosclerotiche, in particolare nella quantificazione diretta della loro rigidità e vulnerabilità. Tutti gli studi considerati in una review pubblicata nel 2020 [83] a proposito
Fig.11 Strain Elastography di pancreas in corso di pancreatite autoimmune, che
34 dell’utilizzo della SWE nell’esame delle arterie carotidi, concordano sulla sua affidabilità nel determinare separatamente l’elasticità della parete e quella delle placche aterosclerotiche presenti. Inoltre, la shear wave velocity (SWV) si è dimostrata sostanzialmente maggiore durante l’intero ciclo cardiaco in pazienti ipertesi rispetto a pazienti normotesi, indicando quindi una maggior rigidità della parete in questi soggetti (figura 12).
La SWE sembra anche essere un ipotetico mezzo di prevenzione dell’ictus. Questo perché, in recenti studi, vista la maggior evidenza di embolia a partire da placche instabili ma non stenotiche, è stato affermato che la probabilità di ictus non dipenda tanto dal grado di stenosi presente, ma dal grado di instabilità e dalla vulnerabilità della placca aterosclerotica stessa. Questa caratteristica sembra essere rilevabile tramite SWE [84].
Fig.12 SWE di arteria carotide con presenza di placca aterosclerotica in
proiezione longitudinale (sopra) e trasversale (sotto); la scala colorimetrica evidenzia un aumento della rigidità della porzione parietale patologica (da Pruijssen et al. 2020).
35
2.2 Elastosonografia in medicina veterinaria
In medicina veterinaria spesso l’aspetto ecografico del tessuto può non presentare variazioni visibili in corso di patologia, per cui risulta necessario effettuare un prelievo del tessuto tramite agoaspirato o biopsia al fine di giungere ad una diagnosi finale.
Tali procedure portano con sé il rischio di complicazioni, in quanto invasive e necessariamente effettuate in sedazione, al fine di evitare dolore e movimenti bruschi dell’animale stesso [85-87].
Non sempre il paziente può essere sottoposto a sedazione, a causa di patologie sistemiche, anomalie cardiovascolari o età avanzata.
Dunque, in medicina veterinaria è desiderabile poter valutare un tessuto senza bisogno di ricorrere a tali procedure, al fine di ridurre potenziali rischi di complicazione e costi per il proprietario.
In medicina veterinaria, l’elastosonografia è stata finora utilizzata in poche specie domestiche, per l’esame di un limitato numero di organi.
In particolare, gli studi sull’utilizzo della SWE finora pubblicati riguardano cane e gatto [11,88-91].
2.2.1 Shear wave elastography nel cane e nel gatto
Gli studi sulla possibilità di utilizzare la Shear Wave Imaging nella diagnostica per immagini dei piccoli animali sono relativamente recenti.
La Transient Elastography è stata per prima applicata in uno studio del 2012 [91] con l’obiettivo di valutare il miglior posizionamento e la sonda più idonea nel determinare la rigidità epatica canina.
Le tecniche ARFI sono state impiegate nel cane, per la prima volta, in uno studio del 2012 [90]. Questo aveva l’obiettivo di valutare la loro capacità nel differenziare lesioni neoplastiche mammarie benigne e maligne.
36 Si sono succeduti ulteriori studi sui visceri addominali, primo tra questi uno del 2014 [11] volto a descrivere l’applicabilità nella valutazione di fegato, milza e reni in cani sani non sedati. Successivi studi hanno preso in considerazione altri organi e tessuti quali testicoli, prostata [92], midollo spinale [93], intestino [94], muscolo [95], pancreas, linfonodi, ghiandole salivari, tiroide [14].
Riguardo alla specie felina, uno studio pilota del 2014 [89] ha confermato la possibilità di utilizzare la Strain Elastography in soggetti non sedati, al fine di esaminare fegato, milza e reni. Studi successivi hanno valutato l’utilizzo della Shear Wave Elastography, tecnica più recente, nello studio di vari organi. Questi, considerando soggetti felini sani, hanno fornito parametri elastosonografici di base per la valutazione di milza, reni, testicoli e fegato [96-99].
2.2.2 Shear wave elastography nel cane: fegato
La shear wave imaging è stata impiegata nello studio dell’elasticità epatica a partire dal 2012, con uno studio condotto su cani con epatopatia indotta sperimentalmente [91]. Le migliori misurazioni, tramite Transient Elastography (TE), sono risultate essere quelle effettuate a livello del lobo epatico destro, con paziente in decubito laterale sinistro.
Successivi studi in medicina umana sull’individuazione della fibrosi epatica hanno decretato la minor accuratezza della TE rispetto alle più moderne tecniche ARFI, in particolare alla 2-D SWE [7].
Il primo studio veterinario sull’utilizzo delle tecniche ARFI come strumento di valutazione dell’elasticità epatica risale al 2014 [11]. Questo era volto principalmente a valutare l’applicabilità della p-SWE nella pratica clinica ed a rilevare quei fattori che potessero influenzare la misurazione della shear wave velocity.
Nei 15 cani sani inclusi, erano state effettuate misurazioni della SWV a livello di fegato, milza e reni. Questa è risultata correlata a vari fattori, quali la profondità delle misurazioni, il peso ed il sesso del soggetto. In particolare, la SWV è risultata correlata: negativamente alla profondità alla quale sono state effettuate le misurazioni e positivamente al peso in ciascun organo esaminato e al sesso solamente nelle misurazioni del fegato.
37 Si sono susseguiti ulteriori studi sull’utilizzo della più recente 2-D SWE, condotti sia su soggetti patologici che sani.
Nel 2016 uno studio condotto su cani con fibrosi epatica indotta sperimentalmente [12], ha rivelato la capacità della 2-D SWE di individuare il grado di fibrosi epatica, in quanto le misurazioni elastiche erano correlate sia con gli esiti istologici sia con i valori di funzionalità epatica.
Solo successivamente è stato condotto uno studio sull’utilizzo della 2-D SWE in un gruppo di cani sani [13], sottoposti a multiple misurazioni della rigidità epatica e splenica (3 al giorno, in 3 giorni diversi nell’arco di una settimana). Questo ha permesso di indagare la variabilità tra misurazioni effettuate nello stesso giorno (ripetibilità) e quella tra misurazioni ricavate in giorni diversi (riproducibilità). La 2-D SWE si è rivelata altamente riproducibile e ripetibile nel cane non sedato, con SWV media 1.51 m/s, molto simile a quella riscontrata nell’esame del lobo epatico destro di uomo sano (1.4 m/s) [100]. Il valore di elasticità epatica ottenuto è stato considerato un ipotetico riferimento in corso di diagnosi di fibrosi epatica, seppur ricavato all’interno di un gruppo limitato (n. 8) ed altamente selezionato di soggetti, tutti giovani (1-4 anni) e di razza Beagle.
Gli autori hanno inoltre confrontato le misurazioni elastosonografiche ottenute, riscontrando valori di velocità (m/s) e modulo elastico (kPa) maggiori sia nella milza rispetto al fegato, sia nel lobo epatico destro rispetto al sinistro. I differenti valori elastosonografici riscontrati nei due lobi epatici sembrano essere dovuti all’effetto dei movimenti cardiaci, polmonari, diaframmatici e gastrici sul lobo epatico sinistro durante le misurazioni.
I buoni esiti dello studio sono stati attribuiti alla caratteristica propria della 2-D SWE di poter visualizzare la “propagation mode”, ovvero la modalità di propagazione delle onde di taglio all’interno dell’area esaminata. Le onde di taglio vengono rappresentate come linee di contorno (contour lines) il cui andamento è indice dell’affidabilità delle misurazioni (figura 13).
Queste, se semi-rettilinee e costantemente parallele tra loro, indicano un’elevata affidabilità dei dati rilevati; al contrario, se distorte, irregolari e con andamento caotico, indicano bassa affidabilità. Questo consente quindi all’operatore di confermare se le shear waves si siano propagate come previsto, di selezionare le aree adatte per misurare la velocità di propagazione delle onde stesse (SWV) e di verificare l’affidabilità dei valori ottenuti [13].
38 Lo stesso anno è stato pubblicato un ulteriore studio [101] condotto su un gruppo di cani epatopatici, con l’obiettivo di verificare la capacità della 2-D SWE di individuare presenza di fibrosi.
L’esame è stato effettuato in soggetti non sedati, tramite utilizzo di un ecografo Aplio 500 (Canon Medical Systems) ed una sonda convex 3.5 MHz (PVT-375 BT) posizionata all’interno di uno degli ultimi spazi intercostali destri.
Per ogni misurazione effettuata, è stata fornita la “propagation mode” e la “speed map” (range 0.5-6.5 m/s), mappa colorimetrica che indica con colori graduali (blu, verde, giallo e rosso) valori crescenti di modulo elastico. Sono state quindi posizionate ROI (diametro 10 mm) nelle aree descritte da linee parallele e regolari nella propagation mode, ed effettuate 10 misurazioni dell’elasticità epatica per ciascun soggetto.
La SWV è risultata significativamente aumentata in soggetti con stadio di fibrosi epatica clinicamente rilevante, sottolineando la correlazione tra modulo elastico e gravità del processo fibrotico. Tuttavia, la SWV non si è dimostrata significativamente diversa tra soggetti sani e soggetti con epatopatia diagnosticata clinicamente e scarsamente fibrotica. Infine, non sono state trovate differenze elastosonografiche significative tra cani sani, cani epatopatici con attività necroinfiammatoria e cani epatopatici senza attività
Fig.13 Immagini del lobo epatico destro di cane sano in 2-D SWE; rappresentazione della shear
wave velocity map (A) e della propagation mode map (B), costituita da contour lines tendenzialmente parallele tra loro (da Tamura et al. 2019).
39 necroinfiammatoria. Tali esiti sono stati ottenuti confrontando, in ciascun soggetto, gli esiti elastosonografici con quelli istopatologici [101].
Uno studio prospettico pubblicato recentemente [14] ha nuovamente preso in considerazione un gruppo di cani sani, sottoposto ad esame 2-D SWE di 12 organi tra cui il fegato. Lo scopo è stato quello di valutare quanto questa tecnica sia applicabile nello studio degli organi considerati, e di valutare gli ipotetici effetti di alcuni fattori tecnici sulle misurazioni della SWV, quali il sito di misurazione, l’approccio alla scansione, la profondità della ROI, l’anestesia.
I 9 soggetti giovani (1-5 anni) inclusi sono stati sottoposti ad esame elastosonografico in fase anestesiologica al fine di valutare l’elasticità di fegato, milza, reni, pancreas, prostata, linfonodi (sottomandibolare, retrofaringeo, ascellare, iliaco mediale, inguinale), ghiandole salivari sottomandibolari e tiroide.
I fattori tecnici, di cui era stato ipotizzato un effetto sulle misurazioni della SWV, sono stati così valutati: sito di misurazione, approccio alla scansione e profondità della ROI nel fegato; profondità della ROI ed anestesia nella milza; sito di misurazione in corticale renale, pancreas e prostata.
L’esame elastosonografico del fegato è stato condotto solamente in anestesia generale, per un totale di 8 volte in ciascun soggetto: due siti di misurazione (lobo epatico destro e lobo epatico sinistro), con due approcci differenti (intercostale e sottocostale) e due differenti profondità rispetto alla capsula epatica (5-10 mm vs 10-15mm). Nell’approccio intercostale, la sonda è stata posizionata all’interno dello spazio intercostale e parallela ad esso, con apposizione di gel sufficiente a ridurre l’ombra acustica determinata dalle coste. Nell’approccio sottocostale, la sonda è stata posizionata al di sotto delle coste.
Selezionato il FOV (3x3 cm), l’impulso ARFI è stato emesso a fine espirazione al fine di ridurre gli artefatti da movimento. Visualizzate le propagation map e speed map, sono state posizionate le ROI (3 mm) nelle aree rappresentate da linee di contorno parallele e colore blu uniforme. Meno di 3 ROI sono state posizionate all’interno del FOV, senza sovrapposizioni tra di esse.
Le misurazioni epatiche sono risultate altamente riproducibili, indipendentemente da sito di misurazione, approccio della scansione e profondità della FOV. Solamente le misurazioni del lobo sinistro con approccio intercostale hanno mostrato minor riproducibilità, in accordo
40 con precedenti studi in medicina umana che consigliano l’esame del lobo epatico destro con approccio intercostale [14,44].
I valori di SWV del fegato sono risultati sovrapponibili a quelli del precedente studio sulla 2-D SWE del fegato di cani sani [13], senza riscontrare però una significativa differenza tra i valori del lobo epatico destro e quelli del lobo sinistro, probabilmente per utilizzo di una sonda diversa da quella del precedente studio.
Per quanto riguarda la profondità delle misurazioni, in medicina umana è consigliata una distanza della ROI di almeno 10 mm dalla capsula epatica [44]. Tuttora però in medicina veterinaria rimangono ignoti gli effetti fisiologici della capsula sulle misurazioni SWE, e non si hanno particolari raccomandazioni sulla distanza di posizionamento della ROI rispetto ad essa. In questo studio è stata comunque riscontrata una SWV maggiore nelle porzioni parenchimali più lontane dalla capsula, aspetto riscontrato anche in uno studio sull’uomo effettuato con lo stesso modello di ecografo e sonda [14,102].
Fin dal primo studio condotto sui visceri addominali [11], le misurazioni SWE sono risultate estremamente sensibili al movimento dei pazienti non sedati. Ogni minimo spostamento di questi, compreso il normale movimento respiratorio, può alterare significativamente i valori elastici riscontrati, soprattutto durante le misurazioni in profondità del parenchima epatico. In medicina veterinaria risulta molto difficile ricavare misurazioni prive di artefatti da movimento nei pazienti non sedati, poiché non è possibile richiedere una breve fase di apnea da parte del paziente stesso. Questi artefatti possono essere ridotti effettuando le misurazioni nella normale pausa al termine dell’espirazione, oppure possono essere del tutto evitati sottoponendo il paziente a sedazione o anestesia generale. Questi permettono di annullare qualsiasi movimento volontario, di controllare il respiro e di indurre pause respiratorie, al fine di acquisire misurazioni prive di artefatti.
Il più recente studio sulla 2-D SWE [14] aveva tra gli obiettivi quello di verificare i potenziali effetti dell’anestesia sulle misurazioni della SWV. Dei 12 organi esaminati (tra cui il fegato), solamente la milza è stata esaminata nelle tre fasi differenti: prima, durante e dopo anestesia generale. Dal confronto delle misurazioni spleniche ricavate, è emerso un significativo aumento della rigidità della milza in corso di anestesia generale.
Tuttavia, al momento non sono stati pubblicati studi che valutino l’effetto dei farmaci anestetici sulle misurazioni della SWV a livello di altri organi, tra cui il fegato.
41
PARTE SPERIMENTALE
42
1 INTRODUZIONE
Il fegato è un organo in cui grado di elasticità e presenza di patologia sono strettamente correlati, poiché un danno epatico cronico determina un’aumentata deposizione di matrice extracellulare fibrotica, che si traduce in un aumento della rigidità parenchimale. Rilevare una riduzione dell’elasticità epatica permette quindi di dedurre la presenza di fibrosi, indotta da un danno cronico persistente.
L’elastosonografia è ormai considerata una metodica diagnostica affidabile nella valutazione dell’elasticità del parenchima epatico, dati i suoi più di dieci anni di applicazione in campo medico umano [2].
La sua non invasività è la principale caratteristica che ha mosso numerosi studi a riguardo della sua applicabilità e potenzialità diagnostica, e che l’ha distinta dalle tecniche diagnostiche di routine quali l’esame istopatologico di campione epatico acquisito tramite biopsia. Quest’ultimo, seppur considerato il gold standard per la diagnosi di fibrosi, rimane tuttora una pratica da evitare quanto possibile per la sua caratteristica invasività, unita a potenziali complicazioni ed errori di campionamento [39,41-43].
In medicina umana, sono state sviluppate ed impiegate clinicamente numerose tecniche elastosonografiche. Partendo dalla Strain Elastography (SE), prima tecnica elastosonografica impiegata per la valutazione dell’elasticità epatica, successivi studi hanno portato a prediligere le più recenti ed accurate tecniche basate sull’utilizzo delle shear waves, quali la Transient Elastography (TE) e le tecniche ARFI [45].
La TE viene tuttora largamente effettuata con il sistema Fibro Scan ®, che nella sua versione più recente permette anche di stimare il grado di steatosi epatica.
Le tecniche ARFI vengono effettuate tramite vari sistemi, e sono eseguibili con particolari sonde sia lineari che curvilinee. Quest’ultime risultano oggi maggiormente impiegate nell’esame elastosonografico del fegato, soprattutto nei pazienti adulti [2].
Le linee guida EFSUMB (2018) forniscono indicazioni e raccomandazioni a proposito dell’utilizzo di tali tecniche nella diagnosi di alcune patologie epatiche nell’uomo, tra cui epatite C, epatite B, steatosi epatica non alcolica (NAFLD) ed epatopatie croniche di varia eziologia. Inoltre, decretano la Shear Wave Elastography un ottimo metodo non invasivo