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ARTE E TECNICA TRA HEIDEGGER E MERLEAU-PONTY

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 6

1. HEIDEGGER E LA TECNICA 1.1. Il ruolo della tecnica nel Novecento 13

1.2. Antiumanismo e centralità dell'essere 18

1.2.1. L'umanismo di Sartre 19

1.2.2. La Lettera sull'umanismo di Heidegger 23

1.3. La questione della tecnica 28

1.3.1. L'essenza della tecnica come Entbergen 30

1.3.2. Tecnica antica e tecnica moderna 34

1.3.3. Il dominio del Gestell 37

1.4. L'uomo tra scienza e tecnica 41

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2

1.4.2. Il rapporto tra scienza e tecnica 49

1.4.3. La distinzione tra scienza e tecnica 50

1.5. Dalla tecnica all'arte 53

1.5.1. Il saggio Gelassenheit 54

1.5.1.1. Il pensiero calcolante 55

1.5.1.2. Il pensiero meditante 59

1.5.2. La questione della tecnica: τέχνη tra tecnica e arte 62

1.5.2.1. Il concetto greco di τέχνη 65

2. LA CONCEZIONE DELL'ARTE IN HEIDEGGER 2.1. Heidegger e l'arte 68

2.2. L'origine dell'opera d'arte 72

2.2.1. Il concetto di cosa 75

2.2.2. L'analisi del quadro Un paio di scarpe 81

2.2.3. I concetti di Terra e Mondo 87

2.2.4. Il nesso tra arte e verità 91

2.2.5. L'arte come «messa in opera della verità» 94

2.2.6. Arte e poesia 99

(3)

3 3. DA HEIDEGGER A MERLEAU-PONTY: L'OCCHIO E LO

SPIRITO

3.1. Merleau-Ponty e la fenomenologia della percezione 109

3.1.1. La percezione tra empirismo e intellettualismo 115

3.1.2. La ricerca del concetto di senso 120

3.2. Heidegger e Merleau-Ponty contro la riduzione della filosofia a creazione di visioni del mondo 126

3.2.1. Il concetto heideggeriano di «visione del mondo» 127

3.2.2. Filosofia come scienza dell'essere 131

3.2.3. Il concetto merleau-pontiano di «riflessione» 133

3.2.4. Essere e percezione 138

3.3. L'occhio e lo spirito. L'arte come alternativa al pensiero della scienza 141

3.3.1. Il pensiero osservativo della scienza 143

3.2.2. Il corpo come Leib 149

3.2.3. Visione e Percezione 153

3.3.4. La critica a Cartesio 156

(4)

4

3.3.6. L'arte come ritorno al corpo 168

3.4. Arte e ontologia in Merleau-Ponty 174

3.4.1. La concezione merleau-pontiana dell'Essere 175

3.4.2. L'interpretazione ontologica dell'arte 179

CONCLUSIONI 181

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 187

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5

«La filosofia non sostiene che sia possibile un superamento finale delle contraddizioni umane, né che l'uomo totale ci attende nel futuro: come tutti, non ne sa nulla. Sostiene invece - ed è tutt'altra cosa - che il mondo ricomincia, che noi non dobbiamo giudicare il suo futuro in base a ciò che è stato il suo passato, che l'idea di un destino ferreo nelle cose non è un'idea, ma una vertigine, che i nostri rapporti con la natura non sono stabiliti una volta per tutte, che nessuno può sapere ciò che può fare la libertà, né immaginare quali sarebbero i costumi e i rapporti umani in una civiltà che non sia più assillata dalla competizione e dal bisogno. Essa non pone la sua speranza in alcun destino, anche se favorevole, ma giustamente la pone in ciò che in noi non è destino, nella contingenza della nostra storia, ed è il suo abito di negazione ciò che caratterizza la sua posizione».

Maurice Merleau-Ponty1

1

Éloge de la philosophie, Gallimard, Paris 1953; trad. it. di C. Sini, Elogio della filosofia, Edizioni SE, Milano 2008, p. 48.

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6

Introduzione

Il presente lavoro si propone di analizzare alcuni temi del dibattito filosofico sul rapporto tra arte e tecnica, sviluppatosi nel corso del Novecento in conseguenza degli eventi storici del periodo. A tal fine si è proceduto ad esaminare alcuni scritti di due grandi filosofi contemporanei, Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty.

L’influsso di Heidegger ha avuto un’importanza fondamentale per lo sviluppo del pensiero francese della seconda metà del ventesimo secolo. Sia le correnti più prettamente esistenzialistiche che il filone francese della fenomenologia portato avanti da autori come Merleau-Ponty sono fortemente debitrici alla riflessione heideggeriana sull’essere. Pertanto, parlando di Merleau-Ponty, non possiamo trascurare il fatto che l’ontologia di Heidegger, insieme al movimento fenomenologico e all’esistenzialismo, ha condizionato profondamente l’evoluzione del pensiero del filosofo francese.

La scelta di affrontare il tema a partire dai due autori è scaturita dalla lettura del saggio L'occhio e lo spirito di Merleau-Ponty, l'ultima opera pubblicata dall'autore prima della sua morte, sopraggiunta nel 1960. L'approccio filosofico del pensatore francese all'argomento trattato nel testo risulta infatti evidentemente influenzato dalla concezione heideggeriana dell'essere, in particolare nella seconda fase del suo pensiero.

Il saggio costituisce una sorta di testamento spirituale del filosofo francese, poiché riesce a condensare in poche pagine le sue idee

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7 fondamentali su temi quanto mai ampi e complessi, quali quello del rapporto tra scienza moderna e arte. Sviluppando la riflessione husserliana sulla Lebenswelt2, Merleau-Ponty riprenderà in buona parte tematiche heideggeriane, accentuando il carattere ontologico dell’indagine filosofica3 nel trattare questioni come il linguaggio, l’arte, il mondo-ambiente.

La riflessione merleau-pontiana - e di conseguenza anche il suo pensiero su arte e scienza - è influenzata fortemente dalla concezione dell’«inaggirabilità del corpo come fondamento fattuale di qualsiasi rapporto con il mondo»4, di chiara ispirazione heideggeriana. Contro lo strapotere della tecnica, che separa il pensiero dal suo fondamento più autentico, Merleau-Ponty esalta l’immediatezza dell’espressione artistica, che si oppone all’impostazione schematica e artificiale del pensiero osservativo (scientifico) e riflessivo (filosofico)5.

Sia in Heidegger sia in Merleau-Ponty si riscontra da un lato lo sviluppo di una riflessione sulla tecnica e sui pericoli ad essa connessi, e dall'altro, quasi a titolo di reazione ad essi, la necessità di un ritorno ad una concezione dell'arte fine a se stessa. Infatti, il pensiero libero dell'arte nel corso del Novecento è stato spesso considerato come una possibile alternativa al prevalere della rigidità del pensiero tecnico-scientifico, divenuto ormai predominate.

2

Merleau-Ponty riprende il motivo della critica della scienza dallo studio degli scritti postumi e dell’ultima grande opera di Edmund Husserl (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia

trascendentale), da cui ricava il concetto fondamentale di mondo della vita (Lebenswelt). Questo

concetto nasce dalla presa d’atto della generale crisi che ha investito il pensiero scientifico, il quale ha ormai perso ogni connessione con il suo scopo intrinseco, ossia il desiderio di comprensione dello statuto del mondo reale: il mondo della vita .

3

R. Cristin, Riflessi. L'influsso di Heidegger sulla filosofia e sulla cultura del Novecento, da Guida a

Heidegger, a cura di A. Volpi, Laterza, Roma-Bari 2012, p. 290.

4 Op. cit., p. 290. 5

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8 Per questo motivo l'arte venne più volte identificata come una possibile riposta al dominio della scienza e della tecnica all'interno della società moderna. L'arte non è quindi soltanto un'esperienza estetica o una mera rappresentazione della realtà, bensì il mezzo attraverso cui è possibile accedere all'essenza delle cose stesse.

Dall'analisi degli scritti di Heidegger e Merleau-Ponty possiamo riscontrare la comune necessità di superare una concezione meramente «estetica» dell’arte per svelarne la valenza ontologica. Infatti, a differenza del consueto modo di trattare l’arte in filosofia, i due autori non focalizzano la loro attenzione sul contesto estetico, ma vedono nel ruolo dell'arte un legame intrinseco al problema dell'essere. La presente trattazione vuole quindi evidenziare la relazione tra arte e tecnica nel pensiero dei due filosofi, sottolineandone il comune orizzonte ontologico. Nello scenario di un'epoca ormai dominata completamente dalla tecnica, essi mostrano infatti l’intima connessione che l’arte intrattiene con la questione dell'Essere e con quella della verità.

Per sviluppare queste tematiche si è pensato di analizzare il tema della tecnica in Heidegger nel primo capitolo, focalizzandosi sul saggio

Die Frage nach der Technik (La questione della tecnica). La questione

della tecnica viene introdotta dalla trattazione del concetto heideggeriano di Essere, dopo la svolta degli anni Trenta, anche nell'ambito di un confronto con l'esistenzialismo di Sartre. Con il testo Brief über den

Humanismus (Lettera sull'umanismo), infatti, Heidegger si distaccherà

definitivamente dall'esistenzialismo per fondare un pensiero radicalmente nuovo, che si pone a partire dal piano dell'Essere piuttosto che dell'esistenza. In conseguenza di ciò, il filosofo tedesco arriva a

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9 interpretare la questione della tecnica come un problema «ontologico» che prescinde dalla volontà umana: egli distingue infatti, già in apertura del saggio, tra tecnica ed essenza della tecnica. La trattazione della tecnica viene quindi impostata riflettendo sul significato che il termine τέχνη assume nel pensiero heideggeriano e sulla differenza che egli vede sussistere tra tecnica antica, tecnica moderna e scienza.

Attraverso il confronto con alcuni saggi, quali Die Zeit des

Weltbildes (L'epoca dell'immagine del mondo) e Wissenschaft und Besinnung (Scienza e meditazione), verrà quindi messo in luce il fatto

che scienza e tecnica, pur essendo apparentemente distinte da Heidegger, sono per molti aspetti strettamente legate. La trattazione proseguirà con l'analisi del saggio Gelassenheit (L'abbandono), dove Heidegger cerca di prospettare una via alternativa che consenta all'uomo di vivere in un mondo dominato dalla tecnica senza farsi soggiogare completamente dai suoi prodotti. Al pensiero calcolante della tecnica viene quindi opposto il pensiero meditante, che riconcilia l'uomo alla sua essenza. E' proprio l'arte che nel saggio Gelassenheit, e già precedentemente in Die Frage

nach der Technik, diventa l'esperienza capace di risvegliare il pensiero

meditante, alternativa al pensiero calcolante.

Dall'analisi della parte conclusiva del saggio sulla tecnica emerge inoltre che lo stesso termine τέχνη presenta un'ambiguità costitutiva: infatti, in epoca greca, la parola τέχνη designava sia il significato di arte che quello di tecnica, per come oggi vengono comunemente intesi. Dal momento che arte e tecnica sono le due modalità di espressione del disvelamento della τέχνη, rifacendosi ai versi del poeta tedesco Hölderlin, Heidegger sostiene che per riflettere sull'essenza della tecnica sia necessario anche riflettere sull'essenza dell'arte.

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10 Alla luce di ciò, il secondo capitolo verterà esclusivamente sulla concezione dell'arte in Heidegger. In questo capitolo si farà riferimento soprattutto al saggio Der Ursprung des Kunstwerkes, dove Heidegger esplicita la sua idea di arte, accusando le posizioni maggiormente diffuse in ambito filosofico di farne valere una concezione meramente «estetica». Heidegger critica fortemente le teorie estetiche classiche poiché esse, a suo parere, finiscono per ridurre l'attività artistica a produzione di oggetti materiali dotati in più di un valore estetico, avvicinando quindi l'arte alla sfera della sensibilità.

Attraverso l'analisi di alcune opere d'arte, quali il quadro Un paio di

scarpe di Vincent Van Gogh, Heidegger intende al contrario dimostrare

che l'opera deve essere interpretata a partire dal concetto greco di arte; è necessario, pertanto, tornare a considerare l'opera nella sua accezione «originaria» di «disvelamento-producente». Il pensiero greco, infatti, non riduceva l'opera ad un oggetto, dotato in più di un valore estetico, ma vedeva in essa il tramite attraverso cui era possibile raggiungere l'essenza della verità stessa. L'arte non è quindi legata alla sensibilità, bensì al piano della verità dell'essere.

Attraverso la descrizione di un tempio greco, Heidegger intende mostrare che ogni opera realizza la sua verità sotto forma di una lotta tra oscurità e illuminazione, incarnata dai due elementi di Terra e Mondo, che rappresentano i due differenti aspetti dell'opera, quello manifesto e quello nascosto.

Questa distinzione tra Terra e Mondo è fondamentale nell'ambito del pensiero heideggeriano perché, oltre a definire la specificità della verità dell'arte, definisce anche i caratteri della verità intesa nella sua dimensione più generale di verità dell'Essere stesso. In conclusione del

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11 capitolo sull'arte in Heidegger verrà dunque trattato il concetto di poesia all'interno del saggio Der Ursprung des Kunstwerkes. La poesia, arte del linguaggio, assume nel pensiero heideggeriano un'importanza centrale, dal momento che ciò che per Heidegger rende l'arte veramente tale è l'elemento del poetico. Per questo egli, giocando sul significato dei termini tedeschi Poesie e Dichtung (che significano in italiano entrambi poesia), assegna una priorità ontologia alla Poesie (poesia intesa come forma d'arte basata sul linguaggio) rispetto a tutte le altre arti, e allo stesso tempo definisce l'arte in toto come Dichtung (ossia poesia come essenza dell'arte).

Il terzo capitolo verte principalmente sul saggio L'occhio e lo

spirito di Merleau-Ponty. Attraverso l'analisi di questo saggio verrà

introdotta la concezione fondamentale del filosofo francese sulle problematiche relative al rapporto tra arte e tecnica; ne L'occhio e lo

spirito, infatti, Merleau-Ponty vede (come Heidegger) nell'esperienza

artistica un'alternativa al «pensiero operatorio» della scienza.

Nei primi paragrafi del capitolo verrà quindi presentata la teoria merleau-pontiana della percezione, con esplicito riferimento alla sua opera fondamentale Phénoménologie de la perception (Fenomenologia

della percezione), scritta negli anni giovanili; tutta la riflessione

successiva dell'autore, infatti, affonda le sue radici su una concezione della filosofia come fenomenologia della percezione. Successivamente verrà proposto un confronto tra la critica del concetto di filosofia come creazione di visioni del mondo, espressa da Heidegger nell'opera Die

Grundprobleme der Phänomenologie (I problemi fondamentali della fenomenologia) e il concetto di riflessione teorizzato da Merleau-Ponty

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12 stretto legame che sussiste tra la concezione dell'essere che fonda le loro filosofie. Infatti, è possibile osservare che, nonostante il differente sviluppo del loro pensiero, il carattere «ontologico» delle loro filosofie resta forse il maggior punto di contatto tra di essi; la teoria merleau-pontiana non può quindi essere adeguatamente compresa senza il riferimento ad una concezione dell'Essere fondamentalmente heideggeriana. Alla luce di tale esplicazione, si procederà dunque a riflettere sul saggio L'occhio e lo spirito, a partire dalla critica avanzata da Merleau-Ponty alla scienza in apertura del saggio.

La critica della scienza, che ha distaccato l'uomo dalla dimensione del mondo-della-vita, conduce anche Merleau-Ponty ad elevare l'arte a forma privilegiata di ritorno all'essere delle cose. Tuttavia, diversamente da Heidegger, che insiste maggiormente sull'arte poetica, Merleau-Ponty accorda una priorità assoluta all'arte pittorica. La pittura, infatti, è l'esperienza che riesce a restituire perfettamente l'ambiguità e la complessità della percezione sensibile e il sostrato «carnale» che sottende l'apparente ordine del mondo. Contro la concezione cartesiana della visione, legata ad un'interpretazione razionalistica della realtà, Merleau-Ponty valorizza quindi la figura del pittore. In quest'ottica Cézanne diventa interprete di quella visione complessa della realtà che l'uomo moderno sembra ormai diventato incapace di abbracciare. I fenomeni percettivi e specialmente la visione riemergono, infatti, attraverso l'occhio del pittore consegnandoci un mondo aperto, lacerato, popolato da esseri perennemente in relazione tra loro, che sono, ancora prima che oggetti o soggetti, corpo o spirito, visibili o invisibili, esseri

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13

I

HEIDEGGER E LA TECNICA

1.1. La centralità del problema della tecnica nel Novecento

Il dibattito etico-politico sulle contraddizioni che riguardano il dominio della tecno-scienza nel mondo contemporaneo divenne già nel Novecento un importante tema di riflessione. Dopo il secondo dopoguerra lo spirito dell’Europa e del mondo era pervaso, infatti, da un profondo scetticismo nei confronti della tecnologia, dal momento che l’eccessiva fiducia in un progresso apparentemente controllabile e infallibile aveva portato in quel secolo ad esiti disastrosi.

Con le atrocità della guerra e il disastro atomico, la tecnica si era trasformata da nuova e più compiuta forma di espressione del progresso dell'uomo (come auspicato teoricamente dal positivismo) in fonte di morte e distruzione. In conseguenza di ciò, gli artisti, i filosofi e gli intellettuali dell'epoca non potevano che guardare ad essa con marcato e risentito sospetto. Il pessimismo di fondo che in quegli anni permeava gli animi degli intellettuali europei costituiva, dunque, anche una reazione al fallimento dell’ottimismo del positivismo ottocentesco: la storia aveva mostrato che l'assetto del mondo non poteva più essere ridotto ad un insieme di leggi definibili scientificamente.

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14 Il clima culturale novecentesco è infatti profondamente segnato dall'influenza che la diffusione delle tecnologie moderne su vasta scala ha sulle condizioni d'esistenza dell'uomo. La tecnica e il suo modo di trasformare l’esistenza dell’uomo vengono generalmente percepite come una minaccia, al punto che «lo spirito espressionista che caratterizza tutte le avanguardie di inizio secolo […] è la rivendicazione dei diritti dell’ "anima" contro la schiavitù delle “forme”»6 prive di anima, rappresentate dai prodotti della tecnica.

In considerazione di ciò, è interessante sottolineare che l'arte novecentesca, rappresentata essenzialmente dalle Avanguardie, mostra un fenomeno generale di esplosione dell'estetica fuori dai limiti istituzionali che gli erano stati fissati dalla tradizione:

Le poetiche dell'avanguardia rifiutano la delimitazione che la filosofia [...] impone loro; non si lasciano considerare esclusivamente come luogo di esperienza ateoretica e apratica, ma si propongono come modelli di conoscenza privilegiata del reale, e come momenti di eversione della struttura gerarchizzata dell'individuo e della società, come strumenti di vera e propria agitazione sociale e politica7.

Al di là delle differenze che sussistono tra le posizioni che i diversi autori adottano nel trattarla, è dunque innegabile che la questione della tecnica sia il tema dominante durante l’intero corso del Novecento ed oltre8. Le novità della tecnica hanno comportato innegabilmente un rovesciamento di prospettiva nel modo dell’uomo di relazionarsi a se

6

Gianni Vattimo, Prefazione a Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, di Michela Nacci, Editori Laterza, Roma-Bari 2000, p. X.

7

Idem, La fine della filosofia. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna, Garzanti, Milano 1985, p. 61.

8

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15 stesso e al mondo; infatti, la maggior parte dei ragionamenti filosofici contemporanei sulla tecnica evidenziano

la presa d’atto di un rovesciamento fra tecnica e natura, fra tecnica e uomo, o fra tecnica ed essere, a seconda degli autori.

In virtù di tale rovesciamento la tecnica diventa il fine, e primeggia su tutti gli altri aspetti della vita e del sapere, mentre la natura è diventata oggetto e l’uomo – simmetricamente soggetto9.

Le idee di Heidegger sull’essere e sulla tecnica costituiranno uno spunto di riflessione importante per moltissimi autori che verranno ispirati dal suo pensiero. Tuttavia, a causa dell’influenza che gli eventi storici del Novecento hanno avuto sulle effettive condizioni di vita dell’uomo, molti autori si sono accostati al tema della tecnica concentrandosi principalmente sull’importanza della dimensione pubblica e dell’impegno politico del singolo.

Ad esempio, Arendt e Jonas vedono la tecnica come la forma più compiuta del potere nella modernità, sottolineando il legame che essa ha intrattenuto nei regimi totalitari con la politica10. Lo stesso Sartre, così come buona parte del pensiero francese, si concentrerà sull'esistenza concreta dell’uomo e sulla responsabilità delle sue azioni nei confronti di se stesso e del mondo.

La riflessione di Heidegger a partire dagli anni Trenta si focalizzerà invece sempre più sull’apparentemente astratto problema dell’essere. Nonostante quest'apparente astrattezza, in realtà il concetto heideggeriano di essere risulta molto più concreto di quanto si potrebbe pensare ad una prima lettura: egli non lo intende come se fosse il Dio

9

Nacci, op. cit., p. 4. 10 Op. cit., p. 289.

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16 metafisico della tradizione religiosa, ma esso è sempre l’essere nel suo complesso, è la totalità dell’essere (la società, il mondo, le trasformazioni, il divenire), che precede le cose stesse e il mondo e ne permette l’esistenza. Con la ricerca dell’essere Heidegger intende essenzialmente guardare al mondo nella sua totalità, prescindendo dal punto di vista particolare dell’uomo.

Per Heidegger, dunque, le soluzioni politiche al problema della tecnica e al coinvolgimento dell’uomo in essa non possono essere sufficienti per risolverne le contraddizioni. Infatti, l’impegno politico presuppone un ruolo attivo del soggetto e la convinzione che egli sia padrone della tecnica e possa riuscire a controllarla. In realtà, come si vedrà successivamente, l’uomo non potrebbe in nessun caso pensare di attenuare la portata del potere della tecnica, poiché essa, nella sua essenza, è qualcosa che pre-esiste all’uomo e che procede da sola, senza l'attivo coinvolgimento umano. Ciò che è interessante sottolineare della posizione di Heidegger è che egli, impostando il problema a partire dal piano dell’essere, non si pone né in maniera completamente critica né in maniera totalmente positiva nei confronti della tecnica, poiché il suo intento non è quello di giudicarla.

La sua risposta al problema consiste in un’accettazione della realtà moderna e nello sviluppo di un pensiero che possa esprimersi parallelamente a quello della tecnica; non vengono prospettate possibili soluzioni, ma viene piuttosto indicata all’uomo una via per poter convivere con essa senza esserne completamente schiacciato. L’uomo può interrogarsi su di essa, ma non può fermarne, né tantomeno impedirne il progresso. Per questo motivo, alla filosofia non resta che «abbandonarsi alla tecnica», ma nel tentativo di comprenderne l’essenza,

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17 cercando di creare un pensiero speculativo da potervi contrapporre. In questo senso il cammino intellettuale di Heidegger, specialmente a partire dagli anni Trenta, è esplicativo dello spirito del suo tempo:

Egli attraverso la questione della tecnica ha saputo interpretare lo smarrimento che accompagna la coscienza del tempo davanti al potere incalcolabile di forze sconosciute, benché apparentemente scatenate dall’uomo, che rendono il volto del mondo ancora più enigmatico11.

Dal momento che nella filosofia di Heidegger il problema della tecnica moderna è strettamente legato alla questione che concerne la sua essenza, è opportuno presentare la sua visione dell’essere a partire dalla svolta del suo pensiero dopo Sein und Zeit.

11

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18 1.2. Antiumanismo e centralità dell’essere

La riflessione sulla questione della tecnica in Heidegger, così come il suo metodo filosofico dopo la svolta12, presuppongono la concezione di un antiumanismo di fondo. Con questa posizione il filosofo tedesco discosta definitivamente il suo pensiero dall'esistenzialismo, accusandolo, come si vedrà, di essere una filosofia fondamentalmente umanistica.

A partire dagli anni Trenta, infatti, la meditazione sull'essere stesso diventa l'argomento centrale della sua riflessione e Heidegger, ponendosi sul piano dell’essere piuttosto che su quello dell’esistenza, rifiuta anche ogni filosofia che pretenda di procedere a partire dalla centralità dell’uomo. Tuttavia, l'antiumanismo di Heidegger non implica una svalutazione della dignità umana, ma piuttosto coincide con una diversa maniera di interpretare l'uomo e l'essere, per cui

nel secondo Heidegger assistiamo a un progressivo spostamento di accento dall'uomo all'essere, ovvero al tentativo di non pensare più l'essere e il mondo a partire dall'uomo, ma l'uomo e il mondo a partire dall'essere13.

Di conseguenza anche la questione della tecnica, così come le tutte le grandi tematiche che egli tratta dopo Essere e Tempo (ad esempio l’arte e il linguaggio), viene affrontata a partire dal primato dell’essere sull'esistenza. Un testo fondamentale per comprendere le linee essenziali

12

«Kehre: "svolta" [...] è la metafora con la quale Heidegger denomina a un certo punto il cambiamento di prospettiva introdotto dopo Essere e tempo al fine di radicalizzare l'approccio all'unica questione da lui rivendicata propria, quella dell'essere», da Volpi, Guida a Heidegger, cit., pp. 357-358.

13

(19)

19 del pensiero heideggeriano della svolta è la Lettera sull’umanismo (Brief

über den Humanismus).

Il saggio, pur essendo stato indirizzato nel 1946 a Jean Beaufret, costituisce anche una risposta indiretta in chiave polemica alle asserzioni proposte da Sartre nel suo pamphlet, di poco anteriore, L'esistenzialimo è

un umanismo. Nella Lettera sull'umanismo, infatti, Heidegger rovescia la

prospettiva esistenzialistica classica poiché dichiara di muoversi su un piano «dove c'è principalmente l'essere», e non «su di un piano dove vi sono soltanto gli uomini»14, come sosteneva Sartre. Opponendosi alla concezione sartriana dell’esistenza, il filosofo tedesco prenderà le distanze da ogni filosofia di ispirazione esistenzialistica e soggettivistica. Le filosofie dell'esistenza, infatti, dimenticando di trattare il problema dell'essere, restano ancorate alla metafisica tradizionale che Heidegger intende invece superare.

1.2.1. L’umanismo di Sartre

Dal momento che la Lettera sull'umanismo si presenta sotto forma di risposta alle posizioni espresse ne L'esistenzialismo è un umanismo, è necessario presentare brevemente la concezione dell'esistenza che Sartre espone in questo testo. Sartre, figura di eminente spessore nell'ambito dell'esistenzialismo, con la celebre conferenza L'existentialisme est un

humanisme, tenuta il 29 ottobre 1945 e pubblicata l'anno seguente,

propose come antidoto alle barbarie che il Novecento aveva innescato in

14

Heidegger, Lettera sull'umanismo (Brief über den Humanismus), a cura di F. Volpi, Adelphi Edizioni, Milano 1995, p. 61.

(20)

20 Europa e nel mondo la necessità di rivalutare l'esistenza umana concreta in ogni sua forma.

Il testo costituisce una «lucida sintesi divulgativa del pensiero sartriano»15 poiché in esso Sartre riprende i temi fondamentali dell'Essere e il Nulla accentuando tuttavia il risvolto pratico e il necessario sbocco politico della sua filosofia16. L'intellettuale francese auspicava il ritorno ad un umanismo che potesse valorizzare l’esistenza umana in se stessa, riportando al centro della discussione filosofica l’importanza dell’agire dell’uomo e le sue conseguenze.

Difendendosi dalle accuse provenienti da marxisti e cattolici, Sartre delinea le caratteristiche di un esistenzialismo ateo inteso come un

umanismo dell’azione, fondato su un’idea dell’uomo quale soggetto

libero e interamente responsabile delle proprie decisioni:

Possiamo dire subito che intendiamo per esistenzialismo una dottrina che rende possibile la vita umana e che, d’altra parte dichiara che ogni verità e ogni azione implicano sia un ambiente, sia una soggettività umana17.

L’assenza di Dio e di qualunque altro fondamento o valore, infatti, costringono l’uomo a creare da sé i propri fini ed il proprio senso, in quanto l’uomo non è nient’altro che ciò che egli fa di se stesso18. Per questo l’esistenzialismo è essenzialmente filosofia dell’uomo libero, a contatto e in rapporto con altri: l’uomo di Sartre è nato per l’azione e per la lotta e deciso ad impegnarsi attivamente nel mondo19.

15

S. Moravia, Introduzione a Sartre, Laterza, Roma-Bari 1990, p. 85. 16 Cfr. op. cit., pp. 85-86.

17

Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, cit., p. 43. 18

Cfr. Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo (L'existentialisme est un humanisme), a cura di Franco Fergnani, tr. di Giancarla Mursia Re, Mursia, Milano 1984, p. 51.

19

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21 Proprio perché l’esistenzialismo è una filosofia dell’agire e della responsabilità, Sartre sostiene che nell’uomo «l’esistenza precede l’essenza»20, dal momento che esso è definibile soltanto in quanto primariamente esistente. Sartre esclude quindi sia la tesi laica di una «natura umana» dotata di prerogative universali e prefissate, sia la tesi religiosa di un Dio creatore; non vi sono principi a priori a fondamento dell'esistenza storica dell'uomo21 e di conseguenza l'uomo è completamente responsabile delle sue scelte.

Il pensiero di Sartre si situa, quindi, esattamente all'opposto del pensiero religioso di ispirazione metafisica, per il quale un Dio, «concepito alla stregua di un artigiano supremo», avrebbe creato l’uomo «servendosi di una tecnica determinata e ispirandosi ad una determinata concezione» , al punto che «l’uomo individuale incarna un certo concetto che è nell’intelletto di Dio»22. Al contrario, nella prospettiva esistenzialistica l'essenza dell'uomo è determinata dal suo esistere e l'uomo è «un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto». Pertanto, l’esistenzialismo ateo di cui Sartre si fa portavoce, afferma che

l’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. L’uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così non c’è una natura umana, poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso

20 Op. cit., p. 47. 21 Cfr. op. cit., pp. 48-49. 22 Ibidem.

(22)

22

l’esistere: l’uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell’esistenzialismo. Ed è anche ciò che si chiama la soggettività23.

Se l’esistenza precede l'essenza, l’uomo è responsabile della sua vita e delle sue azioni e la filosofia esistenzialista deve permettere che la responsabilità della sua esistenza possa ricadere su di lui. In questo senso, quella dell'esistenzialismo è una «morale dell'azione e dell'impegno», e «l'impegno verso se stessi e verso gli altri, un impegno responsabile e totale, diventa ora la nozione principale del pensiero sartriano»24. Per troppo tempo la soggettività dell’uomo era stata negata o nascosta da posizioni che ne volevano sottomettere la dignità ad altri principi, di tipo religioso od ideologico. L'esistenzialismo sartriano intendeva pertanto rivalutarla.

Nella filosofia di Sartre è implicita l’idea di una posizione privilegiata dell’uomo rispetto ad ogni altro ente come fondamento della sua soggettività, che è essenzialmente trascendenza o progettualità, libertà25. L’uomo è il soggetto che si costruisce, poiché, avendo la capacità di riconoscersi come nulla, di fatto è costantemente al di fuori di se stesso. La dottrina esistenzialista può di conseguenza affermare che

l'uomo non è niente altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è, dunque, niente altro che l'insieme dei suoi atti, niente altro che la sua vita26.

23

Ibidem.

24 S. Moravia, Introduzione a Sartre, cit., p. 86. 25

Manlio Iofrida, Per una storia della filosofia francese contemporanea: da Jacques Derrida a

Maurice Merleau-Ponty, Mucchi, Modena 2007, p. 93.

(23)

23 Questo soggettivismo si fonda essenzialmente sulla ripresa del

cogito cartesiano, che rappresenta l’atto definitivo di distacco dell’uomo

dalla natura e la sola teoria che non faccia dell’uomo un oggetto:

Il nostro punto di partenza è in effetti la soggettività dell'individuo, e questo per ragioni strettamente filosofiche. [...] Non vi può essere, all'inizio, altra verità che questa: io penso, dunque sono27.

L’esistenzialismo sartriano si presenta dunque come una filosofia del soggettivismo fondata sull’idea della specificità della natura umana rispetto ad ogni altro ente.

1.2.2. La Lettera sull’umanismo di Heidegger

Come già accennato, il momento in cui Heidegger inizia ad occuparsi approfonditamente del problema della tecnica coincide con la Kehre, la svolta del suo pensiero avvenuta a partire dagli anni Trenta. In questa sede non si affronterà la questione del dibattito sulla presenza o meno di una rottura che la Kehre avrebbe comportato nel pensiero di Heidegger; tuttavia, è necessario ricordare che questa svolta coincide essenzialmente col progressivo spostamento del suo interesse dalla dimensione più propriamente esistenziale dell'uomo a quella più generale dell'essere. In altre parole, si può dire che per Heidegger non è possibile risalire all’essere a partire dall’esistenza, bensì è necessario porsi direttamente nell’ottica dell’essere per poterlo concepire.

27

(24)

24 Il pensiero della Kehre, come già accennato, è quindi caratterizzato da un’impostazione fondamentalmente antiumanistica. Lo stesso Heidegger è ben attento a distinguere tra il concetto di essenza,

Wesenheit (entità), che rimanda all’essere, e quello di Wirklichkeit

(realtà)28, che invece ha a che fare più propriamente con il reale e di conseguenza col piano dell’esistenza.

Nel testo Brief über den Humanismus, Heidegger critica l'umanismo poiché esso, pur presentandosi apparentemente come una critica della metafisica, è in realtà un momento centrale della storia della metafisica stessa. Con l'umanismo, infatti, viene costituendosi la volontà di dominio che sta alla base della tecnica moderna.

Di conseguenza, secondo Heidegger l’interpretazione sartriana dell’esistenza sarebbe soltanto un altro modo di formulare il pensiero metafisico29; sostenendo che «l’esistenza precede l’essenza» Sartre si limiterebbe semplicemente a invertire il significato fondamentale della metafisica che da Platone in poi dice: «l’essenza precede l’esistenza»30. Il rovesciamento della tesi non sarebbe sufficiente ad elevare la filosofia di Sartre dal pensiero metafisico, poiché

il rovesciamento di una tesi metafisica rimane una tesi metafisica. Come tale, anche questa tesi resta, con la metafisica, nell'oblio della verità dell'essere31.

La stessa critica heideggeriana della tecnica moderna si inserisce nell'ambito della più generale critica che egli rivolge alla metafisica del soggetto e con essa anche al pensiero umanistico, accusato di mettere al

28 Heidegger, Lettera sull'umanismo, cit., pp. 43-54. 29

Il pensiero metafisico, secondo Heidegger è essenzialmente un pensiero che subordina la centralità dell’essere alla centralità dell’ente.

30

Heidegger, Lettera sull'umanismo, cit., p. 53. 31

(25)

25 centro della propria indagine l'esistenza dell'uomo, senza preoccuparsi di andare a ricercare la determinazione del suo essere stesso.

Heidegger definisce come umanistica ogni teoria «che spieghi e valuti l'ente nel suo insieme a partire dall'uomo e in vista dell'uomo», vale a dire ogni concezione che, facendo dell'uomo la misura dell'Essere, subordini l'Essere all'uomo32. Metafisica e umanismo sono quindi strettamente legati, infatti «ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se stesso a fondamento di una metafisica»33. Di conseguenza, la stessa metafisica è nella sua essenza «umanistica»34 poiché

è metafisica ogni determinazione dell'essenza dell'uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia inconsapevolmente, l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della verità dell’essere35.

Per Heidegger la metafisica sarebbe essenzialmente nichilismo poiché non domanda della verità dell'Essere stesso. Di conseguenza anche il soggettivismo e l’antropologismo sono fondamentalmente nichilistici, dal momento che le teorie soggettivistiche perseguono l’assoluto dominio dell’ente, e «nell’apparente autosufficienza dell’ente, dell’essere non ne è più nulla»36. Trascurando di porsi la domanda sull’Essere, la metafisica lo elimina completamente. Allo stesso modo l’esistenzialismo, con la sua impostazione fortemente umanistica è essenzialmente una dottrina nichilistica e metafisica.

32

Idem, Sentieri interrotti (Holzwege), traduzione di Pietro Chiodi, La nuova Italia Editrice, Firenze 1968, p. 98.

33

Idem, Lettera sull'umanismo, cit., p. 43. 34

«La metafisica […] provvede alla giustificazione dell’ente in forza dell’ente; per essa l’ingiustificabilità dell’essere come altro, la sua in derivabilità dall’ente comunque concepito, è semplicemente impensabile»: Mario Ruggenini, L'essenza della tecnica e il nichilismo, da Guida a

Heidegger, cit., p. 238.

35

Heidegger, Lettera sull'umanismo, cit., pp. 43-44. 36

(26)

26 Agli occhi di Heidegger, il giudizio di Sartre per cui «l'esistenza precede l'essenza» risulta fortemente limitante nei confronti della determinazione dell’essere, poiché ponendo in primo piano l'esistenza effettiva dell’uomo, sminuisce il valore della sua essenza più profonda:

Piuttosto, l’unico pensiero è che le supreme determinazioni umanistiche dell’essenza dell’uomo non esperiscono ancora l’autentica dignità dell’uomo. […] Si pensa contro l’umanismo perché esso non pone l’humanitas dell’uomo a un livello abbastanza elevato37.

Se definissimo l’uomo a partire dalla sua esistenza, non potremmo capire che cosa egli sia veramente. Secondo Heidegger, infatti, l'uomo ha un primato rispetto agli altri enti, poiché può interrogarsi sull'Essere e quindi avvicinarsi ad esso e non semplicemente perché possieda quella specifica struttura d’essere che è l’esistenza. L’uomo non è il soggetto dell’ente o colui che decide dell’essere, ma è

piuttosto «gettato» dall’essere stesso, in modo che, così e-sistendo, custodisca la verità dell’essere, affinché nella luce dell’essere l’ente appaia come quell’ente che è38.

L’esistenza è soltanto qualcosa che concerne l’uomo (pur costituendone una manifestazione importante); pertanto, secondo Heidegger, non si potrebbe comprendere l'essenza umana tentando di coglierla a partire da una sua caratteristica, poiché essa, per quanto significativa, non potrebbe mai identificarne effettivamente il vero essere.

37

Heidegger, Lettera sul'umanismo, cit., pp. 55-56. 38

(27)

27 Secondo Heidegger la posizione di Sartre è esempio di quell’«oblio della verità dell’essere a favore dell’imporsi dell’ente, non pensato nella sua essenza, è il senso di ciò che Sein und Zeit chiama decadimento (Verfallen)»39. In definitiva, si può dire che il pensiero di Sartre ha mirato principalmente ad una sempre maggiore concretizzazione della realité humaine, mentre in Heidegger il primato e l’iniziativa sono dell’essere e l’uomo, dimorando nei pressi dell'essere, ha da porsi in ascolto40.

Per capire i successivi sviluppi del pensiero di Heidegger anche e soprattutto in relazione al problema della tecnica, va tenuto presente che l’uomo, dopo la Kehre, non è semplice soggetto, ma strumento della rivelazione dell’essere. Di conseguenza, al fine di ricercare l'essenza dell'uomo, e più in generale l'essenza di ogni cosa, è necessario liberarsi da un interpretazione umanistica dell’essere e dell'uomo stesso.

Il pensiero umanistico impedisce di comprendere che la verità non è semplicemente data all’uomo, bensì deve essere disvelata41. Non a caso, come si vedrà nel paragrafo successivo, uno dei concetti su cui Heidegger insiste maggiormente all'interno del saggio La questione della

tecnica, è proprio quello di disvelamento (Entbergen).

39

Op. cit., p. 59.

40 Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, cit., p. 18. 41

Questa concezione della verità, che potremmo definire come disvelamento, costituisce d’altra parte uno dei motivi centrali su cui l’opera di Merleau-Ponty affonda le radici, già a partire dallo scritto

Fenomenologia della percezione. Anche la filosofia di Merleau-Ponty si fonda sulla volontà di

distruggere il pensiero metafisico che ha influenzato tutta la tradizione occidentale con la pretesa di ricercare la verità a partire dal punto di vista fattuale dell’ente.

(28)

28 1.3. La questione della tecnica

A partire dagli anni Trenta Heidegger comincia a vedere nella tecnica il fenomeno che caratterizza più di ogni altro la civiltà contemporanea. Egli sviluppa il tema in una serie di conferenze del 1949, la più importante delle quali (Das Gestell)42, verrà successivamente riedita con il titolo Die Frage nach der Technik, pubblicata nel 1957 in Vorträge

und Aufsätze.

Fin dalle prime parole del saggio è evidente che l’obbiettivo di Heidegger consiste principalmente nella ricerca dell’essenza della tecnica, piuttosto che nella descrizione delle sue manifestazioni43. Di conseguenza, per evitare fraintendimenti è necessario tenere presente la netta distinzione che sussiste tra «tecnica» ed «essenza della tecnica», evitando di confonderle44. La riflessione sulla tecnica deve infatti configurarsi come ricerca dell'essenza della tecnica stessa, la quale «non è niente di tecnico», ma trascende necessariamente le manifestazioni concrete della tecnica che dominano nel mondo moderno (ossia i prodotti della tecnica).

Le tesi heideggeriane respingono dunque ogni comprensione strumentale della tecnica; scrivendo che «l'essenza della tecnica non è niente di tecnico», Heidegger intende dire che essa «non è un insieme di mezzi esterni a disposizione dell'uomo»45, bensì, al contrario, un modo peculiare di far apparire il mondo abitato dall'uomo. In altre parole, egli

42

Il termine Gestell è tradotto in italiano l'«imposizione» o l’«impianto». 43

Cfr. Heidegger, La questione della tecnica (Die Frage nach der Technik), in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 5.

44

Ibidem. 45

Pietro Montani, Arte e tecnica: vecchie e nuove forme di dissidio e di alleanza, in Lo stato dell'arte.

L'esperienza estetica nell'era della tecnica, a cura di Massimo Carboni e Pietro Montani, Laterza,

(29)

29 «intende la tecnica come il modo essenziale di orientarsi nel mondo e di incontrare le cose»46, all' interno dell'ottica della società moderna.

Per questo motivo, la riflessione heideggeriana sulla tecnica si presenta principalmente come riflessione sull'essere della tecnica e, di conseguenza, anche come riflessione sull'essere stesso. Infatti, è necessario tener presente che, dopo la svolta, Heidegger affronta tutte le tematiche fondamentali del suo pensiero alla luce del problema dell'essere. La domanda sull'essere e la necessità di comprenderlo diventano il presupposto necessario per poter sviluppare ogni possibile riflessione sulla realtà poiché, come dice un interprete di Heidegger, «non ci può essere comprensione e conoscenza dell'ente se non c'è, preliminarmente, una comprensione dell'essere»47. In riferimento a ciò, Heidegger stesso scrive:

Quando cerchiamo l'essenza del'albero non possiamo non accorgerci che ciò che governa ogni albero in quanto albero non è a sua volta un albero che si possa incontrare tra gli altri alberi come uno di essi. Allo stesso modo, anche l'essenza della tecnica non è affatto qualcosa di tecnico48.

La realtà può essere spiegata solo a partire dal piano dell'essere, poiché è l'essere che essendo trascendente alla totalità dell'ente permette alle cose di rivelarsi per quello che sono. Se ci limitassimo a voler conoscere la tecnica rapportandoci ai suoi oggetti, resteremmo ancorati al pensiero della metafisica, il quale pensa sempre il mondo a partire dal piano limitato dell'ente, ed impedisce dunque di cogliere la vera essenza della realtà (in questo caso della tecnica):

46

Op. cit., p. 22. 47

G. Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Editori Laterza, Roma-Bari 1991, p. 105. 48

(30)

30

Non possiamo quindi esperire veramente il nostro rapporto con l’essenza della tecnica finché ci limitiamo a rappresentarci la tecnicità e praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla. Restiamo sempre prigionieri della tecnica e incatenati ad essa, sia che la accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza49.

Bisogna che cogliamo della tecnica ciò che ne costituisce l'essere, invece di restare ancorati semplicemente alle cose tecniche. Fino a che penseremo la tecnica come strumento resteremo anche necessariamente legati al pensiero metafisico e alla sua volontà di dominio su ogni aspetto del mondo50.

1.3.1. L’essenza della tecnica come Entbergen

Per chiarire la peculiarità del rapporto che la tecnica moderna intrattiene con il mondo, Heidegger ricostruisce l’etimologia del termine greco τέχνη, il quale racchiude sia il significato del fare dell’artigiano sia quello più generale della produzione, la ποίησις. Inoltre, egli evidenzia che fino all'epoca di Platone il termine τέχνη era legato anche alla parola ἐπιστήμη e che entrambi i termini indicano il «saperne qualcosa», l'«intendersene», ossia «il conoscere nel senso più ampio»51, inteso come apertura:

Il conoscere dà apertura. In quanto aprente esso è un disvelamento52.

49 Ibidem. 50 Cfr. op. cit., p. 25. 51 Op. cit., p. 10. 52 Ibidem.

(31)

31 La τέχνη sarebbe pertanto anche apertura, creazione, e quindi qualcosa che già secondo Aristotele53 aveva a che fare con il disvelamento: essa, infatti, «disvela ciò che non si produce da se stesso e che ancora non sta davanti a noi e che perciò può apparire e ri-uscire ora in un modo ora in un altro»54. In questo senso, il produrre sarebbe una sorta di processo mediante il quale qualcosa può rivelare il suo potenziale una volta che venga adeguatamente stimolato. Non è l’aspetto dell’agire della tecnica stessa nel suo manifestarsi ad interessare Heidegger, quanto piuttosto la sua capacità di disvelare e di disvelarsi, il suo legame con la verità. Sostenendo che la tecnica sia «un modo del disvelamento», Heidegger collega infatti la parola greca τέχνη ad un altro dei termini fondamentali del pensiero filosofico delle origini, ossia ἀλήθεια (verità). Come sottolinea Pietro Montani,

la parola aletheia ripensata in base alla sua forma etimologica (a-letheia), viene [da Heidegger] intesa come un «disvelamento» (Un-verborgenheit): un portare le cose nell'apparire (un fenomizzare) che si mantiene in un rapporto necessario col fondo oscuro e indomabile (la lethe contenuta nella parola

a-letheia) da cui esse vengono tratte fuori55.

Di conseguenza, Heidegger insiste sulla centralità del termine tedesco Entbergen («disvelamento») al fine di comprendere quale sia l’essenza della tecnica; il filosofo, infatti, non presenta quest'ultima come un’invenzione, come Erfindung, bensì proprio come «un modo del disvelamento». Per questo motivo, il termine Entbergen, piuttosto che a un senso di creazione - che potrebbe portare verso un’interpretazione

53

Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 3 e 4, trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999. 54

Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 10.

(32)

32 della tecnica come prodotto dell’uomo - è invece da collegare alla parola

Verbergen (nascondimento) che indica qualcosa che non è visibile, che

non possiamo raggiungere poiché nascosto.

Se Verbergen rimanda a ciò che è nascosto (e pertanto non visibile),

Entbergen rimanda, invece, a qualcosa che «viene fuori» dal nascosto,

qualcosa che, pur essendo sempre stato presente, non viene percepito fino a quando non si scopre portandosi in superficie.

Per questo motivo la tecnica non è semplicemente una creazione umana, ma qualcosa che si manifesta, che si disvela, mostrandosi come ciò che da non visibile diventa percepibile. Tutti i termini fondamentali che Heidegger utilizza per connotare la tecnica hanno infatti un'accezione etimologica che rimanda al disvelare, allo scoprire/dischiudersi (erschliessen), al venir fuori.

Alla luce di ciò, si può dire che Heidegger conferisce alla tecnica un’autonomia di sviluppo che allontana la sua posizione da una semplice interpretazione della tecnica moderna come opera dell’uomo sfuggita al suo controllo. Sebbene questa componente critica nei confronti dell’operare dell’uomo sia infatti presente, nella descrizione della tecnica il ruolo dell’uomo non è mai centrale: ciò che viene in primo piano è sempre il manifestarsi della tecnica stessa. Anche in questo caso emerge, dunque, un approccio al problema della tecnica che distacca Heidegger dalle correnti esistenzialiste-umanistiche.

Secondo Heidegger sia la tecnica antica che la tecnica moderna si esprimono sotto forma di «disvelamento». Una connotazione della tecnica come «modo del disvelamento» si ritrova, infatti, anche nel termine che Heidegger usa per connotare la tecnica antica,

(33)

33 radice del termine rimanda principalmente ad un senso del portare fuori, e non allude pertanto ad una produzione in senso meramente strumentale. Non c’è il riferimento ad un vero e proprio coinvolgimento dell’uomo, ma anche in questo caso si può cogliere un senso di autonomia della tecnica rispetto all'operare umano:

Il disvelamento che governa la tecnica moderna […] non si dispiega in un pro-durre (Her-vor-bringen) nel senso della ποίησις. Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione (Herausfordern) la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta (herausgefördert)56 e accumulata57.

E’ evidente che l’obbiettivo di Heidegger non è descrittivo, ma consiste piuttosto in una volontà di disvelamento (Entbergen), che può attuarsi solo attraverso la ricerca del fondamento della tecnica stessa e della sua motivazione profonda. Questa motivazione non può essere colta limitandosi a guardarla in opera per come essa si manifesta quotidianamente. Piuttosto che analizzare le cause e gli effetti che la tecnica produce sull'età contemporanea, il filosofo tedesco è intenzionato a ricercare che cosa la tecnica veramente sia, evidenziarne l’essenza, la radice filosofica più profonda che sta alla base del fenomeno58.

Produrre (Hervorbringen) significa essenzialmente rivelare il vero, più concretamente: permettere che ogni cosa sveli se stessa dando origine a qualcosa di nuovo, ad un prodotto. Secondo quest’accezione il termine ha essenzialmente una connotazione positiva. Come già accennato, a parere di Heidegger la tecnica moderna si comporterebbe,

56

E' interessante sottolineare il fatto che egli accosti i termini Herausfordern (che indica il provocare) e si lega ad Hervorbringen, al produrre, ed herausfördern, «estrarre», che invece ha più a che fare con

Entbergen, con il portare alla superficie.

57

Op. cit., p. 11.

(34)

34 tuttavia, in maniera del tutto diversa: essa non sarebbe vera e propria produzione, ma piuttosto provocazione (Herausfordern).

1.3.2. Tecnica antica e tecnica moderna

La tecnica moderna attraverso la pro-vocazione ha ormai spezzato la relazione che nell’antichità la legava alla natura. Essa non lascia più la natura libera di rivelarsi, ma è intenzionata ad imporglielo, fino ad inglobarla riducendola ad oggettività producibile59. Nella tecnica moderna viene in primo piano un aspetto maggiormente strumentale rispetto all'accezione più propriamente poietica che caratterizzava il significato originario del termine τέχνη.

Attraverso alcuni esempi, Heidegger intende mostrare la differenza che sussiste tra l'antica relazione che legava tecnica e natura e quella attuale. Descrivendo il funzionamento dell'antico mulino egli scrive:

Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle correnti aeree perché le accumuliamo60.

Pur venendo inizialmente installata nella natura, la tecnica antica non andava a modificarne violentemente lo sviluppo. La natura non era ancora soggetta a uno sfruttamento continuo e massiccio, poiché la tecnica pur agendo su di essa, non era intenzionata ad accumularne le energie per poterle sfruttare successivamente nel modo più produttivo

59

Ruggenini, L'essenza della tecnica e il nichilismo, in op. cit., p. 243. 60 Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 11.

(35)

35 possibile. Si può dire che un tempo non ci fossero rapporti di dipendenza o subordinazione tra tecnica e natura, bensì una perfetta integrazione. L’antico mulino non scopre, non ci mette a disposizione le energie delle correnti per far sì che noi possiamo accumularle, ma le sue ali vengono prese in custodia dal vento, che permette loro di potersi girare così da creare energia. Una relazione completamente diversa è invece quella che lega la tecnica moderna alla natura:

All’opposto, una determinata regione viene pro-vocata a fornire all’attività estrattiva carbone e minerali. La terra si disvela ora come bacino carbonifero, il suolo come riserva di minerali61.

Durante il processo di estrazione dei minerali il terreno viene provocato, violentato, la terra è ridotta a serbatoio di possibile energia da accumulare. E' dunque evidente che il terreno assume oggi una diversa connotazione rispetto al passato, quanto coltivare voleva dire accudire e curare (hegen und pflegen). Il contadino antico non pro-vocava la terra, non interveniva su di essa al punto di trasformarla in «riserva di energia», ma seminando il grano ne affidava semplicemente le sementi alla natura, che sarebbe poi stata lasciata libera di farle crescere rigogliose. Al contrario, il nuovo metodo di coltivazione - l’industria meccanizzata dell’alimentazione - trasforma il processo di alimentazione e coltivazione in un processo economico-produttivo che spinge avanti ogni cosa a produrre verso il massimo utilizzo con il minimo dispendio:

L’agricoltura è diventata industria meccanizzata dell’alimentazione. L’aria richiesta per la fornitura di azoto, il suolo per la fornitura di minerali, il

61

(36)

36

minerale ad esempio per fornitura di uranio, l’uranio per l’energia atomica, la quale può essere utilizzata sia per la distruzione sia per usi di pace62.

Questa nuova forma di coltivazione viene indicata con il termine

Bestellen, la cui radice è la stessa di Stellen (porre), poiché la

coltivazione impone qualcosa alla natura, pretende da essa un lavoro (essa la richiede nel senso della pro-vocazione)63.

L’esempio del fiume Reno costituisce un’altra esplicazione della differenza tra un uso della tecnica più confacente allo sviluppo della natura e l'abuso di essa che nel mondo moderno ha finito per distaccarsene:

La centrale elettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale. Esso è ciò che ora, come fiume, è, cioè produttore di forza idrica, in base all’essere della centrale64.

Oggi è la centrale elettrica ad inglobare il Reno, e non il fiume a permettere alla tecnica di realizzarsi: la tecnica è ormai in grado di incorporare la natura e di sostituirla. Da qui nasce la grossa differenza che sussiste tra il fiume di un tempo, elevato a opera d’arte (Kunstwerk) dalle liriche di Hölderlin, e il fiume di oggi, ormai incorporato nella

62

Ibidem. 63

Tornando all’etimologia greca della parola, si potrebbe notare che la tecnica moderna, per come è intesa da Heidegger, piuttosto che al significato del più utilizzato termine techne, rimanda semmai al termine technologia, che compare nel greco antico meno di frequente. Come evidenziato da Adriano Fabris nel saggio Etica delle nuove tecnologie, esso allude ad un senso di manipolazione, più che alla dimensione della produzione, poiché nella lingua greca fa riferimento principalmente all’arte retorica, alle tecniche del logos, all’arte del discorso, alla struttura di esso e agli espedienti che servono per adattare tale struttura nel modo migliore ai vari contesti. Così come la retorica manipola il discorso per adattarlo ai suoi scopi, allo stesso modo la tecnica moderna manipola la natura pretendendo che essa si adatti ai suoi bisogni, per poter divenire funzionale e produttiva al massimo livello possibile. Adriano Fabris, Etica delle nuove tecnologie, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 12.

(37)

37 centrale (Kraftwerk) e ridotto a strumento della tecnica. Il Reno ha ormai perso la sua connotazione originaria di elemento naturale in quanto fiume per trasformarsi in produttore di forza idrica, ossia mero strumento della tecnica.

1.3.3. Il dominio del Gestell

Attraverso i numerosi esempi Heidegger mostra in che modo la tecnica moderna, pro-vocando la natura, ne estragga l’energia per poterla accumulare. Una volta accumulata, l'energia diventa disponibile e può essere impiegata successivamente. Per questo motivo la natura e i suoi oggetti, essendo ridotti a strumenti della tecnica, non hanno più senso in loro stessi ma divengono soltanto un insieme di risorse disponili.

L'energia accumulata assume, infatti, la forma di un «fondo» (Bestand) in cui ogni cosa trova la sua precisa collocazione, ossia cessa di starci di fronte come semplice oggetto e diviene parte del deposito di energia. Di conseguenza, ogni oggetto trasformato in fondo cessa di essere tale per divenire qualcosa che ha senso solo in base al principio della sua funzionalità: esso non è più ciò che ci sta di fronte - appunto un oggetto (Gegen-stand) - bensì diventa parte della totalità indistinta del «serbatoio tecnico» e appare solo nell’orizzonte della sua possibile utilizzazione:

La parola «fondo» prende qui il significato di un termine-chiave. Esso caratterizza niente meno che il modo in cui è presente (anwest) tutto ciò che ha

(38)

38

rapporto al disvelamento pro-vocante. Ciò che sta (steht) nel senso del «fondo» (Bestand), non ci sta più di fronte come oggetto (Gegenstand)65.

Il fatto che gli elementi della natura - divenuti strumenti della tecnica - «mantengano il loro posto (Stelle) nel fondo», soltanto per essere nuovamente impiegati, significa che la tecnica moderna è ormai divenuta il tratto fondamentale della natura stessa. In considerazione di ciò, Heidegger dirà nei suoi Seminari che «ci sono ormai soltanto risorse: depositi, riserve, mezzi»66. Se l'intera realtà è completamente dominata dalla tecnica, di conseguenza anche la scienza si presenta ormai quasi esclusivamente come un suo strumento.

Il termine impiegato per descrivere la capacità della tecnica di ridurre l'intera realtà a suo strumento è la parola Gestell (im-posizione), che secondo Heidegger definirebbe proprio l'essenza stessa della tecnica moderna. L'etimologia della parola Gestell è infatti particolarmente significativa: il termine riunisce il verbo stellen (porre) e il prefisso Ge (insieme). Pertanto, il Gestell, che nella lingua comune indica per lo più lo «scaffale» o la «struttura», nell’accezione che ne dà Heidegger rimanda invece più propriamente al porre insieme, e viene quindi tradotto come «im-posizione» o «im-pianto». Il Gestell heideggeriano sarebbe dunque «la totalità del porre tecnico», l’insieme delle cose ormai divenute soltanto oggetti di manipolazione:

Gestell, im-posizione, indica la riunione (das Versammelnde) di quel

ri-chiedere (Stellen) che pro-voca l’uomo a disvelare il reale, nel modo dell’impiego, come «fondo». Im-posizione si chiama il modo di disvelamento

65

Ibidem. 66

(39)

39

che vige nell’essenza della tecnica moderna senza essere esso stesso qualcosa di tecnico67.

Il Gestell esprime quindi il più completo dominio del porre che pro-voca la natura impendendogli di rivelarsi in tutte le sue manifestazioni. Di conseguenza, con il Gestell l’elemento della produzione (Hervorbringen), secondo l’accezione della ποίησις greca, viene definitivamente cancellato68. Poiché secondo Heidegger il pensiero tecnico porta ai massimi livelli quel modo di relazionarsi alla realtà che procede sempre e solo rendendo conto dell’ente «nel senso di sottoporlo ai calcoli della ragione, prima speculativi e poi scientifici»69, la metafisica stessa, che è dominata dalla perdita dell’essere, trova la sua massima espressione proprio nel mondo della tecnica.

Nell'im-posizione della tecnica dimora un pericolo, che non deriva, innanzitutto, dagli effetti mortali che possono avere le macchine, ma dal fatto che essa, rendendo conto soltanto degli enti matematicamente calcolabili, impedisce all'uomo di cogliere l'essere delle cose stesse e di conseguenza anche la loro verità.

La tecnica si presenta dunque come il perfetto compimento della metafisica, poiché è strettamente connessa al piano ontico della realtà; infatti, solo portando ai massimi livelli questo legame essa è riuscita ad imporsi su ogni aspetto del mondo. Anche l’uomo è ormai sottoposto al suo dominio, dal momento che nel partecipare al processo di manipolazione della realtà è a sua volta provocato dal disvelamento.

67

Idem, La questione della tecnica, cit., p. 15. 68

Ruggenini, L'essenza della tecnica e il nichilismo, in Guida a Heidegger, cit., p. 257. 69

(40)

40 L’uomo non è più il creatore della tecnica ma, come la natura, è ormai anch’esso contrassegnato dalla tecnica moderna, ne è completamente assorbito.

(41)

41 1.4. L'uomo tra scienza e tecnica

Alla luce delle riflessioni effettuate in precedenza risulta chiaro che l'interesse di Heidegger nel saggio La questione della tecnica è rivolto principalmente alla ricerca dell'essenza del disvelamento della tecnica moderna. Anche in questo caso la posizione dell’uomo, la sua esistenza e la sua autonomia di scelta vengono completamente trascurate. Infatti, secondo il filosofo tedesco l'uomo non può essere artefice della tecnica essendo egli stesso da questa pro-vocato:

In quanto esercita la tecnica, l'uomo prende parte all'impiegare come modo del disvelamento. Solo la disvelatezza stessa entro la quale l’impiegare si dispiega, non è mai opera dell’uomo, come non lo è l'ambito entro il quale egli già sempre si muove quando si rapporta a un oggetto come soggetto70.

Secondo Heidegger, l'uomo non sarebbe il manipolatore della tecnica poiché essa non è il frutto di una creazione umana, bensì il compimento del destino del disvelamento. Egli si illude di essere artefice della tecnica, ma in realtà, al contrario, è il disvelamento stesso a pretendere che l'uomo agisca sulla natura accumulandone e trasformandone le energie. Cercando di afferrare la natura l'uomo, in realtà, è già reclamato da un modo del disvelamento che lo provoca a rapportarsi ad essa come ad un oggetto della ricerca:

Solo nella misura in cui l’uomo è già da parte sua, pro-vocato a mettere allo scoperto (herausfördern) le energie della natura, questo disvelamento può verificarsi71.

70

Op. cit., p. 13. 71 Ibidem.

(42)

42 Nonostante la tecnica non sia un prodotto umano, risulta comunque innegabile che l'uomo occupi un ruolo privilegiato nel processo del disvelamento pur non essendone direttamente responsabile. Come emerge nel passo seguente, secondo Heidegger il principio di questo legame tra uomo e tecnica sarebbe da ricercare nella scienza moderna. Il ruolo centrale assunto dalla scienza già in epoca moderna costituisce infatti una sorta di prefigurazione del dominio della tecnica durante il corso del Novecento:

Resta vero, comunque, che l'uomo nell'età della tecnica è pro-vocato al disvelamento in un modo particolarmente rilevante. Tale disvelamento concerne anzitutto la natura come principale deposito di riserve di energia. Conformemente a ciò, il comportamento impiegante dell'uomo si manifesta anzitutto nell'apparire della moderna scienza esatta della natura. Il suo modo di rappresentazione cerca di afferrare la natura come un insieme organizzato di forze calcolabili72.

Questa citazione mostra che il comportamento impiegante dell'uomo - il quale è a sua volta pro-vocato dalla tecnica - è nato proprio con la scienza moderna. Il calcolo esatto della matematica è infatti il prerequisito essenziale della tecnica e nella costituzione stessa della matematica si troverebbero pertanto le premesse necessarie alla sua realizzazione73:

La macchina a vapore, l'elettronica, l'attuale tecnica atomica e nucleare sono solo tappe della rivelazione di ciò che nella sua essenza è sempre rimasto

72 Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 16. 73

Cfr. Idem, Umanesimo e scienza nell'era atomica, a cura di Angelo Crescini, Editrice La Scuola, Brescia 1984, p.17.

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