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IL PROBLEMA DELLA RESISTENZA BATTERICA AGLI ANTIBIOTICI: ASPETTI MOLECOLARI E CLINICI

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INTRODUZIONE

Alexander Fleming, nel discorso di accettazione del premio Nobel (Fleming, 1945), preannunciò il rischio dell’insorgenza del fenomeno della resistenza agli antibiotici: “it is not difficult to make microbes resistant to penicillin in the laboratory by exposing them to concentrations not sufficient to kill them…there is the danger that the ignorant man may easily under-dose himself and, by exposing his microbes to nonlethal quantities of the drug, make them resistant.”

I microbi, che sono naturalmente produttori di antibiotici, hanno sempre avuto la necessità di sviluppare meccanismi di resistenza.

Quello che è rapidamente cambiato e che rende la situazione preoccupante per la salute umana è la scala di questo fenomeno.

Il grande consumo di antibiotici da parte sia umana che animale, unito alla globalizzazione, hanno fatto sì che il pool di geni responsabili della resistenza agli antibiotici sia sottoposto ad una notevole pressione selettiva.

Come ben illustrato in fig. 1 (Brooks e Brooks., 2014), persone ed animali che assumono antibiotici sviluppano batteri resistenti, anche in seguito a prescrizioni inappropriate e alla scarsa compliance dei pazienti che talvolta non assumono il farmaco secondo le indicazioni mediche.

Le acque reflue che contengono antibiotici o fertilizzanti costituiti da feci di animali e batteri resistenti sono usati nelle colture alimentari.

Inoltre, batteri resistenti ai farmaci possono rimanere su carne o pesce se non cotti perfettamente.

Germi resistenti possono anche svilupparsi in ambiente ospedaliero e essere diffusi nella comunità dai pazienti in cura.

Gli antibiotici, oltre ad agire sui batteri patogeni, eliminano parte della microflora protettiva presente naturalmente nell’ospite cosicché i batteri

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resistenti ai farmaci possono riprodursi in una condizione di diminuita competizione.

Infine i batteri sono in grado di trasferire la resistenza ad altri batteri che ne erano privi.

Fig. 1 Meccanismi molecolari e comportamentali grazie ai quali le

resistenze compaiono e si diffondono.

I rapidissimi tempi di riproduzione dei batteri conferiscono loro un grande vantaggio nel sviluppare resistenze rispetto alla capacità umana di sviluppare nuovi antimicrobici.

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Il ventesimo secolo ha portato a grandissimi successi nella scoperta di nuovi antibiotici grazie allo screening di colture di organismi derivate dal suolo (per esempio gli streptomiceti) per la loro attività contro altri microrganismi.

Questo approccio ha prodotto una pletora di “hits” tra il 1940 e il 1960. A partire dagli anni ’70 però, questa ‘golden era’ nella scoperta di nuovi antibiotici ha iniziato a venire meno e dagli anni ‘90, con l’aumento dell’antibiotico-resistenza, sono stati messi in opera molti programmi che prendevano in considerazione la genomica e approcci chimici high-tech che si sono però rilevati molto costosi e inefficienti (Arias e Murray, 2015).

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A partire dal 2010 sono stati approvati solo 5 nuovi antibiotici (principalmente contro batteri Gram+) e sono in fase 2 o 3 otto nuovi antibiotici che hanno come target bacilli Gram – multidrug-resistant (Bassetti e Righi, 2015).

I Batteri che mostrano resistenza ad almeno tre differenti classi di antimicrobici, definiti come multidrug resistant (MDR), sono diventati comuni soprattutto in ambiente ospedaliero.

L’acronimo ‘ESKAPE pathogens’ si riferisce ai batteri multidrug-resistant più frequentemente riportati che includono Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acineton bacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa e Enterobacteriaceae e sottolinea la loro abilità di sfuggire al trattamento antimicrobico (Boucher et al., 2009).

Patogeni come S. aureus methicillin-resistant (MRSA) e Enterococci vancomycin-resistant sono estremamente difficili da eradicare.

Negli USA S. aureus rappresenta la principale causa di infezione nosocomiale (De Leo e Chambers, 2009).

In questo scenario, la necessità di nuove molecole che contrastino sia Gram+ che Gram- è tassativa.

Nel 2010 l’IDSA (Infectious Diseases Society of America) ha promosso l’iniziativa 10x’20 che si propone di sviluppare 10 nuovi antibiotici entro il 2020.

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CLASSI DI ANTIBIOTICI

Le principali classi di antibiotici e i loro meccanismi di azione sono schematicamente riassunte nella figura sottostante.

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MECCANISMI DI RESISTENZA

La resistenza si è sviluppata per ciascuna classe di in antibiotici in uso e rappresenta la capacità dei batteri di essere o diventare resistenti nei confronti degli antibiotici.

La resistenza non è altro che il risultato di un processo evolutivo: i microrganismi si adattano agli antibiotici con la stessa facilità con la quale si adattano ai cambiamenti ambientali favoriti in questo dall’alto numero delle loro popolazioni, dall’incredibile plasticità genomica e dalla capacità di scambiare informazione genetica tra specie differenti (Rodríguez-Rojas et al., 2013).

I batteri, inoltre, mostrano una resistenza intrinseca a differenti classi di antibiotici in maniera indipendente dalla pressione selettiva esercitata dai farmaci (Cox e Wright, 2013).

L’esempio convenzionale di resistenza intrinseca è il fenotipo mostrato dai batteri Gram – con la loro membrana esterna che li rende impermeabili a molte molecole e l’espressione di numerose pompe di efflusso che riduce la concentrazione intracellulare di farmaco.

Mentre la maggior parte delle membrane biologiche è composta da glicerofosfolipidi, la membrana esterna dei Gram – ha una composizione inusuale di molecole di lipidi (chiamate Lipide A) legate covalentemente a unità polisaccaridiche.

La presenza di un alto grado di saturazione nelle catene degli acidi grassi riduce la fluidità di questa membrana e la sua permeabilità.

Proprio in relazione alla relativa impermeabilità della membrana esterna, è essenziale che i batteri possiedano meccanismi addizionali per rifornirsi di nutrienti. Infatti, la membrana esterna è anche composta da una varietà di proteine appartenenti alla classe delle porine che tradizionalmente si riferisce a proteine che formano canali di diffusione non specifici.

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Le porine ritardano il flusso in entrata di numerosi antibiotici grazie a diversi meccanismi che includono la limitazione in relazione alle dimensioni molecolari, l’idrofobicità e la repulsione di carica, contribuendo così alla resistenza intrinseca di molti microrganismi.

In ogni caso quando questo sistema di difesa è compromesso, per esempio in E. coli grazie all’azione di agenti permeabilizzanti come polymixyna B nanopeptide (PMBN), l’organismo ancora rimane resistente a un gran numero di agenti antibatterici che agiscono sui Gram + (Randall et al., 2013).

Questa osservazione suggerisce la presenza e l’interconnessione di diversi meccanismi addizionali di resistenza intrinseca.

Il patogeno opportunista Pseudomonas aeruginosa, per esempio, mostra una bassa suscettibilità intrinseca agli antibiotici attribuibile, oltre alla sua membrana esterna, alla presenza di beta-lattamasi periplasmatiche (Hancock e Brinkman, 2002).

Un ruolo essenziale nella resistenza è giocato anche dalle Pompe di efflusso.

Per prevenire l’accumulo intracellulare di composti tossici, i batteri hanno evoluto sistemi energia-dipendenti che pompano fuori dalla cellula alcune molecole senza modificarle.

Numerosi esempi di sistemi di efflusso coinvolti nell’antibiotico-resistenza sono stati caratterizzati sia in batteri Gram + che Gram – (Fernández e Hancock, 2012).

I sistemi di efflusso nei batteri Gram + consistono sempre in un unico polipeptide localizzato nella membrana citoplasmatica, mentre nei Gram – molte pompe hanno un’organizzazione tripartita che consiste in un componente della membrana esterna, uno della membrana interna e in una proteina di fusione (MPF) situata nel periplasma (fig. 4).

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Fig. 4 Pompa di efflusso in batteri Gram-

Le pompe di efflusso possono essere divise in due grandi classi:

ATP-binding cassette transporters (ABC) e secondary multi-drug transporters.

La maggiore differenza fra le due classi consiste nell’energia richiesta per il trasporto. ABC usa energia derivata dall’idrolisi di ATP mentre i trasportatori secondari utilizzano la forza motrice dei protoni ed includono la maggior parte dei sistemi di efflusso che hanno mostrato un riscontro clinico.

In ogni caso, la natura ubiquitaria delle pompe di efflusso e la loro presenza sia in organismi patogeni che non patogeni, suggerisce che la loro evoluzione è indipendente dall’uso umano di antimicrobici e che gioca un ruolo fondamentale contro differenti sostanze tossiche ambientali.

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Meccanismi molecolari di inattivazione degli antibiotici

In generale, i batteri possono inattivare gli antibiotici grazie a:

1) inattivazione o modificazione enzimatica: come per esempio accade per i beta-lattamici che vengono idrolizzati dalle beta-lattamasi prodotte dal microrganismo.

2) alterazioni del target dell’antibiotico: per esempio nella resistenza all’eritromicina, la metilazione di un residuo di adenina nella peptidil-transferasi dell’ r-RNA 23S ne diminuisce l’affinità per l’antibiotico senza danneggiare la sintesi proteica.

3) cambi nella permeabilità cellulare e pompe di efflusso: il batterio può ridurre i canali di entrata o può attivare pompe di efflusso che pompano attivamente fuori il farmaco. Gli antibiotici vengono estrusi da specifiche proteine di membrana più velocemente di quanto non riescano ad entrare e le concentrazioni intracitoplasmatiche non raggiungono livelli tali da inibire la crescita o causare la morte del microrganismo.

4) Attivazione di vie metaboliche alternative come nel caso dei sulfamidici. Batteri trattati con sulfamidici, infatti, riescono a sintetizzare l’acido folico per vie metaboliche alternative.

I sulfamidici offrono un esempio di come i batteri sono in grado di esprimere resistenza seguendo diverse vie: possono, infatti, sovraesprimere il gene codificante l’enzima-target in modo da rendere più difficile la sua saturazione col farmaco, modificare il gene codificante l’enzima-target in modo da renderlo più selettivo verso il suo substrato naturale (PABA) e riducendo la permeabilità della membrana batterica.

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Nella seguente tabella (Davies e Davies, 2010) sono riportati i principali meccanismi di resistenza nei cofronti di antibiotici di uso comune.

Classe di Antibiotici Meccanismo di resistenza

Beta-lattamici Idrolisi, efflusso, alterazione del target

Aminoglicosidi Fosforilazione, acetilazione,

efflusso, alterazione del target

Glicopeptidi Riprogrammazione della biosintesi del peptidoglicano

Tetracicline Monossigenzione, efflusso,

alterazione del target

Macrolidi Idrolisi, glicosilazione,

fosforilazione, efflusso, alterazione del target

Chinoloni Acetilazione, efflusso, alterazione

del target

Pirimidine Efflusso, alterazione del target Sulfamidici Efflusso, alterazione del target

Rifampicina ADP-ribosilazione, efflusso,

alterazione del target

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Classificazione delle resistenze

La resistenza può essere principalmente classificata come:

1. resistenza innata o intrinseca: e’ presente in tutti i ceppi

appartenenti alla stessa specie ed è stata già riscontrata in era pre-antibiotica può essere utile a fini identificativi (il terreno di coltura agar sangue CNA, costituito da colistina e acido nalidixico fa crescere solo batteri Gram+ che sono naturalmente resistenti a questi due antibiotici).

2. resistenza acquisita è il risultato di una selezione clonale sotto

la pressione selettiva esercitata dal farmaco. L’intervallo di tempo che intercorre fra l’introduzione in terapia e lo sviluppo di resistenze è inversamente proporzionale alla frequenza d’uso

ed al perdurare nell’ambiente dell’antibiotico. La resistenza acquisita, a sua volta, può essere:

2.a. cromosomica che costituisce solo il 10-15% di tutte le

resistenze (bassa frequenza di insorgenza). Si realizza tramite un’alterazione mutazionale spontanea dell’informazione genetica cromosomica. L’antibiotico esercita un’azione selettiva (seleziona i mutanti resistenti, inibendo cellule sensibili). Gli stessi mutanti possono essere resistenti anche ad altri antibiotici con caratteristiche simili (resistenza crociata). Si trasmette verticalmente tramite la discendenza da cellula madre a cellula figlia. Può essere multi-step se sono necessarie più mutazioni perché possa instaurarsi (es. macrolidi, cloramfenicolo) o one-step se è sufficiente una sola mutazione per determinare la comparsa di ceppi totalmente resistenti (es. rifamicine,chinoloni).

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nuova informazione genetica che deriva da altri microrganismi e che penetra nella cellula mediante meccanismi di coniugazione, trasformazione e trasduzione. Riguarda più antibiotici contemporaneamente (resistenza multipla). E’ a trasmissione orizzontale tramite lo scambio genetico. Può essere trasferita anche a microrganismi appartenenti a specie differenti. E’ dovuta a geni presenti su fagi, plasmidi o trasposoni.

3. resistenza adattativa: I batteri esposti a concentrazioni

crescenti di antibiotico sviluppano resistenza. Questa procedura, se ripetuta svariate volte, conduce velocemente allo sviluppo di popolazioni batteriche con alti livelli di resistenza. Quando l’antibiotico è rimosso dall’ambiente, la popolazione torna ad essere sensibile nel corso di poche generazioni. Questa abilità temporale di far fronte agli antibiotici è riferibile alla resistenza adattativa che deriva dalla combinazione di processi epigenetici quali metilazione del DNA ed espressione casuale di geni (Motta et al., 2015). Un’ipotesi-chiave di questo fenomeno riguarda il sistema regolatorio dell’espressione delle proteine costituenti le pompe di efflusso che è un target di modificazioni epigenetiche. Queste ultime possono cambiare i patterns di espressione genica in tempi brevi, fornendo un meccanismo con cui le cellule possono adattarsi velocemente alla presenza del farmaco e spiegherebbe anche la reversibilità di questo tipo di resistenza. Le pompe di efflusso rappresentano, infatti, un costo energetico per la cellula, essenziale per far diminuire i livelli intracellulari di farmaco ma che conduce ad un rallentamento nella crescita cellulare (vengono pompati fuori anche metaboliti essenziali). Quindi, quando i livelli ambientali di antibiotico diminuiscono, le pompe cessano la loro attività. Alla luce di tutto ciò, il processo di metilazione del DNA nei batteri potrebbe rappresentare un target interessante per

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prevenire il fenomeno della resistenza adattativa (Motta et al., 2015).

Gli antibiotici partecipano attivamente all’insorgenza di

resistenze

Gli antibiotici, inoltre, non si comportano da meri agenti di selezione di cloni resistenti ma partecipano attivamente al processo.

Sub-popolazioni di batteri possono sopravvivere a dosi letali di farmaco senza diventare resistenti grazie a un fenomeno temporaneo e non ereditario chiamato persistenza.

E’ stato dimostrato (Dorr et al., 2009) che la maggior parte di persistenti alla ciprofloxacina si è formato grazie a un meccanismo attivo e inducibile mediato dalla risposta SOS.

I fluorochinoloni hanno come target la girasi e la topoisomerasi IV, due enzimi appartenenti alla classe delle topoisomerasi; entrambi sono coinvolti nell'isomerizzazione spaziale dell'alfa-elica e nel mantenere distaccati il filamento stampo e il filamento inerte nel processo di replicazione batterica evitando superavvolgimenti del DNA circolare.

La girasi o la topoisomerasi IV agiscono tagliando il doppio filamento di DNA batterico, lo avvolgono in un senso levogiro e poi lo risaldano.

I fluorochinoloni inibendo l’azione di questi enzimi provocano rotture della doppia elica che sono potenzialmente letali per il batterio.

Rotture del DNA si manifestano anche in condizioni fisiologiche e le cellule batteriche hanno evoluto un sistema di riparazione ‘d’urgenza’, chiamato sistema SOS.

Il danno al DNA serve come segnale di allarme per la cellula determinando l’induzione coordinata di diverse funzioni cellulari coinvolte nel riparo. RecA, una proteasi del sistema SOS, taglia LexA (repressore dei geni del sistema SOS) inattivandola. L’inattivazione di LexA determina

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l’espressione dei geni recA, uvrA, umuD e quindi la sintesi di proteine coinvolte nella riparazione.

L’induzione del sistema SOS permette il bypass della lesione, ma può introdurre degli errori nella replicazione del DNA promuovendo la mutagenesi.

Questo contrasta con la precedente visione secondo la quale i persistenti apparivano grazie a mutazioni stocastiche sotto la pressione selettiva dell’antibiotico.

Molti antibiotici possono incrementare il tasso di mutazione in modi diversi, incluso il danno ossidativo, la risposta SOS e in generale con sistemi collegati a situazioni di stress.

Il meccanismo che risulta più frequentemente implicato nella letalità mediata da antibiotici è la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) (Dwyer et al., 2009).

Le specie reattive dell’ossigeno causano danni in componenti cellulari chiave come proteine, lipidi e DNA.

Questo danno può causare lesioni del DNA sia direttamente che indirettamente che, se non riparate, portano all’accumulo di mutazioni. Il trattamento di E. coli con antibiotici a concentrazioni sub-letali aumenta il livello di ROS che è correlato con un significativo incremento nella mutagenesi (Kohanscki et al., 2010).

Come conseguenza dell’incremento di ROS o degli errori nella replicazione o per entrambi, viene attivato il sistema SOS. Questa attivazione porta all’espressione di DNA-polimerasi specializzate nella riparazione di lesioni del DNA con una ridotta fedeltà.

Rec A e Lex A (i maggiori regolatori nella risposta SOS), quindi, sono stati proposti come target per prevenire o ridurre la comparsa di mutanti resistenti nel corso di trattamento con antibiotici (Wigle et al., 2009).

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Effetti degli antibiotici a concentrazioni sub-MIC

Inoltre è necessario approfondire l’insieme degli eventi che si verificano quando un antibiotico è presente a concentrazioni basse o bassissime (sub-MIC, non sufficienti ad uccidere o fermare la crescita di popolazioni suscettibili).

E’ noto che i chinoloni sono mutageni nei batteri (Gocke, 1991) e che concentrazioni sub inibitorie possono incrementare la frequenza di mutazioni che trasformano il fenotipo wild in uno resistente.

La ciprofloxacina produce un incremento fino a cinque volte nella frequenza di mutanti rifampicina-resistenti in Streptococcus pneumoniae (Henderson-Begg et al., 2006) e di mutanti carbapenemi-resistenti in P. aeruginosa (Tanimoto et al., 2008).

Inoltre livelli sub-inibitori di antibiotico possono stimolare nei batteri non solo l’insorgenza di mutazioni ma anche meccanismi di ricombinazione (Lopez e Blazquez, 2009).

Il corpo umano e i siti ambientali esposti a basse concentrazioni di antibiotici possono diventare hotspots di mutazioni e ricombinazione indotta dagli stessi antimicrobici, responsabili di variazioni fenotipiche e nello specifico della comparsa, mantenimento e disseminazione di resistenza agli antibiotici.

La figura 5 mostra schematicamente come popolazioni batteriche possano diventare resistenti agli antibiotici quando esposte ad alte concentrazioni degli stessi o a concentazioni sub-MIC.

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Fig. 5 (Rodriguez et al., 2013)

Meccanismo di selezione di individui resistenti, all’interno di popolazioni esposte a concentrazioni di antibiotico > MIC e << MIC

Se una popolazione è sottoposta a concentrazioni alte di antibiotico, i pre-esistenti ceppi rpre-esistenti saranno selezionati originando una popolazione altamente resistente.

Alternativamente, se una popolazione è sottoposta ad una concentrazione al di sotto della MIC, la pletora di meccanismi discussi precedentemente può aumentare la variabilità genetica di questa popolazione, aumentando le possibilità di sviluppo di alti e bassi livelli di resistenza.

Quando gli antibiotici sono usati a scopo terapeutico per l’uomo, per gli animali o in agricoltura, generalmente sono presenti ad alte concentrazioni nell’ambiente circostante, dove esercitano una forte pressione selettiva.

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Circa la metà degli antibiotici per uso umano o animale sono escreti in forma immodificata, principalmente con le urine.

Nella tabella seguente sono mostrate le frazioni di dosi escrete in forma attiva con le urine nell’uomo (Bryskier, 2005).

Classe di Antibiotici Frazione escreta con le urine

Fluorochinoloni 40% Aminoglicosidi 80-90% Tetracicline 40% Macrolidi 20-30% Penicilline 50% Cefalosporine 70-90% Trimetoprim 50%

Questi antibiotici finiscono nelle acque reflue e arrivano negli ambienti acquatici e nel suolo in forma diluita, perciò non sono in grado di eliminare i batteri ma solo di rallentarne la crescita.

Per quanto riguarda l’insorgenza di ceppi resistenti, l’esposizione a concentrazioni sub-MIC è molto più problematica rispetto a quella con dosi letali.

In una selezione operata con dosi terapeutiche sopravvivono, infatti, solo i batteri che avevano già rare mutazioni pre-esistenti che fornivano loro un fenotipo resistente.

Se quest’ultimi non fossero presenti nella popolazione al momento della cura, l’infezione risulterebbe completamente curata e non sopravviverebbe nessun patogeno.

Al contrario, nel caso di una selezione operata a dosi sub-MIC, la selezione non è letale e si verifica solo un rallentamento nel tasso di crescita.

In queste condizioni molte classi di antibiotici incrementano il tasso di mutazione, per esempio flurochinoloni, aminoglicosidi e beta-lattamici possono indurre la risposta SOS che, come già visto, incrementa la

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Fig. 6 Rappresentazione schematica del flusso di batteri resistenti (blu) e

degli antibiotici (rosso) nell’ambiente e nelle diverse aree d’uso.

E’ difficile ottenere una stima accurata dell’uso mondiale di antibiotici ma è sicuramente oltre il centinaio di migliaia di tonnellate per anno e circa la metà di questi antibiotici arriva negli ambienti naturali in forma attiva (Andersson e Hughes, 2012).

Già esistono tecniche (Wahlberg et al., 2011) per inattivare queste sostanze nei siti di rilascio.

Per esempio, trattare le acque con ozono rappresenterebbe un metodo efficace e relativamente economico per la distruzione di composti farmaceutici, antibiotici inclusi.

Il trattamento con ozono presenterebbe anche il vantaggio di inattivare agenti patogeni.

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MISURE PREVENTIVE

La resistenza agli antimicrobici è una priorità a livello mondiale che riguarda sia uomini che animali.

In accordo con i dati forniti dalla Commissione Europea (EU Commision staff working document, 2015) che se ne occupa, a partire dal 2009, circa 25000 pazienti nell’ EU sono morti annualmente come risultato di infezioni causate da batteri resistenti.

I costi relativi all’antibiotico-resistenza ammontano ad una cifra annuale stimata di 1.5 miliardi di euro, dovuti alla perdita di produttività e all’incremento delle spese mediche.

Per rafforzare il suo impegno, la Commissione ha lanciato nel Novembre del 2011 un piano di azione della durata di cinque anni.

Il Piano è basato su un approccio multidisciplinare che coinvolge tutti i settori e gli aspetti della resistenza agli antimicrobici (salute pubblica, salute animale, sicurezza del cibo, ricerca, usi non terapeutici degli antimicrobici etc.).

Il Piano, inoltre, considera la cooperazione internazionale come elemento chiave nell’affrontare la resistenza agli antibiotici.

Il Piano d’azione, sinteticamente riportato di seguito, copre sette aree (dalla A alla G) e stabilisce 12 azioni concrete in campo umano e veterinario.

A. APPROPRIATO USO DEGLI ANTIMICROBICI

Azione 1: Rafforzare la promozione dell’uso appropriato degli

antimicrobici nella medicina umana.

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Gli antibiotici, per esempio, non dovrebbero essere genericamente prescritti a pazienti con infezioni delle basse vie respiratorie senza complicazioni (infezioni non-polmonari).

E’ consigliata, inoltre, l’identificazione del patogeno implicato nell’infezione e l’esecuzione dell’antibiogramma per identificare il farmaco che è più attivo alla concentrazione più bassa.

In virtù delle differenze geografiche all’interno dell’ EU nell’epidemiologia di alcune infezioni, le linee guida terapeutiche dovranno essere sviluppate a livello nazionale.

Azione 2: Rafforzare la struttura regolatoria nella medicina veterinaria e

sui cibi medicati.

E’ riconosciuto che la legislazione che riguarda i medicinali veterinari non fornisce sufficienti strumenti per assicurare che non insorgano rischi per la salute umana.

I mangimi medicati costituiscono una importante via di somministrazione di medicinali veterinari e vengono utilizzati negli allevamenti intensivi anche nella prevenzione dell’insorgenza di infezioni dovuta al grande numero di animali allevati in spazi ristretti.

E’ stata, quindi, proposta la proibizione dell’uso preventivo di antimicrobici nei cibi medicati e la necessità di assicurare un dosaggio più preciso per evitare esposizioni sub-terapeutiche degli animali a questi farmaci.

Azione 3: Introdurre raccomandazioni per un uso prudente nella

medicina veterinaria.

Gli animali e l’uomo, infatti, sono spesso suscettibili agli stessi microrganismi che causano infezioni e le stesse classi di antimicrobici sono usate sia nella medicina umana che in quella veterinaria.

Esistono indicazioni che la resistenza agli antimicrobici negli animali è trasmessa all’uomo attraverso batteri zoonotici, per contatto diretto o attraverso la catena alimentare.

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L’uso inappropriato degli antibiotici (terapeutico e preventivo) negli animali è considerato uno degli elementi fondamentali nello sviluppo di resistenze nel settore umano.

Come già spiegato nel capitolo relativo ai meccanismi di resistenza, la grande quantità di farmaci utilizzata negli allevamenti animali viene in gran parte immessa nell’ambiente circostante a concentrazioni sub-inibitorie che favoriscono lo sviluppo di microrganismi resistenti

L’ EMA ha pubblicato dei documenti di riflessione e di raccomandazioni nell’uso degli antimicrobici più critici come i chinoloni, le cefalosporine di terza e quarta generazione e i macrolidi.

L’ EMA ne raccomanda l’uso solo in seconda linea nel caso in cui vi sia scarsa risposta alle altre classi antimicrobiche.

Si rende necessario anche un’ aggiornamento nelle procedure di immissione in commercio di nuovi medicinali veterinari che tenga presente il bilancio rischio-beneficio, proprio in relazione al rischio di sviluppo di patogeni resistenti pericolosi per l’uomo.

B. PREVENIRE INFEZIONI MICROBICHE E LA LORO DIFFUSIONE Azione 4: Rafforzare la prevenzione delle infezioni e il controllo negli

ambienti sanitari.

Sono necessari più sforzi per assicurare un numero adeguato di unità di controllo specializzate nelle infezioni che ricevano aggiornamenti regolari all’interno delle strutture sanitarie.

Nel 2013 l’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) ha pubblicato un documento nel quale vengono riviste le procedure e le linee guida per migliorare la compliance dei professionisti della salute riguardo la tempistica, il dosaggio e la durata della profilassi antibiotica peri-operatoria per la prevenzione delle infezioni nelle sale chirurgiche.

ECDC ha inoltre pubblicato un documento tecnico sulle competenze per il controllo delle infezioni e l’igiene negli ospedali.

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Azione 5: Promozione di una proposta per una Legge EU sulla salute

animale.

L’obbiettivo è di creare una struttura legale europea sulla salute animale per il controllo delle maggiori malattie animali trasmissibili basata sul principio che “prevenire è meglio che curare”.

La proposta riguarda anche le misure per la notificazione, la sorveglianza e la eradicazione di patogeni resistenti.

Inoltre la maggiore cura nella salvaguardia della salute animale potrebbe portare come conseguenza una riduzione nella necessità dell’uso di antimicrobici.

C. SVILUPPO DI NUOVI ANTIMICROBICI EFFICACI O DI TRATTAMENTI ALTERNATIVI.

Azione 6: Promuovere la collaborazione nella ricerca e lo sviluppo di sforzi

comuni per portare nuovi antibiotici ai pazienti.

L’obiettivo è di creare un network di laboratori e ricercatori clinici con la capacità di seguire trials clinici di antibiotici su larga scala e di avanzare nella conoscenza soprattutto sui meccanismi delle barriere di penetrazione e nei sistemi di efflusso dei batteri Gram -.

Si focalizza l’attenzione anche sull’urgente necessità di sviluppare un nuovo modello di business per lo sviluppo di antibiotici che rinvigorisca gli investimenti in questa area vitale.

La Commissione e la European Investment Bank stanno sviluppando insieme un piano pilota di finanziamenti con l’obbiettivo di fronteggiare le malattie infettive e che stimoli lo sviluppo di nuovi trattamenti, vaccini e sistemi diagnostici.

Azione 7: Promuovere sforzi per analizzare la necessità di nuovi antibiotici

nella medicina veterinaria. E’ riconosciuto che esiste un certo gap tra le indicazioni approvate per gli antimicrobici ad uso veterinario e le reali necessità.

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D. UNIRE GLI SFORZI CON I PARTNERS INTERNAZIONALI PER CONTENERE IL RISCHIO DELLA DIFFUSIONE DI BATTERI RESISTENTI

Azione 8: Sviluppare e/o rafforzare gli impegni multilaterali per la

prevenzione e il controllo di batteri resistenti in tutti i settori.

L’organizzazione mondiale della sanità (WHO) considera la resistenza agli antibiotici come una seria minaccia alla salute pubblica globale.

La collaborazione sulla resistenza agli antimicrobici tra servizi della Commissione Europea e WHO/Europe è quindi un elemento-chiave.

E’ iniziata, inoltre, una collaborazione bilaterale con la Cina per condividere dati e informazioni.

I servizi della commissione hanno iniziato a sviluppare un approccio strategico riguardo l’inquinamento delle acque da parte di prodotti farmaceutici.

E. MONITORAGGIO E SORVEGLIANZA

Azione 9: Rafforzare i sistemi di sorveglianza sui batteri resistenti e il

consumo di antimicrobici nella medicina umana.

Verranno sistematicamente pubblicati reports sul consumo di antimicrobici per uso umano negli stati membri.

Carbapenemase-producing Enterobatteriaceae, un nuovo tipo di batteri altamente resistente, rappresenta una nuova minaccia per gli ospedali europei.

ECDC sta conducendo un’indagine su questi batteri per portare avanti la capacità di diagnosticare e sorvegliarne la diffusione in Europa.

Azione 10: Rafforzare i sistemi di sorveglianza dei batteri resistenti e il

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Sono richiesti i dati di vendita degli antimicrobici veterinari nei diversi stati membri per redigere dei reports sul loro consumo anche in questo settore e per poterne quantificare l’influenza nel possibile sviluppo di resistenze.

F. RICERCA E INNOVAZIONE

Azione 11: Rafforzare e coordinare gli sforzi della ricerca.

Dopo la pubblicazione del documento relativo al piano di azione, la ricerca sull’ antibiotico-resistenza è stata ulteriormente supportata con un badget totale approssimativamente di 130 milioni di Euro.

Questi progetti indirizzano la ricerca clinica su antibiotici scaduti di brevetto, la ricerca multidisciplinare sull’evoluzione e il trasferimento dell’antibiotico-resistenza, la gestione delle infezioni di batteri Gram – MDR, lo sviluppo di tests diagnostici e strumenti di controllo dei microfilms microbici e di markers di resistenza.

Sette nuovi progetti europei hanno lo scopo di sviluppare nuovi antibiotici, vaccini o trattamenti alternativi (come la terapia con fagi) per le infezioni microbiche farmaco-resistenti.

Altri progetti riguardano l’identificazione del metodo migliore per usare gli antibiotici attualmente disponibili, studi di antibiotico-resistenza all’interno della catena alimentare o l’utilizzo di nuove nanotecnologie per il rilascio dei farmaci antimicrobici.

G. COMUNICAZIONE, EDUCAZIONE E ADDESTRAMENTO Azione 12: Comunicazione, educazione e addestramento.

Il Piano prevede iniziative nazionali rivolte ai prescrittori e al pubblico per l’uso corretto e prudente degli antibiotici.

I sondaggi hanno rivelato che la maggior parte degli Europei (84%) sono consapevoli che l’uso non necessario degli antibiotici li rende inefficaci e i

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due terzi (66%) sa che l’uso frequente di antibiotici può portare al manifestarsi di effetti collaterali.

Circa la metà degli europei, però, non sa che gli antibiotici sono inefficaci contro i virus e circa il 41% non sa che sono inefficaci contro l’influenza e le malattie da raffreddamento.

Nonostante il dato di fatto che gli antibiotici non possono curare l’influenza, circa il 18% degli intervistati riferisce che è stato il motivo per cui li ha assunti ultimamente.

A parte le campagne di informazione rivolte ai pazienti, medici e farmacisti devono avere un ruolo chiave per fornire le giuste informazioni e cambiare i cattivi comportamenti.

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I-CHIP: INNOVAZIONE NELLA SCOPERTA DEGLI

ANTIBIOTICI

Tradizionalmente i metodi per ricercare agenti antibiotici si sono basati sulle colture di suolo direttamente inoculato su un mezzo di coltura (per esempio agar).

I batteri così isolati (sfortunatamente si stima siano solo l’1% di quelli presenti) dopo metodiche che ne ottimizzavano la crescita, venivano utilizzati per il recupero di un estratto cellulare.

L’estratto veniva testato contro i batteri ed eventualmente venivano purificati i composti attivi.

La maggioranza delle specie microbiche presenti nel suolo non cresce, però, su terreni di coltura sintetici e rimane in gran parte inesplorata. L’accesso a questa diversità microbica è di grande interesse per la ricerca di nuovi principi attivi.

E’ stato, quindi, sviluppato un metodo di coltura in vivo di microrganismi ambientali all’interno di camere di diffusione coperte con membrane semipermeabili e messe nel suolo (Kaeberlein et al., 2002).

Il razionale di questo approccio è stato che la diffusione avrebbe provveduto al rifornimento dei nutrienti naturali per i batteri.

Come atteso, questa metodica ha migliorato la possibilità di recuperare microbi rispetto alle tecniche tradizionali.

Questo procedimento si è rivelato, però, laborioso e non molto efficiente. Per superare i limiti di questa tecnica è stato realizzato l’ isolation chip, i-Chip (Nichols et al., 2010).

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Fig. 7 (Arias et al., 2015) L’ i-Chip confrontato con la tecnica

microbiologica classica

Come mostrato in figura 7, l’ i-Chip consiste in una miriade di piccolissime camere riempite di agar.

L’ i-Chip viene seminato con diluizioni di suolo in modo tale che mediamente una cellula batterica sia piazzata in ogni microcamera.

L’ i-Chip è poi riposizionato nel suolo, permettendo ai nutrienti di diffondere nelle camere.

Dopo una prolungata incubazione, molte camere contengono colonie batteriche che vengono poi fatte crescere su terreni arricchiti, al di fuori del suolo.

Successivi processi, estrazioni e sofisticate tecniche di separazione chimica permettono l’isolamento di nuovi principi attivi.

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Grazie all’uso dell’ i-Chip è stato ultimamente identificato un nuovo antibiotico, un peptide di 11 aminoacidi chiamato teixobactin (Ling et al., 2015).

Fig. 8 Teixobactin

Teixobactin è prodotto da un battere Gram – provvisoriamente chiamato Eleftheria terrae ed è in grado di inbire la crescita di Staphylococcus aureus.

Teixobactin sembra agire formando un complesso con i precursori del peptidoglicano e l’acido teicoico della parete batterica dei batteri Gram +. Ha una potente attività battericida nei confronti dei patogeni Gram +, con una minima concentrazione inibente (MIC) di 0.5 microgrammi per millilitro o meno per stafilococchi, streptococchi (pneumococchi inclusi), Clostridium difficile, Bacillus antraci, ed enterococchi, inclusi ceppi MDR. Teixobactin è similmente potente nei confronti di Mycobacterium tubercolosis, un patogeno che minaccia sempre di più la salute pubblica globale.

Studi in vivo su topi hanno corroborato l’attività di teixobactin contro S. aureus methicillin-resistant e anche dopo molti rigorosi tentativi, gli autori

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non sono riusciti a selezionare mutanti di S. aureus o M. tubercolosis teixobactin-resistenti.

I batteri Gram - risultano resistenti a teixobactin a causa della mancanza di uno dei targets e dell’ effetto della barriera rappresentata dalla membrana esterna, assente nei Gram +.

Le aspettative che riguardano la nuova tecnica i-Chip sono grandi, in considerazione del fatto che si potrà testare una riserva di microrganismi circa 100 volte maggiore rispetto a quelle disponibili con le metodiche microbiologiche precedenti.

Detto questo, potrebbero volerci anni per una scoperta che conduca all’approvazione di un prodotto commerciale.

Se la storia ci ha insegnato una lezione riguardo alla resistenza, è che la mancanza di selezione di resistenza a teixobactin in vitro deve essere accolta con grande cautela.

Simili affermazioni erano state fatte anche riguardo alla vancomicina, perché aveva come target un componente essenziale della parete batterica che si pensava fosse irrimpiazzabile.

Nonostante ciò, dopo l’uso su larga scala, negli anni 1980 incominciò ad emergere la resistenza alla vancomicina.

Gli organismi del suolo hanno avuto a disposizione milioni di anni per sviluppare resistenza anche nei confronti di teixobactin ed è possibile che i geni di questa resistenza siano già presenti in natura o che mutanti resistenti appariranno in vivo dopo un uso prolungato (Arias et al., 2015).

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NUOVI FARMACI

Combattere il complesso problema della resistenza agli antibiotici deve andare al di là dello sviluppo meccanicistico di nuovi composti farmaceutici e deve riguardare un cambio culturale a livello globale.

Lo sviluppo di nuovi antimicrobici o modificazioni dei farmaci disponibili potrebbe non essere in grado, da solo, di affrontare con efficacia la questione (Brooks e Brooks., 2015).

Nonostante queste considerazioni, è comunque necessario continuare nella ricerca di nuove molecole, anche appartenenti alle classi già note, che si dimostrino efficaci nel contrastare le infezioni batteriche.

Visto l’incidenza e la gravità delle infezioni dovute a batteri Gram-, per i quali i trattamenti rimangono limitati, vi è stato un “rinascimento” nell’interesse per lo studio degli inibitori delle β-lattamasi (Drawz et al., 2014).

Negli ultimi anni, inoltre, si sono sviluppati ceppi batterci resistenti anche agli inibitori delle β-lattamasi attualmente in uso (acido clavulanico, tazobactam e sulbactam) (Drawz e Bonomo, 2010).

L’ Avibactam (fig. 9) è il primo inibitore delle β-lattamasi clinicamente disponibile introdotto negli USA dal 1993 (Drawz et al., 2014).

Fig. 9 Struttura chimica di Avibactam confrontata ad altri inibitori delle

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Avibactam strutturalmente mostra una similarità ai β-lattamici e inoltre presenta gruppi carbonilici elettrofili importanti per la formazione di un addotto stabile con le β-lattamasi che vengono così inibite (Ehmann et al. 2012).

Il composto MK-7655, attualmente in Fase I, è simile chimicamente ad Avibactam (presenta un nucleo diazobiciclottano con l’aggiunta di un anello di piperidina) ed agisce con un meccanismo analogo.

E’ da rilevare che la gran parte dei composti inibitori delle β-lattamasi attualmente in studio, eccezion fatta per Avibactam e pochi altri, sono ancora molto lontani dalla fase clinica.

La condizione migliore sarebbe quella di disegnare inibitori delle β-lattamasi specifici a seconda del patogeno rilevato.

Con l’avvento della diagnostica molecolare potremo forse, in un futuro non lontano, essere in grado di definire il tipo di β-lattamasi presente e il farmaco più appropriato da utilizzare.

Nella seguente tabella (Brooks e Brooks, 2015) sono riportati alcuni farmaci tradizionali in fase di sviluppo.

Fase1

Candidato (Azienda) Famiglia

BAL30072 (Basilea) Monosulfactam XF-73 (Destiny Pharma) Porfirine

NVB302 (Novacta) Lantibioic

POL7080 (Polyphor) Protegrin I LCB01-0371 (LegoChem) Oxazolidinoni

MRX-I (MicuRx) Oxazolidinoni

KPI-10 (Kalidex) Fluorichinoloni DS-8587 (Daiichi) Fluorochinoloni KRP-AM1977 (Kyorin) Chinoloni

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Fase2

Candidato (Azienda) Famiglia

GSK-26962266 (Shionogi/GSK) Cefem

SMT-19969 (Summit) Bibenzo[d]-imidazoli LFF-571 (Novartis)

Auriclosene (Novabay) Clorotaurine Serecyclina (Warner Chilcott) Tetracicline

BC-3781 (Forest) Pleuromutilin

Plazomicina (Achaogen) Aminoglicosidi

GSK1322322 (GSK) Actinonin

DPK-060 (Pergamum) Kinigongen

Radezolid (Rib-X) Oxazolidinoni

Sutezolid (Pfizer) Oxazolidinoni Posizolid (AstraZeneca) Oxazolidinoni Cadazolid (Actelion) Oxazolidinoni CG400549 (Crystal Genomics) Triclosan

WCK-771 (Wockhardt) Fluorochinoloni WCK-2349 (Wockhardt) Fluorochinoloni

Fase2

Candidato (Azienda) Famiglia

Omadacyclina (Paratek) Tetracicline Eravacyclina (Tetraphase) Tetracicline Solithromycina (Campra) Eritromicine Tedizolid fosfato (Trius Pharma) Oxazolidinoni Delamanid (Otsuka) Nitroimidazoli Perchlozone (USCPharmasyntez) Thiosemicarbazoni SQ109 (Sequlla/Infectex) Etambutoli

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Finafloxacina (MerLion) Fluorochinoloni Delafloxacina (Rib-X) Fluorochinoloni Avarofloxacina (Furiex) Fluorochinoloni Zabofloxacina (Dong Wha) Fluorochinoloni Nemonoxacina (TaiGen) Chinoloni

Ozenoxacin (Grupo Ferner) Chinoloni Dalbavancina (Durate Therapeutics) Glicopeptidi Oritavancina (The Medicines

Company)

Glicopeptidi

Surotomicina Lipopeptidi

La resistenza agli antibiotici potrebbe trovare soluzioni migliori grazie ai sistemi di rilascio smart o a innovative combinazioni di farmaci biologici (per esempio inibitori di quorum sensing, biosurfattanti, batteriofagi, enzimi etc.) che vedremo in seguito.

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INIBITORI DI QUORUM SENSING

La comunicazione cellula-cellula o quorum sensing (QS) è un fenomeno comune nei batteri ed è usata per coordinare l’espressione genica all’interno delle singole popolazioni.

Il suo uso da parte dei batteri patogeni per regolare i geni che promuovono invasione, difesa e diffusione è stato ben documentato (La Sarre e Federle, 2013).

Con l’emergenza dei patogeni antibiotico-resistenti, c’è un grande bisogno di sviluppare strategie terapeutiche alternative.

Un approccio contro la virulenza, in cui è implicato il meccanismo di quorum sensing, rappresenta una via percorribile per manipolare i processi batterici.

L’identificazione e lo sviluppo di composti chimici ed enzimi che facilitino l’inibizione di quorum-sensing (QSI) potrebbe essere una terapia efficace

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contro alcuni, non necessariamente tutti i batteri patogeni (LaSarre e Federle, 2013).

Inoltre, costituirebbe una nuova terapia in grado di minimizzare la pressione selettiva che riguarda la resistenza.

Bloccare la comunicazione cellula-cellula è una tattica efficace per distruggere la cooperazione tra individui o gruppi.

Le conoscenze acquisite negli ultimi quaranta anni sul fatto che i batteri beneficiano comunemente di interazioni sociali e sistemi di segnalazione intercellulare rappresenta un’opportunità di interferire con la loro abilità di coordinare gli sforzi di invadere i loro ospiti umani, animali e vegetali. In molti casi, le risposte che dipendono dai segnali QS sono quelli che contribuiscono direttamente alla patogenesi attraverso la produzione sincronizzata di determinanti di virulenza, come tossine, proteasi e altri fattori in grado di sfuggire il sistema immunitario.

Inoltre, QS può contribuire ai comportamenti che abilitano i batteri a resistere ai composti antimicrobici come la costituzione di biofilm.

Se questi sforzi di coordinazione fossero bloccati, i batteri perderebbero la loro abilità di organizzare assalti alle difese dell’ospite o sarebbero meno in grado di formare strutture comunitarie organizzate che promuovono la patogenesi.

Per molti batteri, lavorare insieme come un gruppo fornisce loro i mezzi per costruirsi un sistema di difesa o di aggressione che le singole cellule batteriche mai potrebbero avere.

Bloccare le interazioni tra batteri, li forzerebbe a restare isolati e come cellule individuali sarebbero molto più vulnerabili.

Un grande vantaggio di usare come target il sistema di QS è basato sulla premessa che un trattamento che non sopprima la crescita di una cellula, non esercita una pressione selettiva nello sviluppo di resistenza al trattamento.

QS non è un processo essenziale e QS-mutanti in generale non hanno mostrato difetti di crescita.

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Tutti i sistemi di QS utilizzano piccole molecole-segnale secrete, conosciute come auto-induttori.

I più comuni auto-induttori studiati appartengono ad una delle tre seguenti categorie e sono illustrati in figura 10:

• Lattoni di omoserina acilati, usati dai Gram– (a volte chiamati anche autoniduttori-1)

Peptdidi-segnale, usati dai Gram+

• Autoinduttori-2, usati sia da Gram– che da Gram+.

Esistono anche altri segnali di QS che includono lo Pseudomonas quinolone signal e sicuramente nuove molecole saranno scoperte mano a mano che gli studi su altre specie batteriche avanzeranno.

Una volta che sono stati sintetizzate, queste molecole generalmente diffondo liberamente (più raramente usano sistemi di trasporto) al di fuori delle cellule batteriche e si accumulano nell’ambiente circostante.

Raggiunta, poi, una determinata concentrazione critica, l’interazione fra gli auto-induttori e gli specifici recettori situati all’esterno dei batteri contigui, scatena una serie di eventi che hanno come risultato la creazione di biofilms e l’incremento della virulenza.

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Fig. 10 Esempi di molecole-segnale (auto-induttori)

In figura 11 sono rappresentati schematicamente i complessi network di QS in alcune specie batteriche.

Sebbene ciascun circuito di QS utilizzato da un dato batterio sia unico, tutti i sistemi di QS condividono un meccanismo che riguarda la produzione del segnale, l’accumulo e la sua rilevazione.

L’ inibizione del sistema di QS può, quindi, riguardare la degradazione o inattivazione del segnale tramite enzimi come lattonasi, acilasi o

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ossidoreduttasi, l’inibizione nella biosintesi dei segnali o l’inibizione del sistema di rilevamento del segnale stesso.

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Furanoni bromidrati (fig. 12), estratti dall’ alga marina Delisea pulchra, sono stati tra i primi riconosciuti come piccole molecole inibitrici di QS, sebbene la loro tossicità costituisca un limite per la loro commercializzazione(Gao et al., 2003).

Fig. 12 Bromo-furanone estratto da D. pulchra

Altri prodotti naturali estratti da piante superiori come piselli, riso, soia e pomodori producono sostanze che sono in grado di interferire col sistema di comunicazione fra batteri QS (Gao et al., 2003).

Sebbene i metaboliti secondari che sono stati oggetto di ricerca in questi studi di inibizione di QS esibiscano un ampio range di proprietà, esercitano anche stress metabolico elevato per cui, come per i furanoni, la loro tossicità rimane un blocco per l’ uso terapeutico e commerciale.

Un’estratto da Streptomyces isolato dal suolo contenente il polipeptide triciclico siamicina (fig. 13) è stato in grado di bloccare la produzione di gelatinasi in Enterococcus faecalis a concentrazioni sub-inibitorie della crescita (la produzione di gelatinasi è regolata dal sistema di QS ed è implicata nella creazione di biofilms) (Nakayama et al., 2007).

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Similmente, è stato identificato un dipeptide ciclico (fig. 14) estratto da Lattobacillus reuterii che inibisce il sistema di comunicazione in Staphylococcus ssp. (Li et al., 2011).

Fig. 14 Dipeptide estratto da L. reuteri

Come meccanismo adattativo dell’evoluzione, molte piante producono metaboliti che regolano la crescita di microbi e sono stati usati tradizionalmente nel trattamento delle infezioni batteriche.

Ajoene dall’aglio (fig. 15), catechine da Combretum albiflorium, e iberina dal rafano sono in grado di inibire il sistema di QS (Gurpreet et al., 2015).

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FARMACI BIOLOGICI

Peptidi antimicrobici

I peptidi antimicrobici (AMPs) rappresentano una parte importante del sistema immunitario innato.

AMPs sono piccole molecole che possono presentare attività antibatterica, antifungina, antiparassitaria e antivirale (Jenssen et al., 2006).

Queste molecole sono composte da 10-15 residui aminoacidici e sono divise in gruppi diversi a seconda della composizione aminoacidica, la dimensione e la conformazione molecolari (Nakatsuji e Gallo, 2012).

In natura esistono quattro grandi classi: 1. peptidi anionici;

2. peptidi cationici con un’alta percentuale molare di prolina, arginina, fenilalanina, glicina o triptofano;

3. peptidi cationici e anionici che contengono cisteina che forma ponti disolfuro;

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Il classico meccanismo di azione di AMPs riguarda la loro abilità di causare danni alle membrane (fig.16).

Fig. 16 Diversi meccanismi con i quali i peptidi antimicrobici causano

danno alle membrane dei batteri

AMPs possono interagire con i microrganismi attraverso le forze elettrostatiche che si instaurano fra i loro residui aminoacidici positivi e le cariche negative esposte sulla superficie cellulare.

La composizione della superficie della cellula è quella che regola la specificità di ciascun AMPs.

Nelle membrane dei mammiferi, i lipidi più comunemente rappresentati sul lato extracellulare del doppio strato sono fosfolipidi neutri come fosfatidilcolina e sfingomielina.

La membrana cellulare batterica, invece, è essenzialmente composta da lipidi caricati negativamente come fosfatidilglicerolo, cardiolipina e lo zwitterione fosfatidiletanolammina.

Inoltre, i batteri Gram– contengono lipopolissaccaridi nella loro membrana esterna e la parete cellulare dei Gram+ è arricchita in polisaccaridi acidi (acido teicoico e teicuronico); queste molecole conferiscono una carica complessiva negativa alla superficie batterica e rappresentano il target per i peptidi antimicrobici cationici.

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L’interazione di AMPs con i loro bersagli dipende in gran parte dalla superficie cellulare e dalla composizione in aminoacidi di questi peptidi. Inoltre la struttura secondaria adottata dal peptide è essenziale per il legame alle cariche negative delle membrane.

A seconda del rapporto peptide/lipidi e dall’affinità reciproca, queste molecole peptidiche possono essere orientate perpendicolarmente, permettendo la loro inserzione nel doppio strato lipidico e la formazione di pori-trans membrana (Melo e Castanho, 2012).

Il meccanismo attraverso il quale AMPs possono attraversare le membrane microbiche non è comune a tutti i peptidi e sembra dipendere dalle proprietà molecolari di entrambi, peptide e composizione lipidica della membrana.

Molti difetti di membrana possono essere indotti da AMPs; tra questi possiamo evidenziare la formazione di pori, separazione di fase, e promozione di una struttura lipidica non lamellare o distruzione del doppio strato lipidico (fig. 16).

Sebbene molti AMPs interagiscano direttamente con la membrana cellulare, sono stati riportati casi in cui alcuni peptidi necessitano di un sito di ricoscimento batterico.

Più recentemente è stato proposto che AMPs possano portare a morte cellulare attraverso altri meccanismi in addizione alla distruzione della membrane seguita dalla lisi cellulare.

Alcuni AMPs possono, infatti, interagire con targets intracellulari che inducono danni come l’inibizione della sintesi della parete, del DNA, del RNA e delle proteine (Straus and Hancock, 2006).

Molti studi hanno anche mostrato differenti strategie che rendono i batteri resistenti a queste molecole, evidenziando un fenomento di coevoluzione dei peptidi antimicrobici e dei meccanismi di resistenza agli stessi.

Il più comune meccanismo di resistenza riguarda cambi di composizione nella parete o nelle membrana cellulare batterica e nel blocco dell’ accesso

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E’ da sottolineare che questi farmaci sono costosi, spesso antigenici e mostrano una stabilità limitata.

Attualmente i peptidi antimicrobici approvati da FDA includono la bacitracina, la colistina e la polimixina B.

La tossicità talvolta associata a AMPs è normalmente correlata alle alte concentrazioni usate per compensare la breve emivita di queste molecole dovuta alla rapida digestione da parte delle proteasi.

Queste caratteristiche hanno limitato il loro uso sistemico.

Gli svantaggi appena descritti, potrebbero essere aggirati legando in modo covalente i peptidi antimicrobici alla superficie di biomateriali (Costa et al., 2011).

Le infezioni associate con l’uso di impianti di biomateriali e dispositivi medici (per esempio cateteri, valvole cardiache, stents, artroprotesi) rimane una delle maggiori barriere dell’uso a lungo termine di questi ultimi nei pazienti.

Queste infezioni sono causate da batteri che normalmente popolano la pelle e sono in grado di colonizzare i dispositivi medici a partire per esempio da suture infette o a causa di procedure di impianto non sterili. Infezioni profonde possono manifestarsi anche mesi o anni dopo l’operazione chirurgica.

L’attività e la virulenza dei microrganismi sono correlate con la loro capacità di creare biofilms i quali sono in grado di colonizzare quasi ogni tipo di materiale (metalli, ceramiche e polimeri).

I biofilms sono costituiti da popolazioni di microrganismi differenziati ad alta densità che sono immersi in una matrice tridimensionale, ben organizzata, composta da polisaccaridi, proteine, acidi nucleici e lipidi prodotti dai microrganismi stessi.

Questa matrice è caratterizzata da un’alta resistenza agli stress ambientali, radiazioni UV, variazioni di pH, shock osmotici, disseccamento e rende praticamente impossibile la penetrazione di antibiotici e sostanze biocidi.

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Inoltre la formazione del biofilm facilita il trasferimento orizzontale di geni tra ceppi batterici resistenti e quelli non resistenti (De Carvalho, 2009). Il risultato è che la resistenza agli antibiotici è 10-1000 volte più alta nei biofilms che nelle forme planctoniche delle stesse specie di batteri.

La formazione del biofilm risulta da una specifica sequenza di eventi (in cui sono implicati anche meccanismi di quorum sensing): aderenza microbica, formazione di micro-colonie e proliferazione, produzione della matrice, maturazione del biofilm e infine distacco cellulare con propagazione dell’infezione.

Dopo la sua formazione , un biofilm non può essere facilmente eliminato da procedure cliniche standard e l’nfezione spesso può essere eradicata solo con la rimozione dell’impianto infetto.

Per risolvere questo problema, sono state condotte ricerche per lo sviluppo di rivestimenti antimicrobici che possano prevenire l’iniziale colonizzazione da parte dei batteri (Costa et al. 2011).

AMPs hanno un enorme potenziale in questo frangente, possono essere fissati mediante legami covalenti su biomateriali, aumentandone la stabilità e diminuendone la tossicità.

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Batteriofagi

Si definiscono batteriofagi, o più comunemente fagi, virus parassiti dei batteri, dai quali vengono replicati e di cui generalmente inducono la lisi (disgregazione cellulare).

Fig. 17 Batteriofagi su E. coli

L’esistenza dei fagi fu rivelata già nella prima metà del 1900.

Fin dalla loro iniziale individuazione lo studio della struttura e del ciclo riproduttivo dei batteriofagi è risultato basilare per la microbiologia e la virologia in particolare.

Infatti ha permesso di chiarire nei virus il ciclo litico e la fase di eclissi e nei batteri il fenomeno della trasduzione (modalità di trasferimento di geni mediante fagi) che è alla base dell’insorgenza di molte resistenze batteriche ai chemioterapici.

I batteriofagi si presentano come piccoli virus di circa 23-32 nm di diametro, con diversi tipi morfologici fondamentali, la cui organizzazione più complessa presenta un capside proteico isometrico (testa) che racchiude l’acido nucleico (DNA o RNA), collegato con un’appendice tubulare (o coda) e appendici caudali con apparato contrattile in grado di iniettare DNA o RNA fagico nel citoplasma del batterio (fig. 18). Pochi sono i fagi provvisti di rivestimento o envelope.

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Fig. 18 Conformazione generale di un fago

L’acido nucleico è prevalentemente formato da DNA a doppio filamento o meno frequentemente a singolo filamento; meno frequenti sono i fagi provvisti di RNA a singolo o doppio filamento.

I batteriofagi possono essere distinti, sulla base del rapporto che si instaura fra batteriofago e cellula ospite batterica, in:

batteriofagi virulenti, se in grado di attuare un’infezione litica (o ciclo litico): sequenza di eventi che seguono l’internalizzazione di un virus da parte di una cellula suscettibile di infezione e che si conclude con la lisi della cellula e la liberazione dei virioni;

batteriofagi temperati, se capaci di svolgere su certe cellule batteriche alternativamente ciclo litico oppure lisogenia; quest’ultima è una particolare relazione fra cellula ospite e virus nella quale l’acido nucleico del fago aderisce al cromosoma batterico comportandosi come un gene batterico e replicandosi in armonia con esso senza determinare la lisi. Quando il DNA del fago si integra nel cromosoma batterico diventa un profago non infettivo e questo fenomeno si può ripetere per molte divisioni cellulari. Il profago può anche separarsi dal cromosoma batterico e dare inizio ad un ciclo

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Fig. 19 Alternanza di ciclo litico e lisogenico

Il ciclo litico di replicazione virale (fig. 19) e di infezione della cellula batterica, per esempio di un fago T2 o lamba, inizia con la fase di adsorbimento e penetrazione.

Gli specifici recettori del batterio e del fago consentono a questi di fissarsi alla parete e poi, mediante l’azione di un enzima (lisozima) situato nella coda, di diminuire la rigidità e la resistenza della parete.

Successivamente si ha la separazione dell’acido nucleico dall’involucro, con il genoma fagico che viene iniettato all’interno del batterio mediante contrazione della guaina virale e passaggio del condotto interno.

Il virione cessa a questo punto di esistere come particella indipendente (fase di eclissi) per riapparire moltiplicato nel citoplasma batterico dopo che questi ha effettuato la sintesi dei costituenti virali (proteine del capside, acido nucleico).

Seguono le fasi di maturazione (formazione delle particelle complete o virioni) e di liberazione dei virioni, grazie a una endolisina che porta allo scoppio della cellula batterica.

Le fasi di eclissi, maturazione e liberazione vengono complessivamente indicate con il termine “fase vegetativa”.

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I batteriofagi sono fra gli organismi conosciuti più ubiquitari.

Si trovano ovunque e per questo motivo non risulta costoso il loro isolamento.

I batteriofagi sono riconosciuti come agenti antimicrobici naturali che possono combattere le infezioni batteriche in uomini, animali e piante. Inoltre i meccanismi di resistenza agli antibiotici e ai batteriofagi sono differenti.

Questo comporta che batteri che risultano resistenti agli antibiotici rimangono sensibili ai batteriofagi.

Ceppi di E. coli, isolati da ulcere di pazienti diabetici, che mostravano alti livelli di resistenza agli antibiotici, sono risultati sensibili all’esposizione a fagi (Rahmani et al., 2015).

E’ necessario, però, sottolineare che l’uso dei batteriofagi per fini terapeutici nell’uomo richiede ulteriori ricerche.

L’ FDA ha approvato un clinical trial in fase I nel 2008, che valutava la sicurezza di un cocktail di fagi nel trattamento di pazienti con ulcere venose infette alle gambe (Abhilash et al., 2009).

E’ stato dimostrato che i batteriofagi sono efficaci nei confronti di una varietà di batteri Gram– (per esempio E. Coli, P. aeruginosa, Vibrio vulnificus, Salmonella spp) e Gram+ (Enterococcus faecium and S. aureus) (Brooks e Brooks, 2014).

Un cocktail contenente differenti tipi di fagi, specialmente se utilizzato in associazione con antibiotici tradizionali, potrebbe rappresentare un’ottima terapia per affrontare le resistenze.

Inoltre si potrebbe usare un rivestimento fagico modificato con specifici peptidi antigenici che potrebbero provocare la risposta immunitaria proprio nel sito di infezione.

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APPROCCIO TERAPEUTICO IN COMBINAZIONE

I trattamenti clinici che prevedono l’impiego di un solo farmaco potrebbero non essere adeguati ad affrontare la resistenza agli antibiotici.

Sulla base della letteratura scientifica e di percorsi terapeutici provati (Worthington and Melander, 2013), la combinazione di più farmaci si è rivelata effettivamente più efficace.

Oltre sette decadi di esperienza hanno provato che la combinazione di farmaci diversi è uno strumento-chiave nell’arsenale clinico contro virus (per esempio si usa un cocktail di 4 farmaci per l’HIV), cancro e microbi (Phougat at al., 2013).

Un ulteriore vantaggio dell’approccio combinatorio è che può prolungare la durata in efficacia della vita di un antibiotico così come può ristabilire l’efficacia di un farmaco per il quale i batteri avevano sviluppato resistenza.

Le strategie delle terapie in combinazione possono essere divise in tre categorie sulla base del target del farmaco:

1. approcci combinatori che hanno come bersaglio diverse vie (per esempio isoniazide, rifampicina, etambutolo e pirazinamide per il trattamento della tubercolosi);

2. approcci combinatori che hanno bersagli diversi ma all’interno della stessa via (per esempio sulfametossazolo e trimetoprim);

3. approcci combinatori che agiscono sullo stesso target con meccanismi multipli.

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Approcci combinatori che hanno come bersaglio diverse vie

Questa tipologia di approccio è quella più studiata e che ha dato i risultati migliori.

Già nella medicina tradizionale si usavano misture di metaboliti secondari di origine vegetale per trattare le infezioni.

I metaboliti secondari agiscono interessando bersagli diversi, dal momento che sono rappresentati da molti composti con differenti proprietà farmacologiche.

Il timolo, un monoterpene fenolico con note proprietà antibatteriche, per esempio, è stato preso in considerazione in associazione all’EDTA e alla vancomicina per investigare se la loro combinazione possa aumentare l’efficacia dell’antibiotico contro patogeni MDRs (R. Hamoud et al., 2014). L’ acido dietilenaminotetracetico (EDTA) è normalmente usato come conservante nei cibi e come agente antimicrobico.

L’EDTA è in grado di chelare ioni calcio e magnesio, la cui rimozione può indebolire la parete batterica, facilitando l’ingresso di farmaci e rendendo così più vulnerabili i microbi.

La vancomicina è un glicopeptide usato nel trattamento di infezioni causate da batteri Gram +, essendo in grado di inibire la sintesi del peptidoglicano.

Il peptidoglicano forma la maggior parte della parete dei Gram +, mentre forma solo un sottile strato nella complicata parete cellulare dei Gram- che sono ulteriormente protetti da una membrana lipidica esterna.

Timolo, EDTA e vancomicina sono stati valutati misurando le minime concentrazioni inibenti (MIC) nei confronti di diversi ceppi batterici sia Gram + che Gram –.

Il timolo, preso singolarmente, mostra una moderata attività antibatterica contro sia Gram + che Gram – e ceppi MDRs.

I monoterpeni, infatti, sono composti altamente idrofobici che sono in grado di dissolvere le membrane biologiche; così facendo, se usati in

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associazione con vancomicina ne favoriscono l’ingresso nelle cellule aumentandone l’efficacia.

L’EDTA ha dimostrato avere attività batteriostatica ma non battericida nei confronti di tutti i ceppi.

I batteri Gram + sono più resistenti all’ EDTA grazie alla loro spessa parete, per cui se usato in combinazione con vancomicina non ne cambia l’efficacia.

Come atteso, la vancomicina ha una forte attività contro i Gram + mentre rispetto ai Gram – la sua azione è molto debole.

La combinazione di timolo insieme ad EDTA e vancomicina è risultata particolarmente efficace contro E. coli, un batterio Gram – che normalmente non è sensibile a questo antibiotico.

Questo risultato offre nuove prospettive nella cura dei patogeni Gram –, nei confronti dei quali l’arsenale farmacologico risulta limitato.

Lo screening di metaboliti secondari derivanti sia da microrganismi che da alghe e piante superiori è fonte di diversi composti bioattivi molto promettenti con attività farmacologiche diverse (Chung et al., 2011).

Sono state riconosciute le potenzialità terapeutiche delle sostanze fitochimiche per lo sviluppo di agenti contro ceppi di S. aureus methicillin resistant (MRSA).

La combinazione tra questi principi naturali e alcuni antibiotici può aumentare l’efficacia di tali antimicrobici e rappresentare un’alternativa al trattamento di infezioni causate da ceppi MDRs e in particolare da MRSA, la cui terapia risulta attualmente limitata e molto costosa (Celenza et al., 2012).

I naftochinoni, per esempio, sono sostanze fitochimiche con un’ampia attività farmacologica e sono stati ampiamente usati a fini industriali (Hussain et al., 2007).

I naftochinoni agiscono aumentando lo sviluppo di ROS che danneggiano lipidi, proteine e acidi nucleici e sono inoltre in grado di formare complessi irreversibili con gli aminoacidi nucleofili delle proteine portando alla perdita della loro funzione.

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Il beta lapachone e il suo isomero alfa lapachone sono naftochinoni naturali estratti dall’albero Lapacho (Tabebuia avellanedae) o sintetizzati a partire dal lapacholo (fig. 20).

Fig. 20 I) alfa lapacholo II) alfa laphacone III) beta lapachone IV) deidro

alfa lapachone

Questi composti hanno dimostrato un’ampia varietà di proprietà farmacologiche (antitumorali, antinfiammatorie, anti-tripanosoma, antimalariche e antimicrobiche) e possono anche agire come inibitori della transcrittasi inversa dell’HIV-1 e delle topoisomerasi eucariotiche e procariotiche (Ferreira et al., 2010; Kobayashi et al., 2011).

Alfa e beta lapachone hanno dimostrato una forte attività contro ceppi MRSA (Macedo et al., 2013) e questo rappresenta un grande opportunità visto che la terapia anti-MRSA è limitata all’uso di glicopeptidi (vancomicina, teicoplanina) e oxazolidine (linezolide) e sono già stati segnalati ceppi MRSA resistenti anche ai glicopeptidi (Coombs et al., 2011).

Inoltre il beta lapachone è in grado di inibire la crescita di ceppi MRSA quando associato a beta-lattamici, carbapenemi e fluorochinoloni (Macedo et al. 2013).

In uno studio precedente è stato descritto l’effetto sinergico tra beta lapachone e isoniazide nei confronti di Mycobacterium fortuitum e

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