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Il controllo della pressione arteriosa in una popolazione di pazienti afferenti al Centro Ipertensione

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Academic year: 2021

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FACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

IL CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA IN UNA POPOLAZIONE DI PAZIENTI AFFERENTI AL CENTRO

IPERTENSIONE.

Relatore:

Chiar.mo Prof. STEFANO TADDEI

Candidata:

VALERIA MAZZI

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INDICE

RIASSUNTO pag. 4

INTRODUZIONE pag. 6

SCOPO DELLO TESI pag. 24

MATERIALI E METODI pag. 25

RISULTATI pag. 31

DISCUSSIONE pag. 41

CONCLUSIONI pag. 45

RINGRAZIAMENTI pag. 46

(4)

RIASSUNTO

Nei paesi industrializzati le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di mortalità ed hanno un’elevata morbilità. Numerosi studi clinici controllati hanno mostrato che l’ipertensione arteriosa rappresenta uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare ed hanno dimostrato il beneficio di ridurre i valori pressori nella prevenzione degli eventi cardiovascolari.

Tuttavia, il controllo efficace dei valori pressori nella popolazione mondiale non raggiunge tuttora livelli soddisfacenti, in quanto solo il 30% dei pazienti ipertesi riesce a raggiungere tale bersaglio terapeutico.

Scopo di questa tesi e’stato quello di valutare il controllo della pressione arteriosa in una popolazione di pazienti ipertesi (n=392) afferenti al Centro di Riferimento Regionale dell’Ipertensione Arteriosa dell’Universita’ degli Studi di Pisa, esaminando l’efficacia della terapia farmacologica nel raggiungere tali risultati. Nello studio sono stati inclusi tutti i pazienti con ipertensione arteriosa di tipo essenziale che avessero effettuato almeno 3 visite successive di controllo.

I risultati mostrano che nella popolazione dello studio (n=392), il controllo ottimale dei valori di PA sistolica e diastolica (PA<140/90 mmHg o 130/80 mmHg nei pazienti diabetici), che era del 34.7% al momento dell’arruolamento, e’ stato raggiunto in circa il 57.8% dei pazienti al termine del follow up. I risultati migliori sono stati ottenuti nel controllo della PA diastolica (80.4%)

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rispetto alla PA sistolica (57.8%). Tale miglioramento si associava ad un trattamento farmacologico piu’ aggressivo. Infatti, nella popolazione in esame si e’ assistito ad un progressivo passaggio dalla monoterapia alla terapia d’associazione ed il maggior controllo pressorio risultava correlato all’aumento del numero dei farmaci assunti. Durante il follow up si e’ osservato inoltre un progressivo aumento nell’uso di alcune classi di farmaci antiipertensivi, in particolare di diuretici e calcioantagonisti. In conclusione, in accordo con gli studi epidemiologici nazionali ed internazionali, la presente tesi, mostra che il controllo della pressione arteriosa non e’ tuttora soddisfacente, nonostante la maggiore attenzione all’identificazione del problema “ipertensione arteriosa” e lo stretto follow up del paziente iperteso. Inoltre viene evidenziato che per migliorare il controllo della pressione arteriosa, e’ necessario attuare una strategia terapeutica razionale e mirata nei pazienti ipertesi in trattamento farmacologico.

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INTRODUZIONE

Ipertensione arteriosa ed eventi cardiovascolari.

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati ed in Italia rappresentano circa il 43% della mortalità totale (rapporto ISTISAN 2001)1. I valori di pressione arteriosa sia sistolica che diastolica hanno mostrato di correlare linearmente con numerose patologie cardiovascolari come lo scompenso cardiaco, la vasculopatia periferica o l’insufficienza renale terminale2-4

, nonche’ con la mortalità cerebrovascolare e coronarica e mortalità per altre cause cardiovascolari 5. Data l’alta prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione e’ lecito affermare che questa rappresenti la prima causa di mortalita’ nel mondo per cui si puo’ ritenere l’ipertensione arteriosa il più importante fattore di rischio cardiovascolare6.

Gli studi clinici controllati hanno dimostrato il beneficio di ridurre la pressione arteriosa (PA) sulla prevenzione degli eventi cardiovascolari 7, 8 e una recente metanalisi ha messo in luce come questo beneficio sia evidente nei pazienti ipertesi giovani-adulti ed anziani, di entrambi i sessi e con ipertensione sisto-diastolica e sistolica isolata9. Le attuali linea guida europee ritengono pertanto necessario il raggiungimento di adeguati valori pressori che sono stati identificati al di sotto di 140/90 mmHg per la maggior parte dei pazienti e

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inferiori a 130/80 mmHg nei pazienti diabetici, con infarto miocardico, ictus, insufficienza renale cronica e proteinuria8.

Il controllo pressorio nelle varie popolazioni

Nonostante il beneficio della riduzione dei valori pressori nella prevenzione della mortalità e morbidità cardiovascolare, il controllo efficace dei valori pressori nella popolazione ipertesa mondiale sembra essere del tutto insoddisfacente. Infatti, il paradigma del “rule of halves”, secondo cui solo metà dei pazienti ipertesi sanno di esserlo, di questi solo la metà è trattata e fra i pazienti trattati solo la metà sono efficacemente controllati, sembra tuttora valido 10. Le percentuali di un efficace controllo pressorio variano da un massimo di 38% alle Barbados e 36% in USA 11 a circa il 2% in Mexico e Camerun 12, 13, con valori intermedi in altri paesi. La maggiore consapevolezza dei rischi legati alla presenza di elevati valori di PA, lo sviluppo di linee guida sempre più restrittive riguardo ai valori di pressione da raggiungere e il continuo impiego di risorse per sviluppare farmaci antiipertensivi sempre più efficaci e tollerabili presuppongono un crescente miglioramento del controllo della PA nella popolazione ipertesa nel corso degli anni, ed in realtà la maggior parte dei dati in letteratura confermano tale ipotesi. Per quanto riguarda gli USA questo aspetto è stato valutato dagli studi NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey), i quali hanno dimostrato come il controllo della PA abbia mostrato un continuo miglioramento. In maniera analoga, sempre

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negli USA, i risultati del Cardiovascular Health Study 14 hanno evidenziato un incremento dal 14% al 24% nel controllo della PA passando dal periodo 1989-1990 al 1998-99 e uno studio condotto su veterani di guerra ha visto un incremento della percentuale di ipertesi con PA ben controllata dal 14% nel 1990-1995 al 24% nel 1999 15. Anche in Europa si è avuto una tendenza simile e studi condotti in Inghilterra 16, 17, Spagna 18 e Repubblica Ceca 19 hanno dimostrato una tendenza verso un miglior controllo della PA (Figura 1).

Tuttavia, anche se questi dati indicano un trend positivo in varie popolazioni, la percentuale dei pazienti con controllo efficace della PA è ancora

insoddisfacente.

La situazione italiana non è più incoraggiante. In passato, studi condotti per lo più su piccole popolazioni di pazienti ipertesi, avevano evidenziato come l’efficace controllo dei valori pressori era raggiunto nel 9-33% dei pazienti. Recentemente, uno studio epidemiologico 20 che ha coinvolto oltre 12.000 pazienti ipertesi seguiti dai medici di Medicina Generale su tutto il territorio nazionale, ha confermato tali dati, indicando che la percentuale di pazienti con PA controllata è inferiore al 20%. Inoltre, anche i dati sui pazienti afferenti a strutture specialistiche, non indicativi della popolazione globale

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degli ipertesi ma dei pazienti già a conoscenza di essere ipertesi seguiti da una struttura di secondo livello, sono insoddisfacenti. Infatti, in due studi 20, 21 osservazionali condotti su pazienti ipertesi afferenti a centri specialistici, il controllo efficace della PA era rilevabile, rispettivamente, nell’11.9 e 37.5% dei pazienti, senza differenza tra Nord, Centro e Sud del paese 21. La situazione non è migliore nei pazienti a rischio cardiovascolare molto alto, nei quali, in termini di riduzione del rischio assoluto di eventi cardiovascolari, il controllo dell’ipertensione riveste un’importanza maggiore. Infatti, anche in strutture specialistiche, i pazienti a rischio cardiovascolare molto alto presentano addirittura una percentuale di controllo dei valori pressori inferiore rispetto ai pazienti a rischio basso o medio 21. Per quanto riguarda l’andamento del controllo della PA nel corso degli anni, i risultati di uno studio epidemiologico eseguito nella comunità di Gubbio 22 hanno mostrato, nel corso di un periodo di 6 anni, un incremento dal 12 al 24% nella percentuale di pazienti con PA controllata in modo efficace. Un altro studio condotto in Emilia Romagna 23, nella città di Brisighella, ha mostrato come in una popolazione di 940 ipertesi, dopo un periodo di osservazione di 12 anni (1984-1996), la percentuale di pazienti ipertesi con PA efficacemente controllata sia salita dal 7.5 al 17.4% negli uomini e dal 7.3 al 18.5% nelle donne. E’ da notare, comunque, come, pur trattandosi di popolazioni ristrette e motivate dalla partecipazione ad uno studio epidemiologico, la percentuale finale di pazienti ipertesi ben controllati sia ancora molto bassa. Infine, nello studio SILVIA 21, uno studio eseguito su

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pazienti ipertesi afferenti a medici specialisti, il controllo efficace della PA aumenta dal 41 al 46 e 52% nel follow-up rispettivamente di 6 e 12 mesi.

Lo scarso controllo della PA nella popolazione generale dei pazienti ipertesi deriva dalla concomitanza di tre variabili, e precisamente la mancata diagnosi e/o la non conoscenza di essere ipertesi, il mancato trattamento e la scarsa efficacia del trattamento. E’ da notare come, mentre in Asia e Africa il mancato controllo della PA sia legato prevalentemente alla mancata diagnosi, in Europa ed America le cause di tale fenomeno sono più frequentemente spiegate dal mancato o inefficace trattamento, con dati simili in Italia 20 e nella Repubblica di San Marino 24.

Razionale della terapia del paziente iperteso.

L’impostazione del programma terapeutico del paziente iperteso deve mirare ad ottenere la massima riduzione possibile del rischio globale di morbilita’ e mortalita’ cardiovascolare, tenendo conto del rischio globale del paziente e quindi mirare non solo al controllo ottimale della pressione arteriosa, ma anche alla terapia delle eventuali complicanze dell’ipertensione ed al controllo degli altri fattori di rischio cardiovascolare.

La valutazione del profilo di rischio cardiovascolare si basa su tre parametri e precisamente i valori della PA e quindi l’entità dell’ipertensione, l’impegno ed il danno d’organo asintomatico con le patologie che ne conseguono ed infine l’associazione di altri fattori di rischio cardiovascolare.

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La tabella 1 riporta i valori di PA, secondo le recenti linee guida 8, che permettono di definire e/o classificare detti valori come ottimali, normali, alti-normali e, nell’ambito di quelli che identificano la presenza di ipertensione arteriosa, la stratificazione in ipertensione lieve con il sottogruppo borderline, moderata e grave, nonché la definizione di ipertensione sistolica isolata.

Tabella 1. Classificazione della pressione arteriosa

CATEGORIA SISTOLICA mmHg DIASTOLICA mmHg

Ottimale < 120 < 80

Normale 120 - 129 80 - 84

Normale-alta 130 - 139 85 - 89

Ipertensione di grado 1 (lieve) 140 - 159 90 - 99 Ipertensione di grado 2 (moderata) 160 - 179 100 - 109 Ipertensione di grado 3 (grave) > = 180 > = 110 Ipertensione sistolica isolata > = 140 < 90

La definizione dei valori di PA deve basarsi su i dati della PA clinica, cioè quella misurata dal medico o dal personale paramedico in ambiente medico. Per questo è necessario innanzi tutto misurare la PA in modo corretto (vedi Metodi) e confermare e/o valutare i valori della PA in almeno tre misurazioni eseguite in un intervallo di tempo, che è compreso in una settimana per i pazienti con PA > 180/110 mmHg e di almeno un mese per i pazienti con valori di PA meno elevati.

La valutazione delle condizioni degli organi bersaglio ha lo scopo di stabilire se esiste danno d’organo e la presenza di patologie associate al danno d’organo causato dall’ipertensione. Oltre ad un’accurata anamnesi ed ad un corretto

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esame obiettivo sono esami indispensabili, l’ECG ed eventualmente un ecocardiogramma per il calcolo della massa indicizzata del ventricolo sinistro, il dosaggio della creatinina serica e l’esame delle urine. Ulteriori esami sono da programmare sulla base del quadro clinico del paziente.

Il terzo criterio per la stratificazione del rischio cardiovascolare è basato sulla presenza di altri fattori di rischio. Per questa valutazione oltre all’anamnesi sono necessari la misurazione del peso corporeo e dell’altezza con il calcolo dell’eventuale eccesso ponderale, ed i seguenti esami: glicemia a digiuno e profilo lipidico, cioè colesterolo totale, colesterolo-HDL, trigliceridi con calcolo del colesterolo-LDL con la formula di Friedwald [LDL-C = Col-Tot – (HDL-C + TG/5)].

Per ottenere un efficace controllo dei valori pressori esistono due possibilita’ terapeutiche e precisamente: la terapia non farmacologica, che è piu’ logico definire come modificazioni dello stile di vita, e la terapia farmacologica.

Terapia non farmacologica

Questo approccio terapeutico, basato su modificazioni quantitative e qualitative della dieta, sulla riduzione dell’apporto di alcool, sull’attività fisica e sull’astensione dal fumo, dovrebbe sempre essere attuato con i seguenti bersagli:

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- prevenire la comparsa di ipertensione arteriosa nei soggetti a rischio e precisamente in chi ha familiarità di ipertensione, in soggetti con ipertensione alta-normale (PA 130-139/85-89 mmHg), nei soggetti con sovrappeso o obesità, nelle donne con storia di ipertensione in gravidanza e ipertensione causata dalla terapia ormonale contraccettiva;

- ridurre la PA nei pazienti ipertesi e potenziare l’effetto della terapia farmacologica;

- migliorare il profilo di rischio del paziente agendo su gli altri fattori di rischio cardiovascolare.

L’approccio dietetico deve essere ovviamente individualizzato tenendo conto delle abitudini di vita e del peso corporeo del singolo paziente. In linea di massima è stato dimostrato che una dieta ricca di vegetali e frutta, prodotti caseari poveri di grassi saturi, cereali e carni magre, cioè una dieta assai simile a quella mediterranea, che escluda l’uso di insaccati e di formaggi stagionati, è capace di ridurre la PA rispetto ad una dieta ricca di carboidrati e grassi saturi

25

.

La riduzione dell’apporto di sale ha sicuramente un effetto ipotensivo ed inoltre potenzia l’effetto di alcuni farmaci antiipertensivi, quali i -bloccanti, gli ACE-inibitori, gli AT-1 antagonisti e gli -1 antagonisti. Quanto ridurre l’apporto di sale è tuttora oggetto di discussione. Le linee guida 8 raccomandano come obiettivo il raggiungimento di un consumo giornaliero di sodio inferiore a 100 mmol/die e/o 5 gr di sale. Questa riduzione dell’apporto di sale si è dimostrata

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capace di ridurre la PA sia nei pazienti che seguono una dieta mediterranea che in quelli che seguono una dieta di tipo statunitense 25. Inoltre la moderata restrizione sodica negli ipertesi anziani può ridurre la PA e la necessità della terapia farmacologica senza aumentare gli eventi cardiovascolari 26. Una ulteriore restrizione sodica, intorno a 50-60 mmol/die (circa 3 gr di sale) può avere un ulteriore effetto ipotensivo soprattutto nei pazienti a dieta non mediterranea27. Comunque la riduzione dell’apporto di sodio dovrebbe essere sempre attuata in tutti i pazienti ipertesi in considerazione che una eccessiva introduzione di sale può causare resistenza e/o ridotta risposta alla terapia farmacologica antiipertensiva.

Nei pazienti obesi la riduzione del peso corporeo di almeno 4,5 Kg riduce significativamente la PA, con una riduzione della PAS e della PAD rispettivamente di circa 0.45 e 0.35 mmHg per Kg di peso corporeo perso 28. Questo effetto ipotensivo può prevenire la comparsa di ipertensione nei soggetti obesi con PA medio-alta 28 e può permettere di sospendere la terapia antiipertensiva negli obesi ipertesi anziani, con un effetto ancora più evidente se la riduzione del peso corporeo è associata alla dieta iposodica, senza aumentare l’incidenza di eventi cardiovascolari 26.

L’effetto ipotensivo dato della riduzione del peso corporeo è duraturo nei pazienti che la mantengono, ma è transitorio in coloro che riacquistano peso, una evenienza quest’ultima che purtroppo si verifica nella maggior parte dei pazienti obesi 26. La riduzione del peso corporeo è possibile se il paziente riesce

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a seguire una dieta ipocalorica (< 1500 Kcal/die nei maschi e < 1200 Kcal/die nelle femmine) associata ad attività fisica di tipo dinamico 30’-45’/die 3-4 volte a settimana. Tuttavia la compliance del paziente obeso a queste modificazioni dello stile di vita è assai modesta e/o presente solo in una percentuale limitata di soggetti e questo ripropone la necessità di avere la possibilità di trattare l’obesità, che è una malattia cronica come l’ipertensione, con farmaci efficaci e non controindicati nei pazienti ipertesi.

Una eccessiva introduzione di alcool può aumentare la PA, soprattutto la PA sistolica, e può aumentare il rischio di ictus emorragico 29. E’ quindi raccomandabile ridurre l’introduzione di alcool a meno di 20-30 gr/die, ricordando però che una modesta introduzione di alcool, soprattutto vino, riduce il rischio di eventi coronarici27.

Infine l’esercizio fisico moderato, che cioè comporti un aumento della frequenza cardiaca, e sia di tipo dinamico, ha il vantaggio di ridurre la PA sia nei normotesi che negli ipertesi, aumentare il colesterolo HDL, migliorare la sensibilità all’insulina e contribuire a ridurre il peso corporeo e/o a mantenere un peso corporeo ottimale27.

L’abolizione del fumo è forse la più importante modificazione dello stile di vita per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e non cardiovascolari del paziente iperteso27. Quindi a tutti i pazienti ipertesi deve essere raccomandato di smettere di fumare consigliando eventualmente la terapia sostitutiva con nicotina 30 o con bupropione31.

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Gli acidi grassi insaturi contenuti nel pesce possono avere un modesto effetto ipotensivo e concorrono a migliorare il profilo di rischio cardiovascolare. Tuttavia piuttosto che ricorrere alla somministrazione di olio di pesce, è logico consigliare ai pazienti di aumentare il consumo di pesce nella dieta27.

Il caffè, per il suo contenuto di caffeina può aumentare la PA, ma nella maggior parte dei bevitori regolari di caffè si sviluppa tolleranza alla caffeina e questo è in accordo con gli studi epidemiologici che non hanno evidenziato aumento della PA nei regolari bevitori di caffè 32. Quindi è possibile consentire l’uso moderato di caffè, cioè di 1-3 caffè al dì al paziente iperteso soprattutto se non fumatore, in quanto caffè e fumo hanno un effetto additivo nell’aumentare la PA. Una buona alternativa al caffè è il thè, una bevanda che tra l’altro può avere un effetto antiossidante e quindi migliorare la funzione endoteliale 33. Un altro possibile beneficio delle modificazioni dello stile di vita nella prevenzione primaria del rischio cardiovascolare è rappresentato dalla possibilità di prevenire la comparsa di diabete mellito tipo 2, frequentemente associata ad ipertensione e dislipidemia e che si accompagna ad uno spiccato aumento del rischio di danno e di eventi cardiovascolari. Questa esplosione epidemiologica a livello mondiale dell’incidenza di diabete tipo 2 è spiegabile soprattutto con l’abitudine ad uno stile di vita caratterizzato dall’eccessiva introduzione calorica e dalla sedentarietà. Infatti, è stato dimostrato da una serie di studi epidemiologici che l’aumento del peso corporeo e soprattutto l’obesità aumentano drammaticamente il rischio di sviluppare diabete tipo 2 e che

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l’inattività fisica aumenta ulteriormente tale rischio, indipendentemente dall’obesità 34

, mentre l’adozione delle modificazioni dello stile di vita riduce il rischio di diabete del 50% nelle donne in sovrappeso o normopeso e del 24% nelle donne obese 35.

Terapia farmacologica

L’impegno profuso nella ricerca farmacologica negli ultimi 50 anni ha portato allo sviluppo di classi di farmaci, quali i diuretici, i -bloccanti, gli  1-antagonisti, i -1 antagonisti, i simpaticomodulatori, gli ACE-inibitori, i calcio antagonisti e gli antagonisti dei recettori AT-1 dell’angiotensina II (AT1-antagonisti), che sono efficaci nell’ipotendere con diverse caratteristiche di efficacia tollerabilità e di meccanismi di azione.

Questa ampia disponibilità di farmaci offre la possibilità non solo di ottenere un efficace effetto ipotensivo, ma anche di agire positivamente su i molteplici meccanismi che causano il danno e quindi gli eventi cardiovascolari.

La decisione di iniziare la terapia farmacologica è basata sul profilo di rischio cardiovascolare del paziente (Tabella 2), in quanto la terapia deve essere tanto più precoce quanto maggiore è il rischio 8 .

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più precoce quanto maggiore è il rischio 8.

Monoterapia e terapia d’associazione.

La terapia farmacologica deve essere programmata tenendo conto di almeno due criteri e precisamente la scelta del farmaco con il quale iniziare la terapia e quindi la possibilità di utilizzare un solo farmaco (monoterapia) o la combinazione di due o più farmaci (terapia di associazione).

La monoterapia è una scelta logica soprattutto nei pazienti con ipertensione lieve-moderata senza complicanze legate all’ipertensione. Una volta scelto il farmaco secondo i criteri di seguito riportati, deve essere valutata sia la risposta in termini di riduzione della PA, il che deve essere fatto dopo almeno un mese di terapia, che la tollerabilità sia breve che a lungo termine.

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Se la monoterapia riduce la PA di almeno il 5% e possibilmente del 10% senza ottenere un controllo ottimale della PA ed è ben tollerata esistono due ulteriori possibilità terapeutiche. La prima è quella di aumentare la dose del farmaco con una titolazione progressiva della dose, il che è possibile per i farmaci, quali i diuretici, i -bloccanti, gli 1-antagonisti ed i calcio-antagonisti, che hanno una curva dose-risposta in termini di efficacia ipotensiva. Questa titolazione della dose deve essere fatta tenendo presente sia la dose massima efficace, cioè la dose che raggiunge il plateau della curva dose-risposta oltre la quale non è logico salire, che la comparsa di effetti collaterali dose-dipendenti 36. Viceversa per i farmaci quali gli ACE-inibitori 37 e probabilmente gli AT1-antagonisti 38, che presentano una curva dose-risposta non in termini di efficacia assoluta ma di efficacia-durata, non è logico aumentare la dose se si è prescritto, come deve essere fatto, già la dose ottimale.

L’altra possibilità è quella di passare alla terapia di associazione che è ovviamente necessaria se anche la opportuna titolazione della dose non controlla in modo efficace la PA. Invece se la monoterapia non ha un effetto ipotensivo minimo efficace ed anche se efficace non è tollerata, è logico attuare la monoterapia sequenziale, cioè la scelta ragionata di un farmaco appartenente ad un’altra classe farmacologica, valutandone gli effetti e la successiva sequenza terapeutica come sopra riportato.

Infine la terapia di associazione può rappresentare già la scelta terapeutica iniziale, soprattutto nei pazienti con ipertensione severa con complicanze legate

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all’ipertensione ed è una terapia che è assai spesso necessaria per ottenere un controllo ottimale della PA 39.

L’associazione di due o più farmaci deve essere razionale nel senso che la combinazione dei farmaci deve avere un effetto additivo in termini di riduzione della PA e possibilmente ridurre od almeno non aumentare l’incidenza di effetti collaterali, evitando ovviamente le associazioni senza effetto ipotensivo additivo o con interazione negativa sull’effetto ipotensivo o potenzialmente pericolose. Le associazioni possono essere estemporanee, cioè associazioni di farmaci in diverse formulazioni terapeutiche, o fisse, cioè l'associazione di due farmaci in una singola formulazione terapeutica, con vantaggi e svantaggi per entrambe le associazioni. Le prime hanno il vantaggio di essere flessibili, cioè di permettere un aggiustamento posologico dei due farmaci, ma hanno lo svantaggio di ridurre la compliance del paziente alla terapia.

Viceversa, le associazioni fisse hanno il vantaggio di aumentare la compliance del paziente alla terapia soprattutto quando è necessario associare un altro farmaco, ma hanno lo svantaggio di non permettere l’aggiustamento posologico.

Scelta del farmaco

Anche alla luce della recente metanalisi del BPLTTC, si conferma che il beneficio sostanziale della terapia è legato alla riduzione dei valori tensivi di per sé, senza differenze specifiche nell’uso di alcune classi di farmaci

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antiipertensivi in base all’eta’. Mentre alcune recenti lineeguida, come quella inglese o canadese40, 41, identificano i farmaci così detti di prima scelta sulla base dei dati degli studi clinici controllati e/o di quella che viene definita la medicina basata sulle evidenze, le lineeguida europee suggeriscono di lasciare al medico ampia discrezionalità nella scelta del regime terapeutico (monoterapia o associazioni, a dosaggio variabile) purché si raggiunga il target pressorio indicato. A differenza delle lineeguida americane che considerano i tiazidici il trattamento di prima scelta nel paziente con ipertensione lieve non complicata, tutti i farmaci antipertensivi hanno pari dignità come trattamento di prima scelta, anche perchè la maggior parte dei pazienti necessita di più farmaci per raggiungere il valore pressorio desiderato.. La terapia deve essere però personalizzata sulla base delle caratteristiche cliniche e delle comorbidità. Qualora quindi non esistano condizioni specifiche, la scelta dovrà tener conto del costo, della tollerabilità e della presenza di controindicazioni7.

Ulteriori studi sono stati eseguiti per valutare se, a parità di riduzione della PA, esistano differenze fra le varie classi di farmaci nel ridurre il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare. I dati attuali 42 non permettono di stabilire con certezza se una classe od una sottoclasse farmacologica ha particolari vantaggi in termine di prevenzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti senza particolari indicazioni terapeutiche e per questo l’attuale scelta della terapia farmacologica non può essere ristretta ad alcune classi farmacologiche.

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Tuttavia, alcuni effetti favorevoli sembrano essere meglio esercitati da alcune classi di farmaci rispetto ad altre. I calcioantagonisti, meno utili nella prevenzione dello scompenso cardiaco, sembrano più utili nei confronti della prevenzione dell’ictus, mentre gli ACE-inibitori in quella degli eventi coronarici. Viene inoltre confermato l’effetto protettivo dei farmaci ad azione sul sistema renina angiotensina sulla funzionalità renale

Tollerabilita’- effetti collaterali

In termini di tollerabilità ogni farmaco può essere responsabile di effetti collaterali e/o indesiderati e per questo è necessario valutare in modo corretto la tollerabilità alla terapia del paziente tenendo presente che la comparsa di effetti collaterali può essere dovuta solo al fatto di assumere una “terapia”.

Gli effetti collaterali possono essere legati ad una eccessiva riduzione della PA soprattutto quando questa è rapida e/o si accompagna ad ipotensione ortostatica. Per questo è necessario ridurre la PA in modo graduale evitando e/o titolando in modo opportuno i farmaci che inducono ipotensione ortostatica. Esistono effetti collaterali che sono classe-specifici, cioè comuni a tutti i farmaci di quella classe, quale ad esempio la tosse con gli ACE-inibitori, l’edema malleolare con i calcio-antagonisti, il freddo alle estremità ed il fenomeno di Raynaud con i beta-bloccanti, la gotta con i diuretici e nell’ambito di una classe effetti collaterali sottoclasse-specifici, quale ad esempio la stipsi con i calcio-antagonisti non diidropiridinici e la depressione con i

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beta-bloccanti lipofilici. Alcuni effetti collaterali classe specifici sono indipendenti dalla dose assunta, come ad esempio la tosse da ACE-inibitori, o dose-dipendenti, come ad esempio le vampate di calore e le palpitazioni con i vasodilatatori o i calcio-antagonisti e l’edema malleolare da calcio-antagonisti ed influenzati dalle caratteristiche farmacocinetiche, cioè presenti soprattutto con i farmaci a breve durata d’azione con alte concentrazioni e/o effetto al tempo di picco. Per questo non è razionale utilizzare un altro farmaco della stessa classe farmacologica se il paziente ha effetti collaterali classe-specifici, o ridurre la dose del farmaco per effetti collaterali dose-indipendenti. Viceversa può essere logico ridurre la posologia e soprattutto usare formulazioni a lento rilascio o farmaci a lunga durata d’azione per gli effetti collaterali dose dipendenti e legati ad eccessivo effetto al tempo di picco.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi e’ stato quello di valutare retrospettivamente quale sia stato il controllo della pressione arteriosa in una popolazione di pazienti afferenti negli anni 2004-2008 presso il Centro di Riferimento Regionale dell’Ipertensione Arteriosa dell’Universita’ degli Studi di Pisa.

Inoltre è stata esaminata l’efficacia della terapia non farmacologica e farmacologica nel raggiungere tali risultati.

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MATERIALI E METODI :

Pazienti

Lo studio è stato eseguito tramite una analisi retrospettiva delle caratteristiche cliniche di 392 pazienti non selezionati al loro primo accesso ambulatoriale al Centro e nelle successive visite di controllo (follow up fino a 3 visite ambulatoriali successive, range 3-30 mesi dalla prima visita). Nella casistica della popolazione sono stati esclusi pazienti nei quali è stata successivamente posta una diagnosi di forma secondaria di ipertensione arteriosa.

I dati anagrafici comprendenti età e sesso, l’anamnesi familiare, fisiologica, patologica prossima e remota, la sintomatologia al momento della visita, l’esame obiettivo, inclusa la misurazione clinica dei valori pressori, sono stati raccolti per ciascun paziente alla prima visita ed a ciascuna visita di controllo, utilizzando una cartella clinica elettronica.

Gli esami ematochimici di primo livello, comprendenti creatininemia, colesterolo totale, HDL e LDL, trigliceridemia e glicemia, necessari per la stratificazione del rischio del paziente iperteso 8, sono stati eseguiti secondo metodiche standard al basale ed almeno ad una successiva visita di controllo e raccolti nella medesima cartella clinica.

Sono state infine raccolte informazioni sulla terapia non farmacologica e farmacologica.

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Misurazione della pressione arteriosa e classificazione dell’ipertensione

La misurazione della pressione arteriosa è stata effettuata secondo le indicazioni delle attuali Linee Guida della Società Europea dell’Ipertensione e della Società Europea di Cardiologia 8. In breve, la pressione arteriosa è stata misurata con apparecchio elettronico, con il paziente in posizione seduta dopo almeno 5’ dall’assunzione di tale posizione. La misurazione è stata effettuata con il braccio in leggera flessione all’altezza del 4° spazio intercostale e privo di indumenti fino all’ascella. Sono state effettuate due misurazioni a distanza di 3’ l’una dall’altra e ne è stata considerata la media; se i valori delle due misurazioni differivano di > 5 mm Hg, è stata ripetuta una terza misurazione ed è stata effettuata la media delle ultime due misurazioni.

La classificazione del controllo dei valori pressori è stata effettuata seguendo le citate Linee Guida 8. In particolare è stato definito come “controllo efficace” il raggiungimento di valori di pressione arteriosa clinica <140/90 mmHg nella popolazione generale e <130/80 mmHg nella popolazione di pazienti diabetici.

Valutazione degli altri fattori di rischio

Dati riguardanti età, sesso e familiarità per eventi cardiovascolari in età precoce sono stati raccolti mediante anamnesi eseguita durante la prima visita effettuata presso il Centro. Tutti i dati relativi ai fattori di rischio modificabili, descritti di seguito in dettaglio, sono stati raccolti al primo accesso ed ad ogni visita successiva. L’utilizzo di una cartella clinica computerizzata ha

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successivamente permesso di eseguire l’analisi statistica .

1. Attivita’ fisica

I dati relativi all’esercizio fisico sono stati valutati tramite raccolta anamnestica. Tenendo in considerazione il tipo, l’intensità e la durata dell’attività fisica svolta, l’analisi dei dati è stata eseguita assegnando uno score da 0 a 3, dove 0 corrisponde a nessuna attività fisica, 1 ad attività fisica lieve, 2 ad attività fisica moderata, 3 ad attività fisica intensa.

2. Fumo

In maniera simile, l’abitudine al fumo di sigaretta, raccolta tramite anamnesi, è stata successivamente valutata tramite uno scoring da 0 a 2, in cui 0 corrisponde a non fumatore, 1 ad ex-fumatore (da almeno 1 anno), 2 fumatore. L’uso di pipa o sigaro non è stato analizzato.

3. Diabete

Oltre alla raccolta anamnestica di familiarità positiva per diabete mellito, sono stati valutati i risultati di esami ematochimici di routine, quali glicemia e, se necessario, emoglobina glicata. Sulla base di tali esami sono stati definiti diabetici i pazienti con valori di glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl o inferiori se in trattamento con antidiabetici orali od insulina, o per valori di emoglobina glicata > 6.0%, secondo le Linee Guida dell’American Diabetes Association del 200243.

(28)

4. Dislipidemia

I risultati degli esami ematochimici di routine per i valori di colesterolo totale, HDL e LDL, e trigliceridemia, insieme alle informazioni riguardanti l’uso di statine sono stati raccolti ed analizzati per la valutazione del profilo di rischio del paziente. Inoltre variazioni di tali parametri sono state considerate indici dell’aderenza alle modificazioni dello stile di vita durante il follow up.

5. Obesita’

L’esame obiettivo ha permesso la raccolta dei parametri altezza e peso dei pazienti durante il primo accesso e di nuovo del peso alle visite successive. Per la valutazione del fattore di rischio obesità é stato utilizzato il parametro body mass index (BMI) ottenuto tramite la formula matematica: BMI=peso/(altezza in m)2 e sono stati considerati sovrappeso pazienti con BMI ≥25 ed obesi pazienti con BMI ≥30. Il BMI è stato utilizzato anche come parametro indicativo per la prescrizione di una dieta con adeguato ed individualizzato contenuto di calorie, nonché come parametro aggiuntivo per la valutazione dell’aderenza al regime dietetico.

Abitudini alimentari e terapia non farmacologica

Oltre all’abitudine al fumo ed all’attività fisica, che sono state discusse precedentemente, le abitudini alimentari e le eventuali modificazioni sono state indagate tramite raccolta anamnestica durante ogni visita.

(29)

(scarsa, normale, abbondante), il contenuto di sodio (poco sale, indifferente al sale, con aggiunta di sale) e di grassi (povera, indifferente, con molti grassi). Infine, l’intake di alcool e caffé sono stati valutati tramite uno scoring da 0 (non assunto) a 3 (>60g/die e >5/die, rispettivamente).

Al termine di ogni visita è stata registrata la eventuale prescrizione di una terapia non farmacologica, in particolare di una dieta iposodica, con adeguato contenuto di calorie e, se necessario, a basso contenuto di colesterolo, di attività fisica continuativa (almeno 30’ per almeno 3 volte alla settimana) di tipo dinamico e, se opportuno, dell’astensione dal fumo.

Terapia farmacologica

I dati riguardanti l’assenza di terapia farmacologica o il numero ed il tipo di farmaci antiipertensivi assunti, le classi di farmaci utilizzati e le modificazioni della terapia nel tempo sono stati raccolti ad ogni visita ed inseriti nella cartella clinica elettronica per l’analisi statistica.

Analisi statistica

I dati sono stati analizzati usando il pacchetto statistico NCSS. I risultati sono espressi come media±errore standard, mentre i dati descrittivi sono espressi come mediadeviazione standard.

(30)

Le differenze tra le medie sono state paragonate con un test di Student per dati appaiati e non appaiati o test del χ2. L’analisi multivariata è stata utilizzata per

(31)

RISULTATI

Le visite di controllo successive alla prima si sono verificate ad un intervallo medio di tempo di circa 6 mesi l’una dall’altra (Tabella 3).

1 visita 2 visita 3 visita Tempo dal basale (mesi) 7 7 13 8 19 7 Tabella 3. Follow up medio

Le caratteristiche cliniche della popolazione esaminata alla prima visita, comprendenti fattori di rischio, sono rappresentate in Tabella 4.

Tabella 4. Caratteristiche cliniche della popolazione studiata

Parametro n %

Etá Media (anni)

Range (anni) ≥65 anni 58.0 12.9 15-90 133 33.9 Sesso Maschi Femmine 218 174 55.6 44.4

Obesitá Peso medio(Kg) BMI>30 BMI=25-29.9 78.0 15.8 86 191 21.9 48.7

Diabete Glicemia media (mg/dl) Pazienti diabetici

103.4 30.4

46 11.7

Dislipidemia Colesterolo totale>200 mg/dl

Colesterolo LDL>130 mg/dl

74.0 50.3

(32)

Nella popolazione di pazienti ipertesi analizzata vi era una leggera prevalenza di pazienti di sesso maschile, circa 1/3 dei pazienti era anziano, circa 2/3 erano dislipidemici, mentre una minoranza presentava diabete mellito di tipo 2.

La familiarità per eventi cardiovascolari precoci (età <55 anni negli uomini e <65 anni nelle donne) era presente nel 43% della popolazione dello studio, mentre la familiarità per ipertensione era del 38%.

La Tabella 5 riporta l’incidenza delle condizioni cliniche associate all’ipertensione arteriosa che condizionano la prognosi del paziente iperteso.

Condizioni cliniche associate Percentuale

Pregresso IMA Angina

Scompenso cardiaco congestizio

1.2 1.2 0.2

Ictus/TIA 8.4

Nefropatia-Insufficienza renale 4.5

Tabella 5. Condizioni cliniche associate

Circa il 60% dei pazienti non presentava storia di fumo di sigaretta, mentre il 40% svolgeva attività fisica (Tabella 6) .

(33)

Infine, la Tabella 8 riporta l’incidenza nella popolazione dello studio di altre patologie associate che, rappresentando indicazioni o controindicazioni, assolute o relative, all’uso di un farmaco o di una classe di farmaci, condizionano la scelta della terapia farmacologica.

Altre patologie associate Percentuale

Emicrania Cefalea tensiva Cefalea a grappolo 10.4 21.6 0.7 Asma BPCO 1.9 1.1 Insufficienza venosa 3 Nefrolitiasi 4.1 Gotta 0.7

Ipertrofia prostatica benigna 5.2 Ansia Attacchi di panico Depressione 8.2 2.6 10.4 Ipotiroidismo Ipertiroidismo Gozzo normofunzionante 8.9 0.7 4.2 Stipsi Diarrea 0.4 0.4 Reflusso gastroesofageo 9.7

(34)

Valutazione dei valori pressori nella popolazione generale

Le medie dei valori di pressione arteriosa alla visita basale erano di 151±21/89±12 mmHg. Tali valori risultavano significamente (p<0.01) ridotti fin dalla prima visita di controllo (144±19/83±9 mmHg), e rimanevano stabili, non mostrando significative differenze nelle visite successive (Figura 2).

Figura 2. Comportamento della pressione arteriosa (PA)

p<0.001 vs basale

*

70 80 90 100 110 120 130 140 150 160

basale 1 visita 2 visita 3 visita

PA (m m H g )

*

*

*

*

*

*

Alla visita basale circa il 35% dei pazienti mostrava valori pressori sisto-diastolici <140/90 mmHg. Nel follow up si è osservato un progressivo miglior controllo pressorio con un 58% dei pazienti con valori sisto-diastolici inferiori a 140/90 mmHg alla terza visita di controllo (Figura 3).

(35)

Figura 3. Percentuale di pazienti con PA controllata

p<0.001 vs basale

*

0 20 40 60 80 100

basale 1 visita 2 visita 3 visita

P A ( % )

*

*

*

35 55 55 58

I dati disaggregati di pressione sistolica e diastolica mostravano alla visita basale un miglior controllo dei valori di pressione diastolica (58%) rispetto ai valori di sistolica (35%). Inoltre, al follow up si osservava un incremento della percentuale di controllo efficace sia dei valori di pressione arteriosa sistolica che diastolica. Tale effetto era ottenuto già dalla prima visita di controllo e successivamente mantenuto nel tempo (Figura 4 e 5).

0 20 40 60 80 100

basale 1 visita 2 visita 3 visita

P AS ( % ) * * * 35 58 57 58 p<0.001 vs basale *

Figura 4. Percentuale di pazienti con PAS controllata

0 20 40 60 80 100

basale 1 visita 2 visita 3 visita

P AD ( % ) * * * 58 90 89 91 p<0.001 vs basale *

(36)

Valutazione della terapia non farmacologica

La percentuale di pazienti fumatori (42.4%) non si è modificata durante il follow up ed è rimasta pressochè costante anche nei vari sottogruppi analizzati. Tutti i pazienti hanno dichiarato di aver ridotto l’assunzione di cibi ricchi di grassi e l’apporto di sale aggiunto, anche se solo una piccola percentuale di pazienti ha ridotto il sodio assunto con la dieta (dal 7.1% al basale al 19.3% al termine del follow up).

Tuttavia, nonostante una significativa riduzione del peso corporeo al termine del follow up (da 77.8±15.4 a 75.9±14.7 Kg), la percentuale di pazienti sovrappeso od obesi è rimasta pressochè immodificata (Tabella 8).

Basale 1 Visita 2 Visita 3 Visita

Peso (Kg) 77.8 15.4 77.3 15.6 76.1 14.8 75.9 14.7 *

BMI 27.3 4.7 27.0 4.3 26.8 4.3 27.0 5.4

BMI > 30 (%) 20.4 18.1 20.2 18.8

*p<0.05

Tabella 8. Percentuale di pazienti obesi e sovrappeso

Valutazione della terapia farmacologica

La percentuale dei pazienti che non assumevano terapia farmacologica si è significativamente ridotta durante il follow up, passando dal 17.5% iniziale al 7.4% dell’ultima visita di controllo (p<0.05) (Tabella 9). Similmente, la percentuale di pazienti trattati con monoterapia si è ridotta (dal 32.0% al

(37)

18.2%) parallelamente all’aumento della terapia di associazione (dal 50.6% al 74.5%) (Tabella 9).

Basale 1 Visita 2 Visita 3 Visita

Solo modificazioni stile di vita (%) 17.5 12.1 8.3 7.4

Monoterapia (%) 32.0 26.3 18.5 18.2

Terapia d’associazione (%) 50.6 61.6 73.1 74.5

Tabella 9. Pazienti (%) in terapia non farmacologica e farmacologica

Al miglioramento pertanto del controllo dei valori pressori corrispondeva pertanto un incremento del numero medio di farmaci assunti (Figura 6), una riduzione significativa del BMI (Tabella 8) e un miglioramento del profilo lipidico (Tabella 10), indici di un trattamento piu’ aggressivo.

p<0.001 vs basale

*

0 1 2 3

basale 1 visita 2 visita 3 visita

F a rm a c i (n )

*

*

1.6 1.8 2.0 2.2

Figura 6. Media dei farmaci antiipertensivi assunti

(38)

Per quanto riguarda le classi di farmaci antiipertensivi assunti si è osservata una non significativa riduzione dell’assunzione di β-bloccanti e simpatico modulatori, con aumento di Diuretici, Calcio-antagonisti, AT1-antagonisti e degli α1-antagonisti (Figura 7).

Figura 7. Tipologia farmaci nel follow up

0 10 20 30 40 50 60

DD Ca-A AT1-I ACE-I Beta B Alpha B SM

% farmaci

Basale 1 visita 2 visita 3 visita

Valutazione dei fattori di rischio associati Diabete

Nella popolazione analizzata, 19 pazienti sono stati classificati come diabetici. I valori pressori basali dei pazienti diabetici (143±16/83±12 mmHg) non erano significativamente diversi dai valori dei pazienti non diabetici. La percentuale di pazienti con valori pressori controllati (<130/80 mmHg) è basalmente più bassa (15.8%) della media raggiunta dalla popolazione generale e rimane modesta, pur notandosi un lieve miglioramento, nel follow up (20%).

(39)

Dislipidemia

Rispetto al basale, il profilo lipidico mostra un progressivo miglioramento durante le successive visite di controllo fino a raggiungere al termine del follow up una riduzione significativa del colesterolo plasmatico totale ed LDL e dei trigliceridi plasmatici ed un aumento significativo del colesterolo HDL (Figura 8, Tabella 10). 50 70 90 110 130 150 170 190 210 230

Basale 1 visita 2 visita 3 visita

Pr o fi lo l ip id ic o (m g /d l)

*

*

*

Colesterolo totale LDL HDL Trigliceridi

*

p<0.05 vs basale

*

Figura 8. Follow up profilo lipidico

*

*

*

*

I l miglioramento del profilo lipidico si associava ad un aumento significativo del numero dei pazienti a cui erano prescritte e che assumevano statine in una percentuale che aumentava progressivamente e significativamente dal 9.3% al 28.3% (Figura 9).

(40)

0 20 40

Basale 1 visita 2 visita 3 visita

100 Pa zi e n ti c o n s ta ti n a (% ) 9.3 13.3 18.5 28.3* * * p<0.05 vs basale *

Figura 9. Pazienti in trattamento con statine

Il controllo dei valori di colesterolemia totale (<200 mg/dl) al termine del follow up veniva ottenuto nel 44.7% dei pazienti rispetto ad 34.5% basale, mentre il colesterolo LDL era inferiore a 130 mg/dl nel 54.4% dei pazienti rispetto ad un 42.4% dei pazienti che avevano un controllo ottimale gia’ al momento del primo accesso (Tabella 10).

Basale 1 Visita 2 Visita 3 Visita

Colesterolo totale (mg/dl) media ds <200 mg/dl (%) 214.9 40.7 34.5 211.1 38.0 38.4 211.3 35.6 39.8 209.0 31.8 * 44.7 * Colesterolo HDL (mg/dl) 54.0 13.8 58.6 27.2* 57.6 14.9* 58.3 15.1 * Colesterolo LDL (mg/dl) media ds <130 mg/dl (%) 132.8 35.1 42.4 130.8 35.3 47.6 130.2 30.0 53.0 126.4 27.9* 54.4* Trigliceridi (mg/dl) media ds <150 mg/dl (%) 135.9 85.2 69.9 118.6 58.0* 77.9 117.2 72.8* 77.4 116.1 69.7 * 83.0 * Tabella 10. Follow up del profilo lipidico e percentuale di pazienti con valori

nel range di normalitá

p<0.05 vs basale

(41)

DISCUSSIONE

I risultati della presente tesi mostrano che in una popolazione generale di pazienti ipertesi afferenti ad un Centro di riferimento dell’Ipertensione Arteriosa il controllo efficace dei valori sisto-diastolici passa dal 34% al 57% dei pazienti in un periodo di follow up di circa 18 mesi con visite semestrali. I migliori risultati sono stati ottenuti nel controllo della pressione arteriosa diastolica (92%) rispetto alla sistolica (57%). Tali risultati si associavano in parte ad una maggior aderenza alle norme igienico-dietetiche (nel 19% circa dei pazienti). Infatti, i pazienti riferivano una più stretta aderenza ad una dieta iposodica ed ipocalorica, risultante in una significativa, seppur lieve, riduzione del peso corporeo. Tuttavia, sebbene i dati attuali mostrano che i pazienti riconoscono l’importanza di uno stile di vita salutare 44

, nessuno dei pazienti del presente studio si è astenuto dal fumo e solo una piccola percentuale dei pazienti ha ridotto il consumo di alcool. Tuttavia è stato osservato che il miglior controllo dei valori pressori era soprattutto associato ad un trattamento farmacologico più aggressivo. La riduzione della pressione arteriosa era infatti inversamente proporzionale al numero dei farmaci assunti e durante il follow up si é osservato un progressivo passaggio dalla monoterapia alla terapia d’associazione.

I risultati della presente tesi risultano essere in linea con gli studi epidemiologici pubblicati recentemente e discussi nell’introduzione. E’

(42)

interessante tuttavia notare il dato che alla visita iniziale la media dei farmaci assunti sia 1.5, e che circa il 30% dei pazienti assuma monoterapia ed addirittura il 50% una terapia d’associazione. Alle visite successive il numero dei farmaci aumenta significativamente mentre vi è un trend non significativo per l’aumento di prescrizione di alcuni farmaci come diuretici, Calcioantagonisti ed αantagonisti. Nonostante la progressiva riduzione dei valori di pressione sia sistolica che diastolica la percentuale dei pazienti con controllo efficace della pressione arteriosa raggiunto alla prima visita si mantiene pressoché costante nelle visite successive e ciò rappresenta un risultato potenzialmente migliorabile.

Come già discusso, una maggiore riduzione della pressione arteriosa è in grado di ridurre ulteriormente il rischio di eventi morbosi e mortali cardiovascolari, suggerendo quindi la necessità di una terapia antiipertensiva più aggressiva 42. Questo dato e’ stato confermato anche nello studio PROGRESS, nel quale la recidiva di ictus cerebrale, che era l’obiettivo primario dello studio, è stata ridotta in maniera simile negli ipertesi e nei normotesi, ma con una più spiccata riduzione soprattutto nel gruppo trattato con terapia di associazione e/o con maggiore riduzione della PA rispetto al gruppo trattato con monoterapia e/o con minor riduzione della PA45.

Chiare evidenze mostrano una certa reticenza da parte dei medici ad agire nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione, il diabete ed l’ipercolesterolemia, per i quali nonostante sia ampiamente dimostrato il

(43)

beneficio della terapia e vi sia abbondanza di strumenti terapeutici efficaci, spesso la apparente “innocuità” e/o asintomaticità previene il trattamento tempestivo ed aggressivo. Tale atteggiamento di riconoscimento della malattia ma con mancanza di adeguato trattamento, è stato definito recentemente “inerzia clinica” 46

.

Inoltre, , i valori di PA diastolica sono ancora spesso il parametro cardine per la decisione da parte del medico di iniziare il trattamento dell’ipertensione, e molti medici sono scettici circa il beneficio di trattare un aumento isolato della PA sistolica e quindi particolarmente nell’anziano47.

Una ulteriore barriera al raggiungimento di un efficace controllo dei valori pressori è rappresentato dalla mancata aderenza del paziente alla terapia. E’ perciò fondamentale un buon rapporto medico-paziente per ottenere la fiducia del paziente e di conseguenza la aderenza alle prescrizioni mediche. Uno studio condotto su 1000 pazienti afferenti ad una struttura universitaria in Grecia ha evidenziato una aderenza molto bassa alla terapia prescritta (15%) 48. Tuttavia è risultata una notevole e significativa differenza tra l’aderenza nei pazienti che erano stati correttamente informati (44%) e quella dei pazienti non informati (3%) sull’importanza del trattamento ed i rischi legati all’ipertensione 48

. L’ipotesi che l’aderenza del paziente alla terapia condizioni il controllo efficace della pressione, è stato confermato dai dati degli studi disponibili in letteratura

49

, ma esistono anche dati che non indicano una evidente relazione fra aderenza alla terapia e controllo efficace della PA 50. Inoltre la valutazione dell’aderenza

(44)

alla terapia si avvale tuttora di metodologie imperfette, basate su tecniche quali la risposta del paziente a questionari, la frequenza di acquisto in farmacia delle confezioni di farmaci, la conta delle compresse rimanenti in un certo arco di tempo oppure il monitoraggio elettronico dell’assunzione dei farmaci 51

. Il presente lavoro ha utilizzato i dati raccolti dal medico durante visita ambulatoriale, basandosi sulle informazioni fornite dai pazienti stessi. Non essendo stato fornito ai pazienti alcun questionario sull’aderenza alla terapia, i dati sono stati estrapolati da un’anamnesi di routine e quindi l’aderenza alla terapia da parte del paziente non può essere valutata con certezza. Tuttavia, definendo aderenti e non-aderenti i pazienti che rispettivamente assumono almeno o meno dell’80% dei farmaci prescritti, e parzialmente aderenti alla terapia coloro che assumono la terapia ma non secondo il regime prescritto 51, tutti i pazienti hanno riferito di aderire alla terapia farmacologica prescritta.

(45)

CONCLUSIONI

In una popolazione di pazienti ipertesi è possibile migliorare il controllo della pressione arteriosa con un follow up semestrale. Tale risultato, ottenuto incrementando le terapie non farmacologica e farmacologica, non è ancora ottimale.

Nell’insieme i risultati suggeriscono la necessità di sviluppare nuove strategie per migliorare le conoscenze e l’atteggiamento del medico verso l’ipertensione arteriosa e soprattutto verso l’ipertensione sistolica, così che venga posta piú attenzione all’identificazione dell’ipertensione, al trattamento dei pazienti riconosciuti ipertesi e ad una strategia terapeutica razionale per migliorare il controllo della PA nei pazienti trattati, il che significa ridurre sia l’inerzia clinica che quella terapeutica.

(46)

RINGRAZIAMENTI

Vorrei porgere i più sentiti ringraziamenti a tutte le persone che mi sono state vicine durante questo lavoro di tesi, in particolar modo al Prof. Stefano Taddei per avermi dato l’opportunità di svolgere questo lavoro e per i preziosi

insegnamenti ricevuti durante il corso di laurea.

Al dott. Lorenzo Ghiadoni e ai medici del Centro Ipertensione, in particolare alla dott.ssa Elena Daghini e alla dott.ssa Irene Del Frate per l’aiuto, la generosa disponibilità e il supporto prestatomi durante lo svolgimento della presente tesi.

Agli amici di facoltà Laura, Martina, Vittoria ed Edoardo per i pomeriggi di studio passati insieme.

A Saul, Enrico e alle mie coinquiline per aver sopportato il mio carattere non sempre semplice.

A Giada F., Viola, Sara, Valentina e Laila per essermi state vicine in ogni momento.

A Francesco per aver condiviso con me la preparazione di ogni esame senza mai lamentarsi troppo.

A Edi, Samantha, Erika, Silvia e Giada L. per aver sempre dimostrato di credere in me come persona.

Alle mie zie e ai miei cugini, in particolare Loretta, Monica, Daniele, Giorgio e Fabrizio per avermi incoraggiata.

(47)

Infine un ringraziamento particolare va ai miei genitori e a Claudia e David per il loro appoggio quotidiano, per la fiducia che hanno riposto in me e per

(48)

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Figura

Tabella 1. Classificazione della pressione arteriosa
Tabella 4. Caratteristiche cliniche della popolazione studiata
Tabella 5. Condizioni cliniche associate
Tabella 7. Altre patologie associate
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