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Micol AMAR SEMICONTINUIT `A E RILASSAMENTO APPUNTI PER IL CORSO DI DOTTORATO A.A. 2003/2004 DOTTORATO DI MODELLI E METODI MATEMATICI PER LA TECNOLOGIA E LA SOCIET`A 1

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(1)

Micol AMAR

SEMICONTINUIT `A E RILASSAMENTO

APPUNTI PER IL CORSO DI DOTTORATO A.A. 2003/2004

DOTTORATO DI MODELLI E METODI MATEMATICI PER LA TECNOLOGIA E LA SOCIET`A

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INDICE

Prefazione . . . . 5

Notazioni . . . . 7

Capitolo 1. Richiami di analisi funzionale . . . . 9

Capitolo 2. Analisi convessa . . . 21

Capitolo 3. Metodi diretti . . . 41

Bibliografia . . . 67

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PREFAZIONE

Questo quaderno raccoglie gli appunti utilizzati per le lezioni di un corso di 20/25 ore, dal titolo “Semicontinuit`a e Rilassamento”, svoltosi nell’a.a. 2003/2004, nell’ambito del Dottorato di Modelli e Metodi Matematici per la Tecnologia e la Societ`a, presso il Dipartimento Me.Mo.Mat.

della Facolt`a di Ingegneria dell’Universit`a “La Sapienza” di Roma.

Nell’intento dell’autore, esso vorrebbe rappresentare un primo approccio allo studio dei pro- blemi di minimo tramite i Metodi Diretti del Calcolo delle Variazioni, senza alcuna pretesa di essere esaustivo sull’argomento, peraltro molto vasto e in continua espansione. Questi appunti dovrebbero fornire agli studenti una panoramica di alcuni dei principali risultati attualmente noti in tale ambito e costituire strumento essenziale per ulteriori approfondimenti, per i quali si consiglia di fare riferimento alla bibliografia riportata in fondo al quaderno.

Questo quaderno `e suddiviso in tre capitoli: nel Capitolo 1 vengono richiamate, molto som- mariamente, alcune nozioni di analisi funzionale (spazi di Sobolev, convergenza debole, teoremi di immersione) preliminari ed indispensabili alla comprensione del corso stesso; nel Capitolo 2 vengono introdotti ed analizzati i principali temi dell’analisi convessa (definizioni e propriet`a delle funzioni semicontinue inferiormente e convesse, trasformata di Legendre o funzione polare, sotto- differenziale, differenziabilit`a secondo Gˆateaux e Fr´echet); infine nell’ultimo capitolo si introducono i Metodi Diretti del Calcolo delle Variazioni per lo studio dei problemi di minimo (definizione di coercivit`a, teorema di esistenza di un punto di minimo, applicazioni ai funzionali integrali, rilassa- mento).

Settembre 2004

Micol Amar

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NOTAZIONI

N= {1, 2, 3, . . .} insieme dei numeri naturali

Z= {0, ±1, ±2, ±3, . . .} insieme dei numeri interi relativi

Q insieme dei numeri razionali

R insieme dei numeri reali

R+= (0, ∞) insieme dei numeri reali positivi

R= (−∞, 0) insieme dei numeri reali negativi

R retta reale estesa: R∪ {±∞}

insieme vuoto

E chiusura (sequenziale) dell’insieme E

∂E frontiera dell’insieme E

|E| misura di Lebesgue dell’insieme misurabile E

| · | norma o modulo di un vettore inRN

k · kX norma di un vettore nello spazio normato X

Br(x) palla di raggio r > 0 e centro x

C(Ω) spazio delle funzioni continue sull’aperto Ω

C0(Ω) spazio delle funzioni continue con

supporto compatto contenuto in Ω

Ck(Ω), k ∈N, spazio delle funzioni k-volte derivabili in Ω, con derivate continue fino all’ordine k

Ck0(Ω) Ck(Ω) ∩ C0(Ω)

C(Ω) T

k∈N Ck(Ω)

C0 (Ω) = D(Ω) C(Ω) ∩ C0(Ω)

Lp(Ω), 1 ≤ p ≤ +∞, spazio delle funzioni p-sommabili

W1,p(Ω), 1 ≤ p ≤ +∞, spazio di Sobolev delle funzioni derivabili in senso debole, con derivata p-sommabile W01,p(Ω), 1 ≤ p < +∞, chiusura di C0(Ω) in W1,p(Ω)

H1(Ω) = W1,2(Ω) H01(Ω) = W01,2(Ω)

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CAPITOLO 1

Richiami di analisi funzionale 1.1 Spazi topologici, metrici e normati.

DEFINIZIONE 1.1. Sia X un insieme non vuoto. Si chiama topologia su X un famiglia T di sottoinsiemi di X con le seguenti propriet`a:

(i) X ∈ T , ∅ ∈ T ;

(ii) se I `e un insieme di indici (finito o non) e Ai∈ T per ogni i ∈ I, allora ∪Ai∈ T ; (iii) se I `e un insieme di indici finito e Ai∈ T per ogni i ∈ I, allora ∩Ai∈ T .

La coppia (X, T ) si chiama spazio topologico. Gli elementi di T sono detti insiemi aperti. Un insieme C ⊂ X `e detto chiuso se il suo complementare Cc`e un aperto, cio`e se Cc ∈ T .

ESEMPIO 1.2. Sia X =R. Sia T = {R, ∅, (a, b) con a, b ∈R, a < b}. Allora T `e una topologia su R.

DEFINIZIONE 1.3. Sia {xn} una successione di punti nello spazio topologico (X, T ). Diremo che tale successione `e convergente ad un punto x0∈ X (e scriveremo xn → x0) se per ogni sottoinsieme aperto A di X contenente x0, esiste un indice n0Ntale che xn∈ A per ogni n ≥ n0.

Ricordiamo che in uno spazio topologico astratto, il limite di una successione convergente pu`o non essere unico.

DEFINIZIONE 1.4. Sia (X, T ) uno spazio topologico. La funzione f : X →Rsi dir`a continua su X se la controimmagine di un qualunque intervallo aperto (a, b) di numeri reali `e un aperto in X, cio`e se f−1¡

(a, b)¢

∈ T , per ogni (a, b) ⊆R.

La funzione f si dir`a sequenzialmente continua su X, se per ogni punto x ∈ X e per ogni successione {xn} ⊆ X, tale che xn → x, si ha

n→+∞lim f (xn) = f (x) .

DEFINIZIONE 1.5. Un insieme C ⊂ X `e detto sequenzialmente chiuso se per ogni successione {xn} ⊆ C, convergente ad un punto x ∈ X, si ha che x ∈ C.

DEFINIZIONE 1.6. Un insieme K ⊆ X si dice compatto (secondo Heine-Borel-Lebesgue) se per ogni famiglia di insiemi aperti Ai, i ∈ I tali che

K ⊆[

i∈I

Ai

`e possibile estrarre una sottofamiglia finita di indici I0 tali che

K ⊆ [

i∈I0

Ai .

In tal caso, diremo anche che K `e (H-B-L) compatto.

Un insieme K si dice sequenzialmente compatto se per ogni successione {xn} ⊆ K `e possibile estrarre una sottosuccessione convergente ad un punto x ∈ K.

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Osserviamo che, mentre la chiusura (in senso topologico) di un insieme C o la continuit`a (in senso topologico) di una funzione f , implicano la medesima propriet`a sequenziale (che quindi `e generalmente pi`u debole di quella topologica), in generale le due definizioni di compattezza sono indipendenti fra loro. Naturalmente la situazione si semplifica notevolmente nel caso degli spazi metrici, in cui le nozioni topologiche coincidono con quelle sequenziali.

DEFINIZIONE 1.7. Sia X un insieme non vuoto. Definiamo su X × X una distanza, cio`e un funzionale d : X × X →Rtale che

(i) d(x, y) ≥ 0 per ogni x, y ∈ X;

(ii) (Propriet`a di annullamento) d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y;

(iii) (Propriet`a di simmetria) d(x, y) = d(y, x) per ogni x, y ∈ X;

(iv) (Disuguaglianza triangolare) d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) per ogni x, y, z ∈ X.

La coppia (X, d) si chiama spazio metrico.

Sia x0∈ X ed r > 0, chiameremo palla aperta di raggio r e centro x0 l’insieme Br(x0) = {x ∈ X : d(x, x0) < r} .

ESEMPIO 1.8. Sia (X, d) uno spazio metrico. Sia T la famiglia dei sottoinsiemi di X con la seguente propriet`a: A ∈ T se per ogni x ∈ A esiste r > 0 tale che la palla di centro x e raggio r `e interamente contenuta in A. Si verifica facilmente che T `e una topologia su X e si dice che T `e la topologia indotta su X dalla metrica.

DEFINIZIONE 1.9. Sia (X, d) uno spazio metrico e {xn} ⊆ X una successione di punti di X.

Sia x0 ∈ X; diremo che tale successione converge a x0 per n → +∞ (e scriveremo xn → x0) se d(xn, x0) → 0 per n → +∞.

In uno spazio metrico, ogni insieme `e chiuso se e solo se `e sequenzialmente chiuso; ogni funzione

`e continua se e solo se `e sequenzialmente continua; ogni insieme `e (H-B-L) compatto se e solo se `e sequenzialmente compatto.

DEFINIZIONE 1.10. Sia X uno spazio vettoriale. Definiamo su X una norma, cio`e un funzionale k · kX : X →Rtale che

(i) kxkX≥ 0 per ogni x ∈ X;

(ii) (Propriet`a di annullamento) kxkX = 0 ⇐⇒ x = 0;

(iii) (Positiva omogeneit`a) kλxkX= |λ| kxkX per ogni x ∈ X e per ogni λ ∈R; (iv) (Disuguaglianza triangolare) kx + ykX≤ kxkX+ kykX per ogni x, y ∈ X.

La coppia (X, k · kX) (o pi`u semplicemente X, qualora k · kX sia assegnata) si chiama spazio normato.

Uno spazio normato `e metrico rispetto alla distanza indotta dalla norma, cio`e d(x, y) = kx − ykX, pertanto ogni spazio normato `e, in particolare, uno spazio topologico.

OSSERVAZIONE 1.11. Osserviamo che in uno spazio normato (e quindi topologico), l’unione di una famiglia qualsiasi di insiemi aperti e l’intersezione di una famiglia finita di insiemi aperti `e ancora un insieme aperto; conseguentemente, l’intersezione di una famiglia qualsiasi di insiemi chiusi e l’unione di una famiglia finita di insiemi chiusi `e ancora un insieme chiuso.

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DEFINIZIONE 1.12. Sia X uno spazio normato e {xn} ⊆ X una successione di punti di X. Sia x0∈ X; diremo che {xn} converge ad x0per n → +∞ (e scriveremo xn → x0), se kxn− x0kX→ 0, per n → +∞. Questa convergenza sar`a anche detta convergenza forte.

Diremo che {xn} `e una successione di Cauchy se

∀ε > 0 ∃n0N t.c. kxn− xmkX < ε ∀n, m ≥ n0 .

Osserviamo che ogni successione convergente `e di Cauchy, mentre, in generale, non vale il viceversa.

DEFINIZIONE 1.13. Diremo che X `e uno spazio normato completo se ogni successione di Cauchy

`e convergente in X. In tal caso X `e detto spazio di Banach.

1.3 Convergenza debole in spazi normati.

Sia X uno spazio di Banach (di dimensione finita o infinita). Indicheremo con X lo spazio duale di X, cio`e lo spazio di Banach di tutti i funzionali lineari e continui su X, e con h·, ·i la dualit`a canonica tra X e X. Per ogni funzionale x∈ X, kxkX denota la norma duale di tale vettore nello spazio X, cio`e

kxkX = sup

x∈X kxkX ≤1

|hx, xi| .

Infine indicheremo con X∗∗lo spazio biduale di X (cio`e lo spazio duale di X). `E ben noto che X pu`o essere identificato con un sottospazio di X∗∗. Diremo che X `e riflessivo se X coincide con il suo spazio biduale X∗∗.

Ovviamente, utilizzando la norma definita su X, possiamo introdurre su tale spazio, come gi`a fatto per X, una nozione di convergenza forte. Infatti, diremo che la successione {xn} ⊆ X converge ad x ∈ X fortemente per n → +∞ (e scriveremo xn → x), se kxn− xkX → 0, per n → +∞.

DEFINIZIONE 1.14. Sia {xn} una successione contenuta in X. Diremo che xn converge ad x ∈ X debolmente per n → +∞ (e scriveremo xn * x), se hx, xni → hx, xi, per n → +∞ e per ogni x∈ X.

Sia {xn} `e una successione contenuta in X. Diremo che xn converge ad x ∈ X ∗-debolmente per n → +∞ (e scriveremo xn * x ), se hxn, xi → hx, xi, per n → +∞ e per ogni x ∈ X.

Ricordiamo che la topologia debole su X (cio`e la topologia che induce la nozione di convergenza sopra richiamata) `e la topologia meno fine rispetto alla quale gli elementi di X sono ancora dei funzionali continui su X. Negli spazi infinito dimensionali, la topologia debole `e strettamente meno fine della topologia forte (cio`e quella indotta dalla norma): ad esempio il bordo della sfera unitaria `e fortemente, ma non debolmente, chiuso (vedi [3, Cap. III, Esempio 1]). Le due topologie coincidono, invece, negli spazi finito dimensionali.

E ben noto che, nel caso della topologia forte, poich´e come abbiamo ricordato essa `e metrizza-` bile, le propriet`a topologiche coincidono con quelle sequenziali; viceversa, nel caso della topologia debole (e se X ha dimensione infinita), ci`o non `e pi`u vero, in quanto la topologia debole non

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`e metrizzabile e, pertanto, essa non pu`o essere caratterizzata tramite le successioni debolmente convergenti.

Ricordiamo anche che, sebbene la topologia debole non sia metrizzabile, essa lo diventa sulla sfera unitaria, se X`e separabile; ovvero la topologia debole `e metrizzabile su ogni insieme limitato di X, quando il suo duale `e separabile. Analogamente, se X `e separabile, la topologia ∗-debole `e metrizzabile su ogni insieme limitato di X.

Il seguente risultato `e diretta conseguenza del ben noto Teorema di Banach-Steinhaus.

TEOREMA 1.15.

Sia X uno spazio di Banach. Siano xn, x ∈ X. Supponiamo che xn * x, allora esiste un numero reale c > 0 tale che kxnk ≤ c, per ogni n ∈N.

Siano xn, x ∈ X. Supponiamo che xn * x , allora esiste un numero reale c > 0 tale che kxnkX ≤ c, per ogni n ∈N.

Vediamo ora che relazioni intercorrono tra la convergenza forte e quella debole o ∗-debole.

TEOREMA 1.16.

Sia X uno spazio di Banach. Siano xn, x ∈ X e xn, x∈ X. (i) Se xn → x (fortemente), allora xn* x (debolmente).

(ii) Se xn → x (fortemente), allora xn* x (∗-debolmente).

(iii) Se xn * x, allora kxkX≤ lim inf

n→+∞kxnkX. (iv) Se xn * x , allora kxkX≤ lim inf

n→+∞kxnkX. TEOREMA 1.17.

Sia X uno spazio di Banach. Assumiamo che {xn} sia una successione debolmente convergente ad x in X e che {xn} sia una successione fortemente convergente ad xin X. Allora hxn, xni → hx, xi.

Analogamente, assumiamo che {xn} sia una successione fortemente convergente ad x in X e che {xn} sia una successione ∗-debolmente convergente ad x in X. Allora hxn, xni → hx, xi.

ESERCIZIO: Dimostrare il precedente teorema.

Osserviamo che, se X `e uno spazio di Banach riflessivo di dimensione infinita, `e sempre possibile trovare delle successioni debolmente convergenti che non convergono in senso forte (vedi Teorema 1.32 e le successive considerazioni). D’altra parte, esistono degli esempi, anche se rari, di spazi di dimensione infinita “patologici” (per esempio lo spazio l1), in cui tutte le successioni debolmente convergenti sono anche fortemente convergenti. Ci`o non toglie che, comunque, anche su tali spazi anomali, le due topologie non coincidono, in quanto, come gi`a detto, la topologia debole, non essendo metrizzabile, non pu`o essere caratterizzata dalle successioni convergenti, come invece lo `e la topologia forte.

Passiamo ora ad analizzare la compattezza nella topologia debole. `E ben noto che in dimen- sione infinita, la sfera unitaria non `e mai compatta rispetto alla topologia forte, anzi questa `e proprio una caratterizzazione degli spazi finito dimensionali (vedi [3, Teorema VI.5]). Come segue dai prossimi teoremi, invece, la compattezza della sfera unitaria si recupera nella topologia debole.

(13)

TEOREMA 1.18.

Sia X uno spazio di Banach. Allora la sfera unitaria B1(0) di X`e (H-B-L) compatta rispetto alla topologia ∗-debole. Se inoltre X `e separabile allora la sfera unitaria di X`e anche sequenzialmente compatta; ovvero, se {xn} ⊆ X ed esiste un numero reale c > 0 tale che kxnkX ≤ c, per ogni n ∈N, allora esiste una sottosuccessione {xnj} di {xn} ed un punto x∈ X tale che xnj * x , per j → +∞.

Un analogo risultato vale nello spazio X.

TEOREMA 1.19.

Sia X uno spazio di Banach riflessivo. Sia {xn} ⊆ X e supponiamo che esista un numero reale c > 0 tale che kxnkX ≤ c, per ogni n ∈N. Allora esiste una sottosuccessione {xnj} di {xn} ed un vettore x ∈ X tale che xnj * x, per j → +∞.

Concludiamo questo primo paragrafo analizzando le relazioni esistenti tra topologia debole e forte sugli insiemi convessi.

DEFINIZIONE 1.20. Sia X uno spazio vettoriale. Un sottoinsieme C ⊆ X si dice convesso se per ogni x, y ∈ X e per ogni α ∈ [0, 1] si ha αx + (1 − α)y ∈ X.

TEOREMA 1.21 (Teorema di Hahn-Banach, prima versione).

Sia X uno spazio di Banach. Siano A e B due sottoinsiemi convessi, non vuoti e disgiunti di X.

Supponiamo che A sia aperto. Allora esiste un iperpiano chiuso che separa A e B in senso largo, cio`e esiste un numero reale α e un funzionale lineare x∈ X tale che

hx, xi ≤ α ∀x ∈ A e hx, xi ≥ α ∀x ∈ B .

TEOREMA 1.22 (Teorema di Hahn-Banach, seconda versione).

Sia X uno spazio di Banach. Siano A e B due sottoinsiemi convessi, non vuoti e disgiunti di X.

Supponiamo che A sia chiuso e B compatto. Allora esiste un iperpiano chiuso che separa A e B in senso stretto, cio`e esiste un numero reale α e un funzionale lineare x∈ X tale che

sup

x∈Ahx, xi < α e inf

x∈Bhx, xi > α , o, equivalentemente, esistono α ∈R, x∈ X ed ε > 0 tali che

hx, xi ≤ α − ε ∀x ∈ A e hx, xi ≥ α + ε ∀x ∈ B .

TEOREMA 1.23.

Sia X uno spazio di Banach. Sia C ⊆ X un insieme convesso. Allora C `e debolmente chiuso se e solo se esso `e fortemente chiuso.

(14)

Dimostrazione. Supponiamo che C sia debolmente chiuso; allora, in particolare, esso `e sequenzial- mente debolmente chiuso, cio`e il limite di ogni successione debolmente convergente in C appartiene a C. Poich´e una successione fortemente convergente `e anche debolmente convergente, si ottiene che il limite di ogni successione fortemente convergente in C appartiene a C, cio`e C `e sequenzialmente chiuso nella topologia forte. Ma poich´e la topologia forte `e metrizzabile, la chiusura sequenziale forte di C coincide con la sua chiusura topologica forte e, quindi, C `e chiuso nella topologia forte.

Viceversa, assumiamo che C sia fortemente chiuso. Mostriamo che il complementare di C `e de- bolmente aperto. Sia x0 6∈ C, allora, per il Teorema di Hahn-Banach (Teorema 1.22), esiste un iperpiano che separa strettamente il convesso compatto x0 dal convesso chiuso C; cio`e esistono x∈ X e α ∈Rtali che

hx, x0i < α < hx, xi ∀x ∈ C .

Poniamo V = {y ∈ X : hx, yi < α}, allora V `e un aperto nella topologia debole contenente x0

(infatti V = (x)−1(−∞, α)) e V ∩ C = ∅, cio`e V ⊂ Cc. Per l’arbitrariet`a di x0 in Cc otteniamo che Cc `e debolmente aperto, ovvero C `e debolmente chiuso.

OSSERVAZIONE 1.24. Poich´e la chiusura topologica implica sempre quella sequenziale e, nel caso della topologia forte, le due nozioni coincidono, dal Teorema 1.23 si ricava che un insieme convesso

`e chiuso nella topologia forte di X se e solo se esso `e sequenzialmente chiuso nella topologia debole.

In particolare, ci`o implica che, per un insieme convesso, l’essere chiuso o sequenzialmente chiuso sono due propriet`a coincidenti, non solo nella topologia forte di X (cosa ben nota), ma anche in quella debole.

Come conseguenza del precedente risultato, si ottiene il seguente corollario.

COROLLARIO 1.25 (Lemma di Mazur).

Sia X uno spazio di Banach. Siano xn, x ∈ X tali che xn * x. Allora esiste una combinazione convessa degli elementi della successione {xn} che converge ad x fortemente, cio`e per ogni ε > 0 esistono n ∈Ne αi∈ [0, 1], i = 1, . . . , n, tali che

Xn i=1

αi= 1 e k

Xn i=1

αixi− xkX < ε .

1.4 Spazi di funzioni sommabili secondo Lebesgue e spazi di Sobolev.

Ricordiamo che se Ω ⊆RN `e un insieme aperto, 1 ≤ p < +∞ ed f : Ω →RM `e una funzione misurabile, si dice che f `e p-sommabile secondo Lebesgue (e si scrive f ∈ Lp(Ω;RM)) se

kf kp :=

µZ

|f (x)|p dx

1/p

< +∞ .

Analogamente, si dice che f `e essenzialmente limitata (e si scrive f ∈ L(Ω;RM)) se kf k:= inf{α : |f (x)| ≤ α q.o. in Ω} < +∞ .

(15)

In particolare, diremo che f ∈ Lploc(Ω;RM), 1 ≤ p ≤ +∞, se f ∈ Lp(A;RM), per ogni insieme aperto A ⊂⊂ Ω.

Gli spazi Lp dotati delle norme sopra definite sono spazi di Banach e, per 1 ≤ p < +∞, essi sono anche separabili. Ovviamente, una successione {fn} ⊆ Lp(Ω,RM) converge ad f ∈ Lp(Ω;RM) in senso forte se kfn− f kp→ 0, per n → +∞.

Dato 1 ≤ p ≤ +∞, indichiamo con p0 l’esponente coniugato di p, cio`e 1/p + 1/p0 = 1 se 1 < p < +∞, p0 = +∞ se p = 1 e p0 = 1 se p = +∞. Se 1 ≤ p < +∞, si ha che Lp0 `e lo spazio duale di Lp, mentre L1 `e strettamente contenuto nel duale di L. Inoltre, se 1 < p < +∞, lo spazio Lp `e riflessivo.

Vediamo ora come si specializzano in questo contesto le nozioni di convergenza debole e conver- genza ∗-debole. Per semplicit`a assumiamo M = 1 (e quindi scriveremo Lp(Ω) anzich´e Lp(Ω;R)), in quanto il caso generale si ottiene, poi, ragionando per componenti.

Sia dapprima 1 ≤ p < +∞, allora fn* f in Lp(Ω) se Z

fn(x)g(x) dx → Z

f (x)g(x) dx ∀g ∈ Lp0(Ω) .

Analogamente, si ha fn

* f in L(Ω) se Z

fn(x)g(x) dx → Z

f (x)g(x) dx ∀g ∈ L1(Ω) .

TEOREMA 1.26.

Sia {fn} una successione di funzioni in Lp(Ω) fortemente convergente ad f ∈ Lp(Ω), 1 ≤ p ≤ +∞.

Allora

(i) fn * f in Lp(Ω) se 1 ≤ p < +∞ ed fn

* f in L(Ω);

(ii) kfnkp→ kf kp, per 1 ≤ p ≤ +∞.

Dimostrazione. L’implicazione (i) discende dal Teorema 1.16 e la (ii) `e una semplice conseguenza della disuguglianza triangolare.

Nel caso in cui si abbia 1 < p < +∞, `e possibile invertire il risultato del precedente teorema.

TEOREMA 1.27.

Assumiamo 1 < p < +∞ e sia {fn} una successione di funzioni in Lp(Ω). Suppponiamo che fn* f in Lp(Ω) e kfnkp→ kf kp. Allora fn→ f in Lp(Ω).

TEOREMA 1.28.

Sia {fn} una successione di funzioni in Lp(Ω) fortemente convergente ad f ∈ Lp(Ω), 1 ≤ p ≤ +∞.

Allora esiste una sottosuccessione {fnk} di {fn} ed un insieme N ⊂ Ω di misura nulla, tale che fnk(x) → f (x) per ogni x ∈ Ω \ N , ovvero la sottosuccessione {fnk} converge ad f puntualmente quasi ovunque.

(16)

TEOREMA 1.29.

(i) Sia {fn} una successione di funzioni misurabili definite su Ω, tali che fn(x) ≥ 0, per quasi ogni x ∈ Ω e per ogni n ∈N. Allora

Z

[lim inf

n→+∞fn(x)] dx ≤ lim inf

n→+∞

Z

fn(x) dx .

(ii) Sia {fn} una successione di funzioni misurabili definite su Ω, tali che 0 ≤ fn(x) ≤ fn+1(x), per quasi ogni x ∈ Ω e per ogni n ∈N. Allora

Z

fn(x) dx → Z

f (x) dx dove f (x) = sup

n∈Nfn(x) .

(iii) Sia {fn} una successione di funzioni misurabili definite su Ω convergente puntualmente quasi ovunque ad una assegnata funzione f . Supponiamo che per quasi ogni x ∈ Ω e per ogni n ∈N si abbia |fn(x)| ≤ g(x), dove g ∈ L1(Ω). Allora, f ∈ L1(Ω) e kfn− f k1→ 0, per n → +∞.

Dai Teoremi 1.15, 1.18 e 1.19 si ottiene immediatamente il seguente risultato.

TEOREMA 1.30.

Assumiamo che {fn} sia una successione debolmente convergente in Lp(Ω), 1 ≤ p < +∞, (rispet- tivamente, ∗-debolmente convergente in L(Ω)). Allora essa `e equilimitata.

Assumiamo che {fn} sia una successione equilimitata in Lp(Ω), 1 < p ≤ +∞. Allora esiste una funzione f ∈ Lp(Ω) ed una sottosuccessione di {fn} debolmente convergente ad f per 1 < p < +∞

(rispettivamente ∗-debolmente convergente ad f per p = +∞).

Osserviamo che per p = 2 lo spazio di Banach Lp`e in realt`a uno spazio di Hilbert, rispetto al prodotto scalare (f, g) :=R

f (x)g(x) dx. Pertanto, dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwarz negli spazi di Hilbert, si ottiene

¯¯

¯¯ Z

f (x)g(x) dx

¯¯

¯¯ ≤ kf k2kgk2 ∀f, g ∈ L2(Ω) ,

che implica, in particolare, che il prodotto di due funzioni L2 fornisce una funzione dello spazio L1. Questo risultato si pu`o generalizzare al caso del prodotto di due funzioni appartenenti a due spazi di Lebesgue fra loro in dualit`a, come segue dal prossimo teorema.

TEOREMA 1.31 (Disuguaglianza di H¨older).

Sia Ω ⊂RN un insieme aperto, sia 1 ≤ p ≤ +∞ e p0 l’esponente coniugato di p. Allora per ogni u ∈ Lp(Ω) e v ∈ Lp0(Ω), si ha che uv ∈ L1(Ω) e

¯¯

¯¯ Z

u(x)v(x) dx

¯¯

¯¯ ≤ kukpkvkp0 .

ESERCIZIO: Come conseguenza della disuguaglianza di Holder, dimostrare che, se p, q, r ∈ (1, +∞) e 1/p + 1/q = 1/r, allora f g ∈ Lr(Ω) per ogni f ∈ Lp(Ω) e g ∈ Lq(Ω) e che

kf gkr≤ kf kpkgkq .

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ESERCIZIO: Dimostrare che, se Ω `e un insieme aperto e limitato ed f ∈ Lp(Ω), 1 < p ≤ +∞, allora f ∈ Lq(Ω), per ogni 1 ≤ q < p, e

kf kq≤ |Ω|(p−q)/pqkf kp, con la convenzione che (p − q)/pq vale 1/q se p = +∞.

Stabiliamo ora un utile risultato riguardante la convergenza debole di funzioni periodiche.

Assumiamo per semplicit`a che f sia una funzione (0, 1)N-periodica, anche se il risultato vale per funzioni periodiche generali, pur di interpretare f come il valor medio della funzione f sul periodo.

TEOREMA 1.32.

Sia Y = (0, 1)N e sia f ∈ Lp(Y ), 1 ≤ p ≤ +∞, estesa per periodicit`a su tutto RN. Sia fε(x) = f (x/ε); allora, per ε → 0+, si ha

fε* f :=

Z

Y

f (x) dx se 1 ≤ p < +∞ ; fε

* f :=

Z

Y

f (x) dx se p = +∞ .

Nel caso in cui f (x) = sin x, si ottiene che sin(x/ε) * 0 in L (0, 2π), risultato noto come Lemma di Riemann-Lebesgue. Esso implica, in particolare, che la successione {sin(nx)} rappre- senta un esempio di successione debolmente, ma ovviamente non fortemente, convergente.

ESERCIZIO: Sia f : (0, 1) →Rdefinita da f (x) =

½α se x ∈ (0, 1/2] ;

β se x ∈ (1/2, 1) : α, β ≥ 0, α 6= β .

Dopo aver esteso f per periodicit`a a tutto R, calcolare il limite debole (∗-debole) di fn(x) := f (nx) in Lp(0, 1) per 1 ≤ p < +∞ (per p = +∞). Dimostrare che la successione {fn} non converge fortemente.

ESERCIZIO: Assumiamo che f :R×RRsia una funzione limitata tale che 1) f (·, s) `e continua e (0, 1)-periodica, per ogni s ∈R;

2) |f (x, s1) − f (x, s2)| ≤ |s1− s2| per ogni x ∈Re per ogni s1, s2R. Dimostrare che

f (nx, u)* f (u) ∗-debolmente in L(R) per ogni u ∈ L(R), dove

f (s) = Z 1

0

f (y, s) dy . (Hint.: Approssimare u con funzioni semplici)

ESERCIZIO: Sia f :R×RRcome nel precedente esercizio. Dimostrare che f (nx, un)* f (u) ∗-debolmente in L(R)

per ogni successione {un} ⊂ L(R) fortemente convergente ad u ∈ L(R).

(18)

Richiamiamo ora un’importante e ben nota propriet`a di annullamento delle funzioni sommabili.

LEMMA 1.33.

Sia Ω ⊆RN un insieme aperto ed f ∈ L1loc(Ω). Assumiamo che Z

f (x)φ(x) dx = 0 ∀φ ∈ C0(Ω) . Allora f = 0 quasi ovunque in Ω.

COROLLARIO 1.34.

Sia Ω ⊆RN un insieme aperto ed f ∈ L1loc(Ω). Assumiamo che (1.1)

Z

f (x)φ(x) dx = 0

per tutte le funzioni φ ∈ C0 (Ω) tali che −R

φ dx = |Ω|1 R

φ dx = 0. Allora esiste una costante c ∈R tale che f = c quasi ovunque in Ω.

Dimostrazione. Sia f ∈ L1loc(Ω), ψ ∈ C0(Ω) e Ψ ∈ C0(Ω) con −R

Ψ dx = 1. Allora Z

[f − − Z

f Ψ dy]ψ dx = Z

f ψ dx − µ

Z

f Ψ dy

¶ µZ

ψ dx

= Z

f [ψ − Ψ−

Z

ψ dy] dx = 0

poich´e, posta φ = ψ − Ψ−R

ψ dy si ha che φ ∈ C0(Ω) e −R

φ dx = 0. Pertanto, dal Lemma 1.33 si ottiene f − −R

f Ψ dy = 0 quasi ovunque in Ω, cio`e la tesi vale con c = −R

f Ψ dy.

Concludiamo quindi il capitolo richiamando le propriet`a principali delle funzioni che am- mettono derivate in senso debole. Innanzitutto, dato k ∈ N e 1 ≤ p ≤ +∞, denotiamo con Wk,p(Ω;RM) lo spazio delle funzioni misurabili che ammettono k-derivate nel senso delle distri- buzioni p-sommabili secondo Lebesgue. Tale spazio `e di Banach se dotato della norma

kf kk,p:=

à k X

α=0

k∇αf kpp

!1/p

se 1 ≤ p < +∞ ; kf kk,∞:= max

0≤α≤kk∇αf k se p = +∞ ;

dove ∇αf indica la matrice delle derivate α-esime di f nel senso delle distribuzioni (e ∇0f ≡ f ).

Come di consueto, indicheremo con Hk(Ω;RM) lo spazio Wk,2(Ω;RM). Inoltre, per 1 ≤ p < +∞, W0k,p(Ω;RM) denota la chiusura di C0(Ω;RM) nella norma di Wk,pe H0k(Ω;RM) = W0k,2(Ω;RM).

Lo spazio W0k,p(Ω;RM) `e uno spazio di Banach rispetto alla norma di Wk,p. Nel caso in cui Ω = (a, b) sia un intervallo reale, W1,1(a, b) si identifica con lo spazio delle funzioni assolutamente continue su (a, b).

Ricordiamo che, se p0`e l’esponente coniugato di p, W−k,p0(Ω;RM) `e lo spazio duale di W0k,p(Ω;RM);

in particolare, per k = 1 ed M = 1, W−1,p0(Ω) `e lo spazio duale di W01,p(Ω) ed ogni elemento g di W−1,p0(Ω) si pu`o rappresentare nel modo seguente:

g = g − XN j=1

jgj

(19)

dove g, gj ∈ Lp0(Ω) e la derivata `e intesa nel senso delle distribuzioni. Inoltre, se Ω `e limitato, h ≤ k e q < p, allora Wk,p(Ω;RM) ⊂ Wh,q(Ω;RM).

Ricordiamo anche che, per 1 ≤ p < +∞, Wk,p(Ω;RM) `e separabile e per 1 < p < +∞ `e riflessivo.

Infine, se Ω `e regolare (ad esempio ∂Ω ∈ C1) e 1 ≤ p < +∞, si ha che C(Ω;RM) `e denso in Wk,p(Ω;RM), rispetto alla norma definita sopra e, se Ω `e limitato, W1,∞(Ω;RM) si identifica con lo spazio delle funzioni Lipschitziane.

TEOREMA 1.35 (Teorema di immersione).

Sia Ω ⊂RN un insieme aperto e limitato. Allora

(i) Se 1 ≤ p < N , W01,p(Ω;RM) ⊂ Lq(Ω;RM), per ogni 1 ≤ q ≤ N −pN p e l’immersione `e compatta per 1 ≤ q < N −pN p .

(ii) Se p = N , W01,p(Ω;RM) ⊂ Lq(Ω;RM), per ogni 1 ≤ q < +∞ e l’immersione `e compatta.

(iii) Se p > N , W01,p(Ω;RM) ⊂ C0(Ω;RM) e l’immersione `e compatta.

Il precedente risultato continua a valere se si sostituisce W01,p(Ω;RM) con W1,p(Ω;RM), pur di assumere un’opportuna regolarit`a del bordo di Ω, ad esempio ∂Ω di classe C1.

Osserviamo che il Teorema 1.35 implica, in particolare, che, se 1 ≤ p ≤ +∞ e fn * f in W01,p(Ω;RM), allora fn→ f in Lp(Ω;RM).

TEOREMA 1.36 (Disuguaglianza di Poincar´e).

Sia Ω ⊂ RN un insieme aperto, connesso, limitato, con frontiera di classe C1 e 1 ≤ p < +∞.

Allora,

(i) esiste una costante c > 0 tale che, per ogni f ∈ W01,p(Ω;RM), si ha kf kp≤ ck∇f kp ;

(ii) esiste una costante c > 0 tale che, per ogni f ∈ W1,p(Ω;RM), si ha kf − f kp≤ ck∇f kp ,

dove f = |Ω|1 R

f (x) dx.

OSSERVAZIONE 1.37. Osserviamo che la propriet`a (i) vale pi`u in generale per aperti limitati qualsiasi (cio`e, non necessariamente connessi e con frontiera di classe C1), mentre la propriet`a (ii) vale anche per p = +∞.

Per semplicit`a vedremo la dimostrazione solo nel caso p > 1.

Dimostrazione.

(i) Assumiamo per assurdo che la tesi non valga, cio`e per ogni n > 0 esiste fn ∈ W01,p(Ω;RM) tale che

(1.2) kfnkp> nk∇fnkp .

Possiamo supporre, senza perdita di generalit`a, che kfnkp= 1; pertanto dalla (1.2) si ottiene che

kfnk1,p≤ 2 e k∇fnkp → 0 per n → +∞ .

(20)

Dal Teorema 1.19 segue allora che esiste una funzione f ∈ W01,p(Ω;RM) ed una sottosucces- sione, che denoteremo ancora con {fn}, tale che fn * f in W01,p(Ω;RM). Dal Teorema 1.35 si ottiene anche che fn → f in Lp(Ω;RM) e quindi, poich´e kfnkp = 1, si ha che kf kp = 1.

D’altra parte, dalla (1.2) e dal Teorema 1.16, si ricava k∇f kp ≤ lim inf k∇fnkp = 0, ovvero f = costante in W01,p(Ω;RM) e quindi f = 0 quasi ovunque in Ω, in contraddizione con il fatto che kf kp= 1.

(ii) Per dimostrare la seconda disuguaglianza, si procede in modo analogo, rimpiazzando fn con gn = fn− fn. Si ottiene cos`ı che gn → g in Lp(Ω;RM), con kgkp = 1 e g = costante in W1,p(Ω;RM). D’altra parte, dalla convergenza forte si ottiene anche

0 = 1

|Ω|

Z

[fn(x) − fn] dx = 1

|Ω|

Z

gn(x) dx → 1

|Ω|

Z

g(x) dx

che implica, essendo g un vettore constante diRM, g = 0 quasi ovunque in Ω, in contraddizione con il fatto che kgkp= 1.

ESERCIZIO: Siano p = 1 ed N = 1. Dimostrare la disuguaglianza di Poincar´e.

Osserviamo che la disuguaglianza di Poincar´e implica, in particolare, che su W01,p(Ω;RM), la norma Lp del gradiente costituisce una norma equivalente alla norma di W1,pe quindi tale spazio dotato della norma Lp del gradiente risulta essere uno spazio di Banach.

ESERCIZIO: Sia u ∈ W1,1(0, 1). Assumiamo che Z 1

0

u(x)φ0(x) dx = 0 ∀φ ∈ C0(0, 1) .

Dimostrare che esiste una costante c ∈Rtale che u = c quasi ovunque in (0, 1).

Per ulteriori approfondimenti sugli argomenti trattati in questo capitolo, si rimanda a [1, 3].

(21)

CAPITOLO 2 Analisi convessa

Nel corso di questo capitolo, indicheremo con X un generico spazio di Banach, che, se non verr`a diversamente specificato, supporremo dotato della topologia forte, cio`e della topologia indotta dalla norma.

DEFINIZIONE 2.1. Sia f : X →R. Diremo che essa `e convessa se

f (αx + (1 − α)y) ≤ αf (x) + (1 − α)f (y) ∀α ∈ [0, 1]

e per ogni x, y tali che f (x), f (y) < +∞. Diremo che f `e strettamente convessa se essa non `e identicamente +∞ e se

f (αx + (1 − α)y) < αf (x) + (1 − α)f (y) ∀α ∈ (0, 1) e per ogni x 6= y tali che f (x), f (y) < +∞.

ESERCIZIO: Sia n ∈Ned f : X →R. Dimostrare che, per ogni α1, . . . , αn∈ [0, 1], conP αi= 1, e per ogni x1, . . . , xn∈ X tali che f (xi) < +∞, si ha

f à n

X

i=1

αixi

!

Xn i=1

αif (xi) .

ESERCIZIO: Sia I un insieme di indici (finito o infinito, numerabile o non). Per ogni i ∈ I, siano fi: X →Rdelle funzioni convesse. Dimostrare che

f (x) := sup

I

fi(x)

`e una funzione convessa.

DEFINIZIONE 2.2. Sia f : X →R. Diremo che essa `e sequenzialmente semicontinua inferiormente (rispett. debolmente sequenzialmente semicontinua inferiormente), se, per ogni x ∈ X,

f (x) ≤ lim inf

xn→x f (xn) ∀xn→ x in X (rispett. ∀xn* x in X).

In tal caso, scriveremo per semplicit`a f s.c.i. (rispett. debolmente s.c.i.).

Nel caso in cui su X si consideri la topologia forte, la definizione data coincide con la definizione topologica di semicontinuit`a inferiore (cfr., per esempio, [8, Cap. I]).

OSSERVAZIONE 2.3. Osserviamo che, se f `e convessa ed assume valore −∞ in un estremo di un segmento, essa `e finita al pi`u in un punto di tale segmento; quindi se x0∈ X, f `e superiormente limitata in un intorno di x0 e f (x0) = −∞, allora essa sar`a identicamente uguale a −∞ in tutto l’intorno considerato. Se f `e convessa e s.c.i. ed assume valore −∞ in un punto, allora essa non `e mai finita.

(22)

A seguito dell’osservazione precedente, ci limiteremo a considerare solo funzioni che non as- sumano mai il valore −∞. Ricordiamo che una funzione f `e detta propria se f (x) > −∞ per ogni x ∈ X e se esiste almeno un punto x ∈ X tale che f (x) < +∞; ovvero, f : X →R∪ {+∞}, non identicamente uguale a +∞.

Definiamo dominio di f l’insieme

dom(f ) = {x ∈ X : f (x) < +∞} .

Se f `e convessa, il suo dominio risulta essere un insieme convesso. Inoltre, se f `e propria, il suo dominio coincide con l’insieme dei punti in cui f `e finita.

Infine, si chiama epigrafico di f l’insieme

epi(f ) = {(x, t) ∈ X ×R : t ≥ f (x)} .

TEOREMA 2.4.

Sia f : X → R una funzione propria. Allora essa `e convessa se e solo se il suo epigrafico `e convesso.

Dimostrazione. Siano (x, t), (y, s) ∈ epi(f ). Consideriamo il punto (αx + (1 − α)y, αt + (1 − α)s) con α ∈ [0, 1].

Se f `e convessa otteniamo

f (αx + (1 − α)y) ≤ αf (x) + (1 − α)f (y) ≤ αt + (1 − α)s ,

dove l’ultima disuguaglianza `e dovuta al fatto che, per ipotesi, (x, t), (y, s) ∈ epi(f ). Pertanto, (αx + (1 − α)y, αt + (1 − α)s) ∈ epi(f ) e quindi epi(f ) risulta essere convesso.

Supponiamo invece che epi(f ) sia convesso. Allora (αx + (1 − α)y, αt + (1 − α)s) ∈ epi(f ), per ogni α ∈ [0, 1], cio`e

(2.1) f (αx + (1 − α)y) ≤ αt + (1 − α)s ,

qualunque siano i punti (x, t), (y, s) ∈ epi(f ). Scegliendo, in particolare, t = f (x) ed s = f (y), dalla (2.1) si ricava subito la convessit`a di f .

TEOREMA 2.5.

Sia f : X →R una funzione propria. Allora essa `e s.c.i. (rispett. debolmente s.c.i.) se e solo se il suo epigrafico `e chiuso (rispett. debolmente sequenzialmente chiuso).

(23)

Dimostrazione. Innanzitutto sottolineiamo il fatto che, nella dimostrazione del teorema, epi(f ) denoter`a la chiusura sequenziale e non topologica dell’epigrafico (ricordiamo che le due nozioni coincidono nella topologia forte, ma non in quella debole).

Assumiamo che f sia s.c.i. e che (x, t) sia un punto di epi(f ). Sia quindi {(xn, tn)} ⊂ epi(f ) una successione convergente nella topologia considerata ad (x, t), per n → +∞. Per le ipotesi fatte avremo

f (x) ≤ lim inf

n→+∞f (xn) ≤ lim inf

n→+∞tn= t , ovvero (x, t) ∈ epi(f ).

Viceversa, assumiamo che epi(f ) sia sequenzialmente chiuso nella topologia considerata, cio`e epi(f ) = epi(f ). Sia inoltre {xn} una successione convergente ad x, per n → +∞, nella topologia considerata, con lim inf f (xn) < +∞, altrimenti non c’`e nulla da dimostrare. A meno di passare ad una sottosuccessione, possiamo assumere che lim inf sia in realt`a un limite, che indicheremo con l. Consideriamo allora la successione {(xn, f (xn))} ∈ epi(f ) che converge al punto (x, l); poich´e epi(f ) `e sequenzialmente chiuso, si ha che (x, l) ∈ epi(f ), cio`e l ∈Re f (x) ≤ l, ovvero

f (x) ≤ lim

n→+∞f (xn) .

TEOREMA 2.6.

Sia I un insieme di indici (finito o non finito). Siano fi: X →R, i ∈ I, delle funzioni proprie e s.c.i. su X. Allora la funzione

f (x) = sup

I fi(x)

`e s.c.i. su X.

Dimostrazione. La dimostrazione `e conseguenza immediata del fatto che epi(f ) =\

i∈I

epi(fi)

e l’intersezione di una famiglia qualsiasi di insiemi chiusi `e ancora un insieme chiuso (vedi Osser- vazione 1.11).

TEOREMA 2.7.

Sia I un insieme di indici finito. Siano fi : X → R, i ∈ I, delle funzioni proprie e s.c.i. su X.

Allora la funzione

f (x) = inf

I fi(x)

`e s.c.i. su X.

Dimostrazione. La dimostrazione `e conseguenza immediata del fatto che epi(f ) =[

i∈I

epi(fi)

e l’unione di un numero finito di insiemi chiusi `e ancora un insieme chiuso (vedi Osservazione 1.11).

(24)

TEOREMA 2.8.

Siano f1, f2: X →R, i ∈ I, due funzioni proprie e s.c.i. su X. Allora la funzione f1+ f2 `e s.c.i.

su X.

Dimostrazione. Siano x ∈ X e {xn} ⊆ X una successione convergente ad x. Allora lim inf

n→+∞(f1+ f2)(xn) ≥ lim inf

n→+∞f1(xn) + lim inf

n→+∞f2(xn) ≥ f1(x) + f2(x) , dove l’ultima disuguaglianza `e dovuta all’ipotesi di s.c.i. di f1 ed f2.

Vogliamo ora occuparci della regolarit`a delle funzioni convesse.

TEOREMA 2.9.

Sia f : X →Runa funzione convessa e propria. Assumiamo che x0∈ X e che f sia superiormente limitata in un intorno di x0. Allora f `e continua in x0.

Dimostrazione. A meno di sostituire alla funzione f la funzione g(x) = f (x + x0) − f (x0), che `e ancora convessa e propria, possiamo supporre x0= 0 e f (x0) = 0. Quindi, per ipotesi, esiste un numero reale M > 0 e un intorno U (0) dell’origine (che possiamo supporre simmetrico) tali che f (x) ≤ M per ogni x ∈ U (0). Sia ora α ∈ [0, 1] e x ∈ X tale che x/α ∈ U (0). Allora

f (x) = f

³ αx

α+ (1 − α)0

´

≤ αf (x/α) + (1 − α)f (0) = αf (x/α) ≤ αM . Analogamente, poich´e −x/α ∈ U (0), otteniamo

0 = f (0) = f

µ 1

α + 1x + α

α + 1(−x/α)

1

α + 1f (x) + α

α + 1f (−x/α) ≤ f (x) + αM . Dalle due disuguaglianze precedenti si ricava infine |f (x)| ≤ αM , per ogni α ∈ [0, 1] e per ogni x ∈ X tale che x/α ∈ U (0), cio`e x ∈ αU (0). Quindi f (x) → 0 per x → 0.

OSSERVAZIONE 2.10. Osserviamo che, se su X si considera la topologia debole, anzich´e la topolo- gia forte (cio`e quella indotta dalla norma), i Teoremi 2.6, 2.7, 2.8 e 2.9 continuano a valere.

TEOREMA 2.11.

Sia f :RN Runa funzione convessa, allora essa `e continua.

Pi`u in generale, si pu`o affermare che se f : RN R `e convessa, allora essa `e continua all’interno del suo dominio. Non `e possibile, in generale, ottenere la continuit`a di f su tutto il suo dominio; per esempio, consideriamo la funzione f :RR, nulla nell’origine e uguale a +∞

altrove in R. Allora f `e convessa, dom(f ) = {0}, ma f non `e continua nell’origine (notiamo che in questo caso dom(f ) ha parte interna vuota).

Dimostrazione. Sia x0 RN. Poich´e siamo in dimensione finita, possiamo trovare N + 1 punti x1, . . . , xN +1RN, tali che x0=

N +1X

i=1

α0ixi, per un’opportuna scelta di α0i ∈ (0, 1) conP

α0i = 1.

Se indichiamo con U (x0) la parte interna dell’inviluppo convesso dei punti x1, . . . , xN +1, si ha che

(25)

U (x0) `e un intorno di x0. Inoltre, per ogni x ∈ U (x0), abbiamo x =

N +1X

i=1

αixi, per un’opportuna scelta di αi∈ (0, 1) conP

αi= 1, e

f (x) ≤

N +1X

i=1

αif (xi) ≤

N +1X

i=1

f (xi) .

Quindi, f `e superiormente limitata in U (x0) e per il Teorema 2.9 risulter`a continua in x0. Poich´e ci`o vale per ogni x0RN, la tesi `e dimostrata.

Questo risultato non si pu`o direttamente estendere al caso in cui X sia uno spazio di Banach di dimensione infinita, a meno di non considerare ulteriori ipotesi sulla funzione f . A tale proposito, valgono i seguenti due risultati.

TEOREMA 2.12.

Sia f : X → R una funzione convessa. Supponiamo che esista un punto x0 ∈ X in cui f sia continua (rispett. debolmente continua); allora essa sar`a continua (rispett. debolmente continua) su tutto X.

L’idea della dimostrazione consiste nell’utilizzare l’ipotesi di continuit`a di f in x0per ottenere che f `e superiormente limitata in un intorno di un generico punto x ed applicare poi il Teorema 2.9.

Questo risultato generalizza al caso convesso un ben noto risultato sulle funzioni lineari, che afferma che una funzione lineare continua in un punto `e continua dappertutto.

TEOREMA 2.13.

Sia f : X →Runa funzione convessa. Supponiamo che f sia s.c.i. in X; allora essa sar`a continua su tutto X.

Vogliamo ora migliorare i precedenti risultati, considerando il caso di funzioni convesse che siano non solo superiormente limitate, ma anche inferiormente limitate.

TEOREMA 2.14.

Sia f : X →R una funzione convessa e propria. Supponiamo che esistano λ, Λ ∈R, con λ ≤ Λ, tali che

λ ≤ f (x) ≤ Λ ∀x ∈ BR ,

dove BR`e la sfera di centro l’origine e raggio R. Allora, per ogni 0 < r < R, f `e Lipschitziana in Br con costante di Lipschitz Λ−λR−r.

La dimostrazione di questo teorema `e conseguenza di un analogo risultato valido per funzioni di variabile reale.

TEOREMA 2.15.

Sia f : (a, b) →Runa funzione convessa e propria. Assumiamo che esistano λ, Λ ∈R, con λ ≤ Λ, tali che

λ ≤ f (x) ≤ Λ ∀x ∈ (a, b) .

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