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5. LE FRANE

5.2. TIPOLOGIE DI FRANA E LORO CLASSIFICAZIONE

Un fenomeno franoso può essere definito come il movimento di una massa di roccia, detrito o terra lungo un versante (Cruden, 1991). Questo movimento potrà essere superficiale o profondo, rapido o lento e potrà interessare un intero versante e/o parte di esso (Amanti et al., 1994).

La franosità è un fenomeno che interessa tutti i paesi del mondo e provoca ogni anno ingenti danni economici e spesso causa la perdita di vite umane. In Italia è un fenomeno molto diffuso e, degli 8.501 Comuni presenti sul territorio, il 53% di questi è colpito da fenomeni franosi (Villa, 1980) e nel 27% dei casi viene interessato il centro abitato principale.

Le frane si verificano in una determinata area per effetto della concomitanza di diversi fattori favorevoli all’instabilità di un versante.

Tra i fattori da tenere sotto controllo sul territorio i più importanti possono essere suddivisi in: geologici, che riguardando il tipo di rocce affioranti e non affioranti;

idrogeologici quali la permeabilità delle formazioni e la circolazione superficiale e

sotterranea; fattori morfologici quali la pendenza dei versanti; strutturali come la presenza di fratture, faglie, superfici di stratificazione o scistosità; fattori

geologico-tecnici quali la sollecitazione delle rocce al taglio; fattori climatici e legati alla vegetazione; fattori antropici dovuti all’azione dell’uomo che provoca alterazioni

improvvise degli ambienti naturali (scavi, appesantimenti del versante, disboscamenti).

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L’alterazione dell’equilibrio può essere ricollegata a due categorie principali: all’incremento degli sforzi tangenziali di taglio che può derivare da sollecitazioni sismiche, aumento del carico del versante, aumento del peso specifico del terreno per la presenza di acqua, scalsamento al piede del versante; al decremento delle

resistenze al taglio che possono dipendere da una diminuzione della coesione,

rammollimento del materiale, aumento delle pressioni neutre o per sollecitazioni di natura sismica.

Classificare una frana non è facile e possono essere utilizzati diversi fattori di identificazione tra cui, ad esempio, il tipo di materiale e le sue proprietà

meccaniche (Terzaghi, 1925), le cause di movimento (Stoppani, 1871), la durata e la ripetitività dei fenomeni, velocità del movimento (Nemcok et al., 1972), tipo di sollecitazione di taglio (Sassa, 1989), ma la maggior parte degli autori adotta come

carattere distintivo il tipo di movimento: Varnes (1958), Desio (1974), Brugner e Valdinucci (1972), Nicotera (1975), Hutchinson (1988) ecc.. Ad oggi risulta ancora in uso la classificazione di Varnes (1978) che considera, come caratteristica guida, il tipo di movimento e risulta la più coerente e completa. Fu sviluppata come perfezionamento della classificazione precedentemente proposta (1958) dallo stesso autore, è stata tradotta da Carrara et al. (1983) (Amanti et al., 1994), ed è stata, più di recente, aggiornata da Cruden e Varnes (1996).

Varnes (1978) considera anche il tipo di materiale coinvolto (terra o roccia) e suddivide in sei classi principali di movimento: crolli, ribaltamenti, scorrimenti (o scivolamenti) suddivisi a loro volta in rotazionali e traslativi, espansioni laterali,

colamenti in ammassi rocciosi e in terreni sciolti e movimenti complessi (le

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Nella revisione del 1996 la classificazione, oltre al tipo di movimento e il tipo di materiale, prende in considerazione anche l’attività della frana (Tab. 10) proponendo una sorta di tassonomia multi-dimensionale (Evans et al., 2001). Riguardo le classi di movimento si passa da sei a cinque poiché vengono eliminati i movimenti complessi che sono però inseriti all’interno dell’attività di frana.

1 - CROLLI (FALLS): La massa si muove prevalentemente in aria, inizia con il distacco da un pendio acclive lungo una

superficie su cui lo spostamento di taglio è nullo o limitato. Il fenomeno comprende la caduta libera, il movimento a salti e rimbalzi e il rotolamento di frammenti di roccia o di terreno sciolto.

2 - RIBALTAMENTI (TOPPLES): Movimento dovuto a forze che causano un movimento ribaltante attorno ad un punto di

rotazione situato al di sotto del baricentro della massa interessata. Qualora il fenomeno non sia frenato può evolvere in un crollo o in uno scorrimento.

ROTAZIONALI (Rotational): Movimento dovuto a forze che producono un

movimento di rotazione attorno ad un punto posto al di sopra del centro di gravità della massa. La superficie di rottura si presenta concava verso l’alto.

3 - SCORRIMENTI (SLIDES) o

SCIVOLAMENTI: Il movimento comporta uno spostamento per taglio lungo una o più superfici, oppure entro un livello abbastanza sottile. Queste superfici di scorrimento sono visibili o possono essere facilmente ricostruite.

TRASLATIVI (Translational): Il movimento si verifica in prevalenza lungo una superficie più o meno piana o debolmente ondulata, corrispondente frequentemente a discontinuità strutturali, quali faglie, giunti di fessurazione o di stratificazione o passaggi fra strati di diversa composizione litologica, o contatto tra roccia in posto e detrito soprastante.

4 - ESPANSIONI LATERALI (LATERAL SPREAD): Movimenti di espansione laterale, diffusi in una massa fratturata che si

verificano nei due modi seguenti:

A) Non si riconosce ne una superficie basale di scorrimento ne una zona di deformazione plastica ben definita (prevalentemente in roccia);

B) L’espansione laterale della roccia o del terreno sciolto è dovuta alla liquefazione o alla deformazione plastica del materiale sottostante.

IN AMMASSI ROCCIOSI (in Bedrock): Il fenomeno comprende deformazioni spazialmente continue e creep sia superficiale che profondo. Esso comporta movimenti differenziali estremamente lenti e generalmente non accelerati fra unità che rimangono relativamente intatte. I movimenti possono: avvenire lungo una o più superfici di taglio che apparentemente non sono collegate; provocare piegamenti o rigonfiamenti; apparire approssimativamente simili, nella distribuzione delle velocità, ai movimenti tipici dei fluidi.

5 - COLAMENTI

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IN TERRENI SCIOLTI (in Soils): Il fenomeno si esplica con movimenti entro la massa spostata, tali per cui o la forma assunta dal materiale in movimento o la distribuzione apparente delle velocità e degli spostamenti sono simili a quelle dei fluidi viscosi. Le superfici di scorrimento nella massa che si muove non sono generalmente visibili, oppure hanno breve durata. Il limite tra la massa in movimento e il materiale in posto può essere una superficie netta di movimento differenziale oppure una zona di scorrimenti distribuiti. Il movimento varia da estremamente rapido a estremamente lento.

6 - COMPLESSI (COMPLEX): Il movimento risulta dalla combinazione di due o più dei cinque tipi principali sopra descritti.

Molte frane sono complesse ma generalmente un tipo di movimento predomina spazialmente o temporalmente sugli altri. Tab. 9: Classificazione di Varnes (1978) basata sul tipo di movimento.

STATO Inattive; Attive; Riattivate; Sospese

DISTRIBUZIONE In avanzamento; Retrogressione, Multi direzionale; In diminuzione; Confinata; Costante; In allargamento

STILE Fenomeni Complessi; Fenomeni Composti, Fenomeni Multipli; Fenomeni Successivi; Fenomeni Singoli

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Fig. 34: Classi differenti di frane per tipo di movimento: 1 – Crollo (Rock falls); 2 – Ribaltamento (Topple); 3 – Scorrimento rotazionale (Rotational landslide); 4 – Scorrimento traslativo (Translational landslide); 5 – Espansione laterale (Lateral spreed); 6 – Colata di detrito (Debris

flow); 7 – Colata di terra (Earth flow) (modificato da:

http://pubs.usgs.gov/fs/2004/3072/fs-2004-3072.html).

Una volta classificato un fenomeno franoso secondo il tipo di movimento è possibile fare una valutazione geotecnica che consiste nel dedurre la modalità secondo cui è avvenuta la rottura.

Su un versante naturale possono verificarsi, tre differenti modalità di rottura, successivamente alle quali si innesca il movimento franoso: si può avere rottura per

massima sollecitazione al taglio (in questo caso la frana si origina al

raggiungimento della resistenza di picco ed è caratteristica di scorrimenti rotazionali

Scorrimento

rotazionale

Scorrimento

traslazionale

Espansione laterale

Debris flow

Earth flow

1

2

3

4

5

6

7

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e traslazionali); rottura in condizioni di resistenza residua, tipica di scorrimenti traslativi; rottura per liquefazione dovuta ad una sollecitazione dinamica sia in caso di falda stazionaria che di moti di filtrazione e differenze di permeabilità nel versante (sifonamenti). Quest’ultima modalità caratterizza i colamenti, ed è legata a sovrapressioni interstiziali (Bell, 1983; Lesmo, 1989; Amanti et al., 1994).

Le caratteristiche di resistenza al taglio sono fortemente influenzate dalla granulometria e in rocce e terreni, essa è solitamente rappresentata dalla somma di attrito e coesione.

Nei materiali coerenti la rottura avviene lungo superfici concave più o meno regolari. Nei materiali sciolti non si ha una vera e propria rottura ma un assestamento delle particelle che tendono a ricostruire una superficie la cui inclinazione vada a coincidere con l’angolo di riposo.

Nel caso in cui si abbia saturazione in acqua il meccanismo è più complesso e il fenomeno di rottura riguarda soprattutto la resistenza per attrito. Nei materiali coerenti l’acqua ha un effetto destabilizzante minimo, limitato alla dissoluzione del cemento. In quelli incoerenti ha diversi effetti secondo le condizioni di partenza: in piccole quantità (non riempie completamente gli spazi vuoti) crea un velo che tiene unite le particelle per coesione. Questa forza è notevole in terreni a granulometria fine (sabbia fine, limo, argilla). Se invece si ha la saturazione completa del terreno l’acqua elimina totalmente la coesione e riduce sensibilmente la resistenza per attrito. Si può verificare la saturazione per piogge molto intense, scioglimento della neve o variazioni del livello di falda.

L’acqua è uno dei principali agenti destabilizzanti perché un versante non si presenta quasi mai come un corpo compatto e omogeneo, ma è attraversato da fratture, stratificazioni o altre superfici di debolezza (Cruden e Varnes, 1996).

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Per fenomeni di instabilità superficiale che si verificano in particolare sulle coltri eluvio-colluviali si ritiene determinante il verificarsi di eventi molto piovosi concentrati in poche ore o meno intensi ma più prolungati nel tempo. Tali eventi possono aumentare, per infiltrazione rapida, il livello della saturazione nelle coperture, talvolta molto permeabili, ed innescare l’instabilità per l’aumento della pressione dell’acqua nei pori (Perego e Vescovi, 2000; Wieczorek, 1996).

Lo studio dei processi di frana riveste un ruolo di fondamentale importanza nel campo delle applicazioni geotecniche (Burwell e Roberts, 1950; Terzaghi e Peck, 1967; Boyce, 1982; Clayton et al., 1982). Particolare attenzione va posta alla caratterizzazione della superficie di scivolamento, alle geometrie relative a zone omogenee e alle proprietà dei materiali, in modo tale da poter valutare i parametri di resistenza, deformazione e permeabilità dei terreni interessati. Questo al fine di “tentare” una previsione relativa alla possibile risposta a eventi analoghi da parte di materiali simili (Dowding, 1979; Ducan, 1979) e al fine di mettere in opera misure atte a prevenire movimenti futuri.

Da non trascurare, infine, è anche il fatto che aree instabili solitamente mostrano sintomi di movimenti precedenti. È quindi molto importante la raccolta di dati relativi ad una determinata area, reperibili presso enti pubblici e privati, lo studio di documenti storici e giornali, l’analisi di carte e foto aeree (Turner e McGuffey, 1996).

5.2. FRANOSITÀ NEL BACINO DEL FIUME SERCHIO

L’area compresa all’interno del Bacino del Fiume Serchio, per ubicazione geografica e configurazione morfologica, è tra le zone maggiormente esposte a fenomeni meteorici particolarmente intensi e/o prolungati. Possono, infatti, essere

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raggiunti e superati i 3.000-4.000 mm annui, che sono tra i valori più elevati in Italia. Inoltre negli ultimi decenni la frequenza di eventi estremi sembra essere aumentata (D’Amato Avanzi et al., 2000; D’Amato Avanzi e Giannecchini, 2003; Giannecchini, 2006).

Questa porzione di territorio è anche interessata da un’intensa sismicità documentata in tempi storici e riscontrabile tuttora; questo fatto la colloca tra le zone considerate ad alto rischio sismico.

In tutto il bacino sono dunque diffusi fenomeni di franosità e molteplici dissesti di varia estensione, entità e grado evolutivo, che hanno un forte impatto sull’ambiente naturale e antropico (Nardi et al., 1986; 1987a; Dallan et al., 1991) dovuti proprio alla combinazione di agenti morfodinamici, geologici, sismici e climatici.

Nel Bacino del Fiume Serchio, data l’alta densità di popolazione e la presenza di poli economici e culturali, già a partire dagli anni ‘80 sono stati avviati studi sulla stabilità dei versanti e studi per la valutazione del rischio di frana (D’Amato Avanzi

et al., 1997) che vanno ad assumere una particolare importanza nella pianificazione

territoriale. Questi studi sono stati indirizzati alla determinazione della pericolosità, alla definizione della probabilità di riattivazione di frane preesistenti e dei tempi di ritorno, attraverso la somma dei contributi di piogge, sismi, azioni erosive e attività antropiche in aree ad elevata vulnerabilità.

Nel bacino sono presenti unità tettoniche riferibili a domini paleogeografici differenti (Ligure, Subligure e Toscano) molto deformate dalla tettonica polifasata che ha caratterizzato questo territorio. Dagli studi di D’Amato Avanzi et al. (1995) risulta che il maggior numero di movimenti franosi si verifica in rocce di tipo argillitico, riferibili soprattutto alla Scaglia rossa e al Complesso di Base; seguono poi le rocce arenacee (Macigno) spesso alterate e fratturate soprattutto presso le

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faglie principali. Le frane di crollo si verificano maggiormente in litologie competenti quali Calcari, Maiolica e Macigno. Non sono stati riscontrati, nel bacino, fenomeni di espansione laterale (Cancelli et al., 2002; D'Amato Avanzi et

al., 1999a; 1999b).

Frequenti sono anche le frane che si verificano sui depositi detritici che nel bacino del Serchio sono ampiamente rappresentati dalle coperture del Macigno (Cancelli et

al., 2002; Nardi et al., 1987a; 1987b; D’Amato Avanzi et al., 1999a). La

distribuzione delle frane che interessano le coperture, inoltre, indica che la configurazione morfologica tipica dei pendii soggetti ad instabilità ha una pendenza variabile da 30° a 45° (D’Amato Avanzi et al., 1999b).

Una valutazione quantitativa secondo la classificazione di Varnes (1978) permette di constatare che nelle coltri detritiche e nelle litologie argillitiche sono più frequenti scorrimenti rotazionali, colamenti e scorrimenti-colata (fenomeni complessi abbastanza diffusi). Gli scorrimenti rotazionali e traslazionali sono relativamente diffusi nelle coperture del Macigno e delle Marne a Posidonya. Per quanto riguarda gli eventi calamitosi più recenti, riferiti a fenomeni meteorici, che si sono verificati nel Bacino del Serchio si ricordano in particolare quelli dall’11 al 22 Luglio del 1992, 4-9 novembre del 1994, 19 Giugno 1996 che colpì la Versilia e la Garfagnana, l’evento del Settembre-Ottobre 1998 nelle aree di Camaiore, Massarosa e Media Valle del Serchio e gli episodi dell’autunno del 2000 che hanno interessato diverse aree della provincia di Lucca (Media Valle e Piana di Lucca) provocando numerosi eventi franosi e alluvionali, vittime e danni ad edifici e infrastrutture (D’Amato Avanzi et al., 2000).

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Se andiamo ad osservare in maggior dettaglio l’evento più recente, cioè quello che ha colpito la lucchesia nel 2000, il fenomeno più grave si è verificato a Vinchiana (Lucca). Nell’area più colpita affiora in prevalenza Macigno e sui versanti arenacei giacciono vaste coperture detritiche ed eluvio-colluviali formatisi a spese di questa litologia, con potenza variabile da qualche metro a una decina di metri.

Le frane verificatesi furono circa un centinaio e i movimenti furono principalmente di tipo superficiale quali scorrimenti di detrito, colate rapide di detrito e fenomeni complessi, dovuti all’aumento delle pressioni neutre e alla saturazione del materiale. Un ruolo fondamentale sembra essere stato giocato dall’entità e dalla continuità delle piogge antecedenti che hanno saturato il materiale e abbassato la soglia pluviometrica critica.

Durante gli eventi del 2000 si è verificata anche una ripresa dell’erosione da parte di numerose aste torrentizie che hanno contribuito all’instabilità dei versanti.

Si sono inoltre verificate frane più profonde quali quelle di Guzzano (Villa Basilica), Fibbialla (Camaiore), Petrognano (Capannori), S. Ilario di Brancoli (Lucca) e Vinchiana (Lucca). La frana di Vinchiana, in particolare, si è evoluta con due movimenti principali successivi ed adiacenti: il primo è stato un movimento traslativo di detrito e roccia con associata una piccola colata di fango; il secondo uno scorrimento roto-traslativo multiplo di terra e detrito (D’Amato Avanzi et al., 2000).

Nell’ambito di questa tesi sono state analizzate in dettaglio alcune aree interessate da dissesti verificatisi su deposi eluvio-colluviali del Macigno. Tali depositi risultano infatti notevolmente sensibili a eventi meteorici estremi, ricorrenti nel territorio in esame. In particolare sono stati considerati sia casi in cui si avevano fenomeni franosi superficiali, sia aree caratterizzate da movimenti più profondi. In

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generale i movimenti franosi, individuati nell’ambito di questa tesi, sulle coperture del Macigno, appartengono alle tipologie di movimenti che tipicamente si verificano nell’area: scorrimenti rotazionali, traslazionali e colamenti. Di seguito, quindi, si riporta una descrizione più dettagliata di queste tipologie di frana.

5.2.1. Frane di scorrimento o scivolamento (Slides)

Queste tipologie di frana sono caratterizzate da un movimento lungo il versante su una superficie di rottura. Il movimento non inizia contemporaneamente in tutta la superficie e i primi segni di sono rappresentati da fessure lungo il versante. La massa spostata scivola oltre l’unghia della superficie di rottura e al piede si formano rigonfiamenti, fratture radiali e lobi (Fig. 35). Queste frane sono caratterizzate da una velocità da pochi m l’anno (in roccia) a 3 m/s nel materiale sciolto.

Fig. 35: Frana di scorrimento o scivolamento (Slide). Nell’immagine è indicata la nomenclatura delle singole porzioni della frana (da Varnes, 1978).

Le frane da scorrimento possono essere suddivise in frane da scorrimento

rotazionale e traslativo:

- Scorrimento rotazionale (Fig. 34): movimento lungo una superficie di rottura curva e concava verso l’alto. La rotazione avviene attorno ad un punto situato

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al di sopra del centro di massa, esterno al versante. La rottura può essere di pendio, di unghia o di base. Nei materiali sciolti il rapporto tra profondità e lunghezza della superficie di rottura è compreso tra 0,15 e 0,33 e la profondità può arrivare quindi a 1/3 della lunghezza. Le frane rotazionali si verificano più frequentemente in materiali omogenei e nei riempimenti artificiali. La scarpata principale può essere quasi verticale e si possono verificare movimenti di retrogressione verso il coronamento.

- Scorrimenti traslativi (Fig. 34): movimenti lungo una superficie di rottura piano o ondulata, con scivolamento al di sopra della superficie originaria del versante. La superficie di rottura segue spesso le discontinuità come faglie, diaclasi o superfici di strato o di contatto tra roccia e suolo. Il rapporto tra profondità e lunghezza della superficie di rottura è tipicamente minore di 0,1. Se la velocità o il contenuto d’acqua crescono la massa può disgregarsi e fluire trasformandosi in una colata di detrito o in una valanga di roccia. Scorrimenti traslativi di grandi masse rocciose lungo una singola discontinuità sono denominati scorrimenti in blocco. Sono caratteristiche di terreni non omogenei e interessano terreni sciolti (limi, sabbie, argille) e lapidei (calcari).

Un’importante differenza tra una frana rotazionale e una traslativa è che la prima tende a riportare la massa all’equilibrio, la seconda può proseguire il movimento nel tempo se le condizioni lo consentono.

- Scorrimenti roto-traslativi: sono forme intermedie tra scorrimenti rotazionali e traslativi, hanno una scarpata principale ripida e una superficie di scorrimento che riduce la sua inclinazione in profondità, la quale può essere marcata dalla presenza di scarpate inclinate verso monte che formano aree depresse tipo

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graben. Questa tipologia di movimento è caratteristica della presenza di uno

strato debole o del contatto roccia alterata/roccia sana.

In base alla sollecitazione al taglio lo scivolamento inizia quando all’aumentare, delle pressioni interstiziali, viene raggiunto il massimo valore di rottura (angolo di attrito di picco) in caso di frane di neoformazione. L’accelerazione della massa è determinata dalla differenza tra sollecitazione di taglio e resistenza al taglio. La zona interessata dalla sollecitazione al taglio passa rapidamente allo stato residuale. Se la superficie di scivolamento è già nello stato residuale (frane di seconda generazione) il movimento ha inizio quando la sollecitazione raggiunge i valori di rottura per lo stato residuale (angolo di attrito residuo) (Amanti et al., 1994; Lesmo, 1989).

5.2.1. Frane di colamento (Flow)

Il colamento è un movimento spazialmente continuo di materiali lungo un versante o un canale. Nel materiale mobilitato le superfici di taglio hanno breve durata e generalmente non si presentano durante il movimento. Sono frequenti in concomitanza di fenomeni atmosferici eccezionali. Questa tipologia di frane può essere suddivisa in:

- Colate di detrito (Fig. 34): sono trasporti in massa di una miscela di materiale granulare detritico, fango, acqua e aria. Se prevale il materiale grossolano si parla di debris flow, se invece prevale il materiale solido fine si parla di mud

flow. La velocità della massa è assimilabile a quella di un fluido viscoso e può

variare da 10-15 m/s, nelle colate di detrito, a 100 m/s, nelle valanghe di detrito o colate rapide che si verificano sui pendii montani ripidi al di sopra del limite del bosco. La densità di una colata di detrito può essere molto elevata e la

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frazione solida può superare l’80% in peso. Possono quindi essere spostati massi di notevoli dimensioni. All’interno del materiale si verificano intense deformazioni e il materiale grossolano può depositarsi a formare argini naturali. Le colate in materiali sciolti (detrito o terra) subiscono l’influenza della morfologia e tendono ad incanalarsi negli alvei e negli impluvi espandendosi in ventagli e lobi quando raggiungono il fondovalle. Lungo i fianchi della colata possono essere visibili striature e margini levigati. Questi fenomeni coinvolgono solitamente gli spessori più superficiali del versante e sono frequenti in terreni poco consolidati e a coesione bassa. L’innesco è solitamente dovuto alla saturazione del materiale che riduce ulteriormente la coesione e aumenta la pressione neutra. In questo modo diminuisce fortemente la resistenza al taglio.

- Colamenti in roccia: comprendono deformazioni continue spazialmente e fenomeni di creep sia superficiale che profondo. Comportano movimenti differenziali molto lenti e a velocità costante e sono caratterizzati da piegamenti, arricciamenti e rigonfiamenti.

(Amanti et al., 1994; Castiglioni, 1986; Evans et al., 2001; D’Elia, 1975).

I fenomeni di colamento si verificano con maggior frequenza su versanti a pascolo e prato con pendenze comprese tra 16° e 45° (De Luca et al., 1996).

I debris flow che si originano su depositi colluviali possono muoversi con velocità superiori a 3 m/s, sono composti da materiale eterogeneo e possono includere anche materiale organico.

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Per quanto riguarda il meccanismo di attivazione è frequente che la frana inizi come uno scivolamento traslazionale con una successiva disgregazione del materiale che termina nella trasformazione in debris flow.

Secondo Howard et al. (1988) questa modificazione avviene in cinque passaggi: dapprima si ha uno scivolamento rigido del terreno sul substrato, questo processo di scivolamento è controllato da fratture che si originano nel detrito e dalla crescente pressione dell’acqua nei pori causata dalla differenza di permeabilità tra il substrato e la coltre colluviale; il secondo passo è un’evoluzione interna alla copertura con la formazione di rotture interne che causano la diminuzione della resistenza al taglio e un aumento del livello delle deformazioni plastiche. L’acqua che entra all’interno della massa che si dilata attraverso le fratture va a disgregare il materiale. Nel terzo stadio il materiale solido comincia a scorrere lungo il pendio, nel quarto continua a scorrere e prende velocità incorporando altro materiale solido, infine, nel quinto stadio, alla base del pendio il materiale rallenta e si deposita a formare un lobo terminale (Fig. 36) (Turner, 1996; Howard et al., 1988).

Fig. 36: Cinque stadi di trasformazione da una frana di scorrimento traslazionale ad un debris flow: a) Scivolamento rigido; b) fratturazioni interne che causano la perdita di resistenza del blocco; c) blocco disgregato che comincia a scorrere lungo il pendio; d) debris flow in accelerazione; e) deposizione del lobo terminale al decremento del gradiente di pendenza del versante (da Howard et

Figura

Fig. 34: Classi differenti di frane per tipo di movimento: 1 – Crollo (Rock falls); 2 – Ribaltamento  (Topple);  3  –  Scorrimento  rotazionale  (Rotational  landslide);  4  –  Scorrimento  traslativo  (Translational  landslide);  5  –  Espansione  lateral
Fig.  35:  Frana  di  scorrimento  o  scivolamento  (Slide).  Nell’immagine  è  indicata  la  nomenclatura  delle singole porzioni della frana (da Varnes, 1978)
Fig. 36: Cinque stadi di trasformazione da una frana di scorrimento traslazionale ad un debris flow:  a)  Scivolamento  rigido;  b)  fratturazioni  interne  che  causano  la  perdita  di  resistenza  del  blocco;  c)  blocco  disgregato  che  comincia  a

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