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33. Sviluppi in serie: aggiriamo gli ostacoli insormontabili **

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Academic year: 2021

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33. Sviluppi in serie: aggiriamo gli ostacoli insormontabili **

2015-10-08 08:10:39 Vincenzo Zappalà

Anche se abbiamo concluso (almeno momentaneamente) lo studio delle funzioni, queste ultime rimangono un punto fondamentale della matematica e continuano a essere nel nostro mirino. Vogliamo arrivare al calcolo dei loro integrali e quindi cominciamo con il loro sviluppo in serie, un argomento poco divulgato che è però di importanza fondamentale.

Abbiamo già visto certi numeri molto importanti, ma contemporaneamente molto scorbutici. Uno fra tutti è il numero e (ma anche π):

dopo la virgola i decimali si susseguono senza alcun ordine e non finiscono mai. Come poterlo calcolare? Non ditemi che basterebbe avere un PC o una calcolatrice tascabile! Si sposterebbe solo il problema, dato che la “macchina” lo calcola sulla base di formule matematiche che le sono state insegnate e immesse in memoria.

Non possiamo certo pensare di andare a tentativi e aggiungere e togliere quantità numeriche sperando di approssimare sempre più il numero voluto. E’ necessario utilizzare una qualche regola chiara e precisa che ci permetta di sapere istante per istante a che livello di precisione siamo arrivati e, soprattutto, fare in modo che ciò che aggiungiamo al numero ricavato sia sempre più piccolo di quello usato precedentemente. Solo in questo modo possiamo dire di avvicinarci sempre più alla soluzione finale. Una soluzione finale che non può esistere, per definizione, ma che, lavorando con ordine e con sistematicità, possiamo sempre tenere sotto controllo, ossia

possiamo sempre sapere l’errore di approssimazione che stiamo commettendo. Se, ad esempio, in un problema di fisica ci basta raggiungere le dimensioni del centimetro, possiamo tranquillamente fermarci a un numero che fornisca esattamente i millimetri (tanto per essere sicuri) e tralasciare tutto ciò che è inferiore al millimetro.

Cercare di approssimare un numero o più in generale una funzione (il numero diventa la funzione calcolata in un punto) attraverso una serie di termini successivi in cui ogni ulteriore aggiunta migliori sempre di più l’approssimazione è di interesse estremo in matematica e di conseguenza in fisica. Alcune funzioni sono complicatissime da trattare e da studiare, ma se riuscissimo a scriverle sotto forma di serie continua di funzioni più semplici, sapendo come e quando fermarci a seconda degli scopi, supereremmo ostacoli insormontabili.

Questo problema è tra i più comuni in tutti i campi della fisica, non ultima quella quantistica. Ricordate come Feynman aggiungeva diagrammi sempre più complicati per ottenere la probabilità finale? Ebbene, faceva qualcosa del genere: a seconda della precisione desiderata non doveva far altro che inserire una serie di nuovi diagrammi con un numero crescente di interazioni e sapeva di migliorare sicuramente il risultato finale.

Ma lasciamo da parte la MQ e limitiamoci alla nostra matematica, in attesa di poterla applicare a qualche caso peculiare.

Ciò di cui stiamo parlando sono gli sviluppi in serie di una funzione. In parole molto semplici, cercare di scrivere qualsiasi funzione attraverso uno sviluppo in serie di funzioni (ovviamente più semplici) che possa essere interrotta in qualsiasi momento, conoscendo perfettamente la precisione raggiunta. Lo sviluppo in serie apre un nuovo mondo matematico, che l’introduzione degli infinitesimi e dei concetti di limite e derivata ha semplificato di molto. Noi ci occuperemo della più utilizzata, quella di Taylor e della sua sorella semplificata di Maclaurin, senza pretendere di visitare tutto ciò che gli sta dietro: avremo già imparato molto.

In realtà, il concetto di sviluppo in serie per approssimare una funzione è già insito nel concetto di limite. Ricordate Achille e la tartaruga?

Esiste sempre un intervallino piccolo a piacere che è minore della distanza tra Achille e la tartaruga. Matematicamente Achille è destinato a perdere, ma fisicamente no. Una serie ammette questa differenza e ci permette di fermarci dove la fisica è soddisfatta.

Cercheremo di arrivare alla serie di Taylor avvicinandoci per gradi. Vedremo anche come sia relativamente facile costruire una serie di funzioni anche senza l’utilizzo dei limiti e delle derivate. Vedremo, però, che la loro conoscenza semplifica e generalizza di molto la soluzione. Per ricavare la serie di Taylor useremo due metodi: uno brutalmente empirico (in qualche modo, poco matematico) e poi – se necessario- uno più rigoroso che faccia uso di un paio di teoremi sulle funzioni.

Avvicinandoci a Taylor vedremo subito quale sia il significato delle derivate successive in un contesto di continuo miglioramento dell’approssimazione. Teniamo sempre conto, però, che l’approssimazione rimane valida solo in un intorno più o meno grande del punto in cui si vuole studiare la funzione. Aspettatevi un approccio ben poco usato in genere, ma che penso sia utile per capire prima il concetto generale e solo dopo iniziare a scrivere funzioni più o meno complicate. E’ in fondo il nostro modo di fare e penso che l’iniziale perdita di rigorosità venga utile per una migliore comprensione concettuale del problema.

Lo studio degli sviluppi in serie ci traghetterà verso gli integrali…

QUI il capitolo precedente QUI il capitolo successivo QUI l'intero corso di matematica

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34. Approssimiamo una funzione divertendoci con una matematica molto fantasiosa **

2015-10-12 15:10:19 Vincenzo Zappalà

L’approccio che cerchiamo di usare, per introdurre lo sviluppo in serie di funzioni, vuole arrivare ad approssimare una data funzione attraverso un semplice polinomio di grado n. E’ un approccio, però, che non troverete nei libri, ma che reputo oltremodo intuitivo e utile per arrivare al nocciolo del problema ed essere poi pronti a una trattazione ben più rigorosa e generale. Nel contempo, le derivate successive incominciano ad assumere un ruolo di primo piano. Divertiamoci un po’ a fare un tentativo che appare campato in aria solo a prima vista…

Facciamo un gioco un po’ strano e senza un vero significato matematico e/o geometrico. Ma, ogni tanto ci si può anche divertire eseguendo tentativi che sembrano del tutto campati in aria. L’importante è che questi tentativi non vengano poi tacciati come teorie alternative o cose del genere. Inoltre, vedremo che questo gioco non è poi tanto assurdo come potrebbe sembrare a prima vista. In qualche modo risponde a una domanda che era stata fatta tempo fa: “Che significato hanno le derivate successive?”.

Consideriamo, allora, una funzione qualsiasi y = f(x)

La scegliamo in modo che esistano tutte le sue derivate successive e non siano mai zero. Questa frase non è molto strana se pensiamo a una funzione come il seno (o il coseno). La sua derivata vale coseno, la cui derivata è – seno, la cui derivata è – coseno, la cui derivata è seno, e via dicendo… Ovviamente, se calcolata in un certo punto, può anche valere zero, ma non lo è in generale. La stessa cosa vale ovviamente per la funzione ex, le cui derivate successive valgono sempre ex.

Ammettiamo quindi che la funzione sia sempre derivabile fino a un ordine n grande a piacere. Esistono perciò e sono finite le derivate f ’(x), f ”(x), f III(x), f IV(x), …., f n(x)

Immaginiamo di conoscerle calcolate nel punto x0.

Andiamo avanti lentamente e immaginiamo che la nostra funzione sia quella rappresentata nella Fig. 1. Consideriamo un suo punto P(x0,y0). Cerchiamo di approssimare la funzione con quel poco che sappiamo.

Figura 1

Beh… la prima cosa ovvia è che il punto P appartiene alla curva, perciò deve essere:

y = y0 = f(x0) …. (1)

La (1) non dice molto, ma non vi è dubbio che rappresenta una retta orizzontale, parallela all’asse delle x. Tracciamola nella Fig.1 . Sicuramente abbiamo fatto un passo in avanti: la (1) approssima meglio la nostra funzione (intorno al punto P) di quanto non faccia l’asse delle x. Questa retta ha, sicuramente, un punto in comune con la funzione.

Cerchiamo di migliorare un po’ il risultato…

Scriviamo la retta tangente alla curva nel punto P. Questo lo sappiamo fare senza problemi.

y – y0 = m (x – x0) = f ’(x0) (x – x0)

Conosciamo x0, y0 e f ’(x0) e possiamo scrivere:

y = y0 + f ’(x0) (x – x0) o anche:

(3)

y = f(x0) + f ’(x0) (x – x0) …. (2)

Disegniamo, in Fig. 2, la Fig. 1 con l’aggiunta della tangente in P.

Figura 2

Beh… non possiamo che concludere, nel nostro piccolo, che la (2) approssima la funzione molto meglio della (1). Facciamo qualche riflessione grafica, considerando i punti A sull’asse x; il punto A0 sulla parallela all’asse x, passante per P; il punto A1 sulla tangente; il punto An sulla curva relativa a f(x). Ogni punto ha come ascissa una qualsiasi x (meglio se vicina a x0). Risulta subito che:

AAn = AA0 + A0A1 + A1An Ossia:

f(x) = f(x0) + f ’(x0) (x – x0) + A1An E anche

f(x) - f(x0) - f ’(x0) (x – x0) = A1An

Possiamo anche chiamare A1An = R e chiamarlo “errore”, commesso approssimando la funzione con la retta tangente in P. Un errore che tende naturalmente a ZERO per x che tende a x0. A questo riguardo potremmo anche dire (senza sbagliare concettualmente) che se la retta y = y0 ha un solo punto in comune con la funzione (P), la tangente in P ha "due punti" in comune ed entrambi coincidono con P. In qualche modo la tangente sembra “adattarsi” di più alla funzione nel punto P di quanto non faccia la retta parallela all’asse x. E’ un po’ il discorso che avevamo fatto per i massimi e minimi e per i flessi… ricordate? In fondo, se guardiamo la figura ruotandola in modo che la tangente diventi l’asse delle x, facendo coincidere il punto P con O, quest'ultimo diventa una specie di minimo (e annulla oltre che la funzione anche la derivata prima).

Ricordiamo, poi, un punto essenziale sul quale ci si confonde spesso. Si dice che la derivata prima rappresenta la tangente alla curva in un certo punto. In realtà non è esatto. Bisognerebbe dire che la derivata prima rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente, ossia ha un senso solo se è calcolata nel punto e diventa un coefficiente numerico. In altre parole (sto tirando l’acqua al mio mulino per dare forza al gioco che inizierà tra poco), la derivata che compare nella tangente (che approssima la curva in P) è solo e soltanto un coefficiente numerico. Pensateci un po' sopra e andiamo pure avanti…

Riguardiamo con attenzione la (2) e il suo significato geometrico rappresentato in Fig. 2.

Cosa potremmo fare per approssimare ancora meglio la funzione di partenza? Non certo cambiare la retta, ma cercare di utilizzare una curva che si avvicini ancora di più alla f(x). Beh… se dobbiamo usare una curva, la cosa migliore è quella più semplice, ossia un polinomio di secondo grado, cioè una parabola. Potremmo anche chiamarla parabola osculatrice nel punto P. Essa avrebbe tre punti in comune con la f(x), tutti e tre coincidenti con P. Questa “pazza” idea sembra essere confermata dall’andamento della (2), la quale è formata da un termine noto, y0 = f(x0), ossia la funzione stessa calcolata in x0, moltiplicato per (x – x0) elevato a ZERO e da un coefficiente (la derivata prima calcolata in x0) moltiplicato per (x – x0) elevato all’esponente UNO. Come fare per farla diventare una parabola? La prima idea che “mi” viene in testa (no, non credeteci, è già venuta ad altri prima che a me!) è aggiungere un termine in cui compare (x – x0) elevato all’esponente DUE.

Per cosa lo moltiplichiamo? Tanto vale provare: per la derivata seconda di f(x), sempre calcolata in x0. Ciò che sicuramente si ottiene è qualcosa come quella rappresentata in Fig. 3 (curva verde) che possiamo chiamare parabola osculatrice. Siamo sicuri che questa curva approssimi meglio la curva? Beh… direi proprio di sì. Se non altro, il termine di secondo grado ci assicura che la nostra parabola tende a y0 più velocemente di quanto non faccia la retta tangente, che è di primo grado in x, al tendere di x verso x0.

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Figura 3

La funzione che dovrebbe approssimare la f(x) meglio della tangente sarebbe data da:

f(x) = f(x0) + f ’(x0) (x – x0) + f ”(x0) (x – x0)2 + A2An

A2An rappresenta la parte che ci manca per un’approssimazione perfetta della nostra parabola con la funzione di partenza. Esso è chiaramente più piccolo di quello precedente. Ossia R diminuisce.

Una trattazione più accurata e meno campata in aria potrebbe fare uso del calcolo differenziale, ma andrebbe ben oltre i nostri scopi e quindi accontentiamoci di queste conferme molto grossolane. Ci torneremo sopra tenendo per mano il teorema di Lagrange e tutto sarà più logico.

A questo punto, tanto vale insistere per la stessa strada. Possiamo continuare con la derivata terza e aggiungere un termine. Alla nostra funzione costruita attraverso un polinomio (eh sì, stiamo usando solo potenze di x moltiplicate per coefficienti numerici…), aggiungiamo il termine di terzo grado:

f III (x0) (x – x0)3

La nostra funzione che tende ad approssimare la f(x) in un intorno del punto P, è diventata:

f(x) = f(x0) + f ’(x0) (x – x0) + f ”(x0) (x – x0)2 + f III(x0) (x – x0)3 + A3An

Una bella cubica (cubica osculatrice, chiamiamola così…) che approssima ancora meglio la nostra funzione di partenza f(x) in un intorno di P (curva marrone in Fig. 3). L’errore che si commette diventa sempre più piccolo e possiamo dire con certezza che deve essere un infinitesimo di ordine superiore a TRE. Un errore che possiamo ormai permetterci di chiamare “resto”.

Ovviamente, possiamo proseguire fino ad arrivare all’ordine n che preferiamo e che ci regala un errore più piccolo rispetto alle nostre esigenze.

Tutto bene? Nemmeno per sogno! Purtroppo, i primi due termini che ci sono serviti per il nostro gioco non ci regalano informazioni sul coefficiente numerico che deve veramente moltiplicare (x –x0) elevato alle potenze successive. Non ci resta che fare una cosa, molto banale ma illuminante e decisiva. Applichiamo la nostra “fantasia” matematica a una funzione che sia davvero un polinomio. Ad esempio una bella cubica e vediamo se funziona veramente. Se funziona per lei siamo abbastanza sicuri che funzionerà anche per funzioni diverse dai polinomi. Lagrange ci aiuterà di nuovo per passare da fantasia a realtà.

Bene, la prossima volta faremo questo tentativo.

Sì, lo so, abbiamo fatto un po’ di pseudo-matematica, molto empirica e poco rigorosa. Abbiamo veramente scherzato? Mica tanto e, comunque, abbiamo introdotto lo sviluppo in serie in modo estremamente semplice e intuitivo. Inoltre le derivate successive acquistano un significato “quasi” geometrico, dato che sono i coefficienti dei termini di grado equivalente.

Chi storce un po’ il naso, vedrà che correremo ai ripari, sempre grazie a Lagrange (uffa!)

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35. Approssimiamo un polinomio con un polinomio… **

2015-10-19 06:10:42 Vincenzo Zappalà

Abbiamo iniziato una specie di gioco che sta diventando un piccolo “giallo”. Continuiamo senza preoccuparci più di tanto della visione molto empirica e poco matematica…La mettiamo velocemente alla prova.

Proviamo a vedere se la nostra “intuizione” che fa uso delle derivate successive è corretta oppure no. La cosa migliore da fare è applicarla a un… vero polinomio. Il risultato deve dare esattamente la funzione di partenza.

Consideriamo come funzione:

y = x3 + x2 + x

Come punto in cui approssimare la funzione scegliamo proprio l’origine degli assi, ossia x = 0 (è necessario farlo, altrimenti ci troveremmo nei guai. Guai, però, che si risolveranno da soli).

Vediamo quanto valgono la funzione e le sue derivate successive, calcolate in quel punto:

f(0) = 0

f ’(x) = 3x2 + 2x + 1 f ’0) = 1

f ”(x) = 6x + 2 f ”(0) = 2

f III (x) = 6 f III (0) = 6

f IV(x) = 0 f IV(0) = 0

Prendiamo la forma empirica che avevamo ricavato la volta scorsa e applichiamola al nostro caso, senza pensare all’errore, ossia immaginando di proseguire con le derivate successive. Ovviamente ci fermiamo quando la derivata diventa zero, dato che saranno zero anche tutte quelle successive. L'errore deve diventare zero...

f(x) = f(x0) + f ’(x0) (x – x0) + f ”(x0) (x – x0)2 + f III(x0) (x – x0)3 + fIV(x0) (x – x0)4 + … f(x) = f(0) + f ’(0) x + f ”(0) x 2 + f III(0) x03 + f IV(x0) (x – x0)4 + …

f(x) = 0 + 1 x + 2 x2 + 6 x3 + 0 x4 + ….

Alla fine otteniamo:

f(x) = x + 2x2 + 6x3

Accidenti, ci siamo quasi, ma non tornano i coefficienti dei vari termini in x…

Un’idea di come fare ce l’avremmo anche, ma… è meglio provare con una funzione di grado più elevato. Vediamo se conferma la nostra ipotesi un po’ balzana (ce l’avete anche voi, vero?).

f(x) = x5 + x4 + x3 + x2 + x

Calcoliamo di nuovo le derivate per x = 0 f(0) = 0

f ’(x) = 5x4 + 4x3 + 3x2 + 2x + 1 f ’(0) = 1

f ”(x) = 20x3 + 12x2 + 6x + 2 f ”(0) = 2

(6)

f III (x) = 60x2 + 24x + 6 f III (0) = 6

f IV(x) = 120x + 24 f IV(0) = 24

f V(x) = 120 f V(0) = 120

f VI(x) = 0 f VI(0) = 0 Da cui:

f(x) = x + 2x2 + 6x3 + 24x4 + 120x5

La funzione non è quella di partenza, ma la nostra idea balzana sembra proprio funzionare…

L’idea balzana (che adesso non è più tanta balzana) è che per fare tornare la funzione di partenza è necessario dividere i coefficienti numerici per un qualcosa che non è difficile da determinare in modo generale e che dipende solo e soltanto dall’esponente di x.

Qualcosa che è sempre legato alla derivata di una potenza...

Provate a pensarci e ci risentiamo presto…

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36. La serie di Taylor e quella di Maclaurin **

2015-10-24 07:10:56 Vincenzo Zappalà

Il gioco è quasi terminato e possiamo tornare, lentamente, verso una visione più seria e precisa. Ciò che abbiamo ottenuto, divertendoci, non è altro che una formula di importanza fondamentale.

Ragioniamoci sopra: il termine in x deve essere diviso per 1, il termine in x2 deve essere diviso per 2, il termine in x3 deve essere diviso per 6 e via dicendo. Ci chiediamo: “Qual è il legame che esiste tra l’esponente della x e questo numero variabile?”

Proviamo con queste semplici relazioni:

1 = 1 2 · 1 = 2 3 · 2 · 1 = 6 4 · 3 · 2 · 1 = 24 5 · 4 · 3 · 2 · 1 = 120

Cosa abbiamo fatto ? Ad ogni numero n abbiamo associato il prodotto di tutti i numeri interi che lo precedono (escludendo lo zero).

In parole più matematiche, a n associamo il numero:

n · (n-1) · (n -2) · …. · 3 · 2 · 1

Ad esempio a 1 associamo 1, dato che non vi è nessun numero che lo precede. Al numero 2 il prodotto 2 per 1. A 3 il prodotto 3 per 2 per 1, e via dicendo. Questo nuovo numero si chiama fattoriale del numero e si calcola come prodotto del numero per tutti i suoi antecedenti.

Nel nostro caso, se l’esponente di x è 1, dividiamo la potenza per il fattoriale di 1, ossia 1; se l’esponente è 2 la dividiamo per il fattoriale di 2, ossia 2 per 1, ossia 2; se l’esponente è 3 la dividiamo per il fattoriale di 3, ossia 3 per 2 per 1, ossia 6; se l’esponente è 4, la dividiamo per il fattoriale di 4, ossia 4 per 3 per 2 per 1, ossia 24; e via dicendo.

Funziona questo tipo di coefficiente? Perfettamente dato che è proprio quello che riduce a 1 tutti i coefficienti delle potenze di x, ottenendo alla fine proprio la funzione di partenza! Oltretutto la sua ragione d'essere è abbastanza semplice da capire: è il coefficiente che serve ad "annullare" il coefficiente che nasce eseguendo le derivate successive!

Possiamo perciò scrivere la formula corretta:

f(x) = x/1 + 2 x2/(2· 1) + 6 x3/( 3· 2· 1) + 24 x4/(4· 3· 2· 1) + 120 x5/(5· 4· 3· 2· 1) ossia

f(x) = x + x2 + x3 + x4 + x5 Magnifico!

Abbiamo lavorato in modo molto rudimentale -e spesso fantasioso- ma siamo riusciti nel nostro intento. Abbiamo ricavato nientemeno che la serie di Taylor, un polinomio che ci permette di approssimare qualsiasi funzione nell’intorno di un certo punto fino al livello di precisione che vogliamo (la precisione ce la dice il resto, ossia l’errore, che è però sicuramente un infinitesimo maggiore dell’ultimo termine considerato).

Prima di scriverla in modo generale, introduciamo una scrittura sintetica che ci permette di indicare il fattoriale molto rapidamente. Dopo il numero inseriamo un punto esclamativo. Questo simbolo ci dice che dobbiamo moltiplicare n per tutti i numeri che lo precedono, ossia:

n! = n · (n-1) · (n -2) · …. · 3 · 2 · 1

La formula di Taylor, nell’intorno del punto origine (x = 0), diventa:

f(x) = f(0) + f ’(0) x/1! + f ”(0) x2/2! + fIII(0) x3/3! + …. f n (0) xn/n!

In realtà quanto detto non è proprio vero… La formula che abbiamo scritto si riferisce alla serie di Maclaurin, che non è altro che la serie di Taylor calcolata nell’origine.

La vera serie di Taylor vale per qualsiasi punto di ascissa x0 della funzione da approssimare e si scrive:

f(x) = f(x0) + f ’(x0) (x - x0)/1! + f ”(x0) (x - x0)2/2! + f III(x0) (x - x0)3/3! + …. f n (x0)(x - x0)n/n!

A questo punto, possiamo anche permetterci di utilizzare la nostra formula di Taylor per la funzione polimoniale di terzo grado, scelta come esempio precedentemente, e vedere se continua a funzionare anche per x diverso da ZERO.

Riprendiamo, quindi:

f(x) = x3 + x2 + x

e approssimiamola con la serie di Taylor nel punto di ascissa x0 = 1

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Le derivate calcolate nel punto di ascissa x = 1, ovviamente, cambiano…

f(x) = x3 + x2 + x f(1) = 3

f ’(x) = 3x2 + 2x + 1 f ’(1) = 6

f ”(x) = 6x + 2 f ”(1) = 8

f III (x) = 6 f III (0) = 6

f IV(x) = 0 f IV(0) = 0

La formula di Taylor diventa:

f(x) = f(1) + f ’(1) (x - 1)/1! + f ”(1) (x - 1)2/2! + f III(1) (x - 1)3/3!

f(x) = 3 + 6 (x - 1)/1! + 8 (x - 1)2/2! + 6(x - 1)3/3!

f(x) = 3 + 6 (x - 1) + 8 (x - 1)2/2 + 6(x - 1)3/6

f(x) = 3 + 6 x - 6 + (8 x2 + 8 - 16 x )/2 + (6x3 - 6 - 18x2 + 18x)/6 f(x) = 3 + 6 x - 6 + 4 x2 + 4 - 8 x + x3 - 1 - 3x2 + 3x

f(x) = x3 + x2 + x

Come volevasi dimostrare!

Per vedere quanto sia utile la serie di Taylor basterebbe applicarla a funzioni non polinomiali come il seno ed ex. Ed è quello che faremo e che ci permetterà anche di trovare il numero “e” con la precisione voluta.

Teniamo, inoltre, in conto che fare integrali di funzioni un po’ strane potrebbe essere quasi impossibile. Sostituendo la funzione con una serie di potenze di x, tutto si semplifica enormemente. Importanza enorme ce l’ha anche l’errore che si commette, ossia il resto. Noi possiamo tralasciarlo dato che abbiamo capito come funziona concettualmente, ma la matematica più raffinata si diverte un sacco ad analizzarlo in tutti i modi.

Resta, però, il fatto che siamo arrivati a scrivere l’importantissima formula che descrive lo sviluppo in serie, che approssima una funzione qualsiasi, attraverso un polinomio in modo molto altalenante e spesso empirico. Molti non saranno soddisfatti, per cui proveremo a ricavare la formula facendo uso di due teoremi fondamentali, quello di Rolle e quello di Lagrange che è una sua

generalizzazione. Vedremo anche che senza introdurre le derivate successive era già possibile scrivere serie numeriche estremamente utili.

In ogni modo, abbiamo anche risposto alla domanda sul significato delle derivate successive. Esse servono a determinare i coefficienti dei termini successivi in modo da poter approssimare una curva data, in suo intorno, attraverso curve polimoniali di grado sempre più elevato (parabola, cubica, quadrica, ecc.). La stessa cosa che, in fondo, faceva la derivata prima.

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37. Costruzione “rigorosa” della formula di Taylor (prima parte) ***/****

2015-10-30 06:10:50 Vincenzo Zappalà

Questo non è un articolo facile, non tanto per i concetti che esprime, ma piuttosto per il numero di passaggi che siamo obbligati a fare.

Si basa su un teorema classico delle funzioni e presenta perciò un metodo rigoroso, che abbisogna, però, di iterazioni successive (mai facili da digerire e da tenere sottocchio). Mi sembrava, però, doveroso proporlo.

Prima di partire, dobbiamo ricordare un teorema fondamentale dell’analisi matematica: il teorema di Rolle. Esso sembra del tutto ovvio e, come sempre capita in queste situazioni, la dimostrazione rigorosa è tutt’altro che banale e possiamo tranquillamente evitarla.

Esso può essere enunciato come segue:

Se una funzione f(x) è continua nell’intervallo (a,b), è derivabile e vale inoltre f(a) = f(b), allora esiste sicuramente una x0 nell’intervallo (a,b) in cui f ’(x0 ) = 0.

Abbiamo scritto qualcosa di veramente semplice e intuitivo, che viene descritto perfettamente nella Fig. 1.

Figura 1

Come appena detto, la funzione deve essere continua (senza punti peculiari o salti improvvisi) e derivabile. La seconda assunzione evita il caso della retta congiungete a con b, dato che la derivata sarebbe sempre nulla.

Ne segue che qualsiasi cosa faccia la funzione nell’intervallo (a,b), essa, partendo da f(a), deve tornare a f(b) = f(a). Non è difficile concludere che, se deve essere “curva”, deve esistere almeno un punto di massimo e/o minimo all’interno dell’intervallo (a,b). Ma un punto di massimo e/o di minimo deve anche avere una x0 tale che f '(x0) = 0.

Sembra una vera sciocchezza (ma sapeste quanti teoremi fondamentali dell’analisi matematica hanno questa apparenza…) e non possiamo certo complicare ciò che è semplice. Tuttavia, da questo teorema ne segue uno leggermente più complicato che prende il nome di teorema di Lagrange. Esso può essere considerato una generalizzazione di quello di Rolle. Il suo enunciato è il seguente:

Se una funzione f(x) è continua e derivabile nell’intervallo (a,b) ed è inoltre f(a) ≠ f(b), allora esiste sicuramente un punto di ascissa x0 nell’intervallo (a,b) tale che la tangente alla funzione in quel punto sia parallela alla congiungente i punti P(a,f(a)) e Q(b,f(b)).

Lo vediamo rappresentato in fig. 2.

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Figura 2

Beh… potremmo facilmente dire che non è altro che il teorema di Rolle “ruotato”. In realtà, è proprio così, ma la dimostrazione è abbastanza laboriosa. Accettiamola per buona, dato che il risultato è abbastanza intuibile. Più interessante è tradurlo in una semplice formula:

f ’(x0) = (f(b) – f(a))/(b – a) …. (1)

Che dice, praticamente, che la tangente in (x0, f(x0)) è parallela alla congiungente P(a, f(a)) con Q(b,f(b)). Infatti, la derivata prima non è altro che il coefficiente angolare della tangente in x0.

Questa formula è proprio quella che ci serve per introdurre la serie di Taylor…

La funzione sia definita e derivabile indefinitamente nell’intervallo (a,b), ossia esistano tutte le sue derivate successive. La (1) può essere applicata all’intervallo (x0, x), interno ad (a,b), diventando:

(f(x) – f(x0))/(x – x0) = f ’(x1) …. (2)

Dove x1 è compreso tra x0 e x, ossia x0 < x1 < x

Per le ipotesi di partenza, possiamo dire che f ’(x1) dipende solo e soltanto dall’intervallo (x, x0). Infatti, se cambiassi gli estremi, cambierebbe anche il punto in cui la tangente è parallela alla retta che collega i due estremi e di conseguenza anche il coefficiente angolare della stessa tangente.

f ’(x1) può essere considerata composta da due parti, una costante e una variabile. Come valore costante prendiamo proprio f ’(x0) e chiamiamo ε la parte variabile, ossia:

f ’(x1) = f ’(x0) + ε La (2) diventa:

(f(x) – f(x0))/(x – x0) = f ’(x0) + ε f(x) = f(x0) + (x – x0)(f ’(x0) + ε)

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + (x – x0)ε …. (3) Ma che tipo di funzione può essere questa ε ?

Di sicuro non può essere una costante dato che se derivassimo la (3) sotto questa ipotesi avremmo:

f ’(x) = 0 + f ’(x0) + ε = f ’(x0) + ε

Questa “banale” relazione ci dice che ε deve annullarsi nel momento in cui x = x0. E’ l’unico modo perché si ottenga f '(x0) = f ’(x0)!

Perché questo possa succedere, la via più ovvia è che ε sia funzione di x – x0, ossia:

ε = C2(x – x0) …. (4)

con C2 costante (vi state accorgendo che cerchiamo di inserire fin da subito i coefficienti della serie…). Il pedice 2 ha una sua ragione

(11)

d’essere, come vedremo tra poco.

Sostituiamo la (4) nella (3) e otteniamo:

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + C2(x – x0) (x – x0) f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + C2(x – x0)2 …. (5)

Non ci resta adesso che derivare di nuovo la (5), per cercare di determinare il valore di C2. f ’(x) = f ’(x0) + 2C2(x – x0)

(f ’(x) – f ’(x0))/(x – x0) = 2C2

Ma, applicando di nuovo il teorema di Lagrange alla funzione f ’(x) (continua e derivabile per definizione) si ha:

(f ’(x) – f ’(x0))/(x – x0) = f ”(x2) da cui:

C2 = f ”(x2)/2 …. (6) (il pedice 2 corrisponde al grado della derivata)

Ovviamente, con x0 < x2 < x Sostituiamo la (6) nella (5)

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x2)(x – x0)2/2 …. (7)

f(x) - f(x0) - (x – x0) f ’(x0) = f ”(x2)(x – x0)2/2 …. (8)

Il secondo membro della (8) non è altro che ciò che manca al primo membro per arrivare fino alla funzione originaria. In altre parole l’errore che si commette approssimando la curva con la tangente in x0.

Chiamiamo questo “errore”, resto di Lagrange e lo indichiamo con R2: R2 = f ”(x2) (x – x0)2/2

Speravate di essere alla fine? Purtroppo no… siamo solo all’inizio o quasi (ecco perché i tre-quattro asterischi dell’articolo, anche se le operazioni e i concetti non sono difficili).

Per adesso possiamo solo dire che l’errore commesso è di ordine superiore alla funzione che abbiamo usato come approssimazione.

In particolare abbiamo anche trovato che dipende dalla derivata seconda…

Non ci resta che ripetere quanto fatto finora. Prima, però, digerite bene questa prima parte...

QUI il capitolo precedente QUI il capitolo successivo QUI l'intero corso di matematica

(12)

38. Costruzione “rigorosa” della formula di Taylor (seconda parte) ***/****

2015-11-05 05:11:41 Vincenzo Zappalà

Concludiamo la costruzione della serie di Taylor, introducendo il suo termine generale. L'ho letta e riletta, ma non garantisco che non vi sia ancora qualche refuso. Picchiate duro e non abbiate pietà di me!!

Definiamo:

f ”(x2) = f "(x0) + φ La (7) diventa:

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x2)(x – x0)2/2 = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + (f ”(x0) + φ)(x – x0)2/2 f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f”(x0)(x – x0)2/2 + φ(x – x0)2/2 …. (9)

Derivando due volte

f ’(x) = f ’(x0) + f ”(x0)(x – x0) + φ(x – x0) f ”(x) = f ”(x0) + φ

segue ancora una volta che φ deve essere uguale a zero per x = x0 Abbiamo ripetuto questa parte, ma si poteva concludere subito che:

φ = C3(x - x0)

Andiamo a sostituire nella (9) e si ha:

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x0) (x – x0)2/2 + C3(x - x0)(x – x0)2/2 f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x0) (x – x0)2/2 + C3(x – x0)3/2 …. (10) Deriviamo due volte per trovare il valore di C3

f ’(x) = f ’(x0) + f ”(x0) (x – x0) + 3C3(x – x0)2/2 f ”(x) = f ”(x0) + 3C3(x - x0)

E applicando ancora il teorema di Lagrange 3C3 = (f ”(x) – f ”(x0))/(x – x0) = f III(x3) Con x0 < x3 < x

Da cui C3 = f III(x3)/3

E, infine, sostituendo nella (10)

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x0) (x – x0)2/2 + f III(x3) (x – x0)3/6 …. (11)

Questa è una serie che approssima ancora meglio la funzione di partenza nell’intorno del punto x0, tenendo conto anche del termine di secondo grado (ossia rappresenta la parabola osculatrice). L’errore che si commette è sempre dato da:

R3 = f III(x3)(x – x0)3/6

Che ovviamente tende a zero più velocemente di R2, contenendo il termine al cubo.

Non fatemi proseguire più di tanto… Basta ripetere lo stesso procedimento un’altra volta e si ottiene (provare per credere):

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x0)(x – x0)2/2 + f III(x0)(x – x0)3/6 + f IV(x4)(x – x0)4/24 Che rappresenta la cosiddetta cubica osculatrice… e via dicendo!

Continuando ad applicare Lagrange e inserendo sempre nuove costanti si otterrà, alla fine:

f(x) = f(x0) + (x – x0) f ’(x0) + f ”(x0) (x – x0)2/2 + f III(x0)(x – x0)3/6 + f IV(x0)(x – x0)4/24 + …. + f n(x0) (x – x0)n /n! + Rn+1 …. (12) Con

Rn+1 = f n+1(xn+1)(x – x0)n+1 /(n + 1)!

Riassumendo: lo sviluppo in serie di una funzione f(x) continua e derivabile indefinitamente in un certo intervallo, può essere approssimata attraverso una serie di potenze di x fino al grado n desiderato. n è anche l’ordine di derivazione raggiunto. L’errore

(13)

che si commette è rappresentato dal termine di grado superiore che contiene la derivata di ordine superiore, calcolata in un punto dell’intervallo (x, x0) che soddisfa il teorema di Lagrange.

Per non portarci dietro un sacco di termini, conviene scrivere la serie di Taylor utilizzando il simbolo di sommatoria (Σ ) che riunisce tutti termini in uno solo ricorrente. In parole matematiche:

f(x) = Σn = 0 f n(x0)(x - x0)n/n! …. (13)

Che si legge proprio come la somma da n uguale zero a n = infinito del prodotto tra la derivata ennesima calcolata nel punto in cui si vuole approssimare la funzione, moltiplicata per la potenza ennesima di (x – x0) e divisa per il fattoriale di n. La funzione in x0 è stata approssimata da un polinomio con termini di grado crescente, ossia da curve che si avvicinano sempre di più a quella di partenza.

Ovviamente andando fino a infinito non esiste resto. Tuttavia, nessuno può andare a infinito per cui n si ferma a un certo valore e ne deriva un resto dato dalla solita formula di grado subito superiore a n.

A titolo di esempio, ma ci torneremo sopra, potete vedere nella Fig. 3 come la funzione sen(x) venga approssimata dalla serie di Taylor, fermata a vari valori di n, nel punto x0 = 0 (e, quindi, diventata di Maclaurin). Niente male…

Figura 3

Vi sono anche altri metodi per ricavare la formula di Taylor, più o meno empirici e/o intuitivi. Non vorrei esagerare e mi limiterei a quelli presentati negli ultimi articoli. Uno è veramente semplificato, l’altro segue una regola precisa e si basa su un teorema. A voi la scelta…

l’importante è ricordare la formula di Taylor e la sua sorellina semplificata di Maclaurin.

La prossima volta cercheremo di applicarla per evidenziare ancora meglio la sua importanza matematica e non solo.

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(14)

39. Esercitiamoci con Taylor e Mclaurin ***

2015-11-08 17:11:42 Vincenzo Zappalà

In questo articolo applichiamo la serie di Mclaurin a due funzioni estremamente importanti. Di seguito trovate anche qualche esercizio…

Applichiamo quanto abbiamo dimostrato, in due modi molto diversi, a delle vere funzioni che abbiano le giuste caratteristiche (continue e derivabili).

Ricordiamo la formula di Taylor f(x) = Σn = 0 f n(x0)(x - x0)n/n!

Ma, soprattutto, quella di Mclaurin che useremo normalmente. Come già detto la seconda non è altro che la prima applicata al punto di ascissa x0 = 0.

f(x) = Σn = 0 f n(0)xn/n!

Cominciamo, svolgendo insieme uno dei casi più famosi e utili, quello relative alla funzione y = ex. La funzione è sicuramente continua ed è anche derivabile infinite volte. In particolare, le derivate sono sempre uguali e coincidono con la funzione di partenza. Gran bella comodità…

Scriviamo la (1) per esteso:

f(x) = f(0) + f ’(0) x + f ”(0)x2/2!+ f III(0)x3/3! + f IV(0)x4/ 4! + · · · e applichiamola al caso f(x) = ex

Ovviamente, tutte le derivate di ex valgono sempre ex e, calcolate in 0, danno come risultato 1.

Lo sviluppo in serie diventa:

ex = 1 + x + x2/2! + x3/3! + x4/ 4! + … = Σn=0 xn/n!

Possiamo, ora, calcolare la funzione nel punto in cui x = 1 e si ha:

e1 = e = 1 + 1 + 1/2! + 1/3! + 1/ 4! + …

che ci permette di calcolare il numero e con tutti i decimali che si vogliono…

Proviamo con un’altra funzione semplice, ma di estrema importanza:

f(x) = 1/(1 - x)

Tutte le derivate successive della funzione hanno come denominatore (1 – x) elevato a potenze successive, che quindi è sempre uguale a 1 per x0 = 0. Il numeratore è invece proprio una moltiplicazione successiva degli esponenti, ossia n!

Verifichiamolo (il calcolo delle derivate lo lascio a voi per esercizio):

f(0) = 1/(1 - 0) = 1

f ’(x) = 1/(1 - x)2 f ’(0) = 1

f ”(x) = 2/(1 – x)3 f ”(0) = 2 = 2·1 = 2!

f III(x) = 6/(1 - x)4 f III(0) = 6 = 3·2·1 = 3!

f IV(x) = 24/(1 – x)5 f IV(0) = 24 = 4·3·2·1 = 4!

Per cui la

f(x) = f(0) + f ’(0) x + f ”(0)x2/2!+ f III(0)x3/3! + f IV(0)x4/ 4! + · · ·

(15)

diventa:

1/(1 – x) = 1 + x + x2 + x3 + x4 + · · · = Σn=0 xn

Proprio la somma di tutte le potenze di x (ricordiamo che x0 = 1 e x1 = x), che rappresenta una serie geometrica (il rapporto tra due termini consecutivi è costante). Va detto che la formula vale solo per -1 < x < 1, ossia è convergente solo in questo intervallo. Al di fuori di questo intervallo la serie diverge.

Il risultato precedente ci dice anche che la somma dei termini di una serie geometrica vale 1/(1 –x)

Potete anche divertirvi, in entrambi i casi, a rappresentare in grafico le varie funzioni ottenute per valori dell’esponente crescente (retta, parabola, cubica, ecc…). In tal modo vi accorgerete del continuo miglioramento e studierete qualche bella funzione.

Se poi non ne avete abbastanza potete scrivete le serie di Mclaurin (fino al quinto grado) delle seguenti funzioni (e magari provare a scrivere il termine generale sintetizzato):

y = sen(x) y = (1 + x) 1/2 y = ln(1+x) Buon divertimento!

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(16)

39 bis. Soluzione degli esercizi sulle serie di Mclaurin ***

2015-11-13 11:11:22 Vincenzo Zappalà

Diamo una rapida soluzione agli esercizi proposti nel capitolo precedente (39), proponendo lo sviluppo in serie e descrivendo la formula più compatta. Un bravo ai nostri (due) lettori che si sono cimentati. Bando alle ciance, è ora di buttarsi all’interno del mondo degli integrali.

Iniziamo con uno dei più classici sviluppi in serie, quello relativo al seno (cosa analoga si potrebbe fare per il coseno).

Abbiamo, perciò:

f(x) = sen(x)

Prima di scrivere formule, dobbiamo ricordarci alcune caratteristiche molto utili del seno e del coseno:

1) Quando il seno di x vale 0, il coseno vale 1 e viceversa. In particolare, il seno si annulla per x = 0, mentre il coseno si annulla per x = π/2.

2) La derivata del seno è il coseno, mentre quella del coseno è il seno cambiato di segno.

Calcolando le derivate successive del seno, incontriamo, perciò, una volta il coseno e un’altra volta il seno, fino a infinito, dato che la funzione è continua e derivabile infinite volte. Ciò ci deve già far capire che non possono essere presenti tutti i termini delle varie potenze di x, dato che quelli moltiplicati per i “seni” , calcolati in x = 0, diventano zero e scompaiano nella serie. Rimangono solo le derivate che danno luogo al coseno, il cui valore, però, ballerà tra 1 e -1 (la derivata di – seno è – coseno).

Non ci sarebbe nemmeno bisogno di calcolare le derivate e si potrebbe subito scrivere la serie di Mclaurin, ma noi preferiamo , dopo aver capito il concetto base, svolgere tutti calcoli, anche se ormai banali.

f(x) = sen(x) sen(0) = 0

f ’(x) = cos(x) f ’(0) = cos(0) = 1

f ”(x) = - sen(x) f ”(0) = - sen(0) = 0

f III(x) = - cos(x) f III(0) = - cos(0) = - 1

f IV(x) = sen(x) f IV(0) = sen(0) = 0

f V(x) = cos(x) f V(0) = cos(0) = 1 La serie di Mclaurin

f(x) = f(0) + f ’(0) x + f ”(0)x2/2!+ f III(0)x3/3! + f IV(0)x4/4! + f V(0)x5/5! + ….

diventa:

sen(x) = 0 + 1· x + 0 -1· x3/3! + 0 + 1· x5/5! + … sen(x) = x - x3/3! + x5/5! + …

Quale sarà il termine ricorrente?

Poniamo che n vada da 0 a ∞

L’esponente delle x “rimaste”, segue la serie dispari: 1, 3, 5,…(sono saltati tutti gli esponenti pari…).

Per n = 0 l’esponente deve essere 1 Per n = 1 l’esponente deve essere 3

(17)

Per n = 2 l’esponente deve essere 5 Per n = 3 l’esponente deve essere 7

L’unico modo per ottenere ciò che vogliamo, è porre l’esponente uguale a 2n + 1. Infatti Per n = 0 2n + 1 = 1

Per n = 1 2n + 1 = 3 Per n = 2 2n + 1 = 5 Per n = 3 2n + 1 = 7 Perfetto!

Bastava ricordare, in realtà, che per scrivere la serie dei numeri dispari, partendo dalla serie di tutti i numeri, bisogna farne il doppio e aggiungere uno… ma a noi piace toccare con mano!

Il fattoriale a denominatore segue la stesse serie numerica e quindi è immediato concludere che il suo termine generico deve essere anch’esso: 2n + 1

Dobbiamo ancora tenete conto del segno, che balla da più a meno. Nessun problema: basta moltiplicare per (-1)n in modo che quando n sia pari il segno sia positivo e quando n sia dispari il segno sia negativo.

Per n = 0 (- 1)0 = 1 Per n = 1 (- 1)1 = - 1 Per n = 2 (- 1)2 = 1 Per n = 3 (- 1)3 = - 1

Perfetto anche questo. Possiamo allora scrivere il termine generico per n (- 1)n x(2n + 1)/(2n + 1)!

E, quindi lo sviluppo in serie compattato diventa:

sen(x) = Σn = 0 (- 1)n x(2n + 1)/(2n + 1)!

Passiamo, ora, alla funzione f(x) = ln(1 + x)

La derivata del logaritmo in base e di (1 + x) non è altro che 1/(1 + x). Ci siamo creati un rapporto e ne segue che le derivate successive devono agire su un rapporto, ossia devono avere al denominatore il quadrato del denominatore precedente. Tuttavia, poco importa, dato che x viene posto uguale a zero e quindi il denominatore, calcolato in zero, vale sempre 1, qualsiasi sia l’esponente con cui abbiamo a che fare. Più interessante è il numeratore…

Conviene calcolare le derivate una per una e vedere che tipo di semplificazione ricorrente si ottiene e come “balla” il segno f(x) = ln(1+x)

f(0) = ln(1) = 0

f ’(x) = 1/(1 + x) f ’(0) = 1/1 = 1

f ”(x) = (0 – 1)/(1 + x)2 = - 1/(1 + x)2 f ” (0) = -1/1 = - 1

f III(x) = (0 + 2(1 + x))/(1 + x)4 = 2/(1 + x)3 f III(0) = 2

f IV(x) = (0 – 2 · 3 (1+ x)2)/(1 + x)6 = - 6 /(1+x)4 f IV(0) = - 6

(18)

f V(x) = (0 + 6 · 4 (1+x)3)/(1 + x)8 = 24/(1 + x)5 f IV(0) = 24

Beh… direi che ne abbiamo abbastanza…

La formula di Mclaurin

f(x) = f(0) + f ’(0) x + f ”(0)x2/2!+ f III(0)x3/3! + f IV(0)x4/4! + f V(0)x5/5! + ….

diventa:

ln(1+x) = 0 + x – x2/(2 · 1) + 2 x3/(3 · 2 · 1) – 3· 2 x4/(4 · 3 · 2 · 1) + 4· 3· 2 x5/( 5· 4· 3· 2· 1) + …

Abbiamo volutamente scritto “per esteso” i fattoriali al denominatore proprio per poterli confrontare con i coefficienti che compaiono al numeratore. E’ immediato vedere che la semplificazione è notevole e ciò che rimane, al denominatore, è solo un numero uguale all’esponente della x.

ln(1+x) = x – x2/2+ x3/3 – x4/4 + x5/5+ …

Veramente banale … com’è banale trovare la formula ricorrente.

Innanzitutto, scompare il fattoriale al denominatore che si riduce a un numero uguale all’esponente. Il segno invece deve essere negativo quando l’esponente è pari e positivo quando l’esponente è dispari. Per ottenere questa danza del segno, basta prendere – 1 ed elevarlo a n + 1. In tal modo, quando n è pari, n + 1 diventa dispari e il segno è negativo. Quando n è dispari, n + 1 diventa pari e il segno è positivo.

Possiamo allora scrivere immediatamente il termine generico per n (-1)(n +1) xn/n

Lo sviluppo in serie diventa, in forma compatta (tenendo conto che n deve partire da 1, dato che manca il termine noto):

ln(1 + x) = Σn = 1 (- 1)(n+ 1) xn/n

Veniamo ora alla funzione più … ostica (apparentemente).

f(x) = (1 + x)1/2

La cosa migliore da fare è trattare una funzione più generale, di cui la nostra è solo un caso particolare…

Essa sia:

f(x) = (1 + x)α

E poco ci deve importare che α sia intero o frazionario. Questa funzione è veramente banale, dato che è essa stessa un polinomio… e, ricordando che 1 elevato a qualsiasi coefficiente vale sempre 1 (ovviamente non sceglieremo mai α = ∞), si ha:

f (x) = (1 + x)α f(0) = 1

f ’(x) = α(1 + x)(α – 1) f ’(0) = α

f ”(x) = α(α – 1)(1 + x)(α – 2) f ”(0) = α (α – 1)

f III(x) = α(α – 1)(α – 2)(1 + x)(α – 3)

f III(0) = α(α – 1)(α – 2)

fIV(x) = α(α – 1)(α – 2)(α – 3)(1 + x)(α – 4) fIV(0) = α(α – 1)(α – 2)(α – 3)

E’ banale scrivere subito la derivata ennesima

(19)

f n (x) = α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – (n – 1))(1 + x)(α – n) f n (0) = α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – n +1)

La serie di Mclaurin diventa:

(1 + x)α = 1 + αx + α(α – 1)x2/2! + α(α – 1)(α – 2)x3/3! + …. + α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – n +1)xn/n!

Il termine generico, che abbiamo già scritto, diventa:

α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – n +1)xn/n!

La serie può scriversi, in modo compatto:

(1 + x)α = 1 + Σ n = 1 α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – n +1)xn/n!

Che nel caso di α = ½, si può scrivere:

(1 + x)1/2 = 1 + Σ n = 1 1/2(1/2 – 1)(1/2 – 2)(1/2 – 3)… (1/2 – n +1) xn/n!

Che, per esteso, diventa:

(1 + x)1/2 = 1 + x/2 – x2/8 + x3/16 - 5x4/128 + 7x5/256 + …..

Qualcuno mi dirà: “Chiamala compatta… a noi sembra molto lunga!”. In realtà, si può fare di meglio e basterebbe aver studiato un po’ di calcolo delle probabilità e delle combinazioni, in particolare, per sapere come fare… No, non chiedetemelo (per adesso, almeno…) se no i nostri integrali fanno le ragnatele! Possiamo solo dire che riguardano cose come “coefficienti dei termini dell’elevamento a potenza di un binomio”, “combinazioni possibili di m oggetti presi a n a n”, “Triangolo di Tartaglia”, e cose del genere. No, no, un discorso che dobbiamo tralasciare.

Ci basta introdurre una notazione che è proprio quella che ci interessa. Si chiama coefficiente binomiale e si scrive (αn) = α(α – 1)(α – 2)(α – 3)… (α – n +1)/n!

Si può anche porre (α0) = 1

Ne segue che la nostra funzione (1 + x)α può essere “veramente” compattata, scrivendola:

(1 + x)α = Σ n = 0 (αn) xn

Normalmente, i coefficienti binomiali si usano solo per numeri α interi, ma nulla toglie di estenderli anche a numeri frazionari, come nel nostro caso particolare. Li possiamo chiamare coefficienti binomiali generalizzati. Abbiamo, quindi, infine:

(1 + x)1/2 = Σ n = 0 (1/2n) xn

Beh… non c’è bisogno di dire altro e nemmeno di fare i grafici (cosa che, dopo lo studio di funzioni, tutti possono saper fare tranquillamente…). Ricordiamo solo, per essere precisi, che gli sviluppi di ln(1 + x) e di (1 + x)α sono validi solo per |x| < 1.

Bando alle ciance e via con gli integrali!

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(20)

TAVOLA DEGLI SVILUPPI DI TAYLOR DELLE FUNZIONI ELEMENTARI PER x → 0.

ex = 1 + x +x2 2 +x3

6 + · · · + xn

n! + o(xn) sin x = x −x3

6 +x5

5! + · · · + (−1)n

(2n + 1)!x2n+1+ o(x2n+2) cos x = 1 −x2

2 +x4

4! + · · · +(−1)n

(2n)! x2n+ o(x2n+1) tan x = x +x3

3 + 2

15x5+ 17

315x7+ 62

2835x9+ o(x10) sinh x = x +x3

6 +x5

5! + · · · + x2n+1

(2n + 1)!+ o(x2n+2) cosh x = 1 +x2

2 +x4

4! + · · · + x2n

(2n)!+ o(x2n+1) tanh x = x −x3

3 + 2

15x5 17

315x7+ 62

2835x9+ o(x10) 1

1 − x = 1 + x + x2+ x3+ · · · + xn+ o(xn) log(1 + x) = x −x2

2 +x3

3 + · · · +(−1)n+1

n xn+ o(xn) arctan x = x −x3

3 +x5

5 + · · · + (−1)n

2n + 1x2n+1+ o(x2n+2) arctanh x = x +x3

3 +x5

5 + · · · + x2n+1

2n + 1+ o(x2n+2) (1 + x)α = 1 + αx + α(α − 1)

2 x2+α(α − 1)(α − 2)

6 x3+ · · · + µα

n

xn+ o(xn)

con µ

α n

=α(α − 1)(α − 2) · · · (α − n + 1) n!

1

(21)
(22)

La formula di Taylor

R.Argiolas

( ) ( ) ( )( ) ( )( )

( )n

( )( ) ( ) x x

n

o ( x x

n

)

n x x f

x x x f

x x f x f x

f

0 0 0 0 0 2 0 0 0

!

!

2 − + + − + −

+ ′′

′ − +

= K

(23)

LA FORMULA DI TAYLOR

158

In questa dispensa presentiamo il calcolo dei limiti utilizzando gli sviluppi di Taylor e Mac Laurin. Non ripercorreremo la teoria relativa all’approssimazione di una funzione in quanto questa è affrontata in maniera soddisfacente in qualsiasi testo di analisi matematica 1. Ci limitiamo solo a ricordare lo sviluppo delle principali funzioni elementari e a presentare qualche commento relativo all’esercizio stesso.

E’ bene precisare fin da ora che possedere e svolgere gli esercizi di questa dispensa non è condizione né necessaria né sufficiente per il superamento dell’esame stesso. Questa dispensa non sostituisce il libro di testo adottato, ne sostituisce le esercitazioni svolte dal docente. Questa dispensa è solo di supporto a tutti coloro che vogliano approfondire la loro preparazione all’esame con ulteriori esercizi oltre quelli del libro di testo suggerito dal docente.

Ringrazio anticipatamente tutti coloro che vorranno segnalarmi eventuali errori e quanti vorranno comunicarmi suggerimenti per migliorare il lavoro.

R.A.

(24)

LA FORMULA DI TAYLOR

159

LA FORMULA DI TAYLOR Richiami

Proprietà dell’ “o” piccolo 1) o ( ) ( ) ( ) x

n

+ o x

n

= o x

n

2) ao ( ) ( ) ( ) x

n

= o ax

n

= o x

n

3) o ( ) ( ) ( ) x

n

o x

n

= o x

n

4) x

m

o ( ) ( ) x

n

= o x

m+n

5) o ( ) ( ) ( ) x

m

o x

n

= o x

m+n

6) o ( o ( ) x

n

) ( ) = o x

n

7) o ( x

n

+ o ( ) x

n

) ( ) = o x

n

Ordini di infinito e di infinitesimo

Ordine di infinitesimo

Data una funzione f : I − { } x

0

→ ℜ con x

0

I si dice che essa ha ordine di infinitesimo pari ad α , per x → (rispettivamente per x

0

xx

0±

) se essa è infinitesima e se

( ) = ∈ ( +∞ )

0 ,

lim

0

0

l

x x

x f

x

x α

rispettivamente

( ) = ( +∞ )

±

0 ,

lim

0 0

x l x

x f

x

x α

Ricordiamo che f si dice infinitesima per x → , se x

0

( ) 0 lim

0

f x =

x x

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