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Documento Relativo al DCA n. U00368 del 31/10/2014 inerente la riorganizzazione della rete ospedaliera

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Documento Relativo

al DCA n. U00368 del 31/10/2014 inerente la riorganizzazione della rete ospedaliera e al Protocollo d’intesa con i medici di medicina generale per la riorganizzazione

dell’assistenza territoriale

La pressoché simultanea presentazione da parte della Regione del DCA n. U00368 del 31/10/2014 avente per oggetto “riorganizzazione della rete ospedaliera a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio” e il Protocollo d‟intesa con i medici di medicina generale per la “Riorganizzazione dell‟assistenza territoriale e la medicina di iniziativa” impongono una riflessione più generale prima di entrare nel merito dei due atti.

Quello che appare evidente e‟ la mancanza della visione strategica complessiva di politica sanitaria e come i due citati atti di programmazione non hanno nulla che li accomuni o li avvicini, se non la coincidenza temporale della loro presentazione. Per il resto si muovono in un perfetto parallelismo mentre non vi e‟ traccia alcuna di un qualsiasi coinvolgimento dell‟area della specialistica convenzionata ambulatoriale, completamente ignorata, scomparsa. Peraltro anche il DCA 428/2013 “Percorso attuativo relativo alle case della salute” non è sufficientemente collegato ai due atti.

E‟ difficile rinvenire in queste iniziative della Regione una incisiva capacità di programmazione di cui, al contrario, si avverte l‟estrema necessità nonché urgenza, iniziative che sembrano prescindere dai ruoli e funzioni dei principali attori dell‟assistenza sanitaria, i medici, a cominciare proprio dai medici di medicina generale. Di essi si preoccupava già nel 1974 l‟allora Ministro della Sanità Vittorino Colombo che nel presentare il Disegno di Legge di riforma sanitaria, da cui quattro anni dopo nascerà la 833, affermava: “ La domanda di prestazioni sanitarie è solo in parte determinata dall‟assistito: in realtà essa viene interpretata ed espressa dal medico di primo intervento dalla cui capacità e coscienza professionale e dalla integrazione con gli enti operativi e presidi sanitari dipende in larga misura il buon andamento anche economico dell‟intero settore sanitario. Non si esagera affermando che il buon esito della riforma dipende sopratutto dall‟organizzazione periferica dei servizi medici di base che si saprà porre in atto e dalla preparazione di cui si sapranno dotare i medici di primo intervento.”

Bisogna ammettere che il capitolo dell‟assistenza primaria nonostante le “grida” del milanese Vittorino Colombo è stato uno dei più trascurati della politica sanitaria Italiana, fino ai nostri giorni, nè si avvertono segnali di riconsiderazione, se non con grande puntualità e sistematicità, di carattere economico. Si continua in un incredibile paradosso:

l‟istituzione delle USL, unità sanitarie locali, con la 883, aveva l‟obiettivo di rendere unitaria la gestione amministrativa e quella dell‟intervento sanitario. In verità si riuscirà, con esiti poco felici, stante alle cronache giudiziarie e leggendo i bilanci delle attuali ASL, a

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omogeneizzare la gestione amministrativa ma l‟assistenza sanitaria subirà una più accentuata compartimentalizzazione.

L‟assistenza ospedaliera, quella medica di base e quella specialistica convenzionata sono diventate, ormai, tre macro monadi all‟interno di un sistema unico di gestione amministrativo. Fino agli inizi degli anni „80 i più affermati medici ospedalieri erano anche medici specialistici degli ambulatori delle mutue o, fino ai primi anni ‟90, medici convenzionati con un massimale di 750 scelte. Il collegamento con la realtà extra ospedaliera era, almeno in parte, garantito da questi professionisti e in qualche misura il flusso dei ricoveri e delle dimissioni ospedaliere era, dagli stessi, regolato. L‟introduzione del regime delle incompatibilità, nella ridefinizione giusta del ruolo e funzioni del medico ospedaliero, non accompagnata da interventi necessari a garantire forme di continuità assistenziali, ha creato rigidi compartimenti stagni nel tempo sempre più impermeabili. I tentativi di superare gli assetti attuali, che per molti rappresentano irrinunciabili e dorate posizioni di rendita, sono stati vani anche perché finalizzati a migliorare condizioni interne alle categorie e non a favorire le necessarie osmosi tra realtà sanitarie. L‟associazionismo, gli ospedali di comunità, la medicina di iniziativa (!!) non hanno fatto uscire i medici dall‟isolamento e dalla autoreferenzialità che gli stessi vertici sindacali dei medici di medicina generale denunciano.

Non crediamo sia più eludibile affrontare il problema dall‟unico versante che può modificare la realtà attuale: la natura giuridica del rapporto di lavoro dei medici con il Servizio Sanitario con il superamento delle convenzioni, già postulato dalla Legge Delega 421 del 1992, ma vanificato nella successiva, abbondante, produzione legislativa (502- 517-229-189….). Ogni revisione organizzativa che abbia l‟obiettivo di mettere in rete le diverse professionalità mediche, oggi isolate, parcellizzate, passa attraverso una ridefinizione del rapporto di lavoro che, nel salvaguardare la scelta del medico e del luogo di cura da parte del cittadino, deve avere carattere di omogeneità per tutti gli operatori del Servizio Sanitario, così da diventare strumento essenziale per una programmazione e gestione unitaria dell‟intervento sanitario. E‟ questo un nodo cruciale sia per migliorare l‟assistenza sanitaria e sia per ridurre i costi che nascono dalle inefficienze, dagli sprechi, dalle inutili, se non dannose per il cittadino, ripetitività degli atti medici.

Per entrare nel merito del DCA 368 si può affermare che una prima e generale lettura porta a darne una valutazione iniziale parzialmente positiva. Per la prima volta si propone un impianto equilibrato dei posti letto tra Roma città e le Province del Lazio, i tagli dei posti letto non sono lineari, i servizi e le reti per l‟emergenza vengono identificate come core business dell‟ospedale ed organizzate secondo il modello Hub e Spoke, viene assunto che le specialità complesse devono rispondere a criteri basati sui volumi di attività e sulla appropriatezza degli interventi, si prevedono integrazioni interaziendali tra strutture

ospedaliere in un disegno di lavoro comune e complementare.

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Tuttavia bisogna sottolineare come, al di là delle affermazioni di principio condivisibili, esso rimanga un documento meramente tecnico, privo di respiro strategico, ispirato da criteri aritmetici nella revisione dei posti letto, basato su falsi criteri economicistici che incidono solo in minima parte sulla spesa corrente, che è il vero capitolo di spesa. D‟altro

canto il permanere di piccoli (finti) ospedali non risponde a nessuna logica organizzativa-gestionale, nè economicistica ma puramente

politica e mette a rischio la salute dei cittadini e l‟operato professionale dei medici.

Approfondendo ulteriormente la lettura del decreto emergono numerose incongruenze e

conseguenti grosse perplessità, in particolare sull‟assetto ospedaliero che emergerà nel Lazio nel rapporto tra spedalità pubblica e spedalità privata, sulla

utilizzazione consona del personale ospedaliero, e sui risultati che potranno essere raggiunti in termini di riduzione di spesa. Difatti:

1 I tagli dei posti letto a Roma sono tutti riferiti agli ospedali pubblici, che oltretutto, trattandosi di ospedali con una riconosciuta tradizione di qualità, vedono ingiustificatamente depauperata la propria consistenza composita e ricca di risposte per i cittadini, e quindi le proprie prerogative. Aumentano i posti letto dei policlinici universitari privati, nella fattispecie del Campus Biomedico, di cui si dirà successivamente, rimangono nel complesso gli stessi i posti letto nei policlinici universitari pubblici, mentre – incredibilmente rimangono inalterati i posti letto delle case di cura private accreditate!!!! Prosegue in tal senso una ingiustificata operazione punitiva già più volte sperimentata in passato e che si pensava superata da una politica equilibrata e trasparente.

2 I tagli dei posti letto a Roma non sono lineari, è vero, ma sarebbe opportuno conoscerne la “ratio”: togliere 47 posti letto al Pertini, 31 al S. Spirito, 27 al S. Eugenio, 73 al S. Filippo e via dicendo, fa pensare ad una operazione grezza e di declinante appiattimento degli ospedali pubblici romani. Forse i tagli sono stati fatti – e sarebbe la migliore delle ipotesi - sulla base degli indici di utilizzazione e l‟appropriatezza riscontrata nelle strutture, ma, in tal caso è stata presa in considerazione la carenza di personale che da anni pesa sugli ospedali del Lazio? In ogni caso, ed in nome della conclamata trasparenza, si chiede, ed è molto importante, di essere portati a conoscenza dei dati per comprendere la ratio delle scelte.

3 L‟analisi diventa ancora più impietosa se si esaminano le specialità complesse che vengono soppresse in alcuni ospedali romani con la motivazione - si ritiene - di una non soddisfacente utilizzazione e scarso ricorso dei cittadini, e che vengono istituite ex-novo al Campus Biomedico.

Si tratta ad esempio della chirurgia vascolare i cui 6 letti vengono soppressi al S.

Eugenio per essere riaperti esattamente nella stessa misura al Campus Biomedico, che guarda caso insiste nello stesso territorio (e forse è più scomodo da raggiungere).

O della cardiochirurgia che viene chiusa al S. Filippo, ed aumentata in posti letto

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Sembra utile riportare la disattivazione di strutture complesse:

Chirugia toracica - 6 p.l. S. Filippo

Chirurgia vascolare - 6 p.l. S.Eugenio, - 4 p.l. S Spirito Neurochirurgia -18 p.l. Pertini ( èquipe al S.Giovanni)

Chirurgia plastica - 6 p.l.Pertini e - 4 al Policlinico Casilino (èquipe al S.Camillo) Cardiochirurgia - 12 p.l. S.Filippo

Per tali disattivazioni non è presente alcun crono programma e ancora più assurda la previsione della chiusura di alcuni reparti specialistici (vedi chirurgia toracica e cardiochirurgia del San Filippo) senza indicare non solo i tempi ma nemmeno il luogo di trasferimento per cui si arriva alla esplicitazione di uno stop di alcuna attività del personale, in particolare quello medico che non po‟ essere “riciclato” verso altre discipline, e che sarebbe pagato senza poter svolgere alcuna attività.

4 Un discorso a parte meritano i grandi raggruppamenti di specialità che vengono catalogate in “area medica” ed “area chirurgica”, che forse sono prodromici agli ospedali per intensità di cure, (che poco valgono, riteniamo, per i grandi ospedali e per le aziende ospedaliere) ma che comunque possono generare grande confusione e disequilibri tra le specialità stesse senza punti di riferimento certi. Quanti posti letto di ortopedia, o di urologia o di otorinolaringoiatria avremo alla fine del percorso degli atti aziendali nel Lazio, e quante strutture complesse, e quante èquipes mediche troveranno i cittadini? E questo vale in particolare per gli ospedali delle Province che devono rispondere ad una domanda complessiva e complementare dei loro territori di riferimento.

La riconduzione ad aree e non a discipline, pone, poi, per le strutture private un disallineamento con i titoli di accreditamento posseduti e alterano anche in modo definito i fabbisogni delle singole discipline che erano alla base del precedente accreditamento e si presumono in vigore.

Come si fa a limitare la eventuale scelta opportunistica delle singole case di cura, a cui è assicurata la possibilità di aggregarsi per salvare l‟accreditamento nel caso di una dotazione inferiore a 60 posti letto, di dedicarsi a discipline all‟interno della stessa area più redditizie, anche in termini di pura riduzione dei costi essendo comunque il livello di produzione limitato dal tetto di budget, che magari non hanno alcuna relazione con il reale fabbisogno assistenziale della Regione?

5 A titolo di riflessione generale, si rileva come per l‟area chirurgica, a Roma, sono stati tagliati 109 posti letto agli ospedali pubblici, 31 posti letto (tra loro compensati) sono stati tolti ai policlinici universitari pubblici, aumenta di 15 il numero dei posto letto del

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Campus Biomedico. Non sono stati toccati gli ospedali religiosi ed appena le case di cura accreditate ( -21 p.l.)

I dati relativi all‟area chirurgica diventano i seguenti:

 Policlinici universitari 986 posti letto di cui

↳ pubblici 523 posti letto

↳ privati 463 posti letto

 Ospedali pubblici 815 posti letto

 Case di cura accreditate 630 posti letto

 Ospedali classificati 490 posti letto

6 L‟area medica, sempre a Roma rimane complessivamente invariata, anche se, nel campo degli ospedali pubblici, vengono previste sostanziose modifiche ( -30 posti letto al S.Camillo/Forlanini, + 19 posti letto al S.Giovanni, + 12 posti letto al S.Eugenio, ecc), in ordine alle quali si attende di conoscere le motivazioni che le hanno indotte e soprattutto le sostanziali e conseguenti modifiche che si aspettano e la prevista (??) mobilità medica conseguente. Per le case di cura private è previsto un aumento di 40 p.l.

Attualmente i dati sono i seguenti:

 Ospedali pubblici 979 posti letto

 Policlinici universitari 1.142 posti letto di cui

↳ pubblici 591 posti letto

↳ privati 551 posti letti

 Ospedali classificati 409 posti letto

 Case di cura accreditate 502 posti letto

7 Per quanto riguarda, infine, specificatamente, il Campus Biomedico, va approfondito e, per quanto ci riguarda, decisamente contestato, il finanziamento finalizzato all‟abbattimento delle liste di attesa.

Ma questi denari non potevano essere utilizzati per l‟abbattimento delle liste di attesa negli ospedali pubblici? Quale è il rapporto “intrinseco” e “speciale” che lega le giunte di centro-sinistra al “Campus” e quindi all‟Opus Dei”? Perché ad ogni avvento di giunta di centro-sinistra vengono aumentati i p.l. del “Campus Biomedico” e si elargiscono denari pubblici?

Sono domande inquietanti che sorgono spontanee ed a cui rinunciamo a dare risposte perché queste, pur basate su ipotesi, sarebbero impietose.

Vorremmo però che qualche risposta, vera e non di facciata, venisse data ai Cittadini

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Per quanto riguarda l‟applicazione dell‟accordo Regione - MMGG, sconcerta, in primo luogo, come su una materia così cogente, riguardante l‟assistenza sanitaria regionale, specie rivolta a pazienti con particolari fragilità quali anziani e affetti da patologie croniche, l‟organo regionale non abbia sentito l‟esigenza di coinvolgere le organizzazioni mediche della dirigenza e anche della specialistica che, non dimentichiamolo, fino ad oggi si sono sobbarcate i problemi della cronicità e della fragilità in maniera preponderante, anche se adesso ci si accorge che non rientravano, se non marginalmente, fra le loro competenze precipue. Detto questo, ciò che salta immediatamente all‟occhio è la farraginosità dell‟impianto operativo: le UCPS (Unità di Cure Primarie Semplici) che sono forme di aggregazione ora esistenti fra MM.GG. verranno prima sostituite dalle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) e quindi dalle UCCP (Unità Cure Complesse Primarie) con il nuovo Accordo collettivo nazionale. Le AFT saranno aggregazioni fra più medici di famiglia e medici in “convenzione a quota oraria” in numero di 20, fra i quali sarà scelto un coordinatore, che assisteranno 30.000 cittadini. Questi faranno riferimento alle Case della Salute in cui saranno operanti le UCP, formate da un numero di medici di famiglia da 3 (8 per Roma) a 16, oppure a UCP sul territorio, allocate in appositi spazi, con requisiti architettonici minimi, e collegate informaticamente a spese della ASL.

Gli orari di apertura saranno di 9 ore giornaliere (10.00 – 19.00) sette giorni su sette.

L‟adesione è su base volontaria, specie per quanto riguarda i turni festivi. La dotazione strumentale prevista è assolutamente insufficiente.

Non vanno sottaciuti gli aspetti economici dell‟accordo: vengono fissati compensi per i turni effettuati nelle UCP, per gli accessi a domicilio, per le prestazioni di “iniziativa”

(vaccinazioni, controllo persone anziane nei mesi estivi ecc.). Tali prestazioni per i Medici di Famiglia sono già regolamentate dall‟ACN senza considerare che tale medico gode già attualmente di un rimborso a quota capitaria. Come sarà possibile scindere ciò che è già remunerato a monte da ciò che rappresenta un‟aggiunta? È da considerare aggiuntivo prendersi cura e assistere un anziano o un cronico che sono già in carico e per il quale è già oggi prevista una quota capitaria maggiorata?

Quale effetti potrà avere sui pronti soccorsi e sugli ambulatori pubblici la facoltà data ai MMGG di avviare a queste strutture in via prioritaria i Pazienti? In pratica quale impatto potrà avere sul PS un paziente che ha già assegnato un codice di gravità al di fuori del triage istituzionale? E chi può dire se un paziente in codice giallo in UCP lo sia ancora quando arriva al pronto soccorso o non sia diventato o non fosse già codice rosso? Quale impatto avrà sulla assistenza ambulatoriale e sulle liste di attesa la possibilità di prenotare prestazioni in sovrannumero attraverso Doctor Cup? E quanto potrà essere in percentuale tale sovrannumero? Di quanto si allungheranno i tempi di attesa ambulatoriali per prestazioni cosiddette non urgenti ma comunque necessarie? Fino a quando non saranno anche loro urgenti?

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L‟accordo in esame ci porta tranquillamente ad affermare come i contributi attesi al miglioramento dell‟assistenza sanitaria potevano essere raggiunti con un‟accorta riorganizzazione ed efficace potenziamento dell‟istituto della continuità assistenziale.

Il numero degli ambulatori aperti il sabato e la domenica, uno per municipio, mentre per le provincie non è previsto nulla, le patologie che si intendono trattare, assolutamente minori, risolvibili per di più con un “salto in farmacia”, la misera dotazione dello strumentario, danno la concreta idea di un‟operazione costosa, 10 milioni, ma di puro maquillage, completamente svincolata da qualsiasi logica di programmazione, assolutamente incapace di perseguire gli obiettivi che si prefigge: alleggerire la pressione sui pronti soccorsi ospedalieri. Lo stesso accordo non prevede in alcun modo le necessarie verifiche affinché attività istituzionali già ricomprese nella convenzione, siano ulteriormente remunerate.

Di fronte a simili improvvisazioni si assiste allibiti alla condivisione del sindaco di Roma che nella conferenza stampa di presentazione ha definito “Epocale la rete della salute illustrata da Zingaretti”.

C‟e‟ da essere preoccupati! Si rende necessario un immediato confronto con la Regione, serio e approfondito, nell‟interesse generale dei cittadini che in questo caso non si limita a quello inerente la salute ma si estende alla verifica dell‟uso di risorse economiche a cui egli contribuisce sempre più pesantemente.

Per concludere: il Decreto n. 368 è il contenitore generale per la riorganizzazione della rete ospedaliera che ci è stato consegnato, per certi versi ben confezionato, ma sicuramente, come già in passato è avvenuto, punitivo verso gli ospedali pubblici, reverente verso i policlinici universitari, in particolare quelli privati, attento verso gli ospedali classificati, molto liberale verso il privato accreditato.

Pensavamo e speravamo in una politica diversa!

A CURA DEL CENTRO STUDI ANAAO-ASSOMED LAZIO

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