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Rito Fornero: esame critico degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul rapporto tra le due fasi del primo grado, con sguardo finale all’interferenza del rito fallimentare - Judicium

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FILIPPO MARIA GIORGI

Rito Fornero: esame critico degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul rapporto tra le due fasi del primo grado, con sguardo finale all’interferenza del rito fallimentare 1.

SOMMARIO: - 1. Le soluzioni offerte dalla dottrina al tema dei rapporti tra le due fasi del primo grado nel rito Fornero. – 2. I rapporti tra le due fasi del primo grado nella giurisprudenza di legittimità e costituzionale. – 3. Il quadro giurisprudenziale emergente. – 4. Profili di criticità del quadro ricostruttivo operato dalla giurisprudenza di legittimità . – 5. Natura non impugnatoria dell’opposizione ed inapplicabilità dell’art. 334 cpc. – 6. La facoltà dell’opposto di riproporre tardivamente domande ed eccezioni respinte. – 7. Il diritto di replica dell’opponente avverso domande ed eccezioni riproposte dall’opposto. – 8. La proponibilità nella fase di opposizione di nuove domande ed eccezioni. – 9. Natura non impugnatoria del giudizio di opposizione ed effetti della sua estinzione sull’ordinanza. -10. L’estinzione del giudizio di opposizione e il quesito dell’opponibilità dell’ordinanza al fallimento del datore di lavoro. – 11. L’articolata soluzione del quesito. – 12. Considerazioni conclusive

1. Le soluzioni offerte dalla dottrina al tema dei rapporti tra le due fasi del primo grado nel rito Fornero.

L’estrema lacunosità della disciplina del nuovo rito per l’impugnazione dei licenziamenti prevista dalla L. n. 92 del 2012, sin dalla sua introduzione, ha indotto la dottrina a grandi sforzi ricostruttivi, per lo più facendo ricorso a soluzioni interpretative consolidatesi con riferimento ad altri procedimenti anch’essi connotati da specialità rispetto all’ordinario processo del lavo- ro, procedimenti dei quali è stata ricercata e valorizzata l’analogia rispetto al nuovo rito.

In particolare, la previsione di una fase di opposizione, avanti al medesimo ufficio giudiziario, avverso l’ordinanza conclusiva del primo segmento del giudizio di primo grado aveva indotto diffusamente a ricercare nell’ambito del procedimento per la repressione dell’antisindacalità quelle soluzioni interpretative che già avevano consentito di dipanare le principali tematiche proposte in quel procedimento dalla presenza, all’interno del primo grado, di una doppia fase, tematiche che, ancora una volta, il legislatore, nel ricalcare il medesimo schema procedimenta- le, aveva totalmente omesso di risolvere.

Ai più è, d’altronde, apparsa di immediata intuitività l’analogia del primo grado del rito Forne- ro, sotto il profilo strutturale, con il procedimento statutario, considerato che, anche in questo, nella fase introduttiva, la cognizione del giudice è di natura sommaria, in quanto il procedi-

1 Il contributo è già stato pubblicato sulla Rivista Il lavoro nella giurisprudenza, n. 7 del 2016, pagg. 637 e ss.

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mento è deformalizzato in ragione ed a tutela dei motivi d’urgenza derivanti dalle posizioni soggettive dedotte e l’istruttoria appare ricalcare la superficialità del procedimento cautelare, mentre solo a seguito dell’opposizione, istruzione e cognizione riacquistano l’estensione del ri- to ordinario.

Tali considerazioni hanno, in particolare, indotto la dottrina a ritenere possibile estendere an- che all’ordinanza ex art. 1, comma 49, L. n. 92 del 2012 quel riconoscimento della piena effica- cia costitutiva e della idoneità al giudicato2 del quale anche la giurisprudenza di legittimità ave- va accreditato il decreto ex art. 28 Stat. lav.3. Esigenza qui resa ancor più pressante dalla natura dei diritti tutelati e generalmente ascritta dalla giurisprudenza anche ad altre pronunce di meri- to emesse all’esito di un procedimento sommario semplificato4.

Inevitabile corollario di quest’ultima premessa è, poi, sembrata la conclusione cui era pervenu- ta la Corte cost. con la sent. 15 ottobre 1999, n. 387; con la quale, come è noto, ove il giudice dell’opposizione ex art. 28 Stat. lav. sia la stessa persona fisica che ha emesso il decreto oppo- sto, è stato ritenuto applicabile l’obbligo di astensione sancito dall’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere conosciuto della causa in altro grado; conclusione dovuta al rilievo che, nelle due fasi, pur nella diversità dell’ambito della cognizione, venga ripercorso l’itinerario logico che è stato già seguito, atteso che l’espressione “altro grado” include anche “la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio”, “ca- ratterizzata ... da pronuncia che attiene al medesimo oggetto ed alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta”5.

Infine, ugualmente sovrapponibile è apparsa anche la ripetuta affermazione del giudice di legit- timità in base alla quale la riproposizione, da parte dell’opposto, delle domande e delle ecce- zioni da lui formulate e respinte dal decreto è consentita anche una volta decorso il termine per proporre ricorso in opposizione, ferma la necessità di garantire il diritto di replica dell’opponente; e ciò, “sia con il considerare il giudizio di opposizione come un ordinario giu- dizio di cognizione in primo grado, configurandosi, in tal caso, come riconvenzionale la do- manda” respinta dal decreto e riproposta all’atto di costituirsi nel giudizio di opposizione, “sia con il ritenere il giudizio di opposizione come un giudizio di gravame avverso il decreto con- clusivo della fase sommaria, configurandosi la domanda stessa come impugnazione incidenta- le, che può essere, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., tardivamente proposta anche se attinente a capi autonomi rispetto a quelli investiti dall’impugnazione principale”6 .

È di solare evidenza che la necessità di estendere queste ultime conclusioni al giudizio di opposizione all’ordinanza di cui al rito Fornero vada riconnessa all’esigenza di coniugare l’ipotizzata efficacia di giudicato dell’ordinanza con l’interesse dell’ordinamento di assicurare che l’accettazione della prima decisione, in caso di parziale reciproca soccombenza, ne preclu-

2 Tra gli innumerevoli contributi, si vedano: F.P. Luiso, La disciplina processuale speciale della L. n. 92 del 2012 nell’ambito del processo civile:

modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, in Judicium, www.judicium.it, 4; G. Benassi, La Riforma del Mercato del Lavoro: modifiche proces- suali, in questa Rivista, 8-9/2012, 754 ss.; P. Riverso, Indicazioni operative sul rito Fornero (con una divagazione minima finale), in Il Lavoro nel- la Giurisprudenza, 1/2013, 21; D. Dalfino, L’impugnativa del licenziamento secondo il c.d. “rito Fornero”: questioni interpretative, in Foro it., 2013, IV, 10; A. Vallebona, La Riforma del lavoro 2012, Torino, 2013, 75; P. Sordi in AA.VV., La Riforma del Lavoro, Milano, 2013, 422;

M. De Cristofaro - G. Gioia, Il nuovo rito dei licenziamenti: l’anelito alla celerità per una tutela sostanziale dimidiata, in www.judicium.it, 2012, 20;

nonché, se si vuole, F.M. Giorgi, in AA.VV. La Riforma del mercato del Lavoro. Aspetti sostanziali e processuali, Napoli, 2013, 388 ss.

3 V. Cass., Sez. lav., 5 maggio 1984, n. 2744; Cass., Sez. lav., 23 novembre 1989, n. 5039.

4 Si veda, a proposito del decreto ingiuntivo, tra le innumerevoli, Cass., Sez. II, 12 maggio 2003, n. 7272; a proposito dell’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c., Cass., SS.UU., 12 giugno 2006, n. 13525; a proposito della convalida di sfratto non tempestivamente opposta ex art.

668 c.p.c., Cass., Sez. III, 17 luglio 2008, n. 19695; Cass., Sez. III, 20 aprile 2007, n. 9486; a proposito dell’ordinanza positiva di af- francazione del fondo entiteutico ex L. n. 607/1966, Cass., Sez. III, 30 marzo 1999, n. 3039.

5 Così testualmente Corte cost. 15 ottobre 1999, n. 387, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2000, 129, con nota di Gallo; cfr. anche la successiva Corte cost. 23 dicembre 2005, n. 460, in Fall., 2006, 511, con nota di R. Tiscini, pronuncia che ha fatto applicazione dei medesimi principi al procedimento di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento avanti allo stesso tribunale, nel r ito vigente anteriormente alla riforma della legge fallimentare..

6 Così Cass., Sez. lav., 5 novembre 1991, n. 11769; cfr. Cass., SS.UU., 24 settembre 2010, n. 20161.

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da la contestazione solo in presenza di identico comportamento della controparte; interesse che, ove non fosse garantito, determinerebbe il moltiplicarsi del contenzioso, poiché, in tal ca- so, ogni parte, quand’anche astrattamente disponibile a fare acquiescenza all’ordinanza, si ve- drebbe costretta ad opporla ove, a seguito dell’opposizione altrui, dovesse subire il riesame delle domande o delle eccezioni accolte in suo favore, senza, tuttavia, poter conservare, e quindi riproporre, il complesso di domande ed eccezioni costituenti il suo originario patrimo- nio processuale.

2. I rapporti tra le due fasi del primo grado nella giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

Così fissati, nelle loro grandi linee, i termini essenziali delle principali tematiche sollevate e risolte dalla dottrina in relazione alla duplicazione delle fasi nelle quali si articola il primo grado del rito Fornero, si può procedere all’esame dell’orientamento che, sulle stesse, si è venuto consolidando nella giurisprudenza di legittimità.

La prima pronuncia della S.C. che si è impegnata nella qualificazione del primo grado del rito Fornero è Cass., SS.UU., 31 luglio 2014, n. 17433. Si tratta di una ordinanza che ha ritenuto ammissibile il regolamento di competenza avverso la declaratoria di litispendenza pronunciata con ordinanza ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012. La Corte ha escluso che il provvedimento conclusivo della fase sommaria di tale rito debba necessariamente consistere in una pronuncia di merito, ha riconosciuto, al contrario, che l’ordinanza ben può assumere un contenuto meramente processuale e ne ha affermato la piena idoneità al giudicato7.

La seconda pronuncia di legittimità che va presa in esame è Cass., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19674. Si tratta di altra ordinanza, emessa nell’ambito di una causa di impugnazione di licenziamento proposta nei confronti di una Istituzione Pubblica facente parte integrante del Ministero di uno Stato Estero, con la quale è stato ritenuto ammissibile il regolamento preven- tivo di giurisdizione, anche se proposto durante la prima fase del rito Fornero. Anche in que- sto caso, viene confermata l’idoneità al giudicato dell’ordinanza ex art. 1, comma 48, L. n.

92/2012, escludendone la natura cautelare ed assimilando la prima fase al rito sommario di cognizione. Per la prima volta, si rinviene l’affermazione effettuata in via meramente assertiva - che, come si vedrà, è poi divenuta tralaticia - che l’opposizione non sarebbe una revisio prioris instantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado8.

Va anche segnalato il richiamo, operato da questa pronuncia, ad una ordinanza della Corte cost., la n. 205 del 16 luglio 20149, che ha dichiarato inammissibile la questione di costituziona- lità dell’art. 1, comma 51, L. 92/2012 e dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. sollevata dal Tribuna- le di Siena, secondo il quale tali norme imporrebbero al giudice dell’opposizione di astenersi qualora sia la stessa persona fisica che ha emesso l’ordinanza e ciò provocherebbe ritardi nella definizione del giudizio ed altri inconvenienti organizzativi.

7 Cass., SS.UU., n. 17443/2014, per quanto qui rileva, così si pronuncia: “Nel rito Fornero ... il giudizio di cognizione piena è soltanto eventuale ed è attivabile con l’opposizione ... per cui se questa non viene proposta l’ordinanza conclusiva della fase sommaria è idonea a passare in giudicato”.

8 Cass., SS.UU., n. 19674/2014, in particolare, così rileva: “La prima fase ... è semplificata e sommaria ma non già cautelare in senso stretto: non occorre la prova di alcun concreto periculum, essendo l’urgenza preventivamente ed astrattamente valutata dal legislatore in considerazione del tipo di contro- versia.

La sommarietà riguarda le caratteristiche dell’istruttoria, senza che ad essa si ricolleghi una sommarietà della cognizione del Giudice, né l’instabilità del provvedimento finale (l’idoneità al giudicato ... non può essere esclusa per l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, irrevocabile fino alla conclusione di quella di opposizione ... può richiamarsi ... Cass. S.U. 10.7.2012 n. 11512 che ha ritenuto ammissibile il reg. prev. di giurisdizione proposto nel proc edi- mento sommario ex art. 702 bis cpc, trattandosi di rito avente natura cognitiva e non cautelare, cui è assimilabile il particolare procedimento avente ad ogget- to l’impugnativa di licenziamento”.

La pronuncia è pubblicata per esteso, con commento di questo Autore in Il Lav.n.Giur., 2015, 3, 269 ss.

9 In Riv. it. dir. lav., 2014, 4, 909.

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Una terza pronuncia della S.C. intervenuta in materia è una ordinanza della Sesta Civile - Sotto-Sezione Lavoro in data 20 novembre 2014, n. 2479010, che ha ritenuto legittima l’ordinanza dichiarativa di continenza tra un procedimento in fase sommaria e un precedente procedimento nella fase di opposizione pendente avanti ad altro Giudice. L’ordinanza in que- stione richiama il provvedimento delle Sezioni Unite da ultimo citato, aderendo all’assunto se- condo il quale andrebbe esclusa la natura impugnatoria della fase di opposizione; anche questa pronuncia ribadisce, tuttavia, che la sommarietà riguarda l’istruttoria e non la cognizione, né l’instabilità del provvedimento adottato con l’ordinanza, che è ritenuta pienamente idonea al giudicato.

Un quarto pronunciamento da considerare è la sentenza della Sezione Lavoro della S.C.

n. 3136 del 17 febbraio 201511; si tratta della prima pronuncia di legittimità che abbia fatto espressa applicazione dei principi sin qui ricordati alla tematica della sussistenza o meno dell’obbligo di astensione a carico del giudice dell’opposizione, ove sia la stessa persona fisica che ha emesso l’ordinanza opposta; per pervenire alla conclusione dell’infondatezza del moti- vo di nullità della sentenza di 1° grado per violazione dell’art. 51, n. 4, c.p.c., la Corte ribadisce, per l’appunto, che la fase di opposizione non è un grado diverso rispetto alla fase sommaria, ma la prosecuzione del giudizio in forma ordinaria e non urgente e che l’opposizione non è una revisio prioris istantiae; essa richiama, inoltre, la sentenza della Corte cost. n. 326/1997 che aveva escluso la fondatezza della questione a proposito dell’obbligo di astensione, nel giudizio di merito, da parte del Giudice persona fisica che abbia deciso la fase cautelare; anch’essa ri- chiama, altresì, la già ricordata ordinanza di inammissibilità n. 205/2014 della Corte costitu- zionale.

Una quinta pronuncia sull’argomento è ancora una sentenza della Sezione Lavoro, la n.

7782 del 16 aprile 2015, che respinge anch’essa analoga questione di nullità della sentenza ex art. 51, n. a, c.p.c., ribadendo che la fase di opposizione non è un grado distinto e che l’opposizione non ha natura impugnatoria; anche questo precedente richiama e valorizza le ra- gioni addotte da Corte cost. n. 205/2014 per affermare l’inammissibilità dell’ordinanza di ri- messione del Trib. Siena (la possibilità, asseritamente affermata dal giudice remittente, di escludere la natura impugnatoria della fase di opposizione all’ordinanza).

A questo punto dell’elaborazione giurisprudenziale della S.C., interviene la sentenza della Corte cost. 13 maggio 2015, n. 7812, che ha escluso che l’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. e l’art. 1, comma 51, L. n. 92/2012, violino gli artt. 3, 24 e 111 Cost., se interpretati nel senso di non imporre l’obbligo di astensione a carico del Giudice dell’opposizione qualora sia lo stesso sog- getto che ha emesso l’ordinanza.

Come è noto, a tale conclusione la Consulta è pervenuta ipotizzando che tali norme non pre- vedano l’obbligo di astensione perché, in conformità all’orientamento di legittimità formatosi in virtù delle pronunce sopra citate, definito ormai “diritto vivente”, il 1° grado del rito Forne- ro deve essere qualificato come un procedimento bifasico ed alla fase di opposizione non può essere ascritta natura impugnatoria. Inoltre, secondo la Corte costituzionale, l’oggetto delle due fasi sarebbe diverso, la sola fase sommaria prevedendo un’istruttoria semplificata e l’opposizione potendo avere un’estensione soggettiva ed oggettiva diversa. Ciò escluderebbe l’identità di res iudicanda.

A seguito di tale pronunciamento del giudice delle leggi, l’orientamento espresso dalla S.C. si consolida ulteriormente; con un’ulteriore sentenza della Sezione Lavoro, la n. 15066 del 17 luglio 2015, viene ribadita l’infondatezza dell’eccezione di nullità della sentenza riconducibi- le all’art. 51, n. 4, c.p.c., sul presupposto che “la fase dell’opposizione non costituisce un grado

10 In Mass. Giust. civ., 2014, rv. 633592.

11 In www.ilgiuslavorista.it, 2015.

12 In Il Lav.n.giur., n. 8-9 del 2015, 788 ss.

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diverso rispetto a quello che ha preceduto l’ordinanza, ma solo una prosecuzione del medesi- mo giudizio in forma ordinaria”; viene, altresì, rivendicato il riconoscimento, operato dalla Consulta, che “l’intervento ermeneutico di questa Corte, si” sia “consolidato in termini di di- ritto vivente”; viene, infine, ricordato che,“nel processo civile il principio di imparzialità del giudice, cui è ispirata la disciplina dell’astensione, si pone in modo diverso in riferimento, ri- spettivamente, alla pluralità dei gradi del giudizio ed alla semplice articolazione dell’iter proces- suale attraverso più fasi sequenziali, necessarie od eventuali” e che “il prospettato vulnus agli artt. 24 e 111 Cost., secondo il giudice delle leggi, non trova poi giustificazione ed è anzi ine- quivocabilmente smentito dal ruolo e dalla funzione che assume la richiamata fase oppositoria nella struttura del giudizio di primo grado e nel complessivo contesto del nuovo rito speciale delle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Nella fase oppositoria la cognizione si espande in ragione non solo del nuovo apporto probatorio, ma anche perché in tale giudizio possono essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già dedotti nonché prove ulterio- ri, anche alla luce della pressoché totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti. In de- finitiva, è ravvisabile nella specie un giudizio unico anche se contraddistinto da due fasi ... a vantaggio, anche e soprattutto, del lavoratore, il quale in virtu’ dell’effetto anticipatorio (po- tenzialmente idoneo anche ad acquisire carattere definitivo) dell’ordinanza che chiude la fase sommaria, può conseguire una immediata, o comunque più celere, tutela dei propri diritti, mentre la successiva, ed eventuale, fase a cognizione piena è volta a garantire alle parti, che non restino soddisfatte del contenuto dell’ordinanza opposta, una pronuncia più pregnante e completa”.

Sempre all’interno di questo solco interpretativo si colloca, poi, la sentenza della Sez.

Lav., 21 ottobre 2015, n. 21438 con la quale la Cassazione, limitandosi a rinviare alla ricordata pronuncia della Corte cost. n. 78/2015 ed alla propria precedente sent. n. 3136/2015, ribadi- sce l’inapplicabilità dell’art. 51, n. 4, c.p.c., affermando che “la fase dell’opposizione ... non co- stituisce un grado diverso rispetto a quello che ha preceduto l’ordinanza, ma solo una prose- cuzione del medesimo giudizio in forma ordinaria”.

Con sentenze n. 19142 del 28 settembre 2015 e n. 25046 del 1° dicembre 2015, la Sezio- ne Lavoro della Cassazione ha affrontato anche il tema della proponibilità, nella fase di oppo- sizione, di domande ed eccezioni diverse da quelle articolate nella fase sommaria.

Con la prima delle due sentenze, la Corte ha ritenuto inammissibile la introduzione solo nel ri- corso in opposizione della deduzione di un motivo ritorsivo del licenziamento che in prece- denza non era stato dedotta. A motivazione di tale arresto, la Corte ha affermato che anche nel rito Fornero “come nel rito generale del lavoro, mentre è consentita, previa autorizzazione del giudice, la modificazione della domanda (emendatio libelli), non è ammissibile la domanda nuova per mutamento della causa petendi, ossia per introduzione di un tema dell’indagine di fat- to completamente diverso”.

Con la seconda pronuncia, la Corte ha preso in esame la questione della proponibilità per la prima volta nella fase di opposizione di un’eccezione in senso stretto, questione che ha risolto positivamente osservando che “le due fasi del giudizio di primo grado, quella di cognizione sommaria iniziata con il ricorso ex comma 49 e quella di cognizione ordinaria iniziata con l’opposizione ex comma 51, si inseriscono nel medesimo grado e si pongono in rapporto di prosecuzione. L’opposizione può investire nuovi profili soggettivi ed oggettivi, fra i quali le eccezioni in senso stretto - come quella di decadenza - non sollevata dall’interessato durante la fase sommaria (vedi per tutte Corte cost. sent. n. 78 del 2015), giacché essa non vale come im- pugnazione, ossia come istanza di revisione del precedente giudizio, inidonea ad introdurre nuovi temi della disputa”.

Di grande rilevanza appare, infine, la recente sentenza della Sez. Lav., 26 febbraio 2016, n. 3836, che parte anch’essa dalla premessa della natura non impugnatoria della fase di opposi-

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zione, funzione esclusa, in conformità a quanto statuito dalla Corte costituzionale, sulla base del rilievo che “l’oggetto della seconda fase del rito non è circoscritto alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase, tanto che il giudizio di opposizione può anche avere profili soggettivi ed oggettivi diversi rispetto alla co- gnizione sommaria, attesa la ammissibilità della chiamata in causa di terzi e della formulazione di domande nuove, eventualmente proposte in via riconvenzionale, purché fondate sui mede- simi fatti costitutivi”. Questa pronuncia affronta, quindi, il tema (che non era ancora stato por- tato all’attenzione della Corte) della possibilità o meno per l’opposto parzialmente soccomben- te di opporre, per così dire, in via “incidentale” i capi dell’ordinanza a lui sfavorevoli anche dopo il decorso del termine per proporre opposizione in via “principale”; tema che necessa- riamente attiene alla coniugabilità della inoperatività di ogni principio che si colleghi alla fun- zione impugnatoria (quale quello di unicità dell’impugnazione) con la riconosciuta idoneità al giudicato dell’ordinanza. La Corte ha risolto tale antinomia, affermando puramente e sempli- cemente che “non è possibile ipotizzare la formazione del giudicato su alcune statuizioni e non su altre della ordinanza, atteso che quest’ultima è destinata ad acquisire il carattere della defini- tività nella sola ipotesi in cui l’opposizione non venga promossa. Di conseguenza non può operare il principio del divieto di reformatio in pejus, in quanto lo stesso trova il suo fondamento nelle norme che disciplinano le impugnazioni, non applicabili alla fattispecie. Ne discende che, qualora, all’esito della fase sommaria la domanda di impugnazione del licenziamento venga ac- colta solo parzialmente, la instaurazione del giudizio di opposizione ad opera di una delle parti, consente all’altra di riproporre con la memoria difensiva la domanda o le difese non accolte e ciò anche nella ipotesi in cui per la parte che si costituisce sia spirato il termine per proporre un autonomo atto di opposizione”.

3. Il quadro giurisprudenziale emergente.

Come si è anticipato, dall’esame di questi precedenti emerge un quadro sostanzialmente uniforme della elaborazione giurisprudenziale di legittimità in ordine alla qualificazione dei rapporti tra le due fasi del primo grado di giudizio nel rito Fornero. Tale quadro si substanzia nel riconoscimento: della natura sommaria non cautelare della prima fase del primo grado; del carattere di cognizione piena della fase conseguente all’opposizione; dell’idoneità al giudicato dell’ordinanza e, tuttavia, della funzione non impugnatoria dell’opposizione. Meno univoche sono risultate le ricadute di tali premesse sulla ammissibilità, nella fase di opposizione, anche di domande ed eccezioni non proposte con gli atti introduttivi della fase sommaria.

Come si è già ricordato, la carenza di funzione impugnatoria del ricorso in opposizione è la premessa dogmatica alla quale è stata ricondotta anche dalla Consulta, con la sent. 31 maggio 2015, n. 78, l’esclusione di un obbligo di astensione per il giudice dell’opposizione che sia stato officiato della precedente fase13. Appare di sicuro interesse approfondire le implicazioni di tale orientamento, anche con riferimento a tematiche diverse dall’obbligo di astensione, quale quel- la presa in esame dall’ultima sentenza citata.

Va, innanzi tutto, osservato, che l’affermazione della funzione non impugnatoria dell’opposizione è una conclusione cui, inizialmente, sia Cass., SS.UU., n. 19674/2014, sia Cass., Sez. VI, n. 24790/2014, sono pervenute senza argomentare, trattandosi, d’altronde, di meri obiter dicta, in quanto, nelle relative pronunce, la questione non era direttamente rilevante.

Nelle sentenze successive, intervenute sino al definitivo pronunciamento della Corte cost. (n.

13 Per una più analitica critica delle ragioni invocate dalla Consulta a fondamento del vero e proprio revirement operato rispetto al di- verso orientamento assunto con le sentenze n. 460 del 2005 (con la quale, come si è già ricordato, la Consulta aveva, invece, ritenuto l’art. 51, n. 4, c.p.c. applicabile all’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento) e n. 387/1999 (con la quale l’obbligo di asten- sione era stato ritenuto applicabile anche all’opposizione ex art. 28 Stat. lav.), onde evitare inutili ripetizioni, si preferisce rinviare al commento a questa pronuncia che è già stato pubblicato da questa Rivista, “La Consulta si pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 51, del rito Fornero”.

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78/2015), benché in queste decisioni la questione assumesse una specifica influenza ai fini dell’applicabilità o meno dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., l’affermazione è, poi, rimasta trala- ticia, sempre quale mero postulato, senza alcuna specifica motivazione, semplicemente richia- mando, sia i precedenti arresti, sia un’ordinanza di inammissibilità (la n. 205/2014) emessa dal- la Corte cost. il 16 luglio 2014; con questo provvedimento, come viene ricordato in tali sen- tenze, la Consulta aveva motivato la inammissibilità della questione di costituzionalità dell’art.

1, comma 51, L. n. 92/2012 (in quanto implichi l’obbligo di astensione del giudice dell’opposizione, se sia colui che ha emesso l’ordinanza), con il rilievo che lo stesso Giudice remittente avrebbe affermato di ritenere “preferibile e costituzionalmente più compatibile”

l’interpretazione della norma nel senso di escludere che l’opposizione abbia natura impugnato- ria.

Non si può fare a meno di segnalare che la suindicata affermazione della Consulta, ricordata dalla Cassazione, appare frutto del travisamento del contenuto dell’ordinanza di rimessione, nella quale il Tribunale di Siena aveva sostenuto esattamente il contrario di quanto gli è stato ascritto, avendo anzi affermato che “non è dubbio che il giudizio, eventuale, ... ex co. 51 ss., abbia struttura e funzione impugnatoria e di riesame (anche per talune espressioni letterali, quali ‘contro l’ordinanza’, ‘opposizione’, ‘a pena di decadenza entro trenta giorni’, ‘con il ricor- so non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al co. 47’)”.

Sicuramente più motivata in ordine alla natura non impugnatoria della fase di opposi- zione è, invece, la più volte citata sentenza della Corte cost. 13 maggio 2015, n. 7814. Come già ricordato, la Consulta ha escluso che l’inapplicabilità alle due fasi del primo grado dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. determinasse, sia una violazione dell’art. 3 Cost. avendo ritenuto la fattispecie non comparabile con quella, proposta dal giudice remitten- te, prevista dall’art. 669 terdecies, comma 2, c.p.c. (che vieta al giudice che ha emesso il provve- dimento cautelare di far parte del collegio che decide il reclamo), sia una violazione degli artt.

24 e 111 Cost., in quanto il principio di imparzialità del giudice, cui è ispirata la disciplina dell’astensione, non è violato nei procedimenti realmente bifasici, quale sarebbe il primo grado del rito Fornero, bensì solo in quelli apparentemente tali, ovvero allorquando la sostanziale identità di valutazioni da compiersi in entrambe le fasi impone di qualificare quella temporal- mente successiva come avente natura di vera e propria impugnazione.

Solo con la sent. 17 luglio 2015, n. 15066 e, da ultimo con la sent. 26 febbraio 2016, n.

3836, il Giudice di legittimità ha operato un più analitico riferimento al contenuto degli argo- menti utilizzati dalla Consulta al fine di escludere la natura impugnatoria della fase di opposi- zione, in particolare valorizzando, a supporto della qualificazione effettivamente bifasica del primo grado, la mancanza di identità di res iudicanda nelle due fasi, dimostrata dal fatto che, nell’opposizione, si realizzerebbe una “espansione” della cognizione “in ragione non solo del nuovo apporto probatorio, ma anche perché in tale giudizio possono essere dedotte circostan- ze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già dedotti nonché prove ul- teriori, anche alla luce della pressoché totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti”15 e che “l’oggetto della seconda fase del rito non è circoscritto alla cognizione di errores in proceden- do o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase”16.

14 Che, tuttavia, ha sentito necessario puntellare tale conclusione su di una assai discutibile qualificazione del pregresso orientamento di legittimità come “diritto vivente”; anche sul contrasto tra questo ed il consolidato orientamento della Consulta, che è solita esclu- dere la qualificazione di “diritto vivente” in presenza di meri obiter dicta o di poche pronunce del giudice di legittimità che facciano propri in modo acritico principi enunciati in altri precedenti, si è già scritto in commento alla sentenza della Consulta (in questa Rivi- sta, cit.).

15 Così Cass., Sez. lav., n. 15066/2015.

16 Così nella citata Cass., Sez. Lav., n. 3836/2016.

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4. Profili di criticità del quadro ricostruttivo operato dalla giurisprudenza di legittimità.

La ricostruzione del quadro interpretativo della giurisprudenza di legittimità induce im- mediatamente all’opinione che la conclusione cui la stessa sembra ormai uniformemente essere pervenuta in ordine alla natura realmente bifasica del primo grado del rito Fornero ed alla fun- zione non impugnatoria dell’opposizione, sia stata elaborata nell’ottica della verifica dell’applicabilità al rapporto tra le due fasi dell’obbligo di astensione sancito dall’art. 51, com- ma 1, n. 4, c.p.c.

Ciò è avvalorato dal rilievo che la conclusione, più che costituire il punto di arrivo di un ap- profondito esame delle caratteristiche strutturali del procedimento, è emersa quale mero obiter dictum e si è poi consolidata tralaticiamente quale indiscusso punto di partenza di tutta la elabo- razione successiva. Anche a voler rimuovere il sospetto che, in tale opzione, abbiano assunto decisiva considerazione quelle stesse esigenze organizzative che, con riferimento alle strutture giudiziarie di piccola e media dimensione, erano state ritenute dal tribunale di Siena di tale rile- vanza da assurgere a profili di incostituzionalità, non può negarsi che trattasi di una conclusio- ne che è stata singolarmente reiterata nonostante la totale assenza di argomenti che la giustifi- chino ed alla quale la Corte di cassazione ha continuato a mantenersi fedele senza considerarne tutte le implicazioni; come si vedrà essere reso palese dall’ultima pronuncia di cui all’excursus che precede.

Con quest’ultima, infatti, il giudice di legittimità, allorquando si è visto costretto ad applicare tale premessa ad una questione diversa da quella relativa alla sussistenza dell’obbligo di asten- sione, tentando di coniugarla con i principi in materia di giudicato, ne ha forzato il contenuto, sino ad affermare che, a proposito dell’ordinanza ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012, gli effetti dell’immutabilità, rispetto alle singole domande ed eccezioni, si produrrebbero solo in caso di totale assenza di opposizione e non anche in quello di un’opposizione parziale promossa da una sola parte; così disattendendo consolidate soluzioni interpretative assai più rispettose delle esigenze del contraddittorio, adottate in analoghe fattispecie, quali quelle relative al giudizio di opposizione ex art. 28 Stat. lav.

In proposito, rinviando a quanto più analiticamente osservato in commento alla sentenza della Corte costituzionale17, basti qui rimarcare che non si può escludere la natura impugnatoria di una fase processuale sul solo presupposto della mancanza di assoluta identità di res iudicanda ri- spetto alla precedente fase, perché ciò contrasta con il rilievo che l’essenza del fenomeno im- pugnatorio non si ravvisa nell’identità dell’oggetto del giudizio rispetto ad una precedente fase o grado, bensì nella funzione di impedire, attribuendo alle parti ulteriori facoltà di proseguire nel giudizio contrastando una precedente decisione, che una statuizione idonea a produrre ef- fetti anche extraprocessuali divenga immutabile.

Ugualmente non appagante appare il rilievo che “l’oggetto della seconda fase” non sia

“circoscritto alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase”18; l’estensione del riesame da parte del giudice dell’impugnazione può essere variamente dimensionata, così da rendere possibile una nuova integrale valutazione del- la controversia, senza imporre la previa decisione su specifici presupposti significativi dell’erroneità del primo giudizio o può condizionare il riesame alla sussistenza di alcuni vizi ti- pizzati, attribuendo, quindi, un mezzo di impugnazione limitato, con separazione tra un mo- mento rescindente ed una successiva fase rescissoria; anche il potere attribuito alle parti di arti- colare le domande nei vari gradi può essere astrattamente articolato dall’ordinamento attri- buendo in varia misura o del tutto vietando lo ius novorum.

I limiti nella estensione della cognizione attribuita alla fase successiva sono segnati esclusiva-

17 In questa Rivista, cit.

18 Così la cit. Cass., Sez. lav., 3836/2016.

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mente dalla previsione di preclusioni che si siano realizzate nella fase precedente.

L’impugnazione ha, quale presupposto necessario, soltanto l’esistenza di un precedente prov- vedimento il cui contenuto, ove non contrastato, sia idoneo ad arrecare alla parte un pregiudi- zio.

Unici elementi strutturali decisivi al fine di attribuire ad un procedimento funzione impugnato- ria appaiono, quindi, la idoneità del provvedimento conclusivo della precedente fase del pro- cesso a dettare una disciplina del rapporto controverso e la idoneità del mezzo processuale ad impedire che la pronuncia assuma natura definitiva ed immutabile.

Ciò è quanto afferma l’art. 324 c.p.c., laddove qualifica come “giudicato” quell’effetto ricondu- cibile alla impossibilità di proporre i mezzi di impugnazione attribuiti alle parti dall’ordinamento processuale.

In questo senso, è evidente che escludere la funzione impugnatoria del giudizio di oppo- sizione e nel contempo riconoscere, così come ha fatto il giudice di legittimità, in conformità, peraltro, ad un quasi unanime orientamento della dottrina19, l’efficacia di giudicato dell’ordinanza, come si vedrà, finisce inevitabilmente per creare antinomie di difficile soluzio- ne.

5. Natura non impugnatoria dell’opposizione ed inapplicabilità dell’art. 334 cpc.

Al di là dell’esattezza dogmatica della conclusione cui si è sinora fatto cenno, è opportu- no evidenziare le conseguenze che la affermata natura non impugnatoria della fase di opposi- zione produrrebbe, in caso di mancato rispetto del termine di 30 giorni di cui al comma 51 da parte dell’opposto parzialmente soccombente, in ordine alla formazione del giudicato sui capi a lui sfavorevoli.

Per consentire di comprendere con immediatezza la rilevanza della questione, può essere op- portuno avere riguardo ad un caso concreto, peraltro desumibile da una pronuncia di merito effettivamente emessa20.

Un lavoratore impugna il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo de- ducendone la inefficacia per la genericità di motivazione; nel merito, l’istante allega la manife- sta insussistenza delle ragioni addotte e comunque la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta; nel ricorso ex artt. 48 ss. L. n. 92/2012 viene, quindi, formulata, in principalità, la domanda di cui ai commi 4 e 7 dell’art. 18 Stat. lav.; in subordine, viene, infine, proposta la domanda di cui al comma 5 e, ancor più subordinatamente, quella di cui al comma 6. Il Giudice della fase sommaria, con l’ordinanza, dichiara la legittimità del licenziamento, rite- nendo infondate tutte le questioni di merito, ma, ritenuta la genericità della motivazione del recesso, accoglie la domanda fondata sul comma 6, condannando il datore di lavoro a pagare nove mensilità di indennità risarcitoria.

Di fronte ad una siffatta pronuncia, ipotizziamo che il lavoratore possa accontentarsi dell’indennità risarcitoria liquidata in suo favore; che sia, quindi, disponibile a fare acquiescen- za all’ordinanza, e non abbia, quindi, intenzione di opporla; ovviamente, egli avrà, tuttavia, in- teresse ad evitare che, ove sia il datore di lavoro a proporre opposizione, in questa seconda fa- se si discuta solo della genericità o meno della motivazione, in quanto sulla legittimità nel meri- to del recesso si sia formato il giudicato.

A questo fine, in caso di opposizione proposta dal datore di lavoro, il lavoratore potrà limitarsi a riproporre le domande respinte nella memoria ex art. 416 c.p.c., eventualmente articolando una domanda riconvenzionale, o dovrà comunque rispettare il termine di 30 giorni, propo-

19 Si vedano gli autori citati in nt. 1.

20 Trib. Roma, Est. Selmi, ord. n. cronol. 131744/2015 del 31 dicembre 2015 nel proc. R.G. 8233/2015, inedita.

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nendo un’autonoma opposizione principale?

Analogamente, ipotizziamo che anche il datore di lavoro sia disposto ad accettare di pagare l’indennità risarcitoria liquidata a suo carico; anch’egli, tuttavia, sarà disposto a fare acquie- scenza solo se il lavoratore non opponga l’ordinanza nella parte in cui ha dichiarato il recesso legittimo. Ove si verificasse questa ipotesi, anche il datore di lavoro vanterà l’ovvio interesse che, nel giudizio di opposizione, possa essere riesaminata anche la questione della idoneità del- la motivazione.

A questo fine, tuttavia, potrà il datore di lavoro chiedere la revoca dell’ordinanza nella memo- ria ex art. 416 c.p.c. o su tale questione, in assenza di una sua autonoma e tempestiva opposi- zione principale, dovrà ritenersi formato il giudicato?

Se si afferma la natura non impugnatoria dell’opposizione, ma si riconosce l’idoneità al giudicato dell’ordinanza, la risposta più immediata ai due quesiti sembra essere quella che en- trambe le parti, se vogliono evitare che si formi il giudicato sui capi a loro sfavorevoli dell’ordinanza, sono costretti ad opporla nel termine21. A ciò induce l’inequivocabile (almeno in parte qua) disposto dell’art. 1, comma 51, L. n. 92, che qualifica il decorso del termine come avente effetto “decadenziale” rispetto alla facoltà della parte di opporsi all’ordinanza, ovvero rispetto al suo diritto di chiedere una pronuncia che la sottragga dal vincolo che essa produce in favore dell’altra parte. Senza una opposizione proposta in via “principale” o comunque nel rispetto del termine di cui al comma 51, dovrebbe ritenersi che al Giudice dell’opposizione sia precluso riesaminare il merito delle domande o delle eccezioni respinte dall’ordinanza.

La facoltà di opporre tardivamente l’ordinanza, non essendo prevista da alcuna disposi- zione, in tanto può essere affermata, in quanto trovino applicazione i principi in materia di impugnazione, quali il principio di unicità delle impugnazioni, sul quale si fonda la facoltà per l’appellato di impugnare incidentalmente la pronuncia all’atto di costituirsi in giudizio nono- stante il decorso del termine ordinario a suo carico per l’impugnazione principale.

L’art. 334 c.p.c. è una norma di deroga che consente per l’appunto alla parte contro cui è stata proposta impugnazione di esperire impugnazione incidentale tardiva senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o la propria acquiescenza ed è rivolta a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento.

Con detta disposizione, il legislatore ha operato la scelta di attribuire a chi subisce l’impugnazione la facoltà di gravare a sua volta la pronuncia impugnata nonostante il decorso del termine a suo carico, proprio allo scopo di favorire l’accettazione della sentenza: si è già ri- cordato che, se la parte parzialmente soccombente non ha la sicurezza di poter rimettere in di- scussione i capi a lei sfavorevoli della sentenza a seguito della impugnazione ad opera della

21 In questo senso, si è espressa anche la Corte d’Appello di Roma - Sez. lav. con sent. 21 ottobre 2015, n. 7350 - Pres. Cannella - Est. Conte, inedita, che ha ritenuto che, il fatto che nel rito Fornero “non è prevista la possibilità della formulazione dell’opposizione incidentale e ciò nel contesto di una regolamentazione analitica ed esaustiva, anche attraverso i rinvii a ripetuti a specifiche disposi- zioni del c.p.c. relative al processo del lavoro di primo grado, in una con il rilevato carattere non impugnatorio del giudizio in que- stione, porta ad escludere che possa farsi applicazione delle disposizioni codicistiche procedurali relative alle impugnazion i incidentali tardive”.

In tale pronuncia, la Corte Territoriale motiva anche affermando: che l’inapplicabilità dei principi in materia di impugnazione sarebbe

“coerente con il preminente carattere affatto acceleratorio che la nuova disciplina ha inteso attr ibuire al rito licenziamenti ... evidente essendo che la proponibilità dell’opposizione incidentale tardiva, da un lato già di per sé vanificherebbe la stabilità altri menti acquisita - in parte - dall’ordinanza per il decorso del previsto termine di 30 giorni per rimetterla in discussione, dall’altro comporterebbe ne- cessariamente un differimento dell’udienza già fissata per assicurare il rispetto del diritto di difesa; tutto ciò, però, non è previsto nella riportata disciplina ...”; che “il diverso orientamento espresso con riguardo al procedimento ex art. 28 L. 300-70 da Cass. 11761-1999 e 20161-10 ... non appare estensibile al rito in esame, fondandosi sul carattere impugnatorio attribuito al giudizio di opposizione in quel procedimento, per il quale, peraltro, differentemente dal presente, non era dettata una disciplina specifica ed analitic a, ed appa- rendo difficilmente configurabile nel caso in esame una domanda riconvenzionale, questa si espressamente prevista nel rito li cenzia- menti, nella domanda della società di riformare l’ordinanza nella parte a sé sfavorevole di accoglimento parziale delle doman de della lavoratrice”; che comunque “il meccanismo dell’impugnazione incidentale tardiva” non “è espressivo di un principio di rango costitu- zionale, ben potendosi quindi prevedere, come nel caso in esame si è previsto, che tutte le opposizioni debbano essere autonoma- mente proposte in un dato termine privilegiandosi celerità del processo e definitività del decisum”.

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controparte, per essa costituisce scelta obbligata proporre gravame principale.

La certezza, invece, di conservare il potere di impugnare funge da stimolo ad accettare la sen- tenza e a non impugnarla.

Pur così chiarendo la ratio della disposizione, è indubbio che l’art. 334 c.p.c. sia una di- sposizione che, in tanto può trovare applicazione analogica o estensiva anche al rapporto tra le due fasi del rito Fornero, in quanto non si escluda la natura impugnatoria dell’opposizione.

Si è già ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha esteso l’applicazione dell’art. 334 c.p.c.

al procedimento per antisindacalità, riconoscendo alle OO.SS., nel giudizio di opposizione ex art. 28 Stat. lav. proposto dal datore di lavoro, nonostante la riconosciuta idoneità al giudicato del Decreto che conclude la fase sommaria, la facoltà di opporre tardivamente i capi del decre- to loro sfavorevoli; ma lo ha fatto, per l’appunto, “argomentando dai principi in tema di impu- gnazione” ed in sostanza affermando che la domanda riconvenzionale che nella fattispecie era stata proposta a tal fine dal sindacato ha la stessa natura di una opposizione incidentale tardi- va22.

6. La facoltà dell’opposto di riproporre tardivamente domande ed eccezioni respinte.

Come si è visto nel paragrafo dedicato all’excursus sulla giurisprudenza di legittimità, nella evidente consapevolezza della rilevanza dell’interesse delle parti, tutelato dall’art. 334 c.p.c., di conservare intatto quello che si è definito il proprio originario patrimonio processuale di do- mande ed eccezioni, la Sezione Lavoro della Corte di cassazione ha superato l’impossibilità di coniugare l’applicazione del principio di unicità dell’impugnazione con la affermata mancanza di funzione impugnatoria della fase di opposizione, attribuendo all’opposto, puramente e sem- plicemente, la facoltà di “riproporre con la memoria difensiva la domanda o le difese non ac- colte e ciò anche nella ipotesi in cui per la parte che si costituisca sia spirato il termine per proporre un autonomo atto di opposizione”; come pure si è già evidenziato, a questa conclu- sione la Cassazione è pervenuta sulla base del rilievo che, poiché l’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria è “destinata ad essere in ogni caso assorbita dalla sentenza che de- finisce la fase di opposizione”, non sarebbe “possibile ipotizzare la formazione del giudicato su alcune statuizioni e non su altre della ordinanza, atteso che quest’ultima è destinata ad ac- quisire il carattere della definitività nella sola ipotesi in cui l’opposizione non venga promossa”, atteso che, a causa della mancanza di funzione impugnatoria del giudizio di opposizione, non potrebbe “operare il principio del divieto della reformatio in pejus”.

Il riferimento a questo principio, ai fini che qui occupano, appare di difficile compren- sione. Come è noto, il divieto della reformatio in pejus, principio ritenuto dalla giurisprudenza vi- gente anche nel processo civile nonostante la mancanza di un’esplicita previsione normativa23, implica soltanto che la statuizione di cui al provvedimento impugnato non possa essere modi- ficata d’ufficio in modo meno favorevole per l’impugnante principale, bensì solo su specifica domanda - da proporsi nella forma c.d. incidentale - di chi subisce l’impugnazione.

Trattasi, quindi, di una regola che attiene ai limiti del riesame nell’ambito del giudizio di appel- lo e che costituisce applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art.

112 c.p.c.); la stessa sentenza in questione non desume, d’altronde, dalla asserita inapplicabilità di questo principio, il superamento del divieto per il giudice di pronunciare oltre i limiti della domanda, ma si limita ad affermare che, nel rito Fornero, l’opposto non sarebbe in alcun mo- do vincolato dal termine, benché espressamente definito decadenziale, assegnato alle parti per contrastare l’ordinanza.

La soluzione che viene ipotizzata non riguarda, quindi, i poteri del giudice, bensì quelli delle

22 V. Cass., Sez. lav., 5 novembre 1991, n. 11769; Cass., SS.UU., 24 settembre 2010, n. 20161.

23 Vedi Cass., Sez. II, 22 febbraio 2011, n. 4277; Cass., Sez. Trib., 16 giugno 2006, n. 14063.

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parti; ed è evidente che attribuire alle stesse il potere di riproporre puramente e semplicemen- te, con la memoria ex art. 416 c.p.c., sia le domande che le eccezioni respinte dal provvedimen- to conclusivo della fase sommaria, sulla base dell’assunto che l’opposizione anche parziale e di una sola di esse produce l’effetto illimitato di inibire il formarsi del giudicato, impedendo che ogni statuizione contenuta nell’ordinanza divenga definitiva, equivale a declinare l’inapplicabilità a questo provvedimento dei principi in tema di limiti oggettivi e soggettivi del giudicato, desumibili anche dal disposto del comma 2 dell’art. 329 c.p.c. e dall’art. 336 c.p.c., oltre che dall’art. 324 c.p.c., alla stregua dei quali l’irretrattabilità è un fenomeno che, involgen- do le situazioni sostanziali tutelate, riguarda i vari capi della pronuncia, singolarmente ed anche separatamente considerati - a condizione, ovviamente, che si tratti di capi autonomi, ovvero che risolvano questioni aventi una propria individualità, tale da integrare statuizioni indipen- denti - e si produce nei confronti esclusivamente della parte che non abbia effettuato acquie- scenza o manifestato l’accettazione del provvedimento.

Nonostante la predetta conclusione, non sembra che la Corte, con la sent. n. 3836 del 2016, abbia inteso negare che anche l’ordinanza ex art. 1, comma 49, L. n. 92/2012 produca gli effetti tipici del giudicato; si è visto, d’altronde come, nelle precedenti pronunce della S.C., tale idoneità sia stata, anzi, espressamente ribadita24; una diversa conclusione sarebbe, d’altronde, di assai difficile compatibilità costituzionale, imponendo di ipotizzare che la mancata opposi- zione all’ordinanza si limiti a garantire la stabilità dell’esecuzione del provvedimento, ma non produca effetti al di fuori del procedimento, non consentendo, quindi, ad esempio, al lavorato- re reintegrato di fondare su di essa anche la tutela dei diritti derivanti dalla continuità del rap- porto di lavoro ricostituito.

È allora evidente che si è semplicemente di fronte all’impossibilità di coniugare la affermata natura non impugnatoria del giudizio di opposizione con una premessa, l’idoneità al giudicato dell’ordinanza, che imporrebbe di pervenire esattamente all’opposta conclusione.

Un’ultima notazione riguarda l’affermata valorizzazione del rilievo in base al quale, alla stregua della disciplina del nuovo rito, la sentenza che definisce la fase di opposizione è desti- nata ad “assorbire” l’ordinanza. Non si può fare a meno di rilevare che tale effetto sostitutorio, ben lungi dall’attribuire al procedimento un carattere di specialità, dimostrativo della sua natu- ra realmente bifasica, costituisce un connotato tipico anche dell’appello, nell’ambito del quale la sentenza di secondo grado sostituisce sempre quella di primo grado, persino nell’ipotesi che essa consti semplicemente di una pronuncia di rigetto dell’impugnazione25.

7. Il diritto di replica dell’opponente avverso domande ed eccezioni riproposte dall’opposto.

Va, infine, preso in esame un profilo processuale non affrontato dalla citata sent. n. 3836 del 2016, ovvero che l’affermata natura bifasica del rito non può escludere il fatto che, in pre- senza di soccombenza reciproca ad opera dell’ordinanza, l’atto introduttivo del giudizio di op- posizione devolve al giudice di questa la cognizione di parte soltanto dell’originaria materia del contendere e che, conseguentemente, la riestensione del tema della disputa anche alle doman- de e difese dell’altra parte disattese nella prima fase impone la tutela del diritto di difesa dell’opponente con le modalità di cui all’art. 418 c.p.c.

Per rimanere all’ipotesi esemplificativa prima formulata, l’opposizione del datore di lavoro de- volverà al giudice dell’opposizione il riesame della sola questione relativa alla genericità o

24 V. in particolare, Cass., SS.UU., n. 17443/2014, Cass., SS.UU., n. 19764/2014, Cass., Sez. VI, n. 24790/2014.

25 V. Cass., Sez. III, 11 giugno 2014, n. 13249; Cass., Sez. lav., 8 luglio 2013, n. 16934; Cass., Sez. III, 16 aprile 2013, n. 9161; Cass., Sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072; Cass., Sez. III, 27 marzo 2009, n. 7537; Cass., Sez. III, 12 dicembre 2008, n. 29205; Cass. Sez. lav., 25 maggio 1998, n. 5212; etc.

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completezza della motivazione del licenziamento.

Anche a voler escludere la natura impugnatoria dell’opposizione, la riproposizione da parte del lavoratore-opposto, all’atto di costituirsi in giudizio, delle domande relative all’illegittimità del licenziamento, non può evitare che le stesse siano ritenute proposte in via riconvenzionale, se così si qualifica la “domanda con la quale il convenuto, traendo occasione dalla domanda con- tro di lui proposta, oppone una contro-domanda e chiede un provvedimento positivo sfavore- vole all’attore, che va oltre il mero rigetto della domanda attrice”26, ovvero “l’esercizio, da par- te del convenuto di un’azione contro l’attore diretta ad ottenere una pronuncia suscettibile di giudicato e del tutto autonoma, anche quando connessa, rispetto alla domanda proposta dall’attore”27. È evidente, infatti, che la pronuncia sull’illegittimità del licenziamento produce effetti autonomi rispetto al mero rigetto dell’opposizione del datore di lavoro.

Ma, alle medesime conclusioni sembra si debba pervenire anche nel caso inverso, di op- posizione proposta in via “principale” dal lavoratore, il quale devolva al giudice della nuova fa- se la sola domanda relativa all’illegittimità del licenziamento. Per ottenere il riesame della que- stione relativa alla valutazione della inidoneità della motivazione, affermata dall’ordinanza, il datore di lavoro-opposto, nel costituirsi, non potrà limitarsi a chiedere il rigetto delle domande articolate dal lavoratore nel ricorso in opposizione, ma dovrà ampliare la materia del contende- re, chiedendo la revoca dell’ordinanza, che, altrimenti, il giudice dell’opposizione non potrebbe disporre d’ufficio, se non in quanto assorbita dall’eventuale accoglimento della domanda del lavoratore.

8. La proponibilità nella fase di opposizione di nuove domande ed eccezioni.

Negli ultimi paragrafi si è visto come sia stata risolta dalla giurisprudenza di legittimità la questione dei termini entro i quali, nella fase di opposizione, possono essere riproposte le do- mande ed eccezioni originariamente formulate; qualche cenno va, infine, riservato anche alla soluzione offerta alla problematica relativa alla variabilità delle prospettazioni originarie.

Come emerge dal breve excursus giurisprudenziale che precede, si tratta di un tema del quale per prima si è occupata sempre la Corte costituzionale nell’ambito della citata sent. 13 maggio 2015, n. 78. In tale pronuncia, al fine di escludere l’identità di res judicanda nelle due fa- si, la Corte ha rilevato che, nella fase di opposizione, la cognizione del giudice “può investire anche diversi profili soggettivi (stante il possibile intervento di terzi), oggettivi (in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatti costitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedot- te circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori”.

Il rilievo è, poi, stato ripreso dalla Sezione Lavoro della Cassazione, sia con la sent. 17 luglio 2015, n. 15066, sia con le sentenze 28 settembre 2015, n. 19142 e 1° dicembre 2015, n. 25046 sia con l’ultima pronuncia annotata, del 26 febbraio 2016, n. 3836.

La prima di tali pronunce, a fondamento dell’estensione dell’oggetto del giudizio nella fase di opposizione, ha ricordato la “pressoché totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti” nella fase sommaria; essa, ha, tuttavia, esaminato la questione esclusivamente ai fini della qualificazione impugnatoria o meno della fase di opposizione nell’ottica della verifica della sussistenza dell’obbligo di astensione del giudice di questa; questa pronuncia non ha, quindi, esaminato alcun concreto profilo di ammissibilità dell’esercizio dello ius variandi nella fase di opposizione.

Altrettanto va detto per la sent. n. 3836 del 2016, che, come si è visto, ha affrontato il tema

26 Così Cass., Sez. IIia, 16 marzo 2012, n. 4233.

27 La definizione è di G. Tarzia - C.E. Balbi, Riconvenzione (diritto processuale civile), voce E.d.D., 669.

Commento [s1]: In nota si intende : Cass., Sez. III, 16 marzo 2012, n.

4233?

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della tempestività della riproposizione delle originarie domande ed eccezioni da parte dell’opposto.

Le uniche sentenze che si sono pronunciate rispetto a casi concreti sono la n. 19142/2015 e la n. 25046/2015; solo la seconda, tuttavia, ha fatto specifica applicazione del principio estensivo come enunciato dalla Consulta, nella fattispecie, alle “eccezioni in senso stretto - come quella di decadenza - non sollevate dall’interessato durante la fase sommaria”.

La prima pronuncia, come si è già evidenziato nell’excursus, ha semplicemente parificato il rito Fornero all’ordinario rito lavoristico, per desumerne la piena applicabilità anche al primo del divieto di mutatio libelli, così sembrando andare in contrario avviso rispetto all’affermazione della Corte costituzionale in ordine all’ammissibilità di un’estensione della materia del conten- dere al di là del perimetro disegnato con il ricorso introduttivo della fase sommaria.

In realtà, v’è da chiedersi se il principio, così come genericamente affermato dalla Con- sulta, vada inteso come attributivo di un’illimitata facoltà delle parti di variare, nel giudizio di opposizione, le domande, le difese e le richieste istruttorie originariamente proposte senza li- miti di sorta.

Nulla quaestio, ovviamente, per le deduzioni istruttorie, attesa la mancanza di alcuna di- sposizione che, nella fase sommaria, introduca preclusioni persino ad effetto endoprocedimen- tale.

Per quanto riguarda le domande, invece, non si può fare a meno di osservare che la loro proposizione per la prima volta solo nella fase di opposizione sembra incontrare due limita- zioni abbastanza scontate: la preclusione per il possibile decorso del termine decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604/1966 ed il principio di obbligatorietà del rito (desumibile dall’art. 1, comma 48, L. n. 92/2012), che impone che ogni domanda sia previamente sottoposta alla fase sommaria e non consente, quindi, il ricorso per saltum al procedimento ordinario28; con la con- seguenza che l’eventuale proposizione, nel giudizio di opposizione, di domande effettivamente diverse da quelle originariamente proposte imporrebbe al giudice, previa loro separazione, di disporre il mutamento del rito e di deciderle con altra ordinanza e non con sentenza29. Né varrebbe opporre al rilievo che precede la formulazione del secondo alinea del comma 51 dell’art. 1 della L. n. 92, sol perché esso individua le domande proponibili nella seconda fase del primo grado in “quelle di cui al comma 47”, ovvero indifferentemente in tutte quelle astrattamente “aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art.

18” e non solo, pertanto, nelle domande di cui al comma 48, ovvero quelle già articolate nel ri- corso introduttivo della fase sommaria.

28 Per l’obbligatorietà del rito, si vedano, in dottrina, tra gli altri: F.P. Luiso, Il rito speciale per l’impugnazione del licenziamento, in Riv. it. dir.

lav., 2013, 123; D. Buoncristiani, Rito licenziamenti: profili sistematici e profili applicativi, in Riv. it. dir. lav., 2013, 376; G. Pacchiana Parravi- cini, Il nuovo art. 18 St.Lav.: problemi sostanziali e processuali, in Mass. Giur. lav., 2012, 755; G. Ruffini, Il rito Fornero alle sezioni unite, in Riv.

dir. proc., 2014, 755; F.M. Giorgi, Il nuovo processo per l’impugnazione dei licenziamenti, in AA.VV. La riforma del mercato del lavoro, Aspetti so- stanziali e processuali, Napoli, 2013, 307; L. Dittrich, Rito speciale dei licenziamenti e qualità della cognizione, in Riv. dir. proc., 2014, 105; D. Dal- fino, Obbligatorietà del rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisioni di questioni nella fase sommaria, in Riv. it. dir. lav., 2014, 2, 396 ss. Nel- la giurisprudenza di merito, si v. Trib. Genova 9 gennaio 2013, in questa Rivista, 2013, 367 ss.; Trib. Reggio Calabria 6 febbraio 2013, ibidem, 373; Trib. Bari 26 novembre 2012, in Mass. Giur. lav., 2013, 85. Per la giurisprudenza di legittimità, si veda la cit. Cass. SS.UU.

31 luglio 2014 n.17443, che ho rilevato che “il legislatore ha configurato il rito sommario come un passaggio processuale obbligatorio, che non consente una immediata conversione del rito sommario in rito ordinario”.

29 Sull’obbligo di mutamento del rito in caso di errore nella scelta da parte del ricorrente, si veda, per la giurisprude nza di legittimità, la recentissima Cass., Sez. lav., 8 marzo 2016, n. 4506, che si è pronunciata in un caso nel quale è stata negata la nullità del procedi- mento per essere stato disposto il mutamento del procedimento proposto invocando l’art. 700 c.p.c., nel rito Fornero. La Corte ha ri- cordato che “secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l’inesattezza del rito non determina di per sé l’inesistenza o la nullità della sentenza, ma assume rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una preci- sa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della pa rte”.

Per la giurisprudenza di merito, si vedano, tra le innumerevoli pronunce: Trib. Modena 14 gennaio 2014, in ADL, 4-5/2014, 1136 ed in Riv. it. dir. lav., 2014, 3, 606; Trib. Roma 28 novembre 2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, 1118; Trib. Roma 21 febbraio 2013, in Giur.

mer., 2013, 5, 1086; Trib. Piacenza 16 gennaio 2013, in Riv. crit. lav., 2013, 273.

(15)

Non sembra possa essere questo il significato della disposizione, che, ove così fosse interpreta- ta, vanificherebbe il disposto del comma 48; sembra, invece, che la sua portata - che se si limi- tasse a vietare l’espansione del rito a pretese non attinenti al licenziamento sarebbe pleonastica, essendo tale regola già prevista nel comma 47 - sia svelata dalla possibilità, indicata nel prosie- guo del secondo alinea, di estendere il contraddittorio anche a “soggetti rispetto ai quali la cau- sa è comune o dai quali si intende essere garantiti”.

In virtù di tale previsione, la disposizione rivela la finalità di introdurre, sia la facoltà del datore di lavoro di articolare domande di garanzia direttamente con il ricorso in opposizione, senza necessità della autorizzazione alla chiamata da parte del giudice, sia quella del lavoratore di ef- fettuare le estensioni del contraddittorio rese opportune dagli elementi probatori acquisiti nella fase sommaria, solo entro tali limiti consentendo di superare il principio di necessarietà della fase sommaria desumibile dal comma 48.

Diversa sembra, invece, la conclusione da accogliere per quanto riguarda le eccezioni. In conformità a quanto ritenuto dalla citata pronuncia della Sez. lav. n. 25046/2015, non si rin- vengono ragioni impeditive della facoltà di proporre nuove difese, né eccezioni in senso stret- to, soprattutto se si considera come non sia ipotizzabile che, nella fase sommaria, si siano for- mate preclusioni, non solo di carattere istruttorio, ma anche per quanto attiene alla deducibilità dei fatti; salvo, quanto a questi ultimi, che ne consegua la modifica delle domande (e, quindi, che si tratti di fatti costitutivi diversi) o che la variazione violi altre regole sostanziali o proces- suali applicabili alla fattispecie, quali il principio di immodificabilità dei motivi di recesso o il principio di contraddizione o il principio di non contestazione, anche quest’ultimo da ritenersi vieppiù operante proprio nel momento in cui si qualifichi il procedimento come unico e bifa- sico.

9. Natura non impugnatoria del giudizio di opposizione ed effetti della sua estinzione sull’ordinanza.

Un piano di verifica del postulato relativo alla natura non impugnatoria della fase di op- posizione ancora non affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, ma che solleva interrogativi di non facile soluzione, riguarda gli effetti dell’estinzione del giudizio che intervenga in questa fase.

In particolare, ci si chiede quale sia la sorte riservata all’ordinanza, una volta intervenuta l’estinzione del giudizio e, più specificamente, se possa ipotizzarsi che il provvedimento acqui- sti l’efficacia sostanziale del giudicato anche laddove alla fase di opposizione si neghi funzione impugnatoria.

Aderendo all’opposta premessa, sarebbe del tutto agevole invocare l’applicabilità dell’art.

338 c.p.c., disposizione che prevede che “l’estinzione del procedimento in grado di appello ...

fa passare in giudicato la sentenza impugnata” e che è generalmente ritenuta espressione di un principio di carattere generale, non a caso inserito nel capo I del tit. III del codice di rito (“Delle impugnazioni in generale”), come tale suscettibile di estensione anche ad altri proce- dimenti di impugnazione oltre all’appello30.

Se, invece, si nega, così come è stato sinora ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, che la fase di opposizione abbia natura impugnatoria, sulla base dell’assunto che si tratterebbe di un procedimento realmente bifasico, la risposta al quesito appare più in- certa. A questo fine, va considerato che, a sensi dell’art. 310, comma 1, c.p.c., sopravvivono all’estinzione soltanto “le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza”; si pone, quindi, il problema se debbano ritenersi preclusivi dell’effetto conservativo, la espressa limitazione del medesimo alle sole pronunce di merito

30 Per l’applicazione dell’art. 338 c.p.c. alla rinuncia al ricorso ed alla conseguente estinzione del giudizio di cassazione, v. Cass. 20 febbraio 2003, n. 2534.

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