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Academic year: 2021

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1.2. ‹Betrayed› in scena: la genesi del testo

Nel periodo successivo alla pubblicazione dell‘articolo, Packer viene contattato da numerosi iracheni che vedono in lui un‘ultima speranza e una via di uscita dalla situazione disperata in cui si trovano. Anche se, come afferma Mark Chou in un articolo pubblicato nel 2009, la situazione adesso, a circa due anni di distanza dall‘uscita dell‘articolo di Packer, sembra promettere alcuni sbocchi positivi, in realtà la strada verso la risoluzione definitiva del problema è ancora lunga. Gli Stati Uniti hanno finalmente provveduto a cercare una soluzione per far fronte alla situazione di emergenza che si è verificata nel caso dei collaboratori iracheni. Il progetto concreto porta il nome di Kennedy Special Immigrant Visa Program, che si pone come obiettivo quello di far uscire dall‘Iraq il maggior numero possibile di interpreti iracheni; si parla di un numero che oscilla tra le cinquecento e le cinquemila persone all‘anno. Nel frattempo anche il governo australiano si è reso disponibile ad accogliere profughi provenienti dal contesto di guerra iracheno, garantendo visti permanenti per circa seicento iracheni.

Durante una sua partecipazione come ospite a Theatre Talk, condotto da Susan Haskins e Michael Riedel del New York Post, George Packer confessa di sentirsi costantemente assalito da un forte senso di impotenza davanti alle numerose storie che ha minuziosamente raccolto durante le sue interviste. Questa inquietudine, spiega Packer, può essere placata soltanto continuando a fare battage, affinché le problematiche da lui individuate nell‘articolo trovino accoglienza e interesse presso chi è in grado di garantirgli una soluzione adeguata.

In questa stessa intervista il giornalista parla a lungo della genesi dello spettacolo Betrayed. La decisione di avvicinarsi al mondo del teatro nasce in Packer dopo aver assistito all‘one-man show The Looming Tower del collega Lawrence Wright. Questa esperienza lo ha condotto gradualmente a maturare la decisione di collaborare con Culture Project, una piccola compagnia teatrale di Manhattan specializzata in spettacoli che trattano i temi più pressanti del momento storico, per un adattamento teatrale del suo articolo. Questa, per Packer, è una buona occasione, da un lato, per confrontarsi con una sua passione giovanile per il teatro messa nel cassetto e, dall‘altro, per dare sfogo a quelle voci che, ancora a distanza di tempo dalle interviste realizzate, continuavano a riecheggiare nella sua mente. Il giornalismo non è più in grado di rendere giustizia ai circa quaranta iracheni intervistati da Packer: ―I couldn‘t do justice

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23 to what I had heard‖, confessa Packer in questa stessa intervista; egli sente il bisogno di dare la possibilità agli iracheni di raccontarsi con la loro stessa voce e individua nel teatro il mezzo ideale per questo scopo. Per un giornalista senza esperienza nel settore, questa decisione significa lasciarsi alle spalle il modo abituale con cui trattava certi argomenti, e abbandonarsi alle leggi del teatro. Grazie alla collaborazione con Culture Project nasce lo spettacolo Betrayed, diretto da Pippin Parker, della durata di un‘ora e quarantacinque minuti che debutta a Soho nel gennaio del 2008. In una sua recensione, Justin Boyd definisce il risultato ―a developmental sprint that most plays and playwrights can only dream about.‖ (Boyd 2008) Già nelle intenzioni di Packer, come afferma il regista, il frutto della loro collaborazione doveva essere qualcosa dall‘abituale produzione teatrale che tratta la guerra in Iraq: ―George really did not want to write a play that was, you know, an American or white man‘s navigation through some foreign, difficult situation, which is how these stories often end up being.‖ (cit. in Boyd 2008) Il testo viene pubblicato in simultanea da Faber and Faber, in modo che Betrayed sia accessibile anche fuori dal contesto teatrale.

La motivazione più profonda che guida il passaggio dall‘articolo alla scena è radicata nell‘imponente senso di vergogna che non abbandona il giornalista statunitense. Introducendo Betrayed al pubblico di Theatre Talk, Packer afferma che il senso di profondo imbarazzo proviene dal fatto che non aveva mai visto prima d‘allora ―[his] country dishonour itself.‖ Perciò Justine Boyd ha pienamente ragione quando in una sua recensione di Betrayed afferma che ―The translators‘ belief in America‘s good intentions is one of the most powerful elements of the play, and probably the primary reason Packer wanted to write their stories.‖ (Boyd 2008)

Mark Chou legge in Betrayed l‘esigenza del giornalista americano di tentare un approccio diverso alla realtà politica:

The consequences of our political actions can come to haunt us. Just ask George Packer: political analyst, novelist, dramatist. Haunted both by what politics did, in Iraq, and by what politics could not do, for the Iraqis who had sacrificed the most, Packer quickly found himself pressed by the need to see and approach political reality differently. The product is his new play, Betrayed—a serious political drama which sees in politics ‗the inadvertent bluntness and accidental poetry of a second language.‘ (Chou 2009: 2)

In un‘edizione di Dialogue, condotto da Marcia Franklin, George Packer riconosce che l‘esperienza in Iraq ha contribuito a trasformare la sua idea personale sulla guerra. A

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24 quest‘affermazione, Packer aggiunge un‘aspra critica nei confronti dell‘amministrazione americana, dichiarando che per lui era impensabile immaginare un esito più catastrofico di quello raggiunto dalla politica statunitense nel periodo successivo alla caduta di Saddam Hussein.

Accingersi all‘impresa di un adattamento teatrale del suo articolo significa per Packer non solo realizzare il potenziale drammatico contenuto nelle sue sedicimila parole, e rendere giustizia agli iracheni che gli hanno permesso di entrare nel loro mondo, ma anche concretizzare un progetto che con il suo impegno politico ha lo scopo di smuovere le coscienze e sensibilizzare l‘opinione pubblica. Il risultato finale supera le migliori aspettative, ed è definito da Susan Haskins non solo uno dei drammi più significativi prodotti negli ultimi tempi, ma addirittura il miglior dramma dell‘intera stagione teatrale.

La complessa genesi di Betrayed è frutto di una radicale trasformazione. Durante questa metamorfosi l‘articolo funge da avantesto per la creazione dello spettacolo, ma tuttavia esige una serie di scelte e decisioni che un tale passaggio implica. Di fronte all‘articolo si è dinanzi a un prodotto giornalistico, che ha la funzione principale di natura informativa, uno suo stile equilibrato e preciso, coinvolgente e sintetico, la struttura è logica e piuttosto informale, gli argomenti suddivisi per importanza. Trarre da questo elaborato un prodotto da mettere in scena, significa per il giornalista americano, come egli stesso afferma davanti al pubblico di Theatre Talk, lasciarsi completamente guidare dalle leggi del teatro, affidandosi alla mano esperta di Pippin Parker.

Uno dei cambiamenti più significativi che implica il passaggio dall‘articolo alla scena è quello del passaggio da un modo di enunciazione diegetico ad uno mimetico. Mentre nell‘articolo Packer, in veste di giornalista, racconta in prima persona gli eventi di cui è stato testimone durante le sue sei visite in Iraq, facendo costante ricorso alle affermazioni verbali delle persone da lui intervistate, il passaggio alla scena significa impiegare in maniera diversa le parole, i gesti ed i suoni che hanno accompagnato le interviste. Come afferma Alessandro Serpieri, i testi che non sono stati concepiti per essere messi in scena, devono subire quella che lui definisce ‗drammatizzazione‘, ovvero ―che faccia sì che le parole prendano voce e senso, cioè sempre nuovo senso, nella recitazione dell‘attore, nell‘intonazione e nell‘interpretazione che egli ne dà, e, quindi, che quelle parole trovino la loro contestualizzazione enunciazionale articolandosi nello spazio-tempo scenico che le renderà non solo lettura, con la sua semantica espressiva e comunicativa, ma anche «azione parlata».‖ (Serpieri 2002: 64) Il

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25 risultato è un dramma che inizia in medias res, che si avvale del procedimento di strutturare l‘intreccio, non raccontando gli eventi in ordine cronologico, ma rivelandoli tramite riaccostamenti per enfatizzare il loro valore in maggior misura. Il fattore tempo, quindi, assume nell‘intreccio un aspetto fondamentale, in quanto Packer si serve di un gioco fra presente e passato, tramite una serie di flashback con la funzione di rafforzamento del racconto verbale. Il cambiamento sostanziale che subisce l‘articolo packeriano sta effettivamente nello spostamento di quello che Cesare Segre definisce «punto di vista», vale a dire la distanza da cui gli eventi vengono raccontati. Packer decide di eliminare il personaggio del giornalista, e in questo modo permettere che fra i suoi personaggi si instaurasse un rapporto, usando il termine da lui adoperato nella discussione con Susan Haskins, ―close to the surface.‖ In tale maniera, i personaggi raccontano in modo autodiegetico la loro storia, e in più, con le loro voci.

Nella sua partecipazione al Theatre Talk, Packer rivela che in una prima versione dello spettacolo la figura dell‘intervistatore era fisicamente presente in veste di personaggio, in un secondo momento Packer decide di toglierla dalla scena, trasformandolo in un personaggio muto e invisibile, apparentemente collocato nel pubblico. Questo espediente, afferma Packer, mira a ottenere l‘effetto di concentrare l‘attenzione degli spettatori solo ed esclusivamente sui due iracheni. La figura dell‘intervistatore che prende parte attiva nell‘azione poteva, secondo Packer, distogliere l‘interesse del pubblico dai due iracheni, che sono in realtà le vere colonne portanti dello spettacolo. In questo modo i protagonisti riescono a rapportarsi meglio sulla scena e instaurare un legame profondo. Packer afferma che quello che gli preme di più è dare un‘idea al suo pubblico sulla vita quotidiana degli iracheni, aprire la porta a ogni singolo spettatore al mondo degli iracheni, mostrarli nei momenti di quotidianità più semplici, i loro scherzi, le loro discussioni, la fermezza con cui credono nel valore dell‘amicizia. Quello che gli spettatori occidentali sanno dell‘Iraq, è convinto Packer, è il singolare, l‘eccezionale, la distruzione, la violenza e il dolore, ma quello che non hanno mai avuto modo di scoprire è proprio l‘ordinario che si nasconde dietro i volti dei protagonisti iracheni.

Betrayed è diviso in ventitré scene di cui sei centralizzate sui racconti diretti dei protagonisti interpreti Adnan e Laith, una che contiene le lettere indirizzate al protagonista americano Bill Prescott (ispirato alla persona di Kirk Johnson e l‘unico rappresentante della politica americana che si scontra con la vera realtà degli iracheni) da altre persone che si trovano nella stessa situazione di Adnan e Laith, e sedici flashback in cui appare anche l‘unica donna – Intisar, uccisa durante la guerra. La prima

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26 scena si svolge al Palestine Hotel, l‘albergo di Baghdad un tempo pieno di vita, punto d‘incontro tra americani, iracheni e giornalisti. Lì i due interpreti, Adnan e Laith, incontrano in segreto l‘intervistatore e iniziano a raccontare la loro storia e le vicende della guerra. Betrayed segue il filo conduttore delle vite dei tre interpreti che sono costretti ad affrontare le conseguenze della decisione di collaborare con gli americani. I tre protagonisti, il sunnita Adnan (interpretato da Waleed F. Zuaiter), lo sciita curdo Laith (interpretato da Sevan Green), e Intisar (interpretata da Aadya Bedi) proveniente da una famiglia laica irachena, hanno un buon livello di istruzione, sentono il dovere di poter contribuire alla rinascita del proprio paese, e accettano senza riserve di lavorare con gli americani nonostante le differenze. Adnan si considera un ‗non belonger‘; è un uomo intelligente che ama leggere, apprezza molto la lingua inglese, tanto da leggere tutto ciò che gli capita tra le mani. L‘arrivo degli americani è per lui una nuova occasione di vita, ‗a chance for every Iraqi‘. Questa nuova opportunità gli permette di capire e apprezzare il proprio valore individuale, e di comprendere che egli può ―make things happen‖ (Packer 2008: 39), ma nello stesso tempo mette in pericolo la sua vita. Il secondo interprete, Laith, sceglie di fare questo lavoro per motivi economici, e inizia a collaborare con la squadra degli Assassini. Il suo lavoro consiste nell‘accompagnare ed interpretare per i soldati durante i blitz nei quartieri considerati potenziali nascondigli di insorti. L‘unica donna, Intisar, è una persona che ha molto sofferto per le restrizioni poste alle donne durante il regime di Saddam. Dopo la sua caduta Intisar si rifiuta di portare il velo, sogna di poter andare in bicicletta liberamente per le strade della città, e di portare nel suo paese la letteratura inglese che tanto apprezza. Verso la fine di Betrayed, Intisar è costretta a rimettere il velo per proteggersi dagli insorti che la minacciano e alla fine la uccidono barbaramente, trascinandola moribonda per le vie della città dopo averla umiliata, picchiata e torturata. La figura di Intisar porta in sé una contraddizione importante: quella fra coraggio e disperazione, o meglio quella del coraggio frutto della disperazione. Jeanne Colleran riassume l‘incomprensione degli americani verso la profonda sensibilità di questa donna paragonando la cecità di Prescott a quella di Bush, convinto che bastassero le bombe a liberare le donne dall‘oppressione: ―Like Bush‘s belief that the U.S. invasion of Iraq and bombing of Afghanistan would liberate veiled women from oppression, the well-meaning but undiscerning Prescott points to Intisar as an example of bravery and progress, failing

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27 Sebbene secondo Jeanne Colleran, Bill Prescott, i soldati che sorvegliano la Porta degli Assassini, e l‘ufficiale addetto alla sicurezza siano ―combination of exceptionalism, naiveté, and arrogance‖ (Colleran 2012: 137), Bill Prescott si distingue per la trasformazione che subisce nel corso degli eventi, dovuta al rapporto ravvicinato che instaura con gli interpreti, e che lo porta a scoprire che esiste una diversa prospettiva da cui vedere gli eventi: quella di coloro i quali ―embraced the American project in Iraq so enthusiastically that they were willing to risk their lives for it‖. (Packer 2008: vii) Nella sua recensione, Charles Isherwood mette la questione in questi termini:

The title of Mr. Packer‘s play suggests a polemical view of the events being depicted. Mr. Packer clearly believes the American government has not lived up to its ethical responsibility to safeguard the lives of its Iraqi employees. But it is impossible to convict him of irrational bias; the facts are what they are. Of being compassionate, outraged and possessed by a desire to expose injustice, however, he is unquestionably guilty. (Isherwood 2008)

Justine Boyd identifica nei personaggi di Prescott e dell‘ufficiale regionale addetto alla sicurezza le due posizioni contrapposte da cui può essere osservata la guerra in Iraq:

Prescott and the RSO stand as what will be probably be viewed as opposite points on the continuum of American archetypes in stories about the Iraq War – the naïve, true-believer who bought the Bush administration‘s sale of the war as a humanitarian mission and the in-over-his-head military man who turns violently on all Iraqis once the mission becomes an occupation in a country that‘s out of control. Neither is a pretty picture of American prosecution of this war. (Boyd 2008)

Ben presto Bill Prescott si rende conto dalla realtà che lo circonda, e si sente egli stesso tradito nei suoi ideali, almeno quanto i suoi amici interpreti; ed anche tutti i suoi tentativi di aiutare il maggior numero possibile di collaboratori abbandonati da una politica sorda ai loro appelli sono destinati al fallimento. Nell‘intervista sopracitata, Michael Riedel individua due livelli di tradimento nei confronti degli interpreti. Se da un lato gli interpreti sono traditi dall‘amministrazione statunitense, dall‘altra esiste un altro grado di tradimento, ovvero quello nei confronti degli iracheni da parte dei loro connazionali.1 Marc Chou descrive questa difficile situazione nei termini seguenti:

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Se, come affermato da Salama-Carr, la traduzione viene spesso definita come un ―trans-cultural project that travels between languages and cultures ‖ (Salama-Carr 2007: 135), in Betrayed viene mostrato come questa sua funzione principale non si realizzi. Il fatto di lavorare come intermediario fra le due culture diventa per gli interpreti una

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28 Unwanted by their own, seeing themselves distinct to their own, these Iraqis were in turn denied the legal rights that would enable them to access humanitarian assistance from their liberators. Politically, legally and morally, then, these were individuals betrayed by a war whose outcomes failed to match many or any of its original aims. (Chou 2009: 4)

Alla fine di Betrayed, l‘incubo contro cui gli interpreti cercavano disperatamente di mettere in guardia gli americani diventa realtà. Una volta venuto alla luce il suo legame lavorativo con gli americani, Intisar è vittima di umiliazioni e calunnie che la descrivono come prostituta e traditrice della fede.2 Il destino riservato a Intisar è di

questione di vita o di morte: ―Laith: The Baathists are making people believe that Iraqis like me are traitors; we are giving up Iraqis with false information and women are getting raped.‖(Packer 2008: 22) Ognuno degli interpreti comincia a ricevere delle minacce che si fanno sempre più pesanti. Non sono solo i rappresentanti del partito Baath a diffondere l‘idea che gli iracheni cha lavorano con gli americani siano dei traditori. Ad aggravare la situazione è la loro presenza durante i blitz effettuati dai militari americani. Laith è inizialmente assunto a lavorare come interprete per la squadra degli Assassini. Egli si rende conto ben presto della delicata situazione in cui si trova grazie a questo lavoro: ―Laith: Or they took me out on patrol in my own neighbourhood, even after I told them it was dangerous for me. I started wearing a bandana over my face. We were losing our trust with the Americans and the Iraqis.‖ (Packer 2008: 35) Nel corso degli eventi Intisar finirà per essere barbaramente uccisa e trascinata moribonda per le vie della città dagli insorti. Nella nona scena concede un‘intervista allo stesso giornalista a cui i due interpreti raccontano la propria storia. Dopo aver intervistato Prescott, il giornalista ascolta la storia di Intisar dalla quale emerge che una donna, più di qualsiasi altra persona, ha da perdere nel momento in cui sceglie di collaborare con gli americani. Una donna deve combattere con il giudizio morale dei suoi connazionali, e con i pregiudizi che deve affrontare una ragazza che vorrebbe condurre una vita libera e normale, leggere libri, avere una carriera, scegliere da sola il proprio percorso: ―Intisar: It‘s something unbelievable to be a target every day, to be wanted, and you just have a feeling that people aer looking for you and you‘re on the street in the middle of them, you‘re not hiding. It is crazy.‖ (Packer 2008: 42)

La condizione dell‘interprete in quanto collocato in between è particolarmente presente in Betrayed: ―Laith: The Iraqis stopped trusting you, and the Americans didn‘t trust you from the beginning. You become a person in between.‖(Packer 2008: 35) Questa posizione da intermediario comporta una conseguenza devastante: ―Laith: you are dead both ways— continue working with the Americans or stop working with the Americans.‖ (Packer 2008: 70) Per Vicente Rafael in zone di conflitto questa è una condizione definita come ―nonproductive‖, poiché anziché contribuire ad una reciproca comprensione fra le due parti, gli interpreti sono considerati ―enemies disguised as friends whose linguistic virtuosity masks their real selves and their true intentions.‖ (Rafael 2007: 242)

2 Mona Baker ha esaminato in dettaglio i motivi che danno origine alla costante sfiducia nei confronti dei collaboratori

iracheni. In prima istanza, Baker nomina i concetti di origine e appartenenza, che si articolano in due categorie principali – us e them, concludendo che: ―[…] foreignness in wartime can be so unsettling that even linguists who belong to the us group can be tainted by the mere fact that they speak a foreign language.‖ (Baker 2010: 211) La distinzione fra ‗nostri‘ e ‗ loro‘ si esaspera in modo particolare in contesti di guerra. Baker sostiene che per giustificare la violenza contro gli altri, il nemico deve essere rappresentato come radicalmente diverso da noi, violento e minaccioso. È questo il motivo principale per cui gli interpreti in Betrayed vengono sottoposti alla macchina della verità con domande a dir poco assurde. Quindi, da un punto di vista militare l‘affidabilità di un interprete dipende praticamente dalle sue origini etniche o come afferma Baker: ―identity is ruthlessly circumscribed in war zones, with attributes such as ethnicity overriding any dimension that the person being narrated would independently see as more central to their sense of who they are and what they believe in.‖ (Baker 2010: 213) Stando a Baker i concetti di differenza e omogeneità sono le cause che determinano il modo in cui gli interpreti vengono considerati da parte dei loro datori di lavoro. Da queste distinzioni emerge il fatto che gli iracheni incarneranno sempre e comunque il nemico. Il concetto di omogeneità rafforza un‘altra volta la distinzione tra us e them, e così incasella anche la classe degli interpreti in una categoria rigida. Baker offre un esempio interessante in cui la cattiva reputazione degli interpreti iracheni ha portato le forze americane a sostituire tutti gli interpreti nella Zona Verde con interpreti provenienti dalla Giordania proprio per evitare di dover dipendere da interpreti iracheni di cui non bisogna mai fidarsi. Baker è convinta

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29 morire dissanguata sul sedile posteriore di un taxi guidato da un uomo sospettato di collaborare con gli insorti. La situazione in cui si trova Adnan è simile. L‘interprete iracheno si rende conto della gravità della sua posizione nel momento in cui il suo fratello minore è rapito dagli insorti e minacciato di morte. Laith è accusato di spionaggio e di passare informazioni ai suoi contatti in Sadr City; poco dopo viene espulso dall‘ambasciata. In questo momento finisce non solo la sua carriera lavorativa, ma anche la sua vita in Iraq. Trovare la testa mozzata di un cagnolino nel giardino di casa è solo un brutto presagio di quello che lo attenderebbe se non lasciasse immediatamente il paese.

In Betrayed Packer gioca costantemente sul contrasto tra entusiasmo e disperazione. Nella prima scena i due interpreti descrivono l‘entusiasmo con cui il popolo iracheno ha salutato l‘arrivo delle truppe americane. Per molti come Adnan non si tratta solo di una rinascita a livello politico e culturale, ma anche di una realizzazione personale. Tutto ad un tratto imprecare liberamente contro Saddam, interagire con i giornalisti e i soldati americani fa parte della normalità. Questo è il simbolo di una nuova vita, della terra promessa, una nuova opportunità per ogni iracheno. Tuttavia, il regime di Saddam ha lasciato una forte impronta nella mentalità irachena, e gli americani devono imparare a conoscerla e a capirla. In Betrayed emerge come l‘ottimismo che ha accompagnato la liberazione del 2003 gradualmente si trasformi in una disillusione per l‘invasione; Adnan racconta di come il suo atteggiamento verso la presenza americana sia completamente cambiato: ―Wherever I went I was defending the Americans and strongly saying America was here to make a change. But now I have my doubts.‖ (Packer 2008: 10)

Nella sua recensione di Betrayed, David Abrams afferma che sin dall‘inizio gli errori commessi da parte degli americani hanno per sempre segnato non solo il destino di un paese distrutto, ma anche il rapporto con gli iracheni, che si è risolto in una scissione devastante:

From the start, the invasion-liberation-occupation of Iraq could best be summed up in a simple mantra: Mistakes Were Made, Trust Betrayed. As American soldiers rolled into Baghdad in early 2003, Iraqi citizens lined the streets with the kind of ecstasy che gli interpreti che collaborano con le forze statunitensi arrivano a perdere la propria identità nel momento in cui il loro lavoro li porta ad assumerne una nuova, praticamente decisa dagli altri:

The turmoil that interpreters and translators experience clearly results not just from what they witness of the violence of war but also from the way they are narrated by others, and the chasm that gradually opens up between their own sense of identity, their own personal narrative, and the identity and narrative imposed on them by other parties who both need and fear them. (Baker 2010: 204)

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30 not seen since the French were kissing U.S. GIs in 1944. In a matter of months, that grateful joy had turned to bitter resentment when the U.S. failed to control the looting and violence that filled the void left by Saddam Hussein. The gulf between Americans and the local population continued to widen and, despite genuine bonds between some soldiers and their Iraqi counterparts, it soon became a wary Us vs. Them relationship. (Abrams)

Nello spettacolo viene denunciata l‘inadeguatezza e la scarsa preparazione con cui la politica statunitense ha affrontato il compito della ricostruzione di un paese come l‘Iraq. Il fallimento viene identificato in una politica che si concentra sulla vittoria militare anziché sulla ricostruzione politica. A questo proposito la domanda di Adnan è in realtà una critica sintetizzata nella battuta seguente: ―Military victory is easy. But what will be after?‖ (Packer 2008: 28)

Gli eventi messi in scena in Betrayed dimostrano che dell‘Iraq rimane solo un paese devastato, spopolato e senza futuro. L‘amministrazione statunitense segue una politica che dimostra disinteresse nei confronti del popolo iracheno; ad un punto Adnan dice a Prescott che nessun progresso sarà mai possibile finché gli americani continuano a parlare solo con i pochi eletti che governano l‘Iraq: ― You talk to these politicians in the Green Zone and they tell you what they think you want to hear, and you tell Washington what you think it wants to hear, and everybody is happy, and Iraqis die and die and die.‖ (Packer 2008: 66) Questo atteggiamento porta inevitabilmente verso la perdita di controllo da parte degli americani, e fa precipitare il paese in un abisso, dove dominano l‘anarchia e gli scontri sanguinosi fra sunniti e sciiti. I primi a rendersene conto sono gli interpreti che collaborano con gli americani nella Zona Verde e hanno modo di conoscere la situazione anche fuori, nella Zona Rossa. Nella vita quotidiana sono i gruppi di insorti ad occupare diversi quartieri e imporre delle regole. Adnan racconta all‘intervistatore che nel suo quartiere le regole imposte da al-Qaeda sono ferree:

Adnan: No jeans, no shorts, no ladies driving. They threaten you if you have a spare tire in your car because this means you do not trust in God‘s help. They killed a man

who always sold ice next to the vegetable market—he was a very poor man, everyone

in the neighbourhood liked him—because they said there was no ice in the time of the Prophet. This is their religion. (Packer 2008: 62)

Come spiega Packer nell‘introduzione, Betrayed intende sottolineare che i collaboratori iracheni sono la fascia più colpita e più tradita in questa guerra: ―They had pinned their hopes, irrationally it turned out, on the Americans, until those Americans

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31 proved to be not just incompetent occupiers but also unreliable allies and indifferent friends.‖ (Packer 2008: ix)

Packer racconta di persone che vivono nella paura, persone che si nascondono in continuazione, che non si fidano di nessuno. Costretti ad usare nomi falsi, gli ex-interpreti iracheni vivono l‘incubo delle conseguenze per aver collaborato con gli americani: ―Every armed Iraqi faction, including the United States–supported government, saw them as traitors. Their American employers in general regarded their welfare as a bureaucratic nuisance.‖ 3

(Packer 2008: viii)

In una sua recensione Charles Isherwood descrive la particolarità di uno spettacolo come Betrayed, individuando le sue caratteristiche principali in questi termini:

The play gives us insight into the reasons, both personal and philosophical, behind these characters‘ decisions to risk so much in order to help usher a new Iraq into being. It also depicts the vice of danger gradually tightening around them, as Iraqi resentment and hatred of the Americans grows. (Isherwood 2008)

Alla fine di Betrayed i due uomini saranno costretti a vivere da rifugiati, mentre la donna, come già menzionato, verrà barbaramente uccisa. Nel momento in cui sta bruciando gli oggetti che potrebbero mettere in luce il suo legame con gli americani, prima di affrontare il viaggio che lo porterà in Svezia, Adnan non critica i valori americani nonostante gli errori commessi a livello politico e militare:

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Come è già stato menzionato anche riguardo all‘articolo, Packer denuncia una situazione di assoluta mancanza di sicurezza riguardo agli interpreti che collaborano con gli Stati Uniti. A cinque anni dall‘uscita dell‘articolo packeriano, la problematica della sicurezza ha raggiunto una solida base per essere risolta. Dal 2012 esiste in realtà una guida; si tratta della Conflict Zone Field Guide For Civilian Translators/Interpreters And Users of Their Services, minuziosamente compilata dall‘International Association of Conference Interpreters (AIIC), l‘International Federation of Tanslators (FIT), e la Red T, in cui sono contenute alcune regole che riguardano gli interpreti e chi li assume.

Tra i diritti degli interpreti si legge: You have a right to protection both during and after the assignment. If necessary, this should include your family as well. You should be provided with protective clothing and equipment, but not arms. As a civilian, you are not required to wear a uniform unless you consent to do so. Medical and psychological assistance must be made available to you. Prior to deployment, you should be given security and emergency training. […] The limits to your role must be clearly defined. You have the right to refuse a task that compromises your professional or personal standards and ethics and/or unduly endangers your safety. […] T/Is are the link between you and the people of the country in which you are working. Respect the T/Is and they will respect you. Rank may be established but not abused. […] T/Is may be at risk by working for you. Whether or not you are contractually responsible, protect them and, if necessary, their families both during the assignment and afterward.

– Do not arm them.

– Provide them with protective clothing and equipment, but do not require them to wear uniforms unless they consent to do so.

– Do not release names, addresses, or pictures of T/Is without their permission. […] Be aware of their needs and worries.

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32 Adnan: We know each other a little now, Americans and Iraqis, even if it is a terrible situation. Sometimes we are talking, sometimes we are fighting, but at least this is a relationship. It is not something to throw away or burn. But America does not want me. […] I can never blame the Americans alone. It‘s Iraqis who destroyed their country, with the help of Americas, under the American eye. Until this moment I dream about America. (Packer 2008: 108-109)

Il sogno per Adnan non si è infranto nonostante gli eventi in Betrayed abbiano dimostrato che la perdita più grande nella guerra, sia per gli americani sia per gli iracheni, è stata quella di non riuscire a instaurare un rapporto a prescindere dalla nazionalità, la lingua, il ruolo sociale. Nell‘introduzione a Betrayed Packer afferma che ha cercato di esplorare il rapporto tra iracheni e americani in termini della loro ―ability or inability[…]to transcend their ‗official‘ roles and maintain a human pulse‘ (Packer 2008: ix-x). Anche Justine Boyd nella sua recensione di Betrayed condivide un punto di vista simile:

But Betrayed isn‘t satisfied with detailing the struggles of only Iraqi interpreters – Americans betray Iraqis, yes, but Iraqis betray Iraqis, Americans betray Americans. What emerges is a picture of an embassy (the U.S. embassy), city (Baghdad) and country caught in the violent web of distant policymakers and local militias who – each for reasons that have nothing to with the country‘s welfare – refuse to let their guard down enough even to attempt to understand each other. (Boyd 2008)

Il giornalista americano sceglie di concludere lo spettacolo con la stessa espressione pronunciata da Firas nelle battute finali dell‘articolo:

Adnan: Betrayed? Not really. I have this nature—I don‘t expect a lot from people. I always assume the better but don‘t expect a lot. Not betrayed, no, not disappointed. I can never blame the americans alone. It‘s the Iraqis who destroyed their country, with the help of the Americans, under the American eye.[…] Until this moment I dream about America. (Packer 2008: 108)

Nello spettacolo è Adnan che pronuncia questa battuta finale, che probabilmente rimarrà nella storia di Betrayed come uno dei timbri che lo contraddistingue da qualsiasi altro spettacolo. Questo finale inaspettato suona come un verdetto definitivo contro la coscienza di chi non ha voluto guardare in faccia l‘angosciante, crudele e violenta realtà con la quale hanno dovuto scontrarsi gli interpreti iracheni. Questa è la condanna che

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33 non può sfuggire ad un commento di disapprovazione e biasimo se si vuole interpretare Betrayed da un punto vista critico. Sorprendentemente, l‘intento di Packer è lungi da essere tale. Il giornalista vuole enfatizzare esattamente il contrario. Nelle parole finali di Adnan non si legge la condanna nei confronti della politica statunitense; da queste parole non traspare la rabbia che sarebbe logico aspettarsi, ma un atteggiamento che rivela la personalità di chi ha vissuto tra ‗heaven and hell‘. Inoltre, questo atteggiamento è la chiara dimostrazione che non ha senso ripagare il male con la stessa moneta, poiché in fondo, nella guerra tutti, americani e iracheni hanno perso qualcosa di importante. Nella sua conversazione con Susan Haskins e Michael Riedel, Packer conferma che questo modo di vedere le cose è condiviso da tutti gli iracheni che lui ha avuto modo di conoscere. La battuta finale, spiega Packer, è quella che colpisce in maniera particolare tutti gli iracheni che hanno assistito allo spettacolo. C‘è da chiedersi il perché. È un modo per soffocare la rabbia in un momento in cui non si ha più nulla da perdere oppure il segno profondo di una rassegnazione che ormai ha ucciso la speranza? La risposta arriva dallo stesso Packer, che vede in queste battute finali la luce di un sogno che nonostante tutto non si è infranto, che va al di là della guerra e della violenza, è la volontà ancora viva di essere se stessi, realizzare il proprio potenziale individuale in un mondo dove non ha importanza da dove si è partiti, ma dove si vuole arrivare. Tutto questo può succedere in un paese lontano dalla patria snaturata che è l‘Iraq, diverso dagli Stati Uniti che ha chiuso i suoi confini con la solita diplomatica ipocrisia. Se la battuta finale di Adnan raggiunge un effetto a dir poco singolare, George Packer sorprende ancora di più nelle battute finali della sua partecipazione a Theatre Talk: ―These guys will break your heart‖, dice Packer, ―the best people I know.‖

In Betrayed Packer unisce, ―the best possible source ‒ my interviews‖ (Packer 2008: xi) a una buona dose di invenzione ispirata agli eventi di cui lui stesso è stato testimone. Non è possibile quantificare con precisione quali siano i punti nello spettacolo in cui Packer ha lascito sfogo alla sua immaginazione, visto e considerato che il giornalista americano non sembra aver fatto dichiarazioni precise a questo proposito. Si presuppone che questi punti siano i numerosi flashback in cui i protagonisti mettono in atto le storie che raccontano; un altro modo per dare agli interpreti iracheni la possibilità di esprimersi e ―to speak for themselves‖ (Packer 2008: x), almeno sulla scena. In un suo articolo, Justine Boyd riporta le affermazioni del giornalista a questo proposito:

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34 ―The scope of the New Yorker article is too large for a play, but the intensity of the stories is perfect,‖ he says. ―I guess these Iraqis had gotten into my system. Their voices were in my head, and I wanted to do them more justice than I could even in a 16,000-word magazine article.‖ (Boyd 2008)

Packer compone il dialogo basandosi sulla tecnica del verbatim non solo per rendere realistici il racconto e la storia, ma per dare la possibilità a quelle voci che finora nessuno ha ascoltato di esprimersi: ―At least half the dialogue comes from life; it would have been foolish to try to improve on how the Iraqis spoke and what they said.‖ (Packer 2008: x-xi) A proposito del linguaggio di Betrayed, Charles Isherwood vede pienamente realizzata l‘intenzione di Packer di attingere alla lingua vera e naturale delle sue interviste per creare un‘atmosfera intima e d‘impatto, ma decisamente più efficace dello stile ornamentato e fin troppo elaborato di altre opere teatrali:

As in-depth reporting puts a human face on the harsh forces of history, fine documentary theater can add another dimension to the reporting, as words are made flesh. Language is abstract, and potentially immortal; people are neither. And for the courageous men and women whose experience is represented in ―Betrayed,‖ life gradually becomes as fragile as a soap bubble… Mr. Packer‘s approach to the material is eloquent in its lack of adornment, and its tone is matched by Pippin Parker‘s straightforward direction. Flourishes of style are few, and theatergoers who prefer their documentary drama dressed up in exotic theatrical finery (as in the National Theater of Scotland‘s excellent ―Black Watch‖) could dismiss it as too blunt or drearily unimaginative. (Isherwood 2008)

Nella sua recensione di Betrayed Charles Isherwood sostiene che il particolare linguaggio, combinato all‘esperienza umana colta nella più intima sofferenza, fanno di quest‘opera un mezzo efficace per la trasmissione diretta e senza artificio di un‘esperienza realmente vissuta:

But the clarity of the writing, the urgency of the story being told and the fine performances give the play a sharp dramatic impact and a plain-spoken beauty. Painful human experience is presented here as just that. Nothing else is necessary to awaken sympathy, despair and awareness of a grave moral failure on the part of the American government. (Isherwood 2008)

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