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Ruolo patogenetico e valore predittivo del PlGF nella disfunzione placentare e nella patologia ostetrica: correlazioni biochimico-cliniche nel primo trimestre e outcome di gravidanza

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INDICE

RIASSUNTO ANALITICO...pag 4

INTRODUZIONE...pag 8 • La Diagnosi Prenatale e la Selezione delle Gravidanze

a Rischio Specifico... pag 9 • Il Primo Trimestre …...pag 11

IL PLGF...pag 13

LA PLACENTAZIONE...pag 16 • Morfologia e Funzione della Placenta...pag 16 • Fisiologia della Placentazione e Disfunzione placentare...pag 20

PRINCIPALI PATOLOGIE DA DISFUNZIONE PLACENTARE...pag 24 • Preeclampsia...pag 24 • Restrizione della Crescita Intrautero ( IUGR )...pag 37

IL DIABETE GESTAZIONALE...pag 48

IL PARTO PRETERMINE...pag 56

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LO STUDIO...pag 64 • Obiettivi...pag 64 • Materiali e Metodi...pag 64 • Risultati...pag 69 • Discussione...pag 93 CONCLUSIONI...pag 100 BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI

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RIASSUNTO ANALITICO

La diagnosi prenatale costituisce oggi una disciplina fondamentale della medicina materno-fetale. Negli ultimi anni ha assunto sempre maggior importanza il Primo Trimestre come momento di selezione delle gravidanze a rischio specifico non solo per le patologie cromosomiche fetali ma anche per le patologie ostetriche, con un approccio più completo che pone attenzione sia al benessere fetale che a quello materno.

L'ampliamento delle conoscenze in ambito ostetrico ha permesso di comprendere come le fasi iniziali della gestazione siano basilari per il corretto evolversi della gravidanza e come alterazioni di questi primi processi rivestano un ruolo eziopatogenetico cruciale in molte patologie ostetriche, soprattutto in quelle riconducibili a una disfunzione placentare.

La placenta è l'organo che media l'interazione materno-fetale con funzioni che vanno ben oltre quello della semplice creazione di una barriera emocoriale: è infatti la placenta che con la sua struttura e le sue numerose funzioni endocrine e secretive contribuisce alla definizione dell'ambiente intrauterino. La rivoluzionaria ipotesi di Barker ha fortemente modificato la visione della vita fetale attribuendo a quest'ultima una importanza fondamentale nello sviluppo del benessere e della salute del nascituro, portando a comprendere come sia l'ambiente intrauterino a modificare l'espressione genica, lo sviluppo neurosomatico del feto, le sue capacità adattative alla vita extrauterina e la suscettibilità patologica dell'individuo lungo tutto il corso della sua esistenza. Lo studio della placenta e delle sue alterazioni è quindi un argomento di grande interesse sia per la medicina materno-fetale che per la medicina e la salute globale in generale.

Il fenomeno della placentazione è un processo estremamente complesso in cui intervengono diversi fattori molecolari tra i quali grande attenzione ha suscitato negli ultimi anni il placental growth factor, PlGF: questa è una glicoproteina omodimerica analoga del VEGF prodotta a livello placentare sia dalle cellule endoteliali vascolari fetali e materne sia dalle cellule trofoblastiche; media la vasculogenesi promuovendo la differenziazione mesenchimale, la vasodilatazione e l'invasione trofoblastica delle arterie spirali uterine, tutti eventi che risultano alterati nella patogenesi di patologie quali la preeclampsia e la restrizione della crescita intrauterina. E' noto e ben chiarito dalla letteratura come queste due patologie siano in larga parte riconducibili all'alterata perfusione utero-placentare, la quale non solo può compromettere l'accrescimento e lo

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sviluppo fetale ma può anche alterare l'omeostasi dell'organismo materno in gravidanza sia promuovendo fenomeni disadattativi sia inducendo il rilascio di sostanze profinfiammatorie che mediano un danno endoteliale diffuso, tutti eventi che si presentano precocemente settimane prima che le patologie possano essere clinicamente rilevabili. Le lesioni placentari in corso di preeclampsia – soprattutto se complicata da IUGR – e di IUGR isolata presentano molte analogie a sostegno di questa comune via patogenetica ma anche alcune differenze che spiegano il perché dei due diversi quadri clinici: una spiccata presenza di necrosi placentare e un aumento della produzione delle syncytiotrophoblast

microparticles (STBM) alla base dei fenomeni infiammatori e di disfunzione endoteliale

sistemici, caratterizzano infatti la patologia preeclamptica mentre sono scarsamente rappresentate nella IUGR. Anche per il parto pretermine e per il neonato piccolo per l'età gestazionale, condizioni che possono essere entrambe causate frequentemente da preeclampsia e IUGR, la moderna letteratura riconosce un ruolo patogenetico della disfunzione placentare. Inoltre lo studio delle placente di donne affette da diabete gestazionale ha portato la ricerca a definire un ruolo fisiopatologico delle alterazioni tissutali e vascolari che vi si riscontrano anche in questa malattia; esse sono indotte dallo stato iperglicemico ma alcuni studi sostengono che esse compaiano anche prima del manifestarsi clinico del diabete gestazionale suggerendo un impatto del metabolismo materno nella regolazione della strutturazione e della funzione placentare.

Il ruolo predominante quindi della placentazione e della sua vascolarizzazione nella patologia ostetrica ha portato molti studi a focalizzarsi sul possibile valore predittivo che biomarcatori di questi processi possono assumere nella pratica clinica.

L'obiettivo di questa tesi è stato quello di ripercorre le principali patologie ostetriche analizzando il contributo della vascolarizzazione placentare nella loro patogenesi, quindi di valutare il ruolo predittivo di PlGF nello screening delle gravidanze a rischio del Primo Trimestre in associazione ai dosaggi biochimici, già previsti nella pratica clinica in occasione dell'esecuzione del test combinato, rappresentati da PAPP-A e β-HCG.Inoltre sono state prese in considerazione tre caratteristiche materne pregravidiche, l'età, il body

mass index ( BMI ) e la parità che rappresentano tre importanti fattori di rischio

preconcezionali per la patologia ostetrica.

Nei gruppi CASI sono state individuate e suddivise in specifici sottogruppi le pazienti che hanno avuto diagnosi di PREECLAMPSIA, IUGR, DIABETE GESTAZIONALE, PARTO

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PRETERMINE e neonato SGA mentre nel gruppo CONTROLLI è stato inserito un campione di pazienti che hanno avuto un decorso fisiologico della gravidanza. Sono stati considerati criteri di esclusione l'essere in terapia con farmaci che agiscono sull'emodinamica vascolare, l'essere portatrici di gravidanza gemellare, il soffrire di patologie disimmunitarie che di per sé possono causare una alterazione della placentazione, delineando quindi una popolazione di studio definibile non a rischio. Le pazienti che hanno avuto più di una diagnosi sono state ripetute nei vari sottogruppi al fine di superare la rigida classificazione didattica e nell'ottica di una visione più realistica della patologia ostetrica; per evitare comunque fattori di errore nell'analisi statistica sono stati creati e analizzati anche i sottoggruppi definiti PURI costituiti dalle pazienti con una sola diagnosi o con diagnosi associate ininfluenti ai fini della determinazione della associazione statistica con i vari parametri.

Un importante aspetto dello studio è stato quello di identificare cut-off specifici sulla popolazione in esame: ciò ha permesso di valutare il valore predittivo dei fattori presi in considerazione non in base ai range stabiliti in letteratura, frutto di una generalizzazione statistica che non tiene conto delle differenze territoriali, ma in base a scale identificate sulla specificità che connota la popolazione afferente alla nostra struttura sanitaria.

L'importanza dell'individuazione di cut-off popolazione specifici è evidenziata dai nostri risultati che mostrano come i range individuati per PlGF e PAPP-A dalla Fetal Medicine

Foundation ( FMF ) hanno sulla nostra popolazione una sensibilità che non supera il 23%

mentre i cut-off individuati tramite analisi con curva di ROC dei vari sottogruppi in confronto con il gruppo CONTROLLI raggiungano valori predittivi negativi (NPV) e livelli di sensibilità clinicamente rilevanti:

– PlGF mostra una associazione statisticamente significativa soprattutto con la restrizione della crescita intrauterina, preeclampsia e neonato SGA. Non è stata rilevata una associazione con il diabete gestazionale mentre per quanto riguarda il parto pretermine la significatività viene persa nell'analisi del sottogruppo ' puri ' in linea con la eziopatogenesi multifattoriale di questa malattia; il valore predittivo positivo per l'outcome negativo di gravidanza – identificato dall'insieme dei sottogruppi che formano i CASI ad esclusione del diabete gestazionale per la sua mancata correlazione con questo fattore- è del 90% con una sensibilità del 90% e un tasso di falsi positivi del 7,5%; per la IUGR si raggiunge un valore predittivo del

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92,5% con una sensibilità del 97,5% e un tasso di falsi positivi del 2,5%; buoni sono anche i risultati con la preeclampsia dove si raggiunge un NPV dell'86% con un tasso di falsi positivi del 2,5% e una sensibilità del 97,5%;

– PAPP-A mostra associazioni analoghe a quelle del PlGF anche se la sua sensibilità e specificità risultano inferiori e vengono praticamente sempre perse nei gruppi puri (ad eccezione di IUGR); anche per questo parametro però è netta la differenza tra i parametri della FMF con quelli specifici della popolazione;

– β-HCG mostra una estrema variabilità nella popolazione che non lo rende un parametro affidabile se non in associazione con IUGR.

Tra i fattori pregravidici analizzati quello che risulta maggiormente influenzante l'outcome negativo di gravidanza è un elevato BMI mentre l'età e la parità non raggiungono la significatività statistica.

Tutti i parametri analizzati sono stati inseriti in un modello di screening che tramite una regressione lineare ha dimostrato raggiungere una accuratezza di circa l'80% nella discriminazione tra le gravidanze a rischio e quelle fisiologiche: questo significa che i dati già analizzati nella pratica clinica, con la sola aggiunta del dosaggio del PlGF permetterebbero, a costi ridotti, di promuovere sul territorio un test di screening precoce della patologia ostetrica di facile esecuzione e discreta efficacia anche in prospettiva dell'aggiunta di altri parametri quali la misurazione della cervicometria e la valutazione con eco-doppler degli indici di resistenza delle arterie uterine, le quali sono già routinariamente eseguite presso il Servizio di Diagnosi e Prevenzione della Patologia Materno-fetale della AOUP.

Il Primo Trimestre si conferma quindi nuovamente come momento in cui è già possibile inquadrare le gravidanze a rischio specifico così da poter attuare controlli e interventi mirati riducendo i costi inutili dovuti a follow-up superflui in gravidanza e ricoveri non necessari. La valutazione di indici di funzione placentare, primo fra tutti il PlGF che risulta un ottimo indicatore dello stato della vascolarizzazione utero-placentare, primum movens di importanti patologie ostetriche, contribuisce notevolmente non solo all'ampliamento delle conoscenze in ambito ostetrico ma anche alla evoluzione della diagnosi prenatale promuovendo il processo di individuazione di un test quanto più specifico e sensibile possibile.

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INTRODUZIONE

L'ostetricia come scienza strutturata nasce nel fervido clima intellettuale dell'Europa del 1500 con gli studi di Leonardo da Vinci e nelle Università appena fondate che trasformarono quello che era un argomento di esclusivo interesse per le levatrici nei secoli precedenti che caratterizzarono il Medioevo, in oggetto di studi medici. Le sue origini sono però ancora più antiche: la complessità del periodo gestazionale ha da sempre rappresentato un motivo di studio e di vivo interesse scientifico, tanto che è possibile ritrovare alcune prime testimonianze già tra i Sumeri nel 2000 a.C. , passando poi per i riti magici e divinatori degli Egizi e degli Indiani fino ad un più razionale approccio alla materia da parte dei Greci con Ippocrate, che nel suo Corpus Hippocraticum rivendica il ruolo centrale dell'uomo, più in generale nella medicina ma anche, nello specifico, nella pratica ostetrica1. Tutto ciò ha permesso nei secoli di sviluppare ampie conoscenze

nell'ambito dell'ostetricia, le quali tuttavia non sono ancora sufficienti a spiegare nella sua interezza la straordinarietà di questo fenomeno.

La gravidanza costituisce un momento di intensi cambiamenti morfo-funzionali che coinvolgono tanto l'organismo embrio-fetale in via di sviluppo quanto l'organismo materno il quale, fin dai primi momenti della gestazione, va incontro a complesse modificazioni che interessano sia gli organi preposti alla funzione riproduttiva sia gli altri organi, con un susseguirsi di adattamenti sistemici alla nuova condizione sopraggiunta volti ad accogliere e proteggere la nuova vita e a garantirne il coretto sviluppo. Si rileva una espansione del volume sanguigno e una modificazione della sua composizione verso uno stato di relativa ipercoagulabilità, un aumento dell'output e del lavoro cardiaco e dei volumi respiratori; l'aumento del flusso plasmatico renale determina un precoce aumento del filtrato glomerulare mentre la motilità intestinale si riduce. Fortemente coinvolto è il sistema endocrino influenzato dagli alti livelli estrogenici tipici della gravidanza: si evidenzia un' aumentata secrezione ipofisaria di prolattina, un' iperattivazione tiroidea fondamentale per le prime fasi dello sviluppo neuro-somatico dell'embrione e del feto e modificazioni a livello del surrene il quale risente dell'attività steroidogenica dell'unità feto-placentare2.

A livello uterino si assiste a uno dei fenomeni più complessi e affascinanti della gravidanza, la formazione della placenta: essa è un organo che si crea ex novo dall'interazione del sinciziotrofoblasto embrionale con la decidua uterina materna,

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costituendo il cardine della condivisione tra l'organismo della donna e quello embrio-fetale. Il rapporto che si viene a creare è così stretto che madre e feto possono essere visti quasi come un'unica entità rappresentata dall'organismo materno-fetale. Il ruolo della placenta non è infatti semplicemente quello di sostenere la circolazione sanguigna materno-fetale ma tramite la sua azione endocrino-metabolica essa risulta determinante nella maggior parte degli eventi della gestazione influenzando sia l'omeostasi materna che l'accrescimento e lo sviluppo del futuro neonato.

Studiare la donna in gravidanza significa quindi approcciarsi ad un organismo in divenire la cui salute è conditio sine qua non per la salute del nascituro. Comprenderne i cambiamenti, saper prevenire e correggere eventuali errori permette di garantire un fisiologico evolversi della gestazione tutelando tanto la salute della madre quanto quella del feto e della sua capacità futura di adattarsi alla vita extrauterina.

La medicina materno-fetale persegue proprio questo obiettivo proponendosi come una disciplina in continua espansione di cui oggi riscuote sempre maggiore interesse un particolare ramo, di origini relativamente recenti, la diagnosi prenatale.

LA DIAGNOSI PRENATALE E LA SELEZIONE DELLE GRAVIDANZE A

RISCHIO SPECIFICO

La diagnosi prenatale nasce con l'intento di evidenziare patologie a carico del feto con l'obiettivo primario di individuare le gravidanze portatrici di feti affetti da cromosomopatie, prima fra tutte la trisomia 21, tanto che si è parlato anche di diagnosi

genetica prenatale3.

La messa a punto alla fine degli anni sessanta delle tecniche per la coltura delle cellule fetali di cui è possibile analizzarne il cariotipo, ha permesso la diffusione nella pratica clinica di tecniche di prelievo di queste cellule: l'amniocentesi e la villocentesi. Queste sono indagini invasive che ancora oggi rappresentano il gold standard per la diagnosi fetale di cromosomopatia: l'amniocentesi viene eseguita tra la 16^ e la 18^ settimana di gestazione e prevede il prelievo di liquido amniotico dove si trovano sospese le cellule fetali; la villocentesi è invece eseguibile tra la 13^ e la 14^ settimana di gestazione e prevede il prelievo di villi coriali dalla placenta. Sono entrambe gravate da un rischio di

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aborto pari a 1:100, rischio non trascurabile soprattutto in quelle donne la cui età e le cui caratteristiche cliniche determinano un rischio a priori di incorrere in una gravidanza di un feto affetto da cromosomopatia di molto inferiore4.

Con il diffondersi della tecnica ecografica negli anni settanta la diagnosi prenatale amplia i suoi confini portandosi ad analizzare anche lo sviluppo somatico del feto e facendo di questa tecnica l'indagine principe della medicina materno-fetale. L'ecografia infatti si avvale di ultrasuoni che sono risultati essere innocui per il feto, per la madre e per l'operatore rendendoli un mezzo affidabile e efficace, anche grazie ai continui avanzamenti tecnologici che permettono di ottenere strumenti sempre più precisi e in grado di fornire immagini sempre più dettagliate. Alla capacità di individuare feti affetti da anomalia cromosomica si aggiunge quindi la possibilità di individuare diverse malformazioni che possono incorrere durante l'organogenesi e lo sviluppo fetale. Sono state poi associate alle indagini di imaging quelle di laboratorio, come il dosaggio della β-HCG e della PAPP-A, i cui livelli possono essere correlati ad un aumentato rischio di cromosomopatia ma non solo5. Il crescente interesse verso questo campo ha infatti incoraggiato gli studi in ambito

ostetrico: da ormai più di 30 anni è noto che i tassi di mortalità materna, fetale e neonatale possono essere ridotti se le madri in gravidanza e i loro neonati ad alto rischio vengono identificati precocemente e vengono di conseguenza applicate le tecniche ostetriche più adeguate. In quest'ottica il Piano Sanitario Nazionale (PSN) per il triennio 1998-2000 aveva previsto uno specifico Progetto Obiettivo materno-infantile di cui il terzo capitolo è dedicato al “Percorso nascita” e riporta queste parole: “La gravidanza e il parto sono eventi fisiologici che possono talvolta complicarsi in modo non prevedibile e con conseguenze gravi per la donna, per il feto e per il neonato. È necessario che a ogni parto venga garantito un livello essenziale e appropriato di assistenza ostetrica e pediatrica/neonatologica”. 6.

Si viene quindi a definire la necessità di un approccio più completo alla gravidanza, con esami di diagnosi prenatale che indaghino sia la patologia sul versante fetale che su quello materno e che rendano quanto più possibile prevedibili gli eventi avversi, al fine di perseguire una riduzione della mortalità e morbilità. Nascono così negli ultimi anni i test di screening per condizioni patologiche quali la preeclampsia, il diabete gestazionale, la restrizione della crescita intrautero e il parto pretermine che ad oggi si avvalgono di nuove tecniche che uniscono all'analisi ecografica dell'anatomia fetale lo studio doppler

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velocimetrico delle arterie uterine, le caratteristiche materne e i dosaggi di laboratorio. La sensibilità e la specificità di questi test non ha ancora raggiunto i livelli sperati per questo gli studi su marcatori di interesse ostetrico è sempre molto vivo nel tentativo di raggiungere gli obiettivi prefissati.

L'importanza di una gravidanza fisiologica per la salute del nascituro viene sottolineata anche dalla recente “Ipotesi di Barker” che mette in evidenza come il periodo fetale sia estremamente influente su quelle che saranno le caratteristiche future del soggetto non solo nell'epoca neonatale ma nel corso di tutta la sua vita: Barker è stato il primo a dimostrare la correlazione tra eventi cardiovascolari nell'età adulta e basso peso alla nascita per l'epoca gestazionale, condizione la cui origine in molti casi è riconducibile a una alterata funzionalità placentare e/o allo stile di vita materno, provando scientificamente la relazione tra la vita intrauterina e quella extrauterina7.

IL PRIMO TRIMESTRE

L'evoluzione della diagnosi prenatale da diagnosi genetica a selezione delle gravidanze a rischio specifico ha introdotto una nuova problematica: la tempistica.

Fino a pochi anni fa la programmazione delle visite ostetriche seguiva quelle che erano le indicazioni risalenti agli anni '30 del 1900 quando nel Regno Unito venne stabilito il calendario delle visite delle donne in gravidanza che prevedeva un controllo a 16, 24, 28, 30, 32, 34 e 36 settimane. Questa modalità definiva il II e il III trimestre di gravidanza come i momenti cruciali della pratica ostetrica, limitando però il tempo di azione per interventi di prevenzione.

Le nuove esigenze della diagnosi prenatale e le ampliate conoscenze hanno spostato l'attenzione su tempi più precoci della gestazione facendo del I trimestre il nuovo momento di diagnosi e screening delle gravidanze, con quel fenomeno che è stato definito “ Inversione della Piramide Assistenziale ” ( figura 1)8.

Riconoscere le gravidanze a rischio specifico fin dalla 11^-13^ settimana di gestazione permette infatti di dividere la popolazione delle donne in gravidanza in due gruppi che possono essere indirizzati verso differenti percorsi di follow-up: le donne classificate come a basso rischio possono effettuare un numero ridotto di visite, con un secondo controllo

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tra la 19^ e la 21^ settimana di gestazione per analizzare l'accrescimento fetale e il decorso della gravidanza, un controllo nel terzo trimestre al fine di valutare il benessere materno-fetale e stabilire modalità e timing del parto in base alle esigenze specifiche e infine un ulteriore controllo per quelle pazienti la cui gravidanza si prolunga oltre le 41 settimane; le donne definite ad alto rischio vengono invece indirizzate in cliniche specializzate in un percorso di controlli la cui tempistica e modalità sono definite in base alla specificità della loro condizione, permettendo così di disegnare percorsi sempre più individualizzati e patologia-specifici.

Oggi ampiamente eseguito presso la AOUP è il cosidetto Test Combinato, eseguito tra la 11^ e la 13^ settimana che permette tramite l'analisi della translucenza nucale e i valori nel sangue materno degli ormoni β-HCG e PAPP-A, di definire il rischio specifico della gravidanza di essere portatrice di un feto affetto da cromosomopatia (in particolare trisomia 21, 13 e 18).

L'obiettivo di questa tesi è quello di ripercorrere le principali patologie ostetriche con particolare attenzione a quelle da disfunzione placentare, e valutare la validità del Test Combinato come test predittivo anche per le suddette condizioni patologiche, analizzando l'utilità dell'introduzione di un ulteriore marcatore sierico, il Placental Growth Factor (PlGF), al fine di ottenere, con costi di pochissimo superiori a quelli attuali, un test del primo trimestre in grado di selezionare con alta specificità e sensibilità la popolazione di donne gravide a rischio specifico.

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IL PLACENTAL GROWTH FACTOR

PlGF

Il placental growth factor ( PlGF ) è una glicoproteina omodimerica di circa 45 kDa appartenente alla famiglia dei fattori di crescita endoteliali vascolari ( Vascular Endohelial

Growth Factors VEGF )9 isolata dalla placenta umana per la prima volta nel 199110. La

principale sorgente di PlGF a livello placentare è rappresentata dalle cellule trofoblastiche che, tramite diversi meccanismi di splicing nella lettura del gene codificante, producono quattro differenti isoforme di questa proteina: il PlGF-1, PlGF-3, secrete in forma solubile svolgono un'azione per lo più paracrina, il PlGF-2 e PlGF-4 i quali invece tramite domini eparinici restano legati alla membrana cellulare svolgendo un' attività per lo più autocrina11. Il PlGF ha un forte potere angiogenico e vasodilatatore per cui assume ruolo

cruciale nei fenomeni di placentazione e di regolazione vascolare durante la gestazione ma è anche in grado di regolare l'attività delle cellule trofoblastiche evitandone l'apoptosi, capacità che che viene esplicata principalmente tramite l'azione autocrina di PlGF-212; le

diverse isoforme tramite le loro differenti strutture sembrano infatti agire su specifici bersagli permettendo, nel loro complesso, di guidare la neoangiogenesi, la vascolarizzazione e la maturazione trofoblastica13. Oltre che dal trofoblasto è espresso

anche dalle cellule endoteliali materne e negli adulti in generale viene prodotto a livello dei vasi e delle cellule muscolari lisce; basse concentrazioni sono state infatti riscontrate a livello di polmoni, cuore, muscoli e tessuto adiposo14.

La sua origine sia dal versante materno che da quello fetale lo rende un buon indicatore dell'interazione a livello placentare fra i due organismi anche se bisogna notare che il valore della concentrazione sierica di PlGF può non essere univocamente ricondotto alla placenta ma viene influenzato anche dalla sua produzione negli altri distretti. Agisce legandosi al recettore VEGFR-1 ( o Flt-1 ) espresso sia dalle cellule endoteliali che dalle cellule trofoblastiche ma non riconosce il recettore VEGFR-2 ( o KDR ): questa differenza ha dato vita all'ipotesi di un differente ruolo di VEGF e PlGF nella vasculogenesi placentare; VEGF sembra infatti essere maggiormente coinvolto nelle prima fase di invasione trofoblastica e neoformazione vascolare che avviene a partire dall'impianto della blastocisti fino alla 10-12^ settimana, mentre PlGF, seppur già prodotto anche in questa

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fase gestazionale con funzioni sulle cellule trofoblastiche e endoteliali non trascurabili, sembra svolgere un ruolo predominante nella seconda fase di invasione trofoblastica, quella che raggiunge le arteriole spirali e determina la formazione di canali vascolari a bassa impedenza e alta capacità15. Nelle gravidanze fisiologiche la concentrazione di PlGF

aumenta gradualmente durante il primo trimestre, ha un incremento più rapido e intenso durante il secondo trimestre raggiungendo il picco massimo tra la 29^ e la 32^ settimana di gestazione per poi decrescere fino a termine gravidanza16.

Da questi presupposti è nata l'ipotesi che una ridotta produzione di PlGF potesse avere un ruolo patogenetico e, dal punto di vista clinico, predittivo nella disfunzione placentare alla base di molte patologie ostetriche, prima fra tutte la preeclampsia dove la scarsa invasione trofoblastica a livello dei vasi uterini sembra giocare un ruolo patogenetico predominante: questa associazione è stata analizzata in diversi studi in letteratura17 1819 i quali mostrano

un differente andamento della concentrazione di PlGF durante la gestazione tra le gravidanze fisiologiche e quelle complicate da preeclampsia.

Grafico 1 Differenze nella concentrazione sierica di PlGF nella preeclampsia e nella gravidanza fisiologica 8:12 13:16 17:20 21:24 25:28 29:32 33:36 37:41 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 Controlli Preeclampsia SETTIMANE DI GESTAZIONE P lG F p g /m L

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L'attività del PlGF viene regolata dalla forma solubile del recettore VEGFR-1 chiamata sFlt-1, il cui legame ne impedisce la funzionalità. Da qui una seconda ipotesi secondo la quale l'alterata placentazione può essere riconducibile a una aumentata produzione di sFlt-1 indotta da stati ipossici, quindi a una carenza relativa di PlGF piuttosto che a una sua assoluta riduzione20.

La fondamentale importanza di una corretta placentazione e di una sua adeguata vascolarizzazione per il fisiologico decorso della gestazione ha rafforzato la concentrazione della letteratura e della pratica clinica su questo fattore, indagandone il valore predittivo anche nel corso di altre patologie ostetriche quali restrizione della crescita intrautero, diabete gestazionale, parto pretermine, neonato piccolo per l'epoca gestazionale come sarà affrontato in questa tesi.

L'aumentata espressione del gene di PlGF è stata vista inoltre essere indicativa di buon impianto nelle gravidanze ottenute con tecniche di procreazione assistita, dimostrando una buona correlazione con l'aspetto isteroscopico dell'endometrio secondo lo score Sakamoto-Masamoto21. Il parallelismo più volte descritto in letteratura tra la neoangiogenesi

placentare e quella tumorale ha portato l'attenzione sul PlGF anche da parte della disciplina oncologica: molti studi ne hanno dimostrato la presenza e l'attività in diversi tumori22 ed è

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LA PLACENTAZIONE

MORFOLOGIA E FUNZIONE DELLA PLACENTA

La placenta è un organo estremamente complesso tanto nella sua struttura quanto nella sua funzione; si presenta a termine della gravidanza con una forma discoide di diametro massimo di circa 20 cm, con spessore non uniforme: è più alta al centro dove raggiunge i 2-4 cm per decrescere in periferia fino a 0,5 cm. Il suo peso, superiore a quello del feto fino alla 16-20^ settimana, raggiunge in media i 450-550 g24.

La placenta si crea dall'interfaccia della decidua basale uterina ( originata dalle modificazioni della mucosa uterina durante l'impianto della blastocisti per il persistere della secrezione estrogenica e progesteronica da parte del corpo luteo ) con il trofoblasto embrionale. Nella sua struttura si evidenzia una faccia fetale – divisa in disco placentare o

chorion frondosum, che è la porzione di placenta contenente l'arborizzazione villare e

l'organizzazione in strutture cotiledonarie, e in chorion laeve anche definito porzione delle membrane amniocoriali libere – e una faccia materna, dove la la decidua è distinta in basale compatta, in corrispondenza del disco placentare, e basale capsulare in corrispondenza delle membrane libere. Al di sotto dello strato compatto deciduale è presente uno strato spongioso costituito soprattutto da ghiandole dilatate. La separazione tra il sangue fetale e quello materno è data dalla membrana emocoriole formata dall'endotelio dei capillari fetali, dal connettivo stromale del villo e dal suo epitelio coriale il quale è direttamente bagnato dal sangue materno.

Dalla faccia fetale a quella materna le strutture che si susseguono sono rappresentante da: • lamina basale coriale, costituita da uno strato coriale propriamente detto e da uno

strato fibrinoide superficiale; al di sotto di questa lamina scorrono in vasi fetali; • villi coriali, che si ergono dalla lamina coriale verso la porzione materna della

placenta; sono costituiti da un asse connettivale centrale attraversato da un arteriola e da una venula in connessione con la rete capillare che si trova al di sotto dell'epitelio villare; i villi sono ricoperti da uno strato di sinciziotrofoblasto e e uno di citotrofobalsto interno che tende a scomparire dopo la 20^ settimana; si suddividono in ramificazioni successive che permettono di distinguerli in villi primari secondari e terziari; inoltre sono distinti in villi di ancoraggio quando

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arrivano a inserirsi nella decidua basale, mentre vengono detti liberi o fluttuanti quando si trovano sospesi nel sangue materno all'interno dello spazio interevilloso. Questi nel corso della gravidanza si differenziano in mesenchimali, intermedi immaturi e maturi, staminali e terminali. Un insieme di ramificazioni villose che deriva da un unico villo primario prende il nome di cotiledone fetale di cui a termine gestazione se ne contano circa 200;

spazio intervilloso, compreso tra la lamina basale deciduale e la lamina coriale

dove circola il sangue materno che si porta a bagnare i villi coriali;

lamina basale deciduale, da cui partono le arterie spiraliformi materne che si

interrompono bruscamente per riversare il sangue nello spazio intervilloso e da cui partono i setti placentari deciduali che dividono in compartimenti detti cotiledoni

materni il versante materno della placenta; a fine gestazione sono in numero di

15-2025.

Fig. 2 Macrostruttura placentare e intrauterina precoce

I cotiledoni materni e fetali costituiscono le unità strutturali della placenta mentre l'unità funzionale è rappresentata dal lobulo placentare fetale, formato da una subunità villare secondaria contenente le ramificazioni di ordine successivo, irrorata da una singola arteria spiraliforme materna: ciascun lobulo presenta una zona cava prima di ramificazioni che costituisce la principale porta d'ingresso per il sangue che deriva dal flusso uterino materno

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di una singola arteria spirale. Queste strutture permettono la creazione della circolazione materno-fetale e di quella barriera che è alla base degli scambi transplacentari26.

La placenta non è però solo un filtro tra il sangue materno e fetale ma svolge numerosi funzioni che le permettono di sostituirsi agli organi fetali ancora in via di sviluppo quali i polmoni, tramite la sua funzione di scambio di gas, i reni, grazie alla capacità di regolare i fluidi e allontanare i cataboliti dalla circolazione fetale, il tratto gastro-enterico, grazie alle sue numerose attività di trasporto dei nutrienti. Inoltre ha una importantissima funzione endocrina tramite cui regola non solo l'omeostasi dell'organismo fetale ma anche quello materno27.

L'ossigeno raggiunge la circolazione fetale tramite diffusione e passa la barriera grazie soprattutto all'alta affinità dell'emoglobina fetale ( HbF ) per questa molecola rispetto all'emoglobina materna, mentre la CO2 diffonde in senso inverso. Le sostanze nutritive

passano la placenta per diffusione semplice ( soprattutto lipidi ), diffusione facilitata ( glucosio ) trasporto attivo (aminoacidi, anche se è stata ipotizzata una loro neosintesi a livello placentare) : tutti questi meccanismi devono essere integri per garantire il corretto sostegno respiratorio e nutritivo al feto28. Necessarie tanto al corretto impianto

dell'embrione quanto al fisiologico decorrere della gestazione risultano essere sia la capacità placentare di produrre e secernere fattori di crescita sia la sua funzione endocrina: vengono prodotti fattori di crescita vascolari che mediano la formazione della circolazione placentare e fattori di crescita che stimolano la proliferazione e la differenziazione dei tessuti embrio-fetali29; si riconoscono una serie di ormoni e proteine prodotti dalla placente

che, dosabili nel siero materno, rappresentano utili marcatori nella pratica ostetrica: ricordiamo il β-HCG che sostiene il corpo luteo e la produzione progesteronica30, l'ormone

lattogeno palcentare umano ( hPL ) che influenza il metabolismo glucidico e lipidico materno e stimola le modificazioni a livello del tessuto mammario preparatorie al futuro allattamento31, ormoni steroidei quali estrogeni ( soprattutto estradiolo ) e progesterone

coinvolti anche nella modulazione della risposta immunitaria. Non bisogna dimenticare infatti il ruolo protettivo della placenta sul feto contro eventuali attacchi del sistema immunitario materno grazie alla creazione di uno stato di tolleranza localizzata tramite l'espressione di particolari complessi di istocomaptibilità e l'assenza di MHC a livello trofoblastico, il tessuto maggiormente interfacciato con quello materno32.

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coordinano i vari fenomeni della gestazione tra i quali enunciamo la PAPP-A una metalloproteinasi prodotta dal sinciziotrofoblasto che modula il sistema delle IGF e che è stata messa in relazione con diverse complicazioni della gravidanza quali IUGR e preeclampsia ma anche con cromosomopatie fetali33.

L'azione di filtro e il corredo enzimatico permettono alla placenta di impedire il passaggio di sostanze nocive e teratogene al feto ma bisogna ricordare che molti farmaci ( talidomide, anticonvulsivanti, litio warfarin) e sostanze d'abuso come l'alcol riescono a passare la barriera placentare e la loro somministrazione deve essere quindi evitata in gravidanza34.

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FISIOLOGIA DELLA PLACENTAZIONE E DISFUNZIONE

PLACENTARE

La placentazione inizia con l'impianto della blastocisti nella mucosa uterina la quale va incontro a fenomeni di trasformazione che la preparano a questo importante evento indicati con il termine decidualizzazione: si ha iperplasia e ipertrofia con accumulo nel citoplasma cellulare di glicogeno, lipidi e materiale fibrillare; intanto il trofoblasto primitivo, prendendo contatto con l'epitelio uterino, va incontro a fenomeni proliferativi e differenziativi che conducono alla formazione di uno strato di sinciziotrofoblasto esterno e di uno strato di citotrofoblasto interno35. Fin dalla prima invasione si vengono a formare

delle lacune nel contesto del sinciziotrofoblasto – le quali rappresenteranno i futuri spazi intervillosi – intervallate da trabecole che, tramite successive trasformazioni e suddivisioni, conducono alla formazione dei villi coriali, distinti in base al grado di ramificazione in villi di I II e III ordine; le trabecole si formano da estroflessioni del sinciziotrofoblasto spinto dal sottostante citotrofoblasto: si presentano come delle colonne il cui asse è costituito da tessuto di origine mesenchimale dal quale prenderanno origine i vasi sanguigni embrio-fetali della placenta36. L'invasione deciduale avviene a opera del citotrofoblasto che si è

portato verso la mucosa uterina a formare una sorta di rivestimento che prende il nome di

guscio citotrofoblastico; a livello del polo di adesione embrionale le cellule trofoblastiche

penetrano in profondità a formare il cosidetto citotrofoblasto extravilloso interstiziale: quest'ultimo ha una potente azione endocrina con cui promuove l'impianto dell'embrione e le modificazioni materne adattative alla gestazione. L'invasione rompe i capillari e i vasi materni ma l'embrione nelle sue fasi di sviluppo iniziale ha bisogno di un ambiente ipossico che lo difenda dai ROS per i quali non ha ancora adeguate protezioni e che stimoli l'angiogenesi: per ridurre quindi l'afflusso di sangue negli spazi intervillosi che si stanno formando dalla fusione delle lacune, una sottopopolazione di cellule del citotrofoblasto extravilloso interstiziale si porta nei lumi dei vasi materni occludendoli e prendendo il nome di citotrofoblasto extravilloso vascolare37. In questo periodo le necessità nutritive

dell'embrione vengono sostenute tramite le secrezioni deciduali con meccanismi di trasporto effettuati mediante pinocitosi. Garantire lo stato ipossico significa garantire la corretta angiogenesi38: il tessuto mesenchimale che cosituisce l'asse dei villi in via di

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concepimento ) a intraprendere un processo differenziativo e di migrazione cellulare che porterà alla formazione dei nuovi vasi; tutto ciò avviene grazie alla presenza di cellule emangiogeniche staminali le quali sono caratterizzate da un specifico profilo di espressione genica che ne determina il pattern differenziativo; i processi di morfogenesi e migrazione portano alla formazione dei primi cordoni vascolari mentre altre cellule prendono la strada della differenziazione emopoietica. La vascolarizzazione della placenta è infatti il risultato di una formazione de novo di vasi e capillari piuttosto che di una protrusione di vasi embrionali14. Fino alla fine del primo trimestre la vascolarizzazione villare ha una crescita

in termini numerici con l'aggiunta di nuove strutture vascolari ed è associata ad uno stato iperproliferativo del trofoblasto. La neovasculogenesi è regolata da vari fattori: l'immunofluorescenza su pezzi istologici in questa epoca gestazionale mostra una forte positività per VEGF e il suo agonista PlGF: il primo è principalmente espresso a livello cellule staminali mesenchimali, il PlGF soprattutto a livello del citotrofoblasto il quale, mentre parallelamente contribuisce all'invasione e alla maturazione dei villi, produce questi importanti fattori di crescita vascolare. La precoce espressione di PlGF potrebbe rappresentare il segnale che inizia e coordina la formazione del microcircolo placentare39.

Una volta che si è delineata la macrostrutture del disco placentare, l'occlusione delle arterie spiraliformi non è più necessaria e infatti nella placenta si perde il citotrofoblasto extravillare vascolare ( intorno alla 10-12^ settimana di gestazione ) mentre è rappresentato fino al parto quello interstiziale: è probabilmente questo passaggio da un ambiente ipossico a uno ben ossigenato grazie all'arrivo del sangue materno che porta il trofoblasto a perdere lo stato iperproliferativo che lo caratterizza nel primo trimestre per acquisire un nuovo potere invasivo il quale, associato alla aumentata produzione di NO, porta alla formazione di quella rete vascolare uteroplacentare a bassa impendenza e alto flusso che connota la placenta matura40: il citotrofoblasto extravillare interstiziale si porta a

circondare le arterie spirali materne erose rimpiazzando le cellule muscolari dello media vascolare e producendo una matrice fibrinoide che, sostituendosi allo spessore muscolare, fa sì che questi vasi risultino come dei canali dilatati non più responsivi agli stimoli vasocostrittivi15. La genesi di questa circolazione ad alta capacità e bassa resistenza è

fondamentale per il sostegno dell'unità feto-placentare.

Con il secondo trimestre di gravidanze e in seguito modificazioni emodinamiche suddette, i villi vanno incontro a processi di maturazione che li conducono a specializzarsi nei

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meccanismi di scambio di gas e nutritivi, trasformandosi in villi intermedi maturi : la vasculogenesi prosegue parallelamente alla maturazione villare e in questo periodo modifica la propria modalità di accrescimento la quale, più che da una nuova formazione di ulteriori strutture vascolari, è rappresentata da una aumentata ramificazione dei vasi formatisi nel corso del primo trimestre. Questi eventi si presentano a partire dalla 25^ settimana di gestazione e proseguono fino a termine della gravidanza41

Le differenze nella vascolarizzazione utero-placentare tra primo e secondo trimestre e il completarsi del processo di placentazione intorno alla 24^ settimana di gestazione rendono ragione delle modificazioni velocimetriche apprezzabili eseguendo un doppler delle arterie uterine in queste due differenti epoche gestazionali ( fig. 4 ): nel primo trimestre ( a sinistra ) il flusso ha un andamento più simile a quello delle donne non in gravidanza con una brusca riduzione della velocità in fase diastolica dovuta al fatto che le arterie spirali non sono ancora state invase dal trofoblasto e non presentano grosse modificazioni strutturali e funzionali; nel secondo trimestre ( a destra ) l'invasione trofoblastica crea questo circolo ad alta portata che mantiene la velocità del flusso sia in fase sistolica che diastolica. La presenza del cosidetto notch nel secondo trimestre è indice di una incompleta invasione citotrofoblastica a carico delle arterie uterine spiraliformi, generalmente associata a un aumento degli indici di resistenza vascolare ( PI )42. ( fig. 5, c)

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Si parla di disfunzione placentare o insufficienza placentare quando lo sviluppo di questo organo è alterato in modo tale da comprometterne la funzionalità: una alterata vascolarizzazione è uno degli eventi che più frequentemente possono condurre a questa evenienza43. Il permanere di un circolo ad alta resistenza dovuto a una scarsa invasione

trofoblastica, a una vasculogenesi ridotta o a difetti nella maturazione e differenziazione trofoblastica villare – tutti fenomeni spesso causati o in stretta associazione con l'alterata produzione dei fattori di crescita in particolare i fattori di crescita vascolari – definisce il crearsi di una perfusione placentare inadeguata e il susseguirsi di fenomeni ischemici estremamente dannosi e che sono alla base delle patologie, quali preeclampsia e restrizione della crescita intrautero, trattate in questa tesi. In queste condizioni infatti la placenta non è in grado di sostenere né la corretta perfusione fetale né il corretto approvvigionamento di sostanze nutritive poiché l'ischemia altera i suoi meccanismi di trasporto; si assiste a fenomeni apopototici dovuti alla ridotta presenza di fattori come PlGF che favoriscono la sopravvivenza trofoblastica ma anche a fenomeni necrotici che promuovono il rilascio di fattori infiammatori i quali ampliano il danno a livello del tessuto placentare e, riversandosi in circolo, a livello sistemico materno44.

E' importante notare come l'insulto ipossico, che in altre cellule e tessuti costituisce uno stimolo alla produzione di fattori di crescita endoteliale, determini nel trofoblasto maturo una ridotta espressione del gene di PlGF, rendendo ragione del perché le sue concentrazioni rimangano basse lungo tutto il corso della gestazione in donne la cui placenta si trova immersa in un ambiente ipossico-ischemico45.

La rintracciabilità nel siero di questi fattori ha attirato l'attenzione della ricerca clinica che ne ha studiato la distribuzione di concentrazione nella popolazione delle gravidanze fisiologiche e complicate al fine di definire un range di riferimento utile inizialmente nel secondo e terzo trimestre46, quindi nel primo trimestre, quando l'inversione della piramide

assistenziale ha fatto di questa epoca gestazionale il momento cruciale per l'individuazione delle gravidanze a rischio specifico47.

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PRINCIPALI PATOLOGIE DA DISFUNZIONE

PLACENTARE

LA PREECLAMPSIA

Definizione:

La preeclampsia è una patologia ostetrica multisistemica che, insieme all'ipertensione gestazionale semplice, all'ipertensione cronica e alla eclampsia fa parte dei così detti

disturbi ipertensivi della gravidanza48.

Si definisce come l'insorgenza di pressione arteriosa superiore uguale a 140/90 mmHg in due misurazioni successive ad almeno 6 ore di distanza associata alla comparsa di proteinuria significativa ( superiore a 0,3g/24 h o rapporto proteine urinarie:cretinina urinaria superiore a 30mg/mmol ) dopo la 20^ settimana di gestazione, in donne precedentemente normotese e non proteinuriche.a

Si parla di Preeclampsia Sovrapposta quando essa si presenta in donne già precedentemente ipertese e la diagnosi viene posta quando compare una proteinuria significativa dopo la 20^ settimana o quando, in donne già ipertese e proteinuriche, si verifica un improvviso peggioramento del quadro clinico49.

Viene distinta la preeclampsia precoce, a insorgenza prima della 37^ settimana di gestazione, dalla preeclampsia tardiva, la quale compare invece a termine di gravidanzab.

Epidemiologia

La preeclampsia complica il 2-3% di tutte le gravidanze e costituisce una delle maggiori cause di morbilità materna, fetale e neonatale50.

Nei Paesi in via di sviluppo la carente possibilità di ottenere cure adeguate fa della preeclampsia la principale causa di mortalità materna: si concentra infatti in queste aree il 90% delle 60,000 morti annue materne a causa di questa patologia51.

Colpisce prevalentemente le primigravide dimostrandosi più rara nelle pluripare (a meno che non trascorra un intervallo di tempo fra le due gravidanze superiore a 10 anni tale per

a Criteri definiti dalle linee guida AIPE 2013

b E' stata seguita la distinzione precoce e tardiva secondo le linee guida AIPE che usano questo criterio temporale per il diverso managment clinico richiesto tra i due gruppi; la letteratura definisce invece la

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cui il rischio torna a essere simile a quello di una donna nullipara) le cui precedenti gravidanze non siano state complicate da disturbi ipertensivi: l'anamnesi ostetrica positiva per questa patologia costituisce infatti un importante fattore di rischio indipendente. Tra le patologie predisponenti più importanti vi è l'ipertensione essenziale o altre forme di ipertensione preesistenti alla gravidanza, patologie renali, diabete, patologie che definiscono uno stato trombofilico come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, il lupus eritematoso sistemico, la mutazione del fattore V di Leiden52.

I fattori di rischio per lo sviluppo di preeclampsia possono essere distinti in ' associati alla gravidanza ' e ' preconcezionali ': tra questi ultimi ricordiamo la familiarità, l'etnia ( più frequentemente colpita la razza africana rispetto alla caucasica), l'età ( più colpite le donne sotto i 20 anni o sopra i 35 anni ), l'obesità; tra i fattori legati alla gravidanza vi sono la gemellarità e il metodo di concepimento53.

Anche alcuni fattori paterni sono implicati nella predisposizione all'insorgenza di preeclampsia: tecniche di fecondazione che riducono il contatto con lo sperma paterno, inseminazione da donatore, ridotto contatto sessuale con il padre prima del concepimento e il cambio del partner nelle pluripare sono infatti stati associati ad un aumentato rischio di sviluppare preeclampsia probabilmente per un ridotta esposizione e quindi un ridotto adattamento materno agli antigeni paterni54.

Tabella 1. Fattori di rischio per Preeclampsia

PRECONCEZIONALI ASSOCIATI ALLA GRAVIDANZA

FAMILIARITÀ GRAVIDANZA MULTIPLA

PARITA' 0 PROCREAZIONE ASSISTITA

ETA' (<25, >35) ETNIA BMI ELEVATO

IPERTENSIONE PREGRAVIDICA

PATOLOGIE PREDISPONENTI (malattie renali, LES, s.me anticorpi antifosfolipi )

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Patogenesi :

La patogenesi della preeclampsia non è ancora del tutto compresa anche se da anni l'aver osservato come la sua risoluziona avvenga solo dopo il secondamento completo della placenta, ha portato a riconoscere nella placentazione il primum movens di questa patologia55; inoltre il riscontro di casi di preeclampsia in corso di patologia molare56 o di

eventi eclamptici post-partum in donne con ritenzione di frammenti placentari57 ha

condotto a concludere che lo sviluppo della preeclampsia necessiti della placenta ma non dell'organismo embriofetale.

L'ipotesi più accreditata è che la preeclampsia insorga a causa di una disfunzione placentare tale da determinare sia il rilascio da parte della placenta difettiva di fattori nella circolazione materna che inducono una diffusa alterazione endoteliale, evento alla base delle manifestazioni multistemiche della patologia58, sia l'instaurarsi di fenomeni mal

adattativi ai cambiamenti indotti dalla gestazione.

L'organismo materno, per poter garantire la corretta perfusione tanto dei suoi organi quanto dell'organismo embrio-fetale in via di sviluppo, mette in atto dei meccanismi adattativi volti al raggiungimento di un nuovo equilibrio emodinamico: quando la placentazione non si svolge in maniera corretta i fenomeni di compenso materni risultano disadattativi e contribuiscono alla genesi della preeclampsia59.

Per sostenere la perfusione del nuovo net vascolare a bassa resistenza e alto flusso formatosi nella placenta è richiesto un aumento dell'output cardiaco materno ( CO ) e del volume sanguigno, a cui si deve associare la riduzione delle resistenze sistemiche vascolari ( RSV ) per evitare un aumento della pressione sanguigna sistemica materna. Nella gravidanza fisiologica si assiste quindi a un incremento fino al 50% del CO parallelamente a una riduzione delle RSV permessa dalla compliance arteriolare: questo nuovo equilibrio è direttamente correlato allo sviluppo delle microcircolazione nell'unità feto-placentare la quale, per garantirsi una adeguata perfusione a fronte di una ridotta pressione sanguigna materna, stimola il sistema Renina Angiotensina Aldosterone ( RAAS)a per aumentare il

volume sanguigno60. Ciò permette di mantenere basse le resistenze vascolari, bassa la

pressione sanguigna ma alto il flusso uteroplacentare.

Quando lo sviluppo del microcircolo placentare è inadeguato con un numero ridotto di

a Ricordiamo che in condizioni fisiologiche di gravidanza l'attivazione del RAAS – che avviene anche tramite la produzione da parte della placenta stessa di renina – non determina un aumento della pressione sanguigna, poiché l'effetto vasocostrittivo dell'angiotensina II è controbilanciato dalla produzione

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nuovi vasi e con una invasione insufficiente delle arteriole spiraliformi uterine che mantengono la loro reattività alla vasocostrizione impedendo l'instaurarsi di una circolazione a bassa resistenza ed ad alta capacità – condizione alla base della preferenziale irrorazione intervillosa – si instaura sia un disequilibrio tra la perfusione placentare e le necessità dell'unità feto-placentare, sia meccanismi di compenso a livello sistemico materno che risultano dannosi61. Ne consegue infatti il presentarsi di episodi ischemici a

livello placentare che danneggiano il tessuto placentare e rilasciano nella circolazione materna sostanze pronfiammatorie che determinano un danno endoteliale diffuso provocando un'alterata permeabilità vascolare, con la fuoriuscita di liquidi nello spazio interstiziale che provoca riduzione della volemia e aumento della viscosità del sangue62. La

ridotta perfusione porta ad un'iperstimolazione del RAAS volta ad aumentare il volume di sangue che arriva alla placenta e ad un aumentato tono adrenergico che tenta di incrementare la perfusione fetoplacentare aumentando la pressione sanguigna materna attraverso il rilascio di fattori adenosinici che mediano la vasocostrizione63. Questi eventi

creano quindi un circolo vizioso che prova a compensare la ridotta perfusione placentare a discapito di un incremento dei livelli pressori della circolazione materna: lo sproporzionato aumento delle RSV riduce il CO generando un aumento della pressione di riempimento ventricolare sinistra a cui consegue una ulteriore riduzione del volume sanguigno mediata dalla produzione del peptide natriurietico di tipo B, il BPN. La riduzione del volume sanguigno a sua volta sostiene il mantenimento di questi fenomeni maladattativi poiché provoca una ulteriore vasocostrizione, inizialmente tramite uno stimolo barorecettoriale quindi tramite una attivazione del sistema nervoso simpatico64.

Tutti gli eventi citati agiscono quindi sinergicamente sulla vasocostrizione periferica e sulla riduzione del volume sanguigno materno contribuendo alla genesi dell'ipertensione e dell'ipoperfusione materna e fetale che caratterizzano la patologia preeclamptica .

La preeclampsia quindi da quello che dovrebbe essere fisiologicamente un circolo iperdinamico porta all'instaurarsi di un circolo ipodinamico che culmina in un inadeguato flusso uteroplacentare a cui consegue una delle complicanze fetali più gravi, la restrizione della Crescita Intrautero ( IUGR ) e che pone le basi, per mezzo della disfunzione endoteliale sistemica, al danno d'organo materno – principalmente a livello renale, epatico e cerebrale – che caratterizza la fisiopatologia di questa malattia65.

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permesso di riconoscere i fattori coinvolti nella alterata neoangiogenesi e invasione vascolare a livello della placenta. Nella preeclampsia le arterie spiraliformi non vanno incontro alle modificazioni ricordate nel paragrafo riguardante la fisiologia della placentazione: esse cioè non si trasformano in tubi distesi e non responsivi agli stimoli vasocostrittivi che garantiscono l'alta capacità del circolo e anche se subiscono qualche modificazione strutturale non viene mai raggiunta una invasione miometriale profonda come nelle gravidanze fisiologiche66. Questo comporta la non perdita di quel manicotto di

cellule muscolari lisce che fisiologicamente circonda il vaso e che riveste un ruolo importante al di fuori della gravidanza nell'interruzione della perdita ematica durante la fase mestruale del ciclo ovarico: il risultato è un mantenimento della sensibilità di questi vasi agli stimoli vasocostrittivi che conduce a un alternarsi di fenomeni di vasocostrizione e vasodilatazione e quindi di perfusione e riperfusione alla base dello stress ossidativo placentare67. L'ipotesi di un coinvolgimento del sistema infiammatorio e immunitario nella

eziopatogenesi della preeclampsia ha portato la letteratura scientifica degli ultimi anni a studiare la popolazione cellulare linfoide della placenta, evidenziando un aumento del numero di macrofagi attivi in donne preeclamptiche rispetto ai controlli sani. L'idea che la loro attività, dominata soprattutto da un aumentata produzione di TNF-α, potesse portare a una ridotta invasione endovascolare trofoblastica è stata confermata da studi successivi68; è

stato infatti dimostrato che nella placenta sana è presente una particolare sottopopolazione di macrofagi ( M-2 like ) di derivazione monocitaria che giocano un ruolo fondamentale nel garantire il corretto impianto della blastocisti, nel guidare il rimodellamento vascolare e nel promuovere l'immunomodulazione necessaria al fine di non permettere lo scatenarsi di reazione avverse materne contro gli antigeni embrio-fetali69; inoltre importante è l'attività

delle cellule NK, la popolazione cellulare linfoide più rappresentata a livello uterino, la cui iperattivazione contribuisce all'invasione arteriolare trofoblastica grazie alla loro capacità di produrre molti fattori angiogenetici tra cui il VEGF70. L'alterata vascolarizzazione

determinando un insulto ipossico conduce all'attivazione della popolazione macrofagica classica, differente da quella normalmente residente nella placenta sopracitata, la cui attività secretiva porta alla produzione di fattori infiammatori, tra cui TNF-α, che danneggiano l'endotelio promuovendo la patogenesi della preeclampsia e riducendo ulteriormente la differenziazione trofoblastica e la sua funzione secretiva, contribuendo alla riduzione della produzione di fattori di crescita endoteliali e non, fondamentali per lo

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sviluppo placentare. Da queste evidenze si è fatta strada la visione della preeclampsia come una patologia anche di natura anche infiammatoria, dove i mediatori infiammatori materni, primi tra tutti il TNF-α, possono contribuire in maniera preponderante alla patogenesi preeclamptica. Sono due cioè gli stimoli che agiscono nella disfunzione placentare:

– la scarsa invasione vascolare e conseguente ridotta perfusione che determinano un

insulto ipossico a livello trofoblastico;

lo stress ossidativo e il conseguente quadro infiammatorio con il rilascio nella circolazione materna di citochine e fattori proinfiammatori che contribuiscono alle manifestazioni cliniche sistemiche della patologia tramite la disfunzione endoteliale generalizzata.

Si parla cioè della teoria a due stadi della patogenesi preeclamptica.

Un recente review ha però concluso che il ruolo patogenetico principale è svolto dal disequilibrio tra fattori proangiogenetici e antiangiogenetici e che il quadro infiammatorio sia più una conseguenza dell'alterato sviluppo microcircolare placentare, seppur esso abbia un ruolo importante nella fisiopatologia della malattia71.

Il coinvolgimento sistemico materno nella preeclampsia, assente in caso di restrizione della crescita fetale intrautero isolata, e il fatto che le alterazioni delle concentrazioni sieriche dei fattori di crescita siano già apprezzabili in epoche gestazionali molto precoci quando ancora il flusso utero-placentare non si è instaurato ha portato allo sviluppo di una nuova teoria patogenetica che vede l'origine di questa patologia nelle fasi inziali dello sviluppo placentare72. Un forte contributo allo sviluppo della preeclampsia sembra derivare da una

alterata differenziazione trofoblastica a causa di una noxa patogena, esogena o endogena, non ancora riconosciuta: ciò determinerebbe una incapacità del tessuto embrionale di sostenere le normali vie di secrezione e smaltimento causando sia il disequilibrio tra la secrezione di fattori pro e anti angiogenetici, sia la produzione di materiale necrotico proinfiammatorio a cui si associa la produzione delle cosidette syncytiotrophoblast

microparticles (STBM) che, raggiunto il circolo materno, determinano la disfunzione

sistemica endoteliale alla base della genesi dell'ipertensione e della proteinuria, distintivi della preeclampsia73. L'insulto ipossico, il malfunzionamento trofoblastico, la mancata

coordinazione con il sistema immunitario e lo stato proinfiammatorio contribuiscono tutti a promuovere una ridotta espressione di fattori proangiogenici, primi fra tutti VEGF e PLGF e un'aumentata produzione di Endoglina e sFlt-1 che sono dotate di attività

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antiangiogenetica determinando la creazione di una rete vascolare placentare inadeguata. Come già ricordato l'sFlt-1 lega PlGF e VEGF impedendone l'attività proangiogenica e vasodilatatrice; l'endoglina invece impedisce l'attività del transofrming growth factor-β1 ( TGF-β1 ) il quale legandosi alle cellule endoteliali promuove la sintesi di NO e la vasodilatazione74.

L'alterata produzione di questi fattori angiogenetici, con un eccessivo rilascio in circolo di sFlt-1 e una riduzione del VEGF e di PlGF, ha ripercussioni anche a livello sistemico contribuendo alla disfunzione endoteliale generalizzata insieme al rilascio da parte della placenta che ha subito l'insulto ischemico di fattori proinfiammatori e ROS. E' verosimile quindi ipotizzare che alla base di questa malattia vi sia una alterazione del trofoblasto che non solo determina la formazione di un circolo placentare ad alta resistenza ma che contribuisce anche a determinare quel quadro di necrosi e infiammazione tissutale la cui entità e precocità non possono essere ricondotti al solo insulto ipossico-ischemico, dato che ricordiamo come fino alla 10-12^ settimana non sia ancora presente un flusso uteroplacentare per l'occlusione da parte del citotrofoblasto extravilloso vascolare dei lumi delle arterie spiraliformi75.

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Per comprendere a fondo l'eziopatogenesi della preeclampsia dobbiamo non trascurare il fatto che la placentazione è un fenomeno che nasce dall'interazione dell'organismo materno con quello embriofetale: è quindi necessario ricercare le possibili cause su entrambi i versanti. I diversi fenotipi della preeclampsia – precoce e tardiva, lieve e grave – hanno contribuito a una recente ipotesi eziopatogenetica e classificativa proposta da Huppertz che distingue tre casi fondamentali76:

preeclampsia che insorge in donne non predisposte con disfunzione placentare: è

quest'ultima a causare il rilascio di mediatori che danneggiano il sistema vascolare materno per cui il marcatore più utile nella sua determinazione risulta essere il PP13 ( di sola origine placentare ) piuttosto che il PlGF ( prodotto sia dal trofoblasto che dall'endotelio fetale e materno );

preeclampsia che insorge in donne predisposte con placenta disfunzionante:

generalmente a insorgenza precoce tende a definire quadri clinici gravi che possono, in base all'entità del danneggiamento del tessuto placentare, associarsi a restrizione della crescita intrautero; la sua origine da entrambi i versanti rende ragione della buona sensibilità verso questa forma del PlGF la cui produzione avviene da entrambe i versanti;

preeclampsia che insorge in donne predisposte in assenza di disfunzione placentare: tipico quadro di preeclampsia tardiva dove la patogenesi è riconducibile

a una alterazione del sistema vascolare materno pre-gravidico (es. ipertensione pregravidica) o a una predisposizione della donna allo sviluppo di patologie vascolari; in questa forma l'alterata invasione trofoblastica ha un ruolo minore nella patogenesi per cui molti dei marker biochimici di origine placentare oggi a disposizione sono poco sensibili.

Nonostante la preeclampsia tardiva determini minori complicanze durante la gestazione negli ultimi anni sta ricevendo sempre maggior attenzione perché è questa forma che è gravata dal maggior rischio cardiovascolare materno negli anni successivi: Akolekar et al hanno proposto negli ultimi anni diverse tipologie di indagine per lo screening di questa patologia basate sulla analisi nel primo trimestre di gravidanza dei metabolomi, che risultano avere concentrazioni differenti nelle donne che sviluppano questo tipo di preeclampsia rispetto ai controlli fisiologici77.

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Fisiopatologia

Sono diversi gli organi e i sistemi che risentono degli eventi patogenetici della preeclampsia riconducibili soprattutto alle alterazioni endoteliali ma anche allo stato ipertensivo.

Il danno endoteliale come è logico desumere altera il sistema della coagulazione promuovendo quello che in gravidanza è già di per sé un equilibrio sbilanciato in senso procoagulativo: l'endotelio danneggiato infatti attiva il fattore XII della coagulazione stimolando la produzione di tromboplastina tissutale e quindi l'attivazione piastrinica. La diffusione e la liberazione nel circolo sistemico dei fattori tromboplastinici può condurre a un quadro di coagulazione intravascolare disseminata ( CID ) clinicamente rilevabile dall'aumento della fibronectina e da una riduzione della concentrazione piastrinica e del fibrinogeno. Questo fenomeno porta alla formazione di microtrombi di fibrina e piastrine associate a fenomeni di infarcimento emorragico perivascolare che si ritrovano più frequentemente a livello cerebrale ( dove sono causa della manifestazione eclamptica ) o a livello epatico78.

A livello glomerulare si assiste a una alterazione delle cellule endoteliali che appaiono rigonfie con fenomeni di microvacuolizzazione citoplasmatica associati a deposito di fibrina nel lume capillare e nel contesto della membrana basale, mentre i podociti sembrano risparmiati: viene così ad essere alterata la funzione di filtro con aumento della perdita di proteine ( compare proteinuria, segno caratterizzante della patologia ) associata a oliguria e ritenzione di sodio e acqua associati a aumento dell'uricemia e della creatininemia che, normalmente ridotte in gravidanza, tendono a avvicinarsi ai normali range di valori79. Lo stato di ipoperfusione generalizzato danneggia fortemente il rene che

può andare incontro a fenomeni ischemici e a un quadro di insufficienza renale anche non reversibile, diversamente dalle altre lesioni che tendono a regredire dopo il secondamento della placenta80.

Il sistema nervoso centrale è coinvolto nelle forme più gravi dove il vasospasmo e il deposito di materiale fibrinoide sono causa di molte delle manifestazioni neurologiche apprezzabili; la complicanze più temibile è l'emorragia cerebrale o stroke che se massiva può portare a morte la donna in tempi rapidi. Essa è riconducibile al danneggiamento prolungato dei vasi cerebrali indotto sia dallo stato ipertensivo sia dal quadro di edema dovuto alla alterata permeabilità endoteliale81. Nonostante non vi sia ancora una

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comprensione profonda dei meccanismi alla base del danno cerebrale è interessante notare come studi di neuroimmaging tramite risonanza magnetica abbiano evidenziato segni di edema vasogenico e infarcimento subcorticale nella materia bianca e nella grigia adiacente, soprattutto a livello del lobo parietale e occipitale nelle donne preeclamptiche, con caratteristiche simili a lesioni cerebrovascolari che si osservano nei pazienti oncologici in terapia con farmaci antiangiogenetici81.

Anche a livello epatico si assiste a lesioni ischemiche associate a emorragia periportale e a deposito di fibrina così che frequentemente si assiste a un aumento delle transaminasi; talvolta il danno epatico può essere preponderante, e il quadro clinico viene in questo caso definito come epatogestosi; la complicanza più temibile per questo organo è il sanguinamento subcapsulare che, seppur raramente, può portare alla rottura con un quadro catastrofico per la gravida82.

A livello placentare lo stato ipertensivo e gli eventi ischemici possono determinare un distacco intempestivo di placenta che conduce generalmente a parto anticipato e può esporre a gravi conseguenze sia il feto che la madre.

Clinica

Dal punto di vista clinico il quadro è dominato dall'ipertensione e dalla proteinuria a cui frequentemente si associano edemi preferenzialmente localizzati agli arti inferiori, che costituiscono spesso il motivo per cui la donna si presenta all'attenzione del medico. Altro segno di allarme è l'eccessivo aumento di peso materno soprattutto in brevi periodi di tempo ( superiori a 500g in una settimana dopo la 20^ settimana di gestazione ). La comparsa di disturbi visivi quali scotomi, amaurosi mono o bilaterale, cefalea intensa non responsiva ai farmaci, parestesie o segno di lato sono tutti indicatori di un coinvolgimento del sistema nervoso centrale che può preludere all'insorgenza di eclampsia. L'attacco eclamptico però è preceduto solo in un 15-20% dei casi da segni e/o sintomi neurologici, restando imprevedibile nel resto dei casi48.

Data la natura sistemica di questa patologia è importante indagare con esami clinici e di laboratorio il benessere materno-fetale: è necessario visitare spesso la madre cogliendo eventuali segni di sofferenza d'organo, misurare ripetutamente la pressione arteriosa, controllare la diuresi e far eseguire una raccolta delle urine nelle 24 h per valutare la proteinuria, richiedere emocromo, dosaggio ALT/AST, LDH, bilirubina, PT, PTT,

Riferimenti

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