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(1996), come l’ancestrale sia del carciofo (C. cardunculus var. scolymus L. Fiori; ssp.

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3. IL CARCIOFO

3.1 Caratteristiche botaniche e varietali

Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus L. Fiori), appartenente alla famiglia delle Asteraceae (Compositae), viene coltivato sia per la produzione delle infiorescenze immature (capolini) a scopo alimentare, sia per la preparazione industriale di estratti fogliari ad uso farmaceutico. La forma selvatica (Cynara cardunculus var. sylvestris Fiori) è stata riconosciuta da Rottenberg e colleghi

(1996), come l’ancestrale sia del carciofo (C. cardunculus var. scolymus L. Fiori; ssp.

scolymus L. Heigi) che del cardo coltivato (C. cardunculus var. altilis DC).

Il carciofo è una pianta erbacea perenne, largamente coltivata nel bacino del

Mediterraneo (Bianco, 2005), alta fino a 1,5 metri, provvista di rizoma sotterraneo

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dicotomica; dopo l’emissione del capolino principale (o centrale), nella fase di fioritura produce in sequenza capolini di 2° e 3° ordine che costituiscono la maggior parte del prodotto commerciale fresco. I capolini di minore pezzatura sono destinati all’industria conserviera.

Lo stelo è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente. Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell’ambito della stessa pianta. Sono grandi, oblungo-lanceolate, con lamina intera nelle piante giovani e in quelle vicino ai capolini, pennatosetta e più o meno incisa in quelle basali. Le estremità delle lacinie fogliari sono spinose a seconda della varietà. I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5-15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori, tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso. Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee strettamente embricate, mucronate o spinose all'apice. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura.

In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore. Il frutto è un achenio allungato e di sezione quadrangolare, provvisto di pappo.

Il principale metodo di riproduzione del carciofo è la propagazione agamica tramite

carducci, sebbene negli ultimi anni si stia diffondendo la riproduzione per seme. I

carducci sono nuovi getti provvisti di radici che si originano ogni anno da gemme

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presenti sul rizoma della pianta madre, e vengono impiegati come materiale di propagazione per l’ottenimento di nuove carciofaie.

Possono essere usati anche a scopo alimentare, oppure come materiale organico da sovescio (Martignetti et al., 1992). La temperatura ottimale per il carciofo è compresa fra i 12°C e i 18°C. Esso predilige i terreni profondi, di medio impasto e con un buon drenaggio che vada ad evitare i ristagni idrici, perché provocano marciumi a danno dell'apparato radicale e l'insorgenza di malattie fungine.

E’ una pianta con caratteristiche di elevata rusticità e media tolleranza alla salinità.

Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri; in base alla presenza e allo sviluppo delle spine sui capolini si distinguono varietà spinose e inermi.

Le prime hanno capolini con brattee terminanti con una spina più o meno robusta, le altre hanno brattee mutiche o mucronate. In base al colore del capolino si distinguono varietà violette e verdi.

In base al ciclo fenologico, si distinguono varietà autunnali (precoci) e varietà primaverili (tardive). Le prime, tipiche degli ambienti meridionali, producono capolini a partire dal tardo periodo autunnale, le seconde in primavera. Il germoplasma del carciofo mostra un’ampia diversità varietale.

Fra le varietà precoci più diffuse in Italia si annoverano lo “Spinoso sardo”, il

“Catanese”, il “Violetto di Sicilia”, il “Thema” ed il “Violetto di Provenza”; tra le

varietà tardive il “Romanesco”, il “Violetto di Toscana” ed il “Terom”.

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Nel carciofo italiano si distinguono 4 gruppi varietali principali (“Spinosi”,

“Violetti”, “Catanesi” e “Romaneschi”), sebbene gran parte del germoplasma locale non sia compreso necessariamente in uno di questi gruppi.

Su 115 collezioni raccolte in 7 paesi mediterranei e 2 americani, 80 erano di origine italiana: questo fatto testimonia la grande variabilità varietale presente nel germoplasma di carciofo italiano (Sonnante et al., 2007).

Il “Terom” è una varietà tardiva largamente coltivata in Toscana e nell’Italia Centrale, con capolini di colorazione viola intenso, di pezzatura medio-grande, prevalentemente non spinescenti. Ha elevata attitudine pollonifera e permette di ottenere un anticipo di raccolta rispetto al “Violetto di Toscana” (prime produzioni entro il mese di marzo) (Tesi, 1981).

3.2 Storia e studi filogenetici

Le piante del genere Cynara sono native del bacino del Mediterraneo; il carciofo, probabilmente originario dell'Egitto o del Nord dell'Africa, potrebbe avere subito un processo di addomesticamento in Sicilia e da qui si sarebbe diffuso prima in Italia e successivamente in Europa (Sonnante et al., 2007).

La pianta chiamata Cynara era già nota in epoca greco-romana. Teofrasto (371-287

a.C.) nella sua "Storia delle piante" descrive caratteristiche e virtù dei "cardi pineae",

e Plinio il Vecchio (I° sec d.C.), nella "Naturalis Historia" ne documenta l'uso nella

cucina romana; Columella (I° sec. a.C.), nel "De Re Rustica" conferma come in quel

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tempo già ne fosse invalsa la coltivazione a scopo sia alimentare sia medicinale, descrivendo la pianta “ispida e spinosa”.

Basandosi sugli scritti di Plinio il Vecchio e di Columella, Foury (1989) ha dedotto che la coltivazione del carciofo iniziò approssimativamente nel I secolo a.C., comunque è probabile che in questo periodo il processo di addomesticamento del carciofo non fosse ancora completo. A prescindere dal ruolo degli arabi nella diffusione del carciofo, solo i nomi correnti in italiano, spagnolo e portoghese derivano dall’arabo al harshuff.

In inglese, francese e tedesco, il nome di questa pianta deriva dal tardo latino

“alcocalum”, ”articiocco” o “articoca”. Questo fatto suggerisce che l’Italia abbia avuto un ruolo centrale nella diffusione del carciofo in Europa.

I primi riferimenti certi del commercio del carciofo si hanno da Filippo Strozzi, il quale trasportava carciofo dalla Sicilia a Firenze all’inizio del XV secolo.

Rappresentazioni pittoriche del carciofo nel Rinascimento si trovano nei dipinti di

Vincenzo Campi e Giuseppe Arcimboldo. In generale nella letteratura antica non si

hanno riferimenti alla coltivazione del cardo, ma la pianta è raffigurata all’inizio del

XVII secolo da Caravaggio e Juan Sanchez Cotàn in nature morte. Il fatto che il

cardo coltivato appaia in dipinti spagnoli e italiani quasi coevi si può collegare alla

dominazione spagnola in Italia a partire dalla metà del XVI secolo. Il nome cardo in

tutte le lingue europee deriva dal latino “carduus”, che si riferisce soprattutto alla

spinescenza della pianta.

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Nel secolo XV era già commercializzato in Italia. Venuto dalla Sicilia, appare in Toscana verso il 1466. Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII.

I colonizzatori spagnoli e francesi introdussero il carciofo in America nel secolo XVIII, rispettivamente in California e in Louisiana.

La ricerca di una forma ancestrale di Cynara ha seguito diversi approcci.

Wiklund (1992) ha confermato, sulla base di un’analisi cladistica su larga scala dei caratteri morfologici, l’inclusione del carciofo, del cardo coltivato e del cardo selvatico nella specie Cynara cardunculus L., indicando C. auranitica, C. syriaca e C. baetica come stretti parenti di Cynara cardunculus L.

Esperimenti di ibridazione hanno dimostrato che il cardo selvatico e le forme coltivate sono completamente interfertili e quindi appartengono allo stesso pool genetico. Certe specie di Cynara, mostrano una ridotta capacità di produrre semi e ibridi vitali se incrociati con le specie coltivate, mentre altre specie mostrano un quasi totale isolamento genetico.

Studi filogenetici basati sulla variazione di isozimi e marker molecolari (Lanteri et al., 2004; Rottenberg et al., 1996) hanno confermato come entrambe le colture si

siano evolute dal pool genetico del cardo selvatico, il quale può essere quindi considerato il progenitore comune.

I processi di addomesticamento del carciofo e del cardo hanno seguito due modelli

distinti, separati nel tempo e nello spazio, che hanno condotto a due colture con

diverso sistema di propagazione. Alcuni autori hanno ipotizzato che il carciofo sia

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stato ingentilito prevalentemente in Sicilia, mentre il cardo probabilmente in Spagna e in Francia (Sonnante et al., 2007).

3.3 Coltivazione attuale

Secondo i dati FAO relativi al 2005, la superficie coltivata a carciofo nel mondo è stimata in circa 122.000 ha con una produzione di circa 1,33 milioni di tonnellate. La maggior parte della superficie è distribuita in Europa (ca 85 mila ha), seguita da Stati Uniti, Africa ed Asia con circa 12.000 ha ciascuna (FAO, 2005).

In Europa, il carciofo è coltivato prevalentemente nei paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo: Italia, Spagna, Francia, Grecia, Tunisia, Algeria, Marocco, Turchia e Israele.

L’Italia, (secondo i dati ISTAT del 2005), risulta il primo produttore al mondo di questo ortaggio con 50.000 ha coltivati e con una produzione di circa 500.000 t., equivalenti al 50% della produzione mondiale, seguito da Spagna e Argentina.

La produzione del carciofo si concentra soprattutto nel sud e nelle isole (ca 47.000 ha), mentre al centro la coltura è presente per circa 2500 ha e al nord per 500 ha. La distribuzione regionale vede la Puglia al primo posto con circa il 36,29% della superficie, seguita da Sicilia (28,40%), Sardegna (21,40%), Campania (5,61%), Lazio (2,53%) e Toscana (2%) (FAO, 2005).

Il motivo principale di questa localizzazione della coltura va ricercato nel fatto che, al

sud vengono utilizzate varietà rifiorenti che sono di facile propagazione e hanno un

ciclo vegetativo che consente di coprire un vasto periodo di produzione (da novembre

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ad aprile). Nel centro nord, al contrario, si utilizzano varietà tardive caratterizzate da brevi periodi produttivi. Lo sviluppo delle tecniche di micropropagazione ha reso possibile, non solo di propagare materiale risanato e di moltiplicare cloni selezionati, ma anche di avere carciofaie perfettamente uniformi. Inoltre, la disponibilità di piantine micropropagate che presentano un rapido sviluppo in campo hanno consentito l'adozione di una nuova tecnica agronomica che permette di entrare in produzione già nell'anno di trapianto.

4. ATTIVITA’ BIOLOGICHE DEGLI ESTRATTI DI CARCIOFO

Agli estratti di carciofo si attribuiscono diverse proprietà farmacologiche; ricordiamo quelle epatoprotettive, coleretiche, antiossidanti e antilipidemiche.

Le proprietà diuretiche e stimolanti della secrezione biliare dei decotti radicali e fogliari del carciofo erano conosciute fin dall’antichità, e le proprietà

“epatostimolanti” degli estratti fogliari di Cynara erano già note fin dal ‘700.

Tutte le ricerche seguenti, si concentrano sulle interazioni biochimiche fra gli estratti di carciofo e il metabolismo epatico del colesterolo: a questa composita vengono attribuite attività di stimolo della coleresi (aumento del flusso biliare), proprietà ipocolesterolemizzante e generale azione epatoprotettiva degli epatociti.

I principali responsabili di queste azioni biologiche sono gli acidi dicaffeilchinici

(cinarina), i lattoni sesquiterpenici ed i flavonoidi come la luteolina (Grandolini e

Izzo, 2006).

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A partire dagli anni ‘50, in seguito alle ricerche di Panizzi e colleghi, l’attenzione si è concentrata sugli acidi clorogenici (Panizzi e Scarpati, 1965).

Dagli estratti di carciofo (generalmente delle foglie basali), viene isolato un gruppo di polifenoli di cui i principali componenti risultano essere l’acido 5-O-caffeilchinico (acido clorogenico), l’acido 1,5 dicaffeilchinico (cinarina) e l’acido caffeico (prodotto di idrolisi dei due precedenti).

Ma negli estratti di carciofo non sono presenti soltanto O-difenoli: parallelamente alle

ricerche italiane sugli acidi clorogenici, nel 1956, Masquelier e Michaud isolano per

la prima volta dal carciofo dei flavonoidi bioattivi: un flavone, la luteolina, e i suoi

due coniugati: cinaroside (luteolina 7-O-ß-glucoside) e scolimoside (luteolina 7-O-ß--

ramnoglucoside), la cui presenza è stata confermata a più riprese da ricerche

successive (El-Negoumy et al., 1987; Hammouda et al., 1993; Grandolini e Izzo,

2006). Gli estratti bioattivi del carciofo risultano essere caratterizzati da una

composizione polifenolica complessa; nella figura 11 vengono riportate le principali

sostanze bioattive contenute nella pianta.

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Estratti di Cynara cardunculus var. scolymus L. Fiori

Acidi caffeilchinici Flavonoidi

Acido chinico Acido caffeico

Acido 5-O-caffeilchinico (Acido clorogenico) Acido 1,5-dicaffeilchinico(Cinarina)

Luteolina Cinaroside Scolimoside

Lattoni sesquiterpenici

Cinaropicrina Deidrocinaropicrina

Cinatriolo Groseimina

Fig. 11: principali sostanze bioattive contenute in Cynara cardunculus var. scolymus L. Fiori (da Grandolini e Izzo, 2006).

Non si tratta di un unico principio attivo, ma piuttosto di una miscela eterogenea di composti, dotati di specifiche attività biologiche.

L’azione antiossidante degli estratti di carciofo è da imputare soprattutto alle

“scavenging activities” dell’acido clorogenico e della luteolina, ma anche dell’acido

caffeico e della cinarina, che è direttamente connessa con gli effetti epatoprotettivi

nei confronti di sostanze tossiche esogene e dei radicali liberi (Kraft, 1997; Gebhardt,

2001). I riflessi terapeutici dell’attività antiossidante dell’acido clorogenico non si

limitano solo ai generali effetti epatoprotettivi, ma contribuiscono anche alla

prevenzione delle malattie aterosclerotiche, tramite una marcata attività inibitoria

dell’ossidazione delle LDL (Brown e Rice-Evans, 1998). L’azione di stimolo della

coleresi ha come conseguenza fisiologica la riduzione del colesterolo epatico; dato

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che la secrezione biliare rappresenta nel metabolismo epatico il modo di eliminazione del colesterolo, gli estratti di carciofo possono indurre una effettiva riduzione del tasso plasmatico di colesterolo in conseguenza dello stimolo esercitato sull’intensità del flusso biliare di eliminazione dei colati.

L’azione coleretica, è dovuta principalmente alla presenza negli estratti di carciofo dell’acido clorogenico e della cinarina, ed è documentata da diversi studi in vivo e da prove cliniche controllate (Speroni et al., 2003; Gebhardt, 2001; Saénz et al., 2002).

L’aumento della secrezione biliare è probabilmente causato da una maggiore produzione di acidi liberi (Kirchhoff et al., 1994) e si verifica in concomitanza dell’aumento del numero e delle dimensioni dei dotti biliari di secrezione.

Nel 1964 Benigni individuava nel carciofo effetti sul ricambio del colesterolo. A distanza di oltre 30 anni, l’osservazione storica del Benigni trova la sua conferma e la sua base biochimica, in un’indagine condotta da Gebhardt (1997) sugli effetti dell’estratto di Cynara scolymus sulla sintesi intraepatica del colesterolo a varie concentrazioni, ottenendo un’inibizione del 20% dell’attività dell’idrossimetilglutaril- CoA reduttasi (HMG-CoA reduttasi), l’enzima limitante la sintesi del colesterolo endogeno a livello epatico.

L’attività di inibizione della biosintesi epatica del colesterolo, secondo le più recenti acquisizioni, è direttamente imputabile alla luteolina presente negli estratti, in forma libera o derivante dal metabolismo gastrico del coniugato cinaroside (Kraft, 1997;

Gebhardt, 1997; Brown e Rice-Evans, 1998). E’ dimostrato che la luteolina a

concentrazioni di 30 µM causa inibizione della biosintesi de novo del colesterolo fino

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al 60% (Kraft, 1997) e una riduzione dell’80% è raggiungibile sperimentalmente con concentrazioni poco superiori (Gebhardt, 1998; Gebhardt, 2001); quindi la luteolina può modulare l’attività dell’HMG-CoA reduttasi, tramite attivazione di meccanismi di inibizione.

Le proprietà di prevenzione delle malattie aterosclerotiche degli estratti di carciofo, non dipendono soltanto dalla riduzione della biosintesi de novo del colesterolo (dovuta alla luteolina), ma anche dall’inibizione della formazione delle placche aterogeniche, per azione dell’acido clorogenico e della luteolina.

E’ da sottolineare che, l’azione ipocolesterolemica degli estratti di carciofo non comporta l’effetto collaterale dell’accumulo di steroli indesiderati, come avviene di norma utilizzando i farmaci inibitori dell’HMG-CoA reduttasi.

In una recentissima indagine, la luteolina e le sue forme coniugate ricavate da un estratto fogliare di carciofo, hanno dimostrato azione inibitoria dell’enzima xantina- ossidasi in vitro, il quale, in presenza di ossigeno, catalizza la reazione di trasformazione di ipoxantina in acido urico, confermando l’attività ipouricemica ed antigottosa degli estratti di carciofo (Sarawek et al., 2008).

In campo biomedico, nel corso degli anni sono state condotte con successo svariate

prove cliniche controllate, per dimostrare in vivo le suddette attività biologiche e le

potenziali applicazioni terapeutiche del carciofo: sono stati confermati l’effetto

ipocolesterolemico (Fintelmann, 1996; Dorn, 1996; Pittler e Ernst, 1998) e l’azione

di stimolo della coleresi (Saénz et al., 2002); gli estratti commerciali risultano essere

ottimamente tollerati, hanno pochissimi effetti collaterali e possono rappresentare una

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reale alternativa fitoterapeutica nella prevenzione delle aterosclerosi secondarie e nelle sindromi dispeptiche (Grandolini e Izzo, 2006).

In conclusione, le più recenti ricerche suggeriscono che l’intero complesso di composti fenolici presenti nel carciofo (fra i quali l’acido clorogenico), può contribuire alle attività epatoprotettive, antiossidanti, ipocolesterolemiche e coleretiche manifestate dagli estratti: s’ipotizza quindi un’azione sinergica dei diversi componenti sul metabolismo epatico (Gebahardt, 1998; Clifford, 2000; Coinu et al., 2007). L’attività epatoprotettiva del carciofo è stata descritta fin dagli anni ’60; in seguito, estratti di carciofo hanno dimostrato una significativa attività nei confronti della tossicità epatica da tetracloruro di carbonio (CCl

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). La valutazione dei diversi componenti di questa composita nelle stesse condizioni sperimentali, sembra indicare nella cinarina il composto responsabile dell’attività protettiva, ma è noto che anche gli acidi caffeilchinici hanno potenti effetti nei confronti di agenti epatotossici (Adzet et al., 1987).

Inoltre, è stato ipotizzato che l’acido clorogenico sia il primo inibitore naturale specifico dell’enzima glucosio-6-fosfato-translocasi (componente del glucosio-6- fosfatasi), enzima chiave della regolazione del tasso di glucosio sanguigno e quindi bersaglio terapeutico in diverse forme di diabete mellito (Hemmerle et al., 1997;

Bassoli et al., 2007). Da un recente studio condotto su parti eduli di carciofo, è

emerso che questo ortaggio ha proprietà antitumorali (oltre a confermarne le proprietà

antiossidanti) e potrebbe potenzialmente ridurre il rischio di cancro epatico. L’azione

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benefica del carciofo è stata attribuita al contenuto di molecole bioattive appartenenti al gruppo dei polifenoli, che svolgono attività antiossidanti e apoptotiche.

Gli autori hanno preparato estratti di carciofo contenenti la frazione polifenolica costituita essenzialmente da acido clorogenico ed acidi dicaffeilchinici oltre che da piccole quantità di flavonoidi.

Successivamente sono passati alla valutazione dell’attività epatoprotettiva degli estratti polifenolici provenienti dalla parte edule dell’ortaggio, in colture di cellule epatiche di ratto e cellule di epatocarcinoma umano.

I risultati ottenuti hanno dimostrato che gli estratti di carciofo proteggono le cellule epatiche dal danno ossidativo e causano la morte della cellula neoplastica attraverso l’induzione di apoptosi (Miccadei et al., 2007). È importante sottolineare che, parallelamente a questi risultati di laboratorio, una ricerca condotta su volontari sani, dopo ingestione di un pasto a base di carciofi cotti, ha indagato, per la prima volta nell'uomo, il metabolismo e la biodisponibilità delle molecole bioattive presenti nel carciofo, cioè la capacità di trasferire in circolo i suoi componenti attivi (Azzini et al., 2007). Le caratteristiche chimico-nutrizionali di questa composita e l’effetto protettivo di alcuni suoi principali costituenti conferiscono al carciofo la peculiarità di

“cibo funzionale naturale”, cioè in grado di promuovere e mantenere uno stato di benessere e svolgere un effetto preventivo verso determinate patologie (Clifford, 2000; Miccadei et al., 2007; Coinu et al., 2007). Nella figura 12 vengono riassunti i principali meccanismi di azione degli estratti di Cynara cardunculus var. scolymus L.

Fiori (Grandolini e Izzo, 2006).

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Ac. Clorogenico Luteolina

Cinarina Ac. Caffeico

Cinaroside

Azione antiossidante

Inibizione ox LDL

Attività epatoprotettiva

Luteolina

Inibizione sintesi colesterolo

Riduzione colesterolo Prevenzione aterosclerosi

Ac. Clorogenico Cinarina

Stimolo coleresi

Cura delle dispepsie

Fig. 12: principali meccanismi d’azione degli estratti di Cynara cardunculus var. scolymus L. Fiori (da Grandolini e Izzo, 2006).

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