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Obesità e diabete mellito di tipo 2in età evolutiva

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Rassegna

Obesità e diabete mellito di tipo 2 in età evolutiva

RIASSUNTO

La diffusione quasi epidemica dell’obesità nella popolazione mondiale ha determinato la comparsa di diabete mellito di tipo 2 (T2DM) in età pediatrica che, segnalato inizialmente in mino- ranze etniche, negli Stati Uniti è in aumento anche negli adole- scenti di razza caucasica. Attualmente in Europa il tasso di pre- valenza di T2DM nei giovani non è elevato, ma è prevedibile un suo aumento nei prossimi anni in considerazione del numero di adolescenti obesi che manifestano alterata tolleranza glucidica (ATG) e altri parametri della sindrome metabolica. La maggior parte degli adolescenti in sovrappeso presenta insulino-resisten- za (IR) che è dovuta a fattori genetici, alla entità della massa adi- posa, allo stile di vita sedentario, a eventi perinatali e puberali. Il peggioramento dell’IR, associato al difetto di secrezione insulini- ca, causa nell’adolescente la comparsa di T2DM con elevato rischio di complicanze cardiovascolari. L’obesità (BMI > 85°

centile per età e sesso), il sesso femminile, la familiarità per dia- bete, l’appartenenza a specifici gruppi etnici e la presenza di manifestazioni di IR identificano il gruppo di adolescenti a rischio per T2DM, nei quali è opportuno effettuare una valutazione periodica della situazione metabolica. La terapia del T2DM si fonda essenzialmente sulla modificazione dello stile di vita e, in caso di insuccesso, sull’impiego di farmaci. La prevenzione del- l’obesità nel bambino è lo strumento principale per ridurre o contenere la diffusione di T2DM nella popolazione giovanile e richiede il coinvolgimento della famiglia, della scuola e dei responsabili della salute del bambino.

SUMMARY

Obesity and type 2 diabetes mellitus in children and adolescents The worldwide epidemic of obesity has led to the emergence of T2DM and metabolic syndrome (MS) in youth. Firstly reported in ethnic minorities, T2DM is on the rise in North America amongst white Caucasian adolescents. The actual estimated prevalence rate of T2DM in Europe is low; however, an increase is expect- ed in the next few years, since obese adolescents show IGT and other components of the MS. Insulin-resistance (IR) is found in most of overweight children and is attributed to genetic factors,

F. Cerutti, M.G. Ignaccolo, M.C. Bertello, C. Sacchetti

Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Università di Torino

Corrispondenza: prof. Franco Cerutti,

Unità Operativa Pediatria, Ospedale Regina Margherita, piazza Polonia 94, 10126 Torino

G It Diabetol Metab 2009;29:120-130 Pervenuto in Redazione il 06-02-2009 Accettato per la pubblicazione il 17-02-2009 Parole chiave: obesità, insulino-resistenza, diabete mellito di tipo 2, adolescenza

Key words: obesity, insulin resistance, type 2 diabetes mellitus, adolescence

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as well as to body fat mass, overfeeding, reduced physical activ- ity, inta-uterine and perinatal events, puberty. Worsening of IR, together with an impairment of insulin secretion, cause the onset of T2DM in adolescents, which are exposed to the risk of early development of cardiovascular complications. Severe obesity (BMI > 85° percentile for age and sex), female sex, family histo- ry of diabetes, ethnicity and the presence of signs of IR identify the group of adolescents with higher risk of T2DM in which eval- uation of metabolic balance has to be performed at least every two years. Life style intervention approach to diet and exercise is the first choice treatment of T2DM in youth; pharmacological therapy should be used in case of failure.

Prevention of obesity, starting from the first years of life, is the main path to reduce or avoid the spread of T2DM in adoles- cence and requests co-operation between the family, the school and the caregivers.

Obesità, diabete di tipo 2 e sindrome metabolica: le dimensioni del problema in età pediatrica

L’obesità ha raggiunto in molte nazioni una diffusione di tipo epidemico che ha coinvolto anche i soggetti in età evolutiva.

Secondo lo studio americano NHANES, rispetto a quanto atteso, la prevalenza di eccesso ponderale grave (BMI > 30) nell’adulto è raddoppiata e nel bambino addirittura triplicata arrivando a valori superiori al 25% in talune minoranze etni- che1,2. Un aumento del trend secolare di prevalenza è stato osservato anche in Paesi come la Cina e l’India nei quali il recente e rapido sviluppo economico si è associato ad assunzione di stili di vita di tipo “occidentale”3. In Europa la prevalenza del sovrappeso è risultata compresa tra il 12% in Svezia e il 22% in Grecia e quella dell’obesità tra l’1,1% e il 14,1%4. In Italia, studi condotti utilizzando metodi non stan- dardizzati di rilevazione5,6hanno fornito valori di prevalenza molto variabili che in parte sono stati confermati dall’indagi- ne “Okkio alla salute”, svolta nel 2006 con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità nella quasi totalità delle regio- ni italiane su bambini della 3aclasse elementare (8-9 anni di età). Secondo i dati preliminari dello studio, la prevalenza di sovrappeso è risultata compresa tra il 17-26% e quella del- l’obesità tra il 4-21% con una media sul territorio nazionale rispettivamente del 24% e del 12%; le regioni meridionali sono quelle con più elevata frequenza di eccesso ponderale nella popolazione pediatrica.

La diffusione dell’obesità del bambino e dell’adolescente è senza dubbio preoccupante ove si consideri che il sovrappe- so comporta un elevato rischio di sviluppo di problemi psico- sociali e di patologie a carico di svariati organi e apparati, tende a persistere aggravandosi nell’adulto ed è alla base della comparsa precoce di diabete mellito di tipo 2 (T2DM).

Le prime segnalazioni di casi di T2DM in età pediatrica, negli anni ’70, facevano riferimento ad adolescenti obesi di origine indiano-americana; a partire dagli anni ’90, una crescente dif- fusione del T2DM è stata segnalata negli Stati Uniti anche in adolescenti di discendenza afro-americana e ispano-

americana, in Australia e Nuova Zelanda in popolazioni abo- rigene, in Giappone, a Hong Kong, in Bangladesh e in Libia7-9. Uno screening di popolazione, effettuato in Giappone negli anni 1976-97 su sette milioni di scolari con determinazione della glicosuria e, in caso di sua positività, di glicemia a digiu- no, ha dimostrato che il tasso di incidenza nella fascia di età 6-12 anni è decuplicato passando dallo 0,2/100.000 sog- getti fra il 1976-80 al 2,1 fra il 1991-9510. Secondo indagini condotte negli USA, la percentuale di bambini e adolescenti affetti da T2DM tra i ricoverati in fase di esordio di diabete varia tra l’8 e il 45%, a seconda della composizione etnica dell’area geografica presa in esame7,8. Più di recente il feno- meno è parso interessare anche la popolazione caucasica americana, mentre i dati relativi all’Europa sono limitati. Uno studio nazionale in Inghilterra ha osservato, nei soggetti al di sotto dei 16 anni, un tasso minimo di prevalenza di T2DM di 0,2/100.000, valore nettamente inferiore rispetto al 3,8% rile- vato in precedenza a Birmingham dove la popolazione di etnia sud-asiatica è più rappresentata e ha un rischio relati- vo di sviluppare T2DM 13,7 volte più elevato dei coetanei di discendenza inglese11. Nel periodo 1999-2001 il registro nazionale per il diabete in età pediatrica in Austria ha indivi- duato 8 adolescenti affetti da T2DM con un’incidenza di 0,25/100.000 bambini di età inferiore a 15 anni12. In Germania l’esecuzione di OGTT in 102 bambini obesi con familiarità per diabete ha portato alla diagnosi di T2DM in 6 adolescenti13. In Italia, uno studio condotto nel 2003 su 710 bambini obesi aveva dimostrato che solo lo 0,2% era affetto da T2DM14. Il un registro nazionale del T2DM in età pediatri- ca di recente promosso dal Gruppo di Studio Diabete della SIEDP ha peraltro censito nei primi 6 mesi di attività 29 ado- lescenti con T2DM, caratterizzati da BMI > 90° centile per età e sesso, esordio in età adolescenziale, prevalenza del sesso femminile, elevata ricorrenza della malattia nei genito- ri15. Nel complesso gli studi europei, ma anche recenti prese di posizione americane, suggeriscono che l’incidenza e la prevalenza del T2DM in età pediatrica sono in modesto e costante aumento, ma non tale da configurarsi quale un evento epidemico come presentato in taluni articoli8,16. È possibile peraltro che la reale entità del fenomeno sia sotto- stimata in quanto la malattia è scarsamente sintomatica anche per periodi prolungati di tempo, sono possibili errori di classificazione e molti dei pazienti nella fascia di età adole- scenziale non affluiscono a centri pediatrici. La necessità di mantenere comunque un’attenta sorveglianza su questo problema deriva anche da numerose segnalazioni secondo le quali anche la prevalenza di alterazioni dell’omeostasi gli- cemica, che potrebbero precedere la comparsa di T2DM, è molto elevata tra bambini e adolescenti obesi in diretta cor- relazione con l’eccesso ponderale7-9. In una popolazione multietnica americana alterata tolleranza glucidica (ATG) è stata riscontrata nel 25% dei bambini di 4-10 anni di età e nel 21% degli adolescenti in sovrappeso indipendentemente dall’appartenenza etnica17. In Europa la prevalenza di ATG nei bambini obesi ha dimostrato tassi variabili tra il 4,5% in Italia e il 15-35% in Francia e Germania13,14,18. Aspetto da non trascurare è poi che nell’adolescente fortemente obeso l’ATG si associa con notevole frequenza a ipertrigliceridemia,

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ipercolesterolemia totale con bassi livelli di HDL colesterolo, aumento dei valori pressori sisto-diastolici e steatosi epatica non alcolica, tutte componenti della cosiddetta “sindrome metabolica o da insulino-resistenza” (SM), ritenuta uno dei fattori di rischio maggiore per lo sviluppo di malattia cardio- vascolare19. La frequenza di quest’ultima è risultata ampia- mente variabile (4,2-28%), a seconda del grado di eccesso ponderale dei bambini/adolescenti esaminati e soprattutto dei criteri adottati per la definizione di SM19-21. Nel 2007 la International Diabetes Federation (IDF) ha proposto una clas- sificazione clinica della SM in età pediatrica di semplice applicazione che tiene conto delle differenze correlate alla fase di sviluppo accrescitivo22. La definizione di SM è stata stabilita facendo riferimento a 3 fasce di età (da > 6 a < 10 anni; da > 10 a < 16 anni; oltre i 16 anni). I bambini di età <

6 anni non sono stati inclusi per la difficoltà di raccogliere un campione di dati sufficientemente ampio. Secondo le indica- zioni IDF (Tab. 1), al di sotto dei 10 anni non si deve porre diagnosi di SM, ma i genitori e coloro che si prendono cura del bambino devono essere incoraggiati ad attuare interven- ti mirati per contenere e ridurre il sovrappeso.

L’insulino-resistenza nell’obesità e nel diabete di tipo 2 in età pediatrica

Più del 50% dei bambini/adolescenti in eccesso ponderale ha livelli elevati di insulinemia a digiuno e dopo pasto e gradi variabili di insulino-resistenza (IR) che comporta a livello del tessuto muscolare e adiposo una notevole riduzione dell’uti- lizzo di glucosio e mancata soppressione della sua produzio- ne epatica8,9. Nella genesi dell’IR è stato prospettato l’inter- vento di fattori genetici e ambientali. Sebbene nell’adulto diversi geni che intervengono nella cascata di trasmissione del segnale insulinico siano stati trovati associati a obesità e IR, i dati in età pediatrica sono ancora troppo limitati per for- nire risultati significativi23,24. L’entità della massa adiposa e soprattutto la sua disposizione dei diversi distretti corporei sono i fattori che più sembrano influenzare l’IR: in bambini prepuberi in sovrappeso la sensibilità all’insulina è risultata correlata alla quantità di tessuto adiposo sottocutaneo, men- tre in adolescenti obese, al pari degli adulti, è il grasso depo-

sitato a livello viscerale che maggiormente condiziona l’IR25,26. I meccanismi attraverso i quali l’obesità viscerale determina IR, oltre alla sua elevata sensibilità alla stimolazio- ne lipolitica, sono:

alterata produzione di adipocitochine: si esplica con una ridotta produzione di adiponectina e con aumento in cir- colo di resistina, inibitore-1 dell’attivazione di plasmino- geno e citochine proinfiammatorie quali IL-6 e TNF-α che potrebbero intervenire alterando la cascata endocellulare di attivazione enzimatica coinvolta nel segnale insulinico.

Di recente un’aumentata produzione della proteina 4 che lega il retinolo (RBP4) è stata osservata in bambini con diverso grado di sovrappeso. A differenza delle prece- denti adipocitochine, il tasso di leptina circolante è risul- tato correlato con l’insulinemia e con la quantità di tessu- to adiposo sottocutaneo27,28;

accumulo ectopico di lipidi nel muscolo scheletrico: l’im- piego di tecniche spettroscopiche di RMN ha evidenzia- to in bambini prepuberi una correlazione tra quantità di lipidi muscolari e BMI, circonferenza della vita e rapporto glicemia/insulinemia; adolescenti gravemente obesi hanno un maggiore accumulo intra- ed extra-miocellula- re di lipidi rispetto ai coetanei normopeso ed evidenziano una significativa correlazione inversa tra contenuto lipidi- co delle cellule muscolari e sensibilità all’insulina29,30. Ulteriori determinanti dell’IR del bambino e adolescente obeso e del rischio di evoluzione verso T2DM sono stati identificati nell’inadeguato stile di vita che caratterizza soprattutto i Paesi industrializzati, in eventi che si realizzano durante la vita fetale e neonatale, nelle modificazioni ormo- nali tipiche della pubertà7-9,31.

L’interesse nei confronti dei fattori perinatali nella genesi dell’IR è derivata dal riscontro di un maggiore rischio di svi- luppo di T2DM in adulti che alla nascita avevano un peso inferiore a 2500 grammi o superiore a 4310 g. Anche la dura- ta della gravidanza avrebbe un effetto, come dimostra la maggior frequenza di IR rilevata in bambini nati prematuri, indipendentemente dal loro peso neonatale. Questi studi hanno portato a ipotizzare che la denutrizione o l’iperalimen- tazione in utero siano in grado di condizionare nel feto ano- malie ormonali e metaboliche permanenti con successivo sviluppo dapprima di obesità e IR e successivamente di iper- glicemia. Soprattutto nei soggetti nati piccoli per età gesta-

Tabella 1 Criteri di classificazione della sindrome metabolica nel bambino e nell’adolescente (IDF 2007).

Fasce d’età Obesità Trigliceridi HDL-C Pressione Glicemia (mmol/L)

(anni) (WC) sanguigna o T2DM già diagnosticato

Da 6 a < 10 ≥ 90° centile La sindrome metabolica non può essere diagnosticata, ma è necessario effettuare ulteriori indagini se sono presenti familiarità per sindrome metabolica, T2DM, dislipidemia, malattie cardiovascolari, ipertensione e/o obesità

Da 10 a <16 ≥ 90° centile ≥ 1,7 mmol/L < 1,03 (mmol/L) Sistolica ≥ 130 > 5,6 mmol/L (100 mg/dl) o cut-off dell’adulto (≥ 150 mg/dl) (< 40 mg/dl) mmHg o diastolica o T2DM già diagnosticato

se inferiore ≥ 85 mmHg (se > 5,6 mmol/L

al 90° centile è consigliato OGTT)

≥ 16 Utilizzare i criteri IDF per l’adulto

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zionale (small for gestational age, SGA) è stato anche osser- vato che un eccessivo incremento di peso nei primi 2-3 anni di vita facilita l’insorgenza di obesità destinata a persistere nel tempo7,8,27,32,33.

Fisiologicamente in tutti i bambini il passaggio dalla fase pre- puberale (stadio I di Tanner) a quella puberale (stadi II e III di Tanner) coincide con variazioni dei livelli circolanti di GH (growh hormone, ormone della crescita) e IGF-I (insulin-like growth factor I, fattore di crescita insulino-simile I) e specu- lare riduzione della sensibilità all’insulina compensata da un relativo aumento della secrezione dell’ormone pancreatico; il completamento dello sviluppo puberale riporta la secrezione insulinica ai livelli della prepubertà. È stato ipotizzato che in presenza di obesità grave la beta-cellula non sia in grado di contrastare efficacemente l’IR di questa fase dello sviluppo e vada incontro a una progressiva diminuzione di funzionalità secretoria34.

Nell’adulto l’iperinsulinismo e l’IR sono i fattori che correlano l’obesità allo sviluppo di T2DM attraverso un processo evo- lutivo che si compie nell’arco di anni attraverso fasi caratte- rizzate da:

1. IR con iperinsulinismo compensatorio, che consente di mantenere la glicemia a digiuno e dopo pasto entro limi- ti normali;

2. aggravamento dell’IR con iniziale deficit secretorio di insulina testimoniato da occasionale comparsa di mode- rata iperglicemia dopo pasto;

3. ulteriore peggioramento dell’IR e netta riduzione della secrezione insulinica che determina iperglicemia anche a digiuno e spesso coincide con la diagnosi di T2DM.

In alcuni adolescenti questo evento fisiopatologico appare fortemente accelerato con una veloce transizione dalla nor- male tolleranza ai carboidrati (NTG) all’iperglicemia. Alcuni studi longitudinali hanno tentato di determinare i parametri clinici e antropometrici che caratterizzano bambini e adole- scenti obesi a rischio di T2DM. L’esecuzione di OGTT in 117 bambini obesi ha identificato NTG in 84 e ATG (alterata tol- leranza ai glucidi) in 33; tra questi ultimi, a distanza di due anni, 10 hanno mantenuto ATG, 15 sono tornati a NTG e 8 hanno sviluppato T2DM. In questa casistica l’obesità grave, l’ATG e soprattutto la familiarità per T2DM sono risultati i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di iperglicemia. Un altro studio longitudinale condotto su una casistica più numerosa con esecuzione ripetuta di OGTT ha dimostrato che anche modeste modificazioni della sensibilità insulinica in un bambino obeso con IR determinano un’accresciuta richiesta di secrezione, con conseguente veloce progressio- ne dello stress e dell’esaurimento funzionale della beta- cellula e che questo fenomeno è strettamente in correlazio- ne alla gravità dell’eccesso ponderale35. Più di recente l’im- piego del clamp iperglicemico e dei metodi di minimal model applicati al test da carico di glucosio (OGTT) ha per- messo di evidenziare che in alcuni bambini e adolescenti in sovrappeso, ma con NTG, è già presente un deficit della fase di secrezione insulinica precoce. L’anormalità secreto- ria sembra caratterizzare i bambini di discendenza afro- americana e ispano-americana rispetto a coetanei caucasi- ci e i soggetti con storia familiare di T2DM rispetto a quelli

senza familiarità36,37. Lo sviluppo di T2DM potrebbe quindi essere conseguente a un difetto genetico della funzione beta-cellulare la cui manifestazione è facilitata nel soggetto giovane obeso dall’IR. In popolazioni europee il gene con il maggiore impatto sul rischio di T2DM è stato identificato nel gene TCF7L2, che sembra determinare una minore capaci- tà secretoria pancreatica. È stato dimostrato che varianti comuni del gene determinano un effetto additivo sulla pos- sibilità di sviluppo della malattia: adulti portatori di un singo- lo allele avrebbero un rischio di 1,3-1,6, che raddoppia nel soggetto con due coppie di alleli. In uno studio su 1029 bambini varianti del gene TCF7L2 sono state associate con un aumentato rischio di ATG solo in quelli che erano obesi.

Nel 2007 cinque analisi estese all’intero genoma (genome- wide scan) effettuate su ampie popolazioni di pazienti hanno identificato, oltre alle varianti di TCF7L2, 6 nuovi geni di suscettibilità; tra questi il gene FTO è particolarmente inte- ressante poiché sembra essere l’unico le cui varianti predi- spongono al T2DM attraverso la predisposizione all’obesità e si è osservata una sua associazione con il BMI in bambi- ni di 7 o più anni di età.

Clinica dell’obesità e del T2DM in età pediatrica

Uno dei maggiori problemi, quando si vogliano sviluppare ricerche sull’obesità nel bambino/adolescente, è quello di stabilire una definizione comune a tutti dell’eccesso ponde- rale. La Task Force Internazionale sull’Obesità (International Obesity Task Force, IOTF) nel 1994 ha proposto di utilizzare l’indice di massa corporea (body mass index, BMI) e di iden- tificare anche in età pediatrica il sovrappeso e l’obesità con il valore di 25 e 30 kg/m2usato per l’adulto. La relazione tra BMI e composizione corporea è peraltro complessa e influenzata da diversi fattori (età, sesso, etnia e fase di svilup- po sessuale), per cui i valori di cut-off dell’adulto non sono applicabili in pediatria. Ciò ha portato a elaborare in alcune nazioni, tra cui l’Italia38, tabelle nazionali dei centili di BMI per età e sesso in base alle quali per convenzione oggi si defini- sce obeso il bambino/adolescente con peso superiore al 95°

centile del BMI specifico per età e sesso, e in sovrappeso (o a rischio di obesità) il soggetto con BMI compreso tra l’85°

e il 95°. Usando questa definizione, si è osservato che ado- lescenti di oltre 13 anni con BMI > 95° centile hanno un rischio di obesità in età adulta superiore a 50%. In questo gruppo di soggetti in apparente buona salute sono talora già presenti manifestazioni cliniche peculiari, sintomi iniziali di complicanze (Tab. 2) e anormalità di laboratorio, che fanno classificare buona parte degli adolescenti obesi come affetti da sindrome metabolica. Tra le manifestazioni cliniche asso- ciate all’obesità all’esame nel bambino deve essere attenta- mente valutata la presenza di:

acanthosis nigricans (AN): è caratterizzata da strie cuta- nee simmetriche a superficie vellutata o verrucosa, di colorito brunastro, localizzate principalmente a livello della regione posteriore del collo e meno spesso alle pie-

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ghe ascellari e nelle zone di flessione articolare.

Istologicamente le lesioni presentano ipercheratosi con papillomi epidermici e infiltrazione del derma da parte di glicoaminoglicani. La sua presenza è stata osservata in circa il 10-40% degli adolescenti con IR e obesità grave e in misura maggiore negli affetti da T2DM;

sindrome dell’ovaio policistico (polycystic ovary syndro- me, PCOS): è stata segnalata in circa il 14% delle donne in età fertile, in un terzo delle quali è presente obesità associata a irsutismo, acne e iperinsulinemia. Una ridu- zione della fase precoce di secrezione insulinica dopo sti- molo con glucosio ev e ATG è stata osservata nel 40%

delle adolescenti obese con PCOS che sono pertanto esposte a elevato rischio di sviluppo di T2DM. La som- ministrazione di metformina per un breve periodo di tempo (3 mesi) in adolescenti con PCOS e ATG si è dimostrata utile per migliorare l’iperandrogenismo e l’IR;

steatosi epatica non alcolica (non alcoholic steato-hepa- titis, NASH): la sua patogenesi è stata ricondotta all’IR, che determina aumento della lipolisi, eccessiva ossida- zione di acidi grassi e formazione di radicali liberi con conseguente danno dell’epatocita e induzione di fibrosi mediata dalla produzione di citochine; la sua prevalenza è stata stimata tra il 10-25%;

sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno: è presente nel 13% dei bambini con obesità grave, può causare riduzio- ne della performance fisica e intellettuale, richiede talora il ricorso a ventilazione continua a pressione positiva e/o a intervento di tonsillectomia;

problematiche psicologiche: riduzione dell’autostima, comportamento aggressivo o provocatorio, tendenza alla depressione e la percezione di una ridotta qualità di vita sono riferiti in circa il 40-60% degli adolescenti che richiedono cure per la loro obesità. Spesso il disagio è la conseguenza di conflitti subiti per anni all’interno dell’am- biente familiare e sociale entro il quale il ragazzo è cre- sciuto e alla base del frequente insuccesso dei diversi tentativi terapeutici27,32.

Quando esordisce nell’adolescente/bambino obeso, il T2DM tende a interessare con frequenza maggiore il sesso femmi- nile, a un’età superiore a 10 anni e nella fase avanzata dello scatto puberale. È preceduto da una sintomatologia, variabi- le da iperglicemia moderata asintomatica sino a quadro di vera chetoacidosi (circa il 20% dei casi); in un terzo dei pazienti la diagnosi viene posta in occasione di esami di rou- tine praticati in assenza di sintomi specifici. La glicemia oscil- la da valori prossimi alla normalità sino a superiori a 300 mg/dl; quando associata a chetoacidosi, può richiedere dia- gnosi differenziale con il T1DM e con altre forme meno fre- quenti come il diabete mellito non insulino-dipendente a esordio giovanile (maturity onset diabetes of the young, MODY), soprattutto tenendo presente che il 15-20% degli adolescenti ricoverati all’esordio di diabete sono in sovrap- peso7-9. Nella figura 1 è riportato l’algoritmo diagnostico sug- gerito dall’American Diabetes Association (ADA)7.

La successiva evoluzione del T2DM a esordio giovanile è gravata da elevato rischio di comparsa precoce di compli- canze micro- e macroangiopatiche. In un gruppo di 7844 adulti con T2DM, i soggetti con malattia diagnosticata tra 18 e 44 anni presentavano un rischio di microalbuminuria, com- plicanze macrovascolari e infarto miocardico da 2 a 3 volte superiore rispetto ai pazienti con esordio dopo i 45 anni39. Tra gli adolescenti Pima la microalbuminuria è stata riscon- trata nel 22% dei pazienti già alla diagnosi e nel 58% dopo soli 10 anni di malattia, allorché nel 16% era presente macro- proteinura, nel 15% retinopatia e nel 30% ipercolesterolemia.

In Giappone uno studio comparativo condotto su pazienti con T1DM e T2DM a esordio giovanile ha dimostrato che i primi sviluppano maggiormente retinopatia e i secondi nefro- patia7,8. Questo dato è stato confermato in adolescenti australiani affetti da T2DM i quali sviluppano ipertensione e microalbuminuria precocemente anche se in buon compen- so metabolico40. Nella patogenesi delle complicanze vasco- lari dell’obesità e del T2DM dell’adolescente, come dell’adul- to, un ruolo di rilievo è stato attribuito all’infiammazione. Una correlazione diretta tra eccesso ponderale e aumento degli Tabella 2 Sintomi e complicanze correlate all’obesità in età pediatrica.

Sintomatologia a livello d’organo Osteoarticolari

• Ginocchio valgo

• Malattia di Blount

• Epifisiolisi capitale femorale Cutanee

• Dermatiti, dermatosi

• Strie cutanee

• Acanthosis nigricans

• Irsutismo Polmonari

• Sindrome di Pickwick

• Ridotta performance C-R allo sforzo

• Alterazioni dei volumi respiratori

• Disturbi di respirazione durante il sonno

Sintomatologia sistemica secondaria

ad alterata funzione beta-cellulare pancreatica

• ATG, DM di tipo 2

• Dislipidemia

• Steatoepatite non-alcolica (NASH)

• Ipertensione arteriosa

• Maturazione precoce e deficit di GH

• Policistosi ovarica, irsutismo

Problematiche psicosociali

• Isolamento sociale

• Depressione/Frustrazione

• Comportamento oppositivo/Dipendenza

• Bulimia nervosa/Binge eating

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indici di stress ossidativo e dei fattori proinfiammatori (IL-6, proteina C reattiva e fibrinogeno) è stata osservata anche in adolescenti obesi: queste anomalie sono parse peraltro reversibili dopo un programma mirato alla modificazione dello stile di vita41.

Screening e test diagnostici per T2DM in età pediatrica

La diffusione del T2DM nella popolazione pediatrica ha aper- to la discussione sulla necessità di attuare lo screening dei soggetti a rischio e sulle sue modalità di attuazione.

Campagne di screening estese indiscriminatamente alla popolazione pediatrica in sovrappeso non sono ritenute giu- stificabili a causa del loro elevato costo economico.

L’American Diabetes Association e l’American Academy of Pediatrics hanno proposto di attuare lo screening indirizzan- dolo ai soggetti con fattori di rischio per T2DM: dovrebbero pertanto essere sottoposti a valutazione i bambini con sovrappeso superiore all’85° centile per età e sesso (o peso superiore al 120% del peso ideale per la statura) e che abbiano almeno 2 altri fattori di rischio (storia familiare nei parenti di 1° e 2° grado, appartenenza a razza o etnia con alta prevalenza di malattia, segni di insulino-resistenza o condizioni a essa associata come AN, PCOS, ipertensione).

In questa popolazione selezionata a partire dall’età di 10 anni o all’inizio della pubertà è raccomandata annualmente la determinazione di glicemia a digiuno, da ripetere in seguito

ogni 2 anni7. La scelta della glicemia a digiuno come test dia- gnostico, se da un lato è di costo contenuto, non consente di individuare i soggetti negli stadi iniziali di malattia e soprat- tutto di valutare il loro grado di insulino-resistenza e/o di fun- zionalità beta-cellulare. Per lo studio di questi ultimi parame- tri anche nel bambino è necessario ricorrere a test più com- plessi. Il clamp euglicemico-iperinsulinemico è certamente il gold standard ma il costo, la difficoltà e l’invasività della sua esecuzione lo rendono scarsamente accettabile in pazienti di età pediatrica. In alternativa sono stati diffusamente impiega- ti modelli “omeostatici” della sensibilità insulinica, basati sulla determinazione di glicemia e insulinemia a digiuno, tra i quali gli indici HOMA-IR (homeostatic model assessment of insu- lin resistance) e QUICKI (quantitative insulin sensitivity check index27,37,42,43. L’HOMA-IR è il metodo più spesso utilizzato, ma presenta delle limitazioni in quanto:

a causa della notevole variabilità dei valori di insulinemia a digiuno nelle diverse popolazioni ed età, richiede di di - sporre di valori specifici di normalità;

si basa sull’assunto di una equivalenza tra sensibilità epatica e periferica all’insulina, che è stata confutata da diversi studi;

fornisce una valutazione “statica” dell’insulino-resistenza che non consente di esplorare come questa possa esse- re modificata e compensata dalla secrezione insulinica.

L’HOMA-IR è il parametro di prima scelta negli studi su ampie casistiche, ma qualora si voglia esplorare anche il ver- sante della secrezione insulinica, è preferibile ricorrere al test da carico orale o endovenoso di glucosio43. In corso di Figura 1 Algoritmo diagnostico per T2DM.

Glicemia Familiarità per diabete

Obesità

Sì No

C-peptide e insulinemia a digiuno Autoanticorpi

Alti

Sì No Bassi Alti

Bassi No Sì

Autoanticorpi C-peptide e insulinemia a digiuno Sì

T2DM T1DM T1DM idiopatico o MODY T2DM T1DM

immunomediato immunomediato

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OGTT, attraverso la determinazione di glicemia e insulinemia è possibile calcolare diversi indici, quali WBISI (whole body insulin sensitivity index), ISI (insulin sensitivity index) e OGIS (oral glucose insulin sensitivity) che sono stati validati in para- gone al clamp euglicemico-iperinsulinemico. La loro applica- zione in età pediatrica ha dimostrato che indipendentemen- te dalla gravità dell’IR i soggetti a maggiore rischio di evolu- zione verso ATG e/o T2DM sono quelli con deficitaria rispo- sta della fase precoce della secrezione beta-cellulare37.

Terapia dell’obesità e del T2DM in età pediatrica

L’obesità può essere interpretata come il risultato finale delle interazioni vicendevoli tra ambiente, caratteristiche biologiche e comportamento; solo in un limitato numero di pazienti il sovrappeso rappresenta una vera e propria patologia conge- nita individuale, dovuta a difetti monogenici come nel caso delle sindromi di Prader-Willi o di Cohen, del deficit congeni- to di leptina o del sistema oppioide24. Per quanto difficilmen- te quantificabile, l’eccesso ponderale costituisce un costo per la società, che si protrae ben oltre l’età evolutiva. Negli USA i costi annuali associati all’obesità a esordio pediatrico sono più che triplicati nel periodo dal 1979-81 al 1997-99. La spesa sociale di un bambino obeso e di quello con T2DM in Germania è risultata rispettivamente 3 e 8 volte superiore a quella necessaria per eventuali terapie di un coetaneo normo- peso. Questi calcoli teorici sono ovviamente destinati a lievi- tare a dismisura nel bambino obeso diventato adulto con complicazioni32. Se non ci sono dubbi sulla necessità di cura- re il sovrappeso, bisogna ammettere che le strategie terapeu- tiche sino a ora proposte si sono rivelate scarsamente effica- ci e i risultati positivi ottenuti in alcuni protocolli di ricerca non sono facilmente trasferibili nella pratica clinica quotidiana. Più che su rigidi schemi dietetici, l’intervento dovrebbe essere in primo luogo mirato a fornire le regole dell’alimentazione cor- retta (consumo preferenziale di alimenti salutari come la frut- ta e la verdura, riduzione delle porzioni e dei fuori-pasto, sostituzione dei grassi animali con olio d’oliva, contenimento, se non abolizione delle bevande zuccherate). La prescrizione dietetica deve essere il punto di arrivo di un percorso di infor- mazione del bambino, della sua famiglia e dell’ambito più vasto costituito dalla scuola e dalla comunità dei coetanei, e va impostata tenendo conto delle caratteristiche culturali ed economiche della famiglia. Secondo le raccomandazioni dell’ADA i carboidrati e i lipidi dovrebbero fornire il 60-70%

dell’apporto calorico totale con meno del 10% di derivazione da grassi saturi e minimo apporto di grassi trans-saturi, a questo va aggiunto un ulteriore 10% di grassi polinsaturi.

L’apporto giornaliero di colesterolo dovrebbe essere inferiore a 300 mg. Il ricorso a diete fortemente restrittive come quelle a risparmio proteico o chetogene ha scarse indicazioni in età pediatrica e deve comunque essere attuato solo sotto stretta sorveglianza medica. La supplementazione di un qualsivoglia regime dietetico con vitamine, minerali o antiossidanti non è basata su evidenze cliniche44.

Oltre che sull’educazione alimentare, la terapia dell’obesità giovanile si fonda sulla correzione della sedentarietà: qualsia- si forma di aumento della spesa energetica è benefica, sem- pre che l’esercizio fisico sia appropriato e ben accettato dal bambino. Si è calcolato che la riduzione di un’ora del tempo trascorso davanti alla televisione determina un calo di circa 167 chilocalorie nell’assunzione calorica. Il costo energetico di attività fisiche moderate è proporzionale al peso corporeo, ma non alla massa grassa o al metabolismo a riposo. Il bam- bino con grave sovrappeso ha necessità di iniziare la respi- razione anaerobica a un’intensità di esercizio più bassa del coetaneo normopeso, pertanto è consigliabile che pratichi esercizio per un periodo più lungo a un livello di intensità minore32. L’utilità di programmi di esercizio fisico strenuo in soggetti in età evolutiva non è ancora stata dimostrata: in un gruppo di adolescenti sottoposti a esercizio di resistenza (con sessioni di 20 minuti tre giorni alla settimana per 3 mesi) si è ottenuta una riduzione del grasso viscerale con solo un modesto non significativo miglioramento dell’insulinemia e della tolleranza glicemica45. Le modificazioni dello stile di vita, i cui benefici effetti sul piano metabolico cominciano a ren- dersi evidenti dopo alcune settimane anche dopo un calo ponderale anche di modesta entità (intorno a 4 kg) richiedo- no il coinvolgimento di tutto il nucleo familiare e un’attenta considerazione delle eventuali problematiche emozionali del bambino. I bambini/adolescenti che maggiormente necessi- tano di supporto solo quelli che, pur riconoscendo la propria obesità come un problema, hanno difficoltà nel contenere il bisogno compulsivo di alimentarsi o che hanno disturbi del controllo neuroendocrino dell’appetito. Le conoscenze sulla regolazione dell’appetito stanno crescendo molto rapida- mente: oggi sappiamo che la spinta all’alimentazione è mediata dal neuropeptide Y, dalla GHrelina, dall’oressina, mentre le melanocortine, l’ormone stimolante la alfa-melano- cortina, la colecistochinina, il GLP-1 e il peptide YY3-36 sono coinvolti nella sazietà. Una ridotta soppressione del livello di GHrelina e un aumento di PYY dopo pasto è stata osservata in adolescenti di origine afro-americana suggeren- do che anormalità geneticamente determinate della regola- zione della fame/sazietà predispongano allo sviluppo di obe- sità. Nell’adulto obeso l’impiego di analoghi di GLP-1 (exe- natide) e/o di inibitori della lipasi gastrointestinale (orlistat) sono utilizzati con risultati promettenti, ma la loro prescrizio- ne negli adolescenti, al di fuori di sperimentazioni cliniche controllate, è molto discussa. Attualmente non esistono linee guida specifiche per la selezione dei pazienti pediatrici obesi da sottoporre a terapia farmacologica. La decisione in tale senso dovrebbe essere presa dopo una scrupolosa valuta- zione della storia familiare, della situazione metabolica e psi- cosociale, delle eventuali risposte a precedenti interventi di modificazione dello stile di vita32.

La comparsa di T2DM nell’adolescente impone un notevole impegno per l’equipe curante che deve adottare programmi strutturati di educazione terapeutica, valutare attentamente la presenza di situazioni disfunzionali nella famiglia, definire la strategia di automonitoraggio glicemico. La dieta, l’esercizio fisico e il controllo del peso costituiscono i capisaldi della cura e, se adeguatamente attuati sino dalla diagnosi, possono

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migliorare non solo la glicemia, ma anche altri fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione arteriosa e la dislipide- mia. Esiste un sostanziale accordo, per cui la terapia del T2DM in età pediatrica deve essere impostata secondo un algoritmo dettato dalla situazione clinica del paziente7-9,46,47. Nell’adolescente in buone condizioni generali nel quale la diagnosi avvenga in occasione di visita occasionale o di screening mirato, il primo provvedimento da attuare per un periodo di circa 2-3 mesi è un programma di modificazione dello stile di vita che, se efficace, va mantenuto nel tempo con controlli trimestrali del peso e del compenso metabolico.

Il successo di questo intervento è limitato a non più dell’8- 10% dei pazienti: molti adolescenti hanno difficoltà a modifi- care lo stile di vita o a mantenere nel tempo l’adesione alle indicazioni terapeutiche.

In caso di insuccesso o nell’adolescente con sintomatologia clinica modesta e situazione metabolica non gravemente scompensata (emoglobina glicosilata, HbA1c< 7,5%) è con- sigliabile ricorrere a terapia farmacologica. Attualmente l’uni- co farmaco approvato per l’uso in età pediatrica dalla Food and Drug Administration (FDA) americana e dall’European Medicine Agency (EMEA) è la metformina (Mtf), in grado di migliorare la glicemia e i valori di HbA1c, LDL colesterolemia e trigliceridemia senza indurre rischio di ipoglicemia e aumento di peso. Uno studio randomizzato in doppio cieco della durata di 16 settimane ha dimostrato la sua efficacia e sicurezza in pazienti di età compresa tra 10 e 16 anni: il miglioramento della glicemia è stato osservato a partire dopo 2 settimane di terapia, iniziata alla dose di 500 mg/die e sali- ta gradualmente sino a un massimo di 2 g/die. A causa del suo effetto sull’insulino-resistenza, la Mtf è stata impiegata anche in adolescenti non diabetiche con PCOS48. Nel 25%

dei pazienti trattati con Mtf sono stati segnalati effetti collate- rali a livello gastrointestinale (diarrea e crampi addominali), peraltro di modesta entità e a graduale risoluzione. Studi a lungo termine sono comunque necessari: in adolescenti indiano-canadesi, infatti, la terapia con Mtf condotta per un anno ha determinato un miglioramento solo modesto dell’HbA1ce del peso corporeo49. Se la monoterapia con Mtf si dimostra inefficace dopo un periodo di 3-6 mesi, si può considerare l’aggiunta di un altro ipoglicemizzante orale del tipo sulfonilurea, meglitinide o tiazolidendioni, tenendo peral- tro presente che non sono stati ancora pubblicati studi sulla terapia combinata negli adolescenti. L’acarbose, un inibitore dell’alfa-glucosidasi, infine, è poco utilizzato nel bambino e adolescente anche in considerazione del fatto che determi- na sintomatologia gastrointestinale fastidiosa46,47.

In caso di insuccesso dei precedenti approcci terapeutici e nell’adolescente con sintomatologia clinica evidente (disidra- tazione, chetosi, acidosi, glicemia > 300 mg% e HbA1c

> 7,5%) è obbligatorio l’impiego di insulina. A causa dell’in- sulino-resistenza tipica del T2DM possono essere necessa- rie dosi relativamente elevate di insulina (> 1 U/kg di peso);

l’associazione di insulina regolare o di analoghi ad azione rapida prima dei pasti e insulina o analoghi ad azione lenta costituisce lo schema terapeutico più efficace, pur compor- tando un aumento di peso e di rischio di ipoglicemia. Nel paziente di nuova diagnosi, superato lo scompenso iniziale,

all’insulina va associata la somministrazione di Mtf, che diventa l’unico farmaco quando con il miglioramento della glicemia si può sospendere la terapia iniettiva.

Terapia delle complicanze

e delle patologie associate a T2DM in età pediatrica

L’elevato rischio di sviluppare precocemente la malattia cardio- vascolare impone che l’adolescente con T2DM sia sottoposto a screening annuale del fondo oculare e della microalbuminu- ria, oltre che a controllo ed eventuale trattamento dei valori della pressione arteriosa e del profilo lipidico. Il mantenimento di un adeguato compenso glicemico è ovviamente il principale mezzo per ridurre il rischio di progressione della malattia e a esso vanno aggiunti ulteriori interventi solo quando necessari.

La prevalenza di diverse forme di dislipidemia è notevolmen- te elevata in bambini e adolescenti obesi, soprattutto qualo- ra sia presente anche T2DM47. Secondo le linee guida dell’ADA per la terapia della dislipidemia nel bambino sono da considerare ottimali valori di LDL-colesterolo < 100 mg/dl (= 2,6 mmol/L), HDL-colesterolo > 35 mg/dl (= 0,9 mmol/L) e trigliceridi < 150 mg/dl (= 1,7 mmol/L). In presenza di valo- ri anormali, si raccomanda di impostare una rigorosa osser- vanza della dieta e di mettere in atto ogni provvedimento in grado di migliorare la situazione metabolica. Se dopo 6 mesi non si ottengono risultati e/o il tasso di LDL permane > 160 mg/dl (= 4,1 mmol/L), si consiglia l’utilizzo di resine. Nei sog- getti che dopo 6 mesi presentano valori di LDL compresi tra 130-159 mg/dl (= 3,4-4,1 mmol/L) il ricorso a farmaci è indi- cato solo se presenti ulteriori fattori di rischio cardiovascola- re50. L’American Academy of Pediatrics nel 2008 ha propo- sto di abbassare da 10 a 8 anni l’età nella quale è possibile iniziare la terapia farmacologica e di includere le statine tra i farmaci potenzialmente di prima scelta nel trattamento della dislipidemia51. Questa presa di posizione ha ricevuto diverse critiche da molti esperti e pertanto l’impiego di statine in età pediatrica necessita di ulteriori verifiche52.

Il riscontro di ipertensione (definita in soggetti di età pediatri- ca da valori sistolici e diastolici superiori al 95° centile per età, sesso e statura in 3 misurazioni) non responsiva a modi- ficazione dello stile di vita e miglioramento del compenso gli- cemico, impone come prima scelta la somministrazione di ACE-inibitori; gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II sono farmaci di seconda intenzione, ma la loro efficacia e sicurezza in età pediatrica non è ben definita.

Sebbene infine nell’adolescente con T2DM siano stati ripor- tati segni di ipercoagulabilità, l’ADA suggerisce di non utiliz- zare l’impiego di aspirina al di sotto dei 20 anni3,7,8.

Conclusioni

Sino ad alcuni anni fa, il T2DM era considerato una patolo- gia esclusiva dell’adulto, ma la diffusione epidemica dell’obe-

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sità ne ha determinato la precoce comparsa in età pediatri- ca. Inizialmente osservato in giovani appartenenti a minoran- ze etniche, il T2DM sta cominciando a essere diagnosticato nella popolazione europea in un numero limitato di adole- scenti obesi che potrebbero rappresentare la punta di un iceberg la cui dimensione apparirà evidente in un prossimo futuro. In effetti numerosi studi hanno evidenziato che una percentuale non trascurabile di bambini in sovrappeso mani- festa alterata tolleranza glicidica che, se non corretta, può evolvere verso l’iperglicemia. L’insulino-resistenza e, secon- do recenti segnalazioni, il difetto di secrezione beta-cellulare sono i fattori che correlano l’obesità al T2DM e nella loro genesi intervengono fattori genetici e ambientali. Soprattutto gli adolescenti con obesità grave a inizio nei primi anni di vita e con familiarità per diabete sono a più elevato rischio di veloce progressione da ATG a iperglicemia. Un’ulteriore con- seguenza dell’eccessivo aumento di peso nella popolazione pediatrica è la crescente diffusione di componenti della SM che non solo peggiorano il rischio di T2DM, ma sono anche un segno premonitore di possibile progressione verso la malattia cardiovascolare. L’utilizzo dei criteri di classificazio- ne della SM in età pediatrica, messa a punto dall’IDF nel 2007, può fornire l’opportunità di valutare la sua diffusione e di elaborare strategie di prevenzione.

Se esistono chiare dimostrazioni che modificando lo stile di vita e ricorrendo a terapia farmacologica si può prevenire il diabete nell’adulto, l’intervento in età pediatrica deve essere indirizzato a una sua prevenzione primaria attraverso il con- tenimento della diffusione del sovrappeso/obesità. La pro- mozione dell’allattamento al seno, che riduce l’eccessivo introito calorico e che migliora la sensibilità insulinica a causa del suo elevato contenuto di grassi polinsaturi, è il primo passo da adottare a questo proposito. Studi condotti in popolazioni ad alto rischio hanno infatti evidenziato una ridotta prevalenza di T2DM in bambini allattati al seno53. Il latte materno inoltre sembra in grado di ridurre il rapporto peso/statura, lo spessore delle pliche cutanee e il valore medio di glicemia sino all’età di 2 anni32. Nelle età successi- ve la prevenzione dell’obesità si fonda su una serie di inter- venti che vedono coinvolti la famiglia, gli operatori sanitari, la scuola e i responsabili della sanità.

Al medico di famiglia spetta il compito di valutare periodi- camente lo sviluppo staturo-ponderale del bambino e di individuare, tra coloro che iniziano a presentare una signi- ficativa deviazione dei centili di normalità, i soggetti che per caratteristiche familiari e personali sono a maggior rischio di successiva evoluzione peggiorativa. Con i genitori del bambino occorre a questo punto concordare una serie di obiettivi realistici, che consentano di migliorare lo stile di vita. Il coinvolgimento della famiglia è essenziale per capi- re quali sono le motivazioni alla base dell’eccesso ponde- rale, qual è la valutazione che ogni componente del nucleo dà del sovrappeso, qual è la disponibilità al cambiamento dello stile di vita. Come dimostrato da alcune evidenze, il ruolo della scuola è di non minore importanza. Campagne mirate a favorire l’educazione nutrizionale e l’attività fisica in allievi delle scuole medie e superiori hanno determinato una riduzione della prevalenza dell’obesità (da 16,6 a

14,6%) nella fascia di età 11-12 anni e dal 15,5 al 13,1%

in quella 15-16 anni54. Accanto a interventi individuali e di comunità sono comunque necessari anche indirizzi legisla- tivi, rivolti a migliorare l’educazione alimentare, incentivare l’esercizio fisico, ridurre la diffusione di prodotti e di “mode”

non salutari e promuovere l’individuazione dei bambini obesi a rischio di sviluppo di T2DM mediante screening selettivo.

Una volta che il T2DM sia stato diagnosticato nel soggetto giovane, è compito dell’equipe curante mettere in atto tutti gli interventi indispensabili per motivare il paziente e la sua famiglia a modificare il proprio stile di vita e, in caso di insuc- cesso, aderire alle altre possibili terapie, attualmente limitate alla metformina e all’insulina che trova la sua principale indi- cazione nello scompenso metabolico all’esordio.

In considerazione del presumibile aumento di diffusione del T2DM nella popolazione pediatrica nei prossimi anni, l’IDF, nel Workshop 2003, ha sottolineato la necessità di:

migliorare la definizione dell’entità della malattia e della sua eziopatogenesi;

standardizzare i criteri di classificazione e i metodi di dia- gnosi, determinando in particolare il ruolo dell’OGTT nello studio di pazienti asintomatici;

valutare il costo e l’impatto emozionale dell’eventuale screening;

studiare la sicurezza e l’efficacia degli ipoglicemizzanti orali nel bambino e adolescente con T2DM;

determinare attraverso studi multicentrici controllati il ruolo della terapia insulinica;

sviluppare strategie innovative di intervento per il bambi- no e la sua famiglia, che garantiscano un persistente miglioramento dello stile di vita e siano in grado di preve- nire la diffusione dell’obesità nella popolazione7.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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