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Rinnovamento nello Spirito Santo - Diocesi di Milano - Gesù è il Signore!

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Academic year: 2022

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Rinnovamento nello Spirito Santo - Diocesi di Milano -

Gesù è il Signore!

Schema Predicazione del Coordinatore Diocesano Alessandro Mori Seminario di Vita Nuova parrocchiale - Cassano Valcuvia, 8 maggio 2022

Quanti padroni finisce con l’avere, chi rifugge dall’unico Signore!

(Ambrogio)

1. L’ENIGMADI TOMMASO

Vorrei iniziare andando alla “sera di quel giorno” (Gv 20,19a); l’ottavo giorno nel quale siamo continuamente rigenerati. Tommaso, protagonista di questa vicenda pasquale, ci fa compagnia.

Come noi, anche Tommaso giunge a quel giorno avendo ricevuto l’annuncio che abbiamo ascoltato fin qui: l’amore incondizionato di Dio; il peccato che ci assedia; l’unica salvezza possibile; il credere come esigenza; la necessità di conversione. Tommaso però ci mostra che questo non basta: occorre prendere una decisione.

“Non è una mancanza di fede, un atteggiamento da incredulo, ma una ricerca di verifica, di intelligente verifica, tanto è vero che il Signore Gesù lo accontenta. La richiesta formulata da Tommaso viene ascoltata da Gesù” (Claudio Doglio).

Tommaso, come noi, è assente all’evento: “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù” (Gv 20,24). Sui presenti viene effuso lo Spirito (cfr Gv 20,22) ma su Tommaso? Nella prima parte del brano notiamo una sorta di passività dei discepoli: l’unico a proferire parola è il Risorto. La prima effusione è come subita dalla cerchia dei suoi. Sarà Tommaso - il più moderno dei discepoli - a fare professione di fede ottenendogli il dono dello Spirito:

“Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28b).

Non è una generica professione ma ha una forte valenza personale: mio.

“Ciò che Tommaso ha creduto non era quello che ha visto. Infatti, la divinità non può essere vista dall’uomo mortale. Dunque egli ha visto l’uomo e ha riconosciuto Dio” (Gregorio Magno).

E’ la scelta che dobbiamo intraprendere anche noi, figli dell’ottavo giorno (cfr Gv 20,26a), figli di quelle eterne piaghe d’ammanco che ci è chiesto di abitare: per ricevere lo Spirito dobbiamo saper dimorare in questi segni.

“Cristo avrebbe potuto risanare le ferite della sua carne al punto da non fare apparire neppure le impronte delle cicatrici. Aveva il potere di non mantenere nelle sue membra il segno dei chiodi, di non mantenere la ferita del costato. Ma permise che quelle cicatrici rimanessero nella carne perché fosse tolta dai cuori degli uomini la ferita della miscredenza e perché i segni delle ferite lasciassero un'impronta nell’animo”

(Agostino).

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2. ILTITOLODI ΚΎΡΙΟΣ

La testimonianza di uno dei più antichi inni in nostro possesso, verosimilmente utilizzato in alcune comunità primitive, ce la offre Paolo:

“umiliò se stesso [Cristo] facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,8-9).

L’inno cristologico riportato nella Lettera ai Filippesi è una testimonianza importante circa l’identità di Gesù alla luce della risurrezione. Quale è questo nome che il Padre gli dona? E’ il titolo di Κύριος - Signore.

Tale titolo, a ragione, è utilizzato sempre in riferimento a Cristo nella liturgia; questo ci può portare, però, a darlo per scontato, senza alcuna aderenza del cuore.

“Per capire bene che cosa significhi questo titolo di «Signore», dobbiamo ricordare che quando Mosè davanti al roveto ardente domandò a Dio quale fosse il suo nome, Dio rispose : «Io-Sono è il mio nome». Un nome che però i nostri fratelli maggiori, gli ebrei, ancora oggi ritengono indicibile e impronunciabile, e che sostituiscono immancabilmente con Adonai, in greco Kyrios, in italiano Signore” (Francesco Lambiasi).

Pertanto il titolo Signore è il nome proprio di Dio e, grazie all’esperienza pasquale, ora lo è identitariamente e pienamente anche per Cristo. Dire che Lui è il Signore significa professare la sua identità divina affinché “sia lui ad avere il primato su tutte le cose” (Col 1,18d).

“Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall’inizio, che la potenza, l’onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di

«natura divina» (Fil 2,6) e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria” (CCC 449).

3. LADUPLICECONDIZIONE

E’ sempre Paolo ad offrirci una duplice condizione:

“Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,9-10).

Prima condizione: credere/cuore. Seconda condizione: proclamare/bocca. Le due condizioni che Tommaso fa sue.

4. GESÙÈIL SIGNORE

Gesù stesso aveva preparato i suoi al proprio addio:

“E’ bene per voi che io me ne vada” (Gv 16,7a).

Lo dice in riferimento allo Spirito. C’è convenienza in questo Suo andare, convenienza per noi. La Sua morte e risurrezione ci è conveniente per due ragioni: il dono dello Spirito viene “sciolto” da riservatezza; Egli è costituito

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“Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36).

E’ la sua obbedienza filiale a conferirgli il “nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,9): Signore. Egli è Signore

• sul tempo: passato, presente, futuro

• sul mondo visibile e invisibile: vivi e morti, angeli e santi, Satana e demoni

• sulla creazione: uomini, animali, piante, terra

“Tutti gli esseri ti rendono omaggio, o Dio, quelli che parlano e quelli che non parlano, quelli che pensano e quelli che non pensano. Il desiderio dell’universo, il gemito delle cose, salgono verso di te. Tutto quanto esiste, Te prega e a Te ogni essere che sa vedere dentro la tua creazione, un silenzioso inno fa salire a Te”

(Gregorio Nazianzeno).

5. CHEINSOLITASIGNORIA

Possiamo ora affermare che, oltre ad essere Signore, Gesù è anche un gran signore. Prova di ciò, forse la più luminante di tutta la narrazione evangelica, è quel gioiello incastonato nella seconda parte del vangelo di Giovanni: e più precisamente la sezione Gv 13-17 conosciuta come la sezione dei discorsi di addio.

“I discorsi d'addio di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni hanno la forma di una specie di testamento di Gesù, consegnato ai discepoli. Il suo discorso ‘edificante’ è raccolto tutto in questi ultimi capitoli, racchiusi nella cornice della Cena. Giovanni non ricorda, stranamente, il senso del gesto della frazione del pane e della benedizione del calice; i lunghi discorsi della Cena assolvono al compito di articolare il senso di quel gesto”

(Giuseppe Angelini).

In questa ricca sezione possiamo cogliere alcuni gesti e parole - rivelazione - del vero volto del Divino; del suo modo proprio di essere Signore.

• La vera icona di Dio quale Abbà di Gesù. Nel gesto della lavanda dei piedi (cfr. Gv 13,1-17) abbiamo la narrazione più splendida di Dio: “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto” (Gv 13,4-5). I sette verbi mostrano un crescendo d’intensità senza pari; per Giovanni questa è la vera trasfigurazione rivelativa. La ritrosia di Pietro dice tutta la portata di questo gesto inaspettato e imprevisto. La signoria di Cristo è mostrata a terra, di fronte ai suoi, guardandoli dal basso verso l’alto. Ogni piano tradizionale viene capovolto.

• Il potere dell’amore. L’alleanza nuova è stipulata attraverso il comandamento nuovo (cfr Gv 13,34-35).

Paolo ne darà esegesi mirabile: “chi ama l'altro ha adempiuto la Legge. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità” (Rm 13,8b.10). Qui però ci è dato il come: “Come io ho amato voi” (Gv 13,34b). Purtroppo la traduzione italiana non rende giustizia all’origine greco:

comandamento - del resto come si può comandare di amare qualcuno? - suona più come im-posizione, come qualcosa posto dentro anche se in italiano questo termine ha assunto solo un’impronta negativa. Un termine inglese ormai d’uso comune ci dà accezione positiva: input. Quello che Gesù lascia è propriamente un nuovo input, un nuovo modo d’intendersi e sentirsi in comune; un nuovo potere - dynamis - che ci rende possibile ciò che da soli non siamo in grado di fare: amare alla misura divina.

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• Via e meta. In questa rivelazione ultima Cristo stesso si mostra come via (cfr Gv 14,6), l’unica percorribile incontro al Padre. In tale esclusivismo cristologico vi è, in realtà, un inclusivismo universale: tale via è data a tutti. Risuonano qui le parole dell’inno: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio” (Fil 2,6). Non è un Signore tanto geloso da tenere per sé la propria condizione ma ne fa dono a tutti. L’accesso al Divino, inaudito per i giudei, diviene la possibilità - unica - di compimento dell’umano.

• Continuità storica. La dipartita non si pone, come ci aspetteremmo, nella linea dell’interruzione. La promessa (cfr Gv 14,12-14) è che Cristo continuerà, nella mediazione della comunità dei discepoli, la propria opera. Anzi “ne compirà di più grandi di queste” (Gv 14,12b); ad essere promessa è una generatività attiva, una progressione storica che attesterà una continua presenza del Signore. Tale continuità è assicurata dal fattore carismatico che investirà la comunità.

• L’altro Paràclito. Vi è una sorta di lascito: “non vi lascerò orfani” (Gv 14,18a). Chi permetterà tale continuità sarà lo Spirito; ben cinque discorsi (cfr Gv 14,15-16; 14,26; 15,26-27; 16,7-8; 16,13-15) regalano un protagonismo allo Spirito sintetizzato in sette verbi: rimanere, insegnare, ricordare, testimoniare, dimostrare, annunciare, glorificare. Ad essere promesso è la stessa energia, lo stesso principio che era in Cristo. E’ lo stesso Spirito che agiva in lui che agisce ora in noi e che ci fa dire: “Gesù è Signore!” (1Cor 12,3b).

• Il principio vitale. L’immagine della vite e dei tralci (cfr Gv 15,1-11) ci offre un ulteriore spunto di riflessione circa il legame vitale, inscindibile, tra Cristo e la comunità. La potenza evocativa data dall’immagine campestre è chiara: come risulta impossibile distinguere i tralci dalla vita, essendo un tutt’uno, così ora dev’essere per la comunità; Cristo e discepoli sono, nella differenza, un’unica carne - corpo - che produce frutto.

• Una preghiera sempiterna. Ormai avviato verso la decisione propria della sua ora, Cristo pronuncia parole che superano spazio e tempo, in un divenire cosmico. La preghiera finale (cfr Gv 17) è la preghiera continua, mai conclusa, che il Figlio continua ad elevare al Padre; essa è dichiarazione del suo agire, sintesi del suo ministero: “egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,25b). Tale preghiera è detta sacerdotale in quanto è il Figlio che continua ad offrire l’intera umanità al Padre in segno di perenne alleanza. “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola:

perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,20-21).

6. GESÙÈILMIO SIGNORE

E’ necessario fare una scelta, prendere una decisione. Non basta riconoscerlo genericamente come il Signore. Egli deve diventare il mio Signore affinché sia Lui a prendere autorità su di noi.

La verità è che ognuno di noi ha un suo “regno” nel quale è bello poter comandare e decidere: la mia famiglia, il mio lavoro, il mio conto in banca, i miei amici, la mia casa, mia moglie,…

“Chi si colloca al centro del mondo cade sulla propria frontiera” (Alda Merini).

Reclamiamo territori esclusivi che soltanto noi conosciamo e nei quali solo noi entriamo. Proclamare Gesù come Signore significa consegnarli il nostro trono e riconoscere la sua autorità sulla nostra vita: lavoro, denaro, sesso,

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7. LASCELTA

Affinché non rimanga solo come slogan, tale proclamazione è una consegna al 100% di ogni area della nostra vita.

Non è possibile una trattativa: Cristo è intrattabile! Tutto o niente. Se accettiamo occorre conoscere il prezzo fin dall’inizio: la vita.

“Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8,35).

Tale proclamazione sarà allora la testimonianza personale di quanto Cristo ha operato in noi. Dire che Gesù il Signore significa dire che noi vediamo continuamente la Sua opera in noi. La nostra resa a Lui.

La proclamazione è fatta

• pubblicamente: si deve proclamare davanti alla comunità

• ad alta voce: perché gli altri siano testimoni che siamo sottomessi a Gesù Signore

• con orgoglio: con la certezza che siamo privilegiati ad avere un Signore che non ci domina ma che ci libera

Centralità del kerygma, la signoria di Gesù in noi implica piena sottomissione alla sua autorità in modo da poter pronunciare, senza riserve, quanto dirà Paolo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20a).

Sì, noi vogliamo ancora annunciare e servire ciò in cui crediamo:

Gesù, il Signore, che opera con potenza,

che accredita la Sua Parola con segni, miracoli, prodigi,

che rende capaci e forti i Suoi discepoli mediante i carismi elargiti dal Suo Santo Spirito!

(Salvatore Martinez)

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