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Equazione di stato e coesistenza di fase in sistemi di particelle

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Academic year: 2021

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Universit`a degli Studi di Bari Aldo Moro

Dipartimento Interuniversitario di Fisica Corso di Laurea Magistrale in Fisica Teorica

Equazione di stato e coesistenza di fase in sistemi di particelle

passive e autopropulse

con interazione di volume escluso

Tesi di Laurea

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Giuseppe Gonnella

Laureanda:

Isabella Petrelli

Anno Accademico 2016/2017

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Indice

Introduzione 2

1 Materia attiva, pressione e scenario KTHNY per le transizioni di fase in due

dimensioni 5

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali . . . . 5

1.1.1 Il teorema di Mermin Wagner . . . . 5

1.1.2 Lo scenario KTHNY per il modello XY . . . . 7

1.1.3 Fusione di un cristallo bidimensionale . . . . 12

1.2 Materia attiva . . . . 18

1.2.1 Esempi di sistemi attivi . . . . 18

1.2.2 Modellizzazione teorica . . . . 21

1.3 La pressione nel modello cinetico e nella teoria degli ensemble . . . . 25

1.3.1 Scopo della tesi . . . . 28

2 Colloidi e dumbbell 30 2.1 Colloidi attivi e passivi . . . . 30

2.1.1 Singolo colloide passivo . . . . 31

2.1.2 Colloidi attivi interagenti . . . . 34

2.2 Il modello delle dumbbell . . . . 36

2.2.1 Singola dumbbell passiva . . . . 36

2.2.2 Singola dumbbell attiva . . . . 40

2.2.3 Il modello delle dumbbell interagenti . . . . 43

2.3 Algoritmi per l’integrazione numerica delle equazioni del moto . . . . 44

2.3.1 Parametri di controllo . . . . 48

2.4 Diagramma di fase delle dumbbell interagenti . . . . 52

2.5 Necessità di una descrizione termodinamica . . . . 60

1

(3)

Indice 2

3 Pressione di un sistema di colloidi passivi 62

3.1 Dinamica newtoniana . . . . 63

3.1.1 Sistema confinato . . . . 63

3.1.2 Condizioni di bordo periodiche . . . . 67

3.2 Dinamica di Langevin non sovrasmorzata . . . . 78

3.2.1 Sistema confinato . . . . 79

3.2.2 Sistema periodico . . . . 80

3.3 Dinamica di Langevin sovrasmorzata . . . . 82

3.3.1 Sistema confinato . . . . 83

3.3.2 Sistema periodico . . . . 84

3.3.3 Risultati numerici . . . . 84

4 Pressione di un sistema di dumbbell passive 90 4.1 Pressione atomica e pressione molecolare . . . . 90

4.2 Sistema di dumbbell . . . . 94

4.2.1 Dinamica di Langevin non sovrasmorzata . . . . 94

4.2.2 Dinamica di Langevin smorzata . . . . 96

5 Pressione di un sistema attivo 97 5.1 Sistema di colloidi autopropulsi . . . . 97

5.1.1 Dinamica sovrasmorzata . . . . 98

5.1.2 Dinamica di Langevin non sovrasmorzata . . . 110

5.2 Pressione in un sistema di dumbbell attive . . . 113

5.3 La pressione è una funzione di stato? . . . 116

Conclusione 123 A Derivazione classica della pressione 125 A.1 Il principio di equipartizione e il teorema del viriale . . . 125

A.2 Calcolo della pressione in termini della funzione di correlazione . . . 126

Bibliografia 130

(4)

Introduzione

Uno degli obiettivi fondamentali della meccanica statistica è stato a lungo la possibilità di de- scrivere stati di equilibrio in termini di un numero limitato di variabili termodinamiche, inferire le proprietà medie di un sistema macroscopico a partire dal dettaglio microscopico dei suoi costituenti. La meccanca statistica trova applicazione anche in sistemi che sono portati fuori dall’equilibrio da perturbazioni esterne, come condizioni di bordo non omogenee o campi esterni.

Quando il sistema è vicino all’equilibrio, ossia è allontanato dallo stato di equilibrio da piccole perturbazioni, tenderà a rilassare verso di esso in maniera esponenziale. La risposta del sistema alle forze che l’hanno perturbato sarà lineare e molti degli strumenti della meccanica statistica di equilibrio saranno ancora applicabili. È in quest’ambito che trova applicazione l’approccio di Onsager ed in cui valgono i teoremi di fluttuazione e dissipazione. Quando viene a cade- re la possibilità di tenere in considerazione soltanto deviazioni lineari dall’equilibrio, perché le perturbazioni non possono più essere considerate piccole, il sistema considerato si dirà lontano dall’equilibrio e nuovi peculiari effetti emergeranno nella sua evoluzione. Gli sviluppi attuali del- la meccanica statistica offrono la possibilità di studiare le fluttuazioni, ovvero le deviazioni dal comportamento medio del sistema. Anche se il sistema è globalmente molto lontano dall’equi- librio, spesso si fa riferimento ad un equilibrio termodinamico locale che permette di applicare, almeno a questo livello, tutti i concetti termodinamici familiari prestando cura ad includere nella descrizione i fenomeni irreversibili che si verificano a livello microscopico. La materia attiva è sicuramente una delle classi di sistemi di non equilibrio più studiati. I sistemi attivi sono sistemi a molte particelle costretti fuori dall’equilibrio da processi che coinvolgono i singoli costituenti e per questo manifestano comportamenti molto diversi dai sistemi di non equilibrio passivi, in cui il bilancio dettagliato non è rotto a livello microscopico. Le unità individuali che compongono i sistemi attivi consumano energia, assorbita dall’ambiente circostante o da una propria riserva, per produrre lavoro meccanico. Essendo capaci di controllare il proprio comportamento, queste unità autopropulse (come, ma non soltanto, i sistemi viventi) mostrano proprietà dinamiche in- solite che si riflettono in proprietà di non equilibrio nuove rispetto alle loro controparti passive:

comportamenti collettivi, transizioni tra fasi con ordine diverso, fluttuazioni statistiche insolite, nuove proprietà meccaniche e reologiche. Le simulazioni numeriche sono state negli ultimi anni il principale strumento per studiare il diagramma di fase dei sistemi attivi, mentre un quadro

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Indice 4

termodinamico capace di prevederne il comportamento ancora manca a causa della loro comples- sità e della varietà dei nuovi fenomeni emergenti.

Nel tentativo di costruire un quadro termodinamico coerente per i sistemi attivi si incontrano diverse difficoltà concettuali, poiché in linea di principio le variabili termodinamiche non sono ben definite in questo contesto. Nonostante ciò negli ultimi anni è stato possibile introdurre in maniera coerente un concetto di temperatura effettiva e di potenziale chimico. Particolare attenzione è stata riservata alla nozione di pressione nei sistemi attivi. La definizione classica di pressione come forza per unità di superficie esercitata dal sistema sulle pareti che lo conten- gono sembra a prima vista porre poche difficoltà concettuali e sembra poter essere estesa senza problemi anche ai sistemi molto lontani dall’equilibrio. Un’espressione coerente per la pressione sarebbe fortemente desiderabile perché permetterebbe di poter scrivere un’equazione di stato anche in questa classe di sistemi e di poter ad esempio studiare senza ambiguità le transizioni di fase che manifestano.

Questa tesi rappresenta soltanto il primo passo lungo questo ambizioso percorso. In partico- lare l’elaborazione di un’equazione di stato per il caso dei colloidi permetterebbe di studiare l’evoluzione del diagramma di fase del sistema passivo quando si introduce una piccola attività.

Sebbene infatti il comportamento di questo tipo si sistemi ad alti valori della forza attiva sia stato ampiamente studiato, non c’è ancora accordo su cosa accada in prossimità del limite pas- sivo. Recentemente è stata avanzata l’ipotesi [41] che la zona di coesistenza evolva in maniera continua, senza discontinuità nel diagramma di fase.

Parallelamente si cercherà di scrivere un’espressione analitica per un sistema di dumbbell passive in modo da studiare il carattere della transizione di fase che manifesta. Si discuterà infine la possibilità di generalizzare questa formulazione ad un sistema di dumbbell attive.

La tesi è organizzata nel modo seguente:

• Nella prima parte del primo capitolo si introdurrà il ricco scenario che caratterizza le tran- sizioni di fase in due dimensioni che vedremo non essere legate alla semplice rottura di un gruppo di simmetria. Successivamente si presenterà una breve introduzione sulla materia attiva, esplorando la sua fenomenologia e i diversi livelli di descrizione teorica entro i quali è possibile inquadrarla. Infine spiegheremo il ruolo che avrà la pressione nella comprensione della fenomenologia delle transizioni di fase delle differenti classi di sistemi.

• Nel secondo capitolo presenteremo una descrizione dettagliata del modello delle dumbbell seguendo i lavori di G. Gonnella, L.F. Cugliandolo, A. Suma et al. [28, 29, 31, 32]. Una grande varietà di fenomeni si manifestano in questo particolare sistema di particelle au- topropulse: a partire da una dinamica rotazionale e traslazionale particolarmente ricca a fenomeni di aggregazione indotti dalla mobilità.

(6)

Indice 5

• Nel terzo e nel quarto capitolo concentreremo i nostri sforzi nella definizione coerente della pressione in un sistema di colloidi e di dumbbell passivi, sia in presenza di pareti che in sistemi periodici. Si sfrutteranno metodi viriali che si prestano bene ad essere generalizzati ai sistemi attivi.

• Infine nel quinto capitolo affronteremo il problema della pressione nei sistemi attivi. Ve- dremo come sia possibile trovare una definizione coerente nel caso di particelle attive brow- niane sferiche e dei problemi che emergono nel momento in cui le particelle siano elongate o vengano introdotti momenti torcenti nella loro dinamica.

Questo lavoro di tesi si concentrerà principalmente sulla formulazione analitica del problema esposto, rimandando ad un secondo momento la maggior parte delle simulazioni necessarie per rispondere alle domande che ci siamo posti.

(7)

Capitolo 1

Materia attiva, pressione e scenario KTHNY per le transizioni di fase in due dimensioni

In questo primo capitolo esporremo gli obiettivi di questo lavoro di tesi. Al fine di comprendere le ragioni dello studio proposto, forniremo un quadro generale del comportamento dei sistemi bidimensionali passivi, prestando particolare attenzione al complesso scenario delle transizioni di fase che possono subire. Lo studio di questi sistemi è essenziale per comprendere il ruolo dell’autopropulsione nella loro controparte attiva, a cui sarà dedicata la seconda parte di questo capitolo. Dopo una breve descrizione della fenomenologia della materia attiva, getteremo le prime basi teoriche per la descrizione dei sistemi attivi. L’ultima parte sarà infatti dedicata alla pressione, una grandezza termodinamica che gioca un ruolo privilegiato, come sarà chiaro in seguito, nello studio del comportamento di tali sistemi.

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali

1.1.1 Il teorema di Mermin Wagner

In generale non c’è motivo per cui lo stato fondamentale di un sistema debba mostrare le stes- se simmetrie dell’hamiltoniano. Si consideri ad esempio un ferromagnete di Ising: un reticolo cristallino infinito di momenti di dipolo magnetico la cui interazione con i momenti vicini tende ad allinearli. Anche se l’hamiltoniano è invariante sotto il gruppo di simmetria Z2, lo stato fondamentale, in cui tutti i dipoli sono allineati in una delle due possibili direzioni, non lo è.

Forzati a vivere all’interno del ferromagnete, non saremmo in grado di rivelare l’invarianza sotto Z2 delle leggi della natura, essendo tutti i possibili esperimenti corrotti dal campo magnetico di

(8)

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 7

fondo. Se l’interazione dell’apparato con il campo fosse solo debole, la simmetria sembrerebbe solo approssimata, ma se l’interazione fosse forte non se ne avrebbe alcun sentore. È possibile, quindi, che le leggi della natura possiedano simmetrie che non sono manifeste perché lo stato fondamentale non è invariante sotto la loro azione. Ci si riferisce a queste situazioni come ad una rottura spontanea di simmetria, benché la simmetria sia soltanto nascosta.

Quando a rompersi è una simmetria continua, emerge un nuovo fenomeno. Si immagini di con- siderare un ferromagnete di Heisenberg, un isolante magnetico in cui l’orientazione dei momenti elementari possa variare in maniera continua in un piano. L’hamiltoniano di questo sistema sarà invariante sotto il gruppo di trasformazioni SO(2), ma quando si espande il potenziale intorno al nuovo minimo compaiono dei bosoni privi di massa e a spin nullo: i bosoni di Goldstone. È proprio la presenza di queste problematiche particelle a permettere il funzionamento del mecca- nismo della rottura spontanea di simmetria nel caso di teorie di gauge, quando la simmetria che si cerca di rompere è locale.

In due dimensioni il teorema di Goldstone non si applica, come dimostrato rigorosamente da Sidney Coleman [1]. Già negli anni ’30 Peierls e Landau avevano fornito degli argomenti che sembravano escludere la presenza di ordine cristallino a lungo raggio in due dimensioni [2], [3].

Tuttavia, negli anni ’60, alcuni studi numerici, il più significativo dei quali fu condotto nel 1962 da B. J. Alder e T. E. Wainwright [4], mostravano evidenze della presenza di una transizione verso stati cristallini ordinati in sistemi bidimensionali. L’apparente presenza di ordine cristallino in sistemi bidimensionali portò a mettere in dubbio i risultati di Peierls e Landau, che faceva- no uso rispettivamente di un’approssimazione armonica e della teoria generale delle transizioni di fase del secondo ordine. Soltanto nel 1966 N. D. Mermin e H. Wagner fornirono la prova rigorosa che a qualsiasi temperatura finita un modello di spin di Heisenberg in una o due dimen- sioni con interazione di scambio a corto raggio non può presentare ordine né ferromagnetico né antiferromagnetico [5]. La prova sfrutta la disuguaglianza di Bogoliubov:

1

2�{A, A}� �[[C, H], C]� ≥ kBT|�[C, A]�|2, (1.1) dove H è l’hamiltoniano del sistema e �X� = T rXe−βH/T re−βH. L’unica ipotesi necessaria è l’esistenza delle medie di ensemble degli operatori A e C. Applicando la disuguaglianza all’hamil- toniano di Heisenberg e considerando come operatori degli opportuni operatori di spin, si ricava, in due dimensioni spaziali e per campi h sufficientemente piccoli, la relazione:

|sz| < Const.

T12 1

|ln|h||12, (1.2)

dove szrappresenta il limite di volume infinito della magnetizzazione per particella in un campo uniforme h.

Questo risultato è soltanto l’applicazione del teorema più generale di Mermin-Wagner-Berenzinskii

(9)

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 8

(Mermin e Wagner 1966 [5]; Mermin 1968 [6]; Berenzinskii 1970, 1971 [7, 8]): in un sistema con interazioni a corto raggio un gruppo di simmetria continuo non può rompersi spontaneamente a temperatura finita se la dimensione è d ≤ 2.

1.1.2 Lo scenario KTHNY per il modello XY

Negli anni ’70 il concetto di transizione di fase nella fisica della materia condensata era stret- tamente associato a quello della rottura di una simmetria. In seguito alla prova del teorema di Mermin-Wagner, che prevede l’impossibilità di una rottura di simmetria in un modello reticolare in dimensione d ≤ 2 per temperatura finita, il sentimento dominante era la convinzione che non fossero possibili transizioni di fase in questo tipo di modelli a nessuna temperatura diversa dalla nulla. Tuttavia esistono transizioni di fase, note come transizioni di Kosterlitz-Thouless, non connesse alla rottura spontanea di un gruppo di simmetria. I sistemi più studiati che mostrano questo tipo di transizioni sono alcuni magneti bidimensionali, strati sottili di superconduttori, monostrati di cristalli liquidi o superfici cristalline che diventano rugose all’aumentare della tem- peratura.

Per caratterizzare lo stato del sistema si studia il comportamento a lungo raggio della funzione di correlazione di coppia a tempi uguali. Se la funzione di correlazione tende ad un valore costante si dice che lo stato possiede ordine a lungo raggio, se decade esponenzialmente a zero il sistema si trova in uno stato disordinato. Se infine le correlazioni decadono in maniera algebrica, come una potenza della distanza tra i due punti, lo stato del sistema sarà caratterizzato da ordine a quasi lungo raggio. Il passaggio del sistema tra due stati con un diverso ordine provocherà una transizione di fase.

La simmetria continua più semplice è quella delle rotazioni bidimensionali (U(1) o O2). La rappresentazione di un sistema con questa simmetria è il modello XY su un reticolo quadrato bidimensionale: si considera uno spin �s(�r) = s(cos φ(�r), sin φ(�r)), di lunghezza s, fisso in ogni sito reticolare individuato da �r e interagente con i primi vicini attraverso l’interazione di scambio.

Come parametro d’ordine si può considerare il vettore bidimensionale �s� = s(cos φ, sin φ) oppure il numero complesso �z� = |�z�|e [9]. L’Hamiltoniano del sistema può essere scritto come:

H =−J

�ij�

(sixsjx+ siysjy) =−Js2

�ij�

cos(φi− φj). (1.3)

Si considerano gli spin come vettori classici di modulo s, vincolati a ruotare nel piano xy. Lo stato di ciascuno spin è specificato da un solo parametro: la sua orientazione φi (0≤ φi≤ 2π) rispetto all’asse x. L’hamiltoniano è ovviamente invariante sotto U(1), poiché la rotazione si- multanea di tutti gli spin di una stessa quantità, φi → φi+ φ0, è una simmetria per il sistema.

Lo stato fondamentale del sistema vede tutti gli spin allineati φi= φper ogni i, dove φ rappre- senta una qualsiasi delle orientazioni possibili. L’energia libera nella fase ordinata del modello

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 9

XY ha la caratteristica forma in figura (1.1).

Figura 1.1:Rappresentazione dell’energia libera nella fase ordinata per un modello di spin di Heisenberg.

Il minimo dell’energia libera giace su un cerchio con raggio determinato in modulo dal parametro d’ordine s, mentre l’orientazione φ determina la posizione sulla circonferenza.

Il minimo dell’energia libera si trova sul cerchio alla base. Il raggio del cerchio determina il modulo del parametro d’ordine, s, mentre la posizione sulla circonferenza è determinata da φ. Trasformazioni di fase globali corrispondono ad una rotazione lungo la circonferenza che individua i minimi e non cambia l’energia del sistema.

Per temperature sufficientemente basse assumeremo |φi− φj| � 2π per i e j primi vicini così da poter approssimare l’hamiltoniano con l’espressione:

H =qN Js2

2 +1

2Js2

�ij�

i− φj)2= E0+Js2 4

r,�a

[φ(�r + �a)− φ(�r)]2, (1.4)

dove E0è l’energia dello stato fondamentale e la somma su �a indica la somma sui siti primi vicini di �r. Se φ(�r) varia lentamente con �r, possiamo operare un’altra semplificazione considerando la versione continua dell’hamiltoniano

H = E0+ Js2 2ad−2

ddr[�∇φ(�r) · �∇φ(�r)] (1.5) dove a è la distanza tra due spin primi vicini. Al fine di semplificare i calcoli, rilasseremo l’ipotesi che φ ∈ [0, 2π] e lasceremo che l’orientazione vari tra −∞ e ∞. In particolare siamo interessati

(11)

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 10

al calcolo della funzione di correlazione:

g(r) =�ei[φ(�r)−φ(0)] (1.6)

che, in una fase caratterizzata da ordine a lungo raggio, tenderà ad un valore costante per r → ∞.

Nello stato stato fondamentale, ad esempio, g(r) = 1. Sostituendo l’espansione in serie di Fourier di φ(�r)

φ(�r) = 1

N

k

φkei�k·�r (1.7)

nell’hamiltoniano si ottiene:

H = E0+Js2a2 2

k

k2φkφ−�k. (1.8)

Omettendo per brevità i dettagli, avendo cura di sostituire la somma su �k con un integrale, è possibile ora calcolare la funzione di correlazione:

g(r) = exp

kBT ad−2 (2π)dN Js2

ddk1− cos�k · �r k2

. (1.9)

Per valutare esplicitamente g(r), è necessario specificare la dimensione del sistema. Consideria- mo il caso d = 2. Nel calcolo, che ometteremo, si ignora la particolare geometria della zona di Brillouin per valutare l’integrale in coordinate polari e si considera π/a il limite della zona. Indi- cando con J0 la funzione di Bessel di ordine zero, nel limite di grandi r, il contributo dominante proverrà dalla regione kr � 1:

g(r)≈ exp

kBT sπJs2lnπr

a

=� πr a

−kBT /2πJs2

=� πr a

−η(T )

. (1.10)

In d = 2 la funzione di correlazione decade algebricamente a qualsiasi temperatura finita, mentre non c’è mai ordine a lungo raggio nel sistema. Se ripetessimo il calcolo per d = 3 troveremmo invece che g(r) tende ad un valore costante non appena r diventa abbastanza grande, ad indicare la presenza di una fase ordinata per temperature basse. Fisicamente quello che succede è che rotazioni della direzione dello spin di lunghezza d’onda molto grande costano molto poco dal punto di vista energetico. L’eccitazione termica di questi modi di grande lunghezza d’onda cam- bia la direzione della magnetizzazione nello spazio e nel tempo. Quindi, anche se il valore della magnetizzazione è localmente saturato, medie temporali e spaziali vedono la magnetizzazione totale molto ridotta rispetto al valore che si avrebbe nella fase ordinata. Queste configurazioni sono però favorite dal punto di vista entropico. L’importanza di queste fluttuazioni di grande lunghezza d’onda (o equivalentemente di piccoli vettori d’onda k) è ridotta in dimensioni più alte a causa del diverso volume nello spazio delle fasi kd−1dkcon cui sono pesate.

L’argomento brevemente esposto in questa sezione può essere adattato ad ogni sistema bidimen-

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 11

sionale con interazioni a corto raggio in cui la fase ordinata sia caratterizzata da una simmetria continua.

Il decadimento algebrico delle correlazioni ricorda il loro andamento tipico nei sistemi con una transizioni di fase ordinaria a temperatura finita vicino al punto critico. In questi casi, infatti, scriveremo in generale:

g(r) e−r/ξ(T ) rd−2+η 1

rd−2+η. (1.11)

Nel modello XY quello che si è trovato è quindi un esponente critico dipendente dalla temperatura η(T )e il modello sembra essere al punto critico ad ogni temperatura. Chiaramente si tratta di un risultato non fisico: a temperature abbastanza alte ci si aspetta che le correlazioni decadano esponenzialmente. Deve esserci, quindi, qualche altro meccanismo capace di guidare il sistema fuori da questa fase critica di bassa temperatura, con ordine a quasi lungo raggio, verso una fase disordinata di alta temperatura. La presenza di una transizione di fase, caratterizzata da un cambiamento repentino della risposta del sistema ad una perturbazione esterna, può essere dimostrata rigorosamente con le tecniche del gruppo di rinormalizzazione. Come mostrato da Kosterlitz [10], la magnetizzazione media è nulla per ogni temperatura e la transizione non è tra uno stato invariante per trasformazioni del gruppo di simmetria che caratterizza il modello e uno stato in cui tale simmetria è rotta. Piuttosto la transizione è da uno stato di finita ad uno di infinita suscettività. Accanto alle usuali eccitazioni della forma di onde di spin, responsabili dell’annullarsi della magnetizzazione media in corrispondenza di ogni temperatura, vi sono altre configurazioni di equilibrio. Queste eccitazioni furono rintracciate da Kosterlitz e Thouless nei difetti topologici.

Un difetto topologico è caratterizzato da una regione centrale (ad esempio un punto o una linea) in cui l’ordine è rotto e da una regione lontana dal centro in cui la variabile elastica considerata (l’orientazione degli spin nel modello XY ) cambia lentamente nello spazio. Si pensi ad una carica elettrica puntiforme, la cui presenza può essere determinata attraverso opportune misure su una superficie che la racchiuda. I difetti topologici vengono classificati con una nomenclatura differente a seconda della particolare simmetria rotta e al sistema in questione. Nei modelli XY e nei sistemi superfluidi prendono il nome di vortici, nei cristalli di dislocazioni e nei cristalli liquidi nematici di disclinazioni.

Nell’analisi precedente del modello XY abbiamo considerato la variabile angolare φ(�r) continua in ogni punto. Possono verificarsi però situazioni in cui il campo è continuo in quasi ogni punto dello spazio d−dimensionale, ossia è continuo ovunque tranne in un sottospazio di dimensione minore di d e tale difetto non è eliminabile attraverso deformazioni continue del campo. Per esempio, nel caso d = 2, possiamo scrivere:

φ(�r) = nθ + φ0, (1.12)

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 12

dove φ0 è una costante, mentre n indica l’intensità del vortice ed è detto winding number. In questo caso �∇φ(�r) è finito in ogni punto ad eccezione dell’origine, infatti:

∇φ(�r) = θˆ r

∂φ

∂θ + ˆr∂φ

∂r =θ

r . (1.13)

L’energia di un vortice isolato può essere calcolata facilmente:

E = Js2 2

dd�r �∇φ(�r) · �∇φ(�r) = πJs2n2

L a

dr1

r = πJs2n2lnL

a, (1.14)

dove L è la dimensione lineare del sistema, mentre a è la costante reticolare. L’energia di un vortice isolato cresce con L e tende a divergere nel limite termodinamico.

D’altra parte, l’entropia associata alla creazione di un vortice è data da:

S = kBln� L a

2

, (1.15)

e la variazione di energia libera associata alla formazione di un vortice:

∆F = (πJs2n2− 2kBT ) lnL

a. (1.16)

Il contributo entropico e quello energetico scalano nello stesso modo e la variazione di energia libera sarà positiva a basse temperature (kBT < πJs2/2), per cui solo sopra questa temperatura critica sarà possibile la creazione di vortici.

Consideriamo ora un vortice con n = 1: gli spin ruotano di 2π lungo qualsiasi contorno che rac- chiuda il centro. È impossibile quindi deformare la configurazione con un vortice in quella che vede tutti gli spin allineati senza ruotare spin ad una distanza arbitrariamente grande dal centro.

Questo tipo di vortice è detto topologicamente stabile. Sebbene la stabilità topologica sia un con- cetto distinto dalla stabilità fisica della configurazione, in molti casi la prima implica la seconda.

Se si prova a deformare una configurazione con un singolo vortice con n = 1 in una configurazione con tutti gli spin allineati, ci si ritrova nella condizione di dover ruotare di π una fila di spin, ossia è necessario un cambiamento discontinuo della direzione di alcuni spin. L’energia necessaria per quest’ultima operazione sarà dell’ordine di LJ. Poiché per raggiungere una configurazione uniforme è necessario passare attraverso questo tipo di stati intermedi, è molto improbabile che una fluttuazione statistica distrugga un singolo vortice. Considerazioni analoghe possono essere ripetute se si cerca di distruggere il vortice portando il sistema nella configurazione disordinata.

Per questo motivo la configurazione vorticosa, benché abbia un’energia molto maggiore di quel- la uniforme, è estremamente stabile, poiché non esistono transizioni energeticamente favorevoli verso lo stato fondamentale.

D’altra parte, coppie di vortici con winding number opposto producono configurazioni a grande distanza dai centri che possono essere deformate in maniera continua verso lo stato uniforme. Se i

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 13

due core si avvicinano, la regione in cui il campo non è uniforme si riduce e, con una deformazione continua, è possibile avvicinare i due vortici fino a farli annichilire. In questo senso, dal punto di vista topologico, la configurazione con una coppia di vortici è equivalente alla configurazione con tutti gli spin paralleli. Per questo motivo le coppie di vortici rappresentano un’importante eccitazione dallo stato fondamentale nei sistemi bidimensionali con simmetria xy.

Consideriamo espressamente una coppia di vortici a distanza r. Naturalmente la configurazione corrispondente allo stato fondamentale si ottiene minimizzando l’energia rispetto al campo:

δE({φ}) = δ

d2rJs2

2 [�∇φ(�r)]2= 0→ ∇2φ(�r) = 0. (1.17) Nel caso specifico, l’equazione di Laplace deve essere risolta tenendo conto delle condizioni supplementari sulla circuitazione in alcuni punti:

C

∇φ · d�l = 2πn 1, (1.18)

dove C è un contorno che racchiude solo il vortice 1 di intensità n1 e una condizione simile va imposta sui contorni che racchiudono il vortice 2. Risolvendo l’equazione si ottiene l’energia di interazione per una coppia di vortici di intensità n1 ed n2, rispettivamente nelle posizioni �r1 e

�r2:

Epair(�r1, �r2) =−2πJs2n1n2ln�r1− �r2 a

�, (1.19)

per cui lo stato di minima energia per una coppia di vortici di carica opposta è la configurazione in cui siano strettamente legati. Poiché nell’espressione precedente non appare la dimensione del sistema, mentre apparirà nell’espressione per l’entropia della coppia, lo stato di bassa temperatura del sistema sarò caratterizzato dalla presenza di una certa densità di equilibrio di coppie di vortici (che dipenderà dall’interazione tra le coppie, qui omessa). Ad alte temperature, i vortici si separeranno (unbinding) distruggendo la fase condensata.

L’argomento presentato non fornisce alcuna informazione sulla natura di questa transizione, ma si limita a mostrare la possibilità per stati qualitativamente differenti di esistere in diversi intervalli di temperatura. Come già accennato, le proprietà di questa transizione e la sua stessa esistenza possono essere dimostrate con le tecniche del gruppo di rinormalizzazione.

1.1.3 Fusione di un cristallo bidimensionale

Kosterlitz e Thouless estesero lo scenario da loro descritto alla fusione di un cristallo bidimen- sionale, con le dislocazioni a ricoprire il ruolo dei vortici nei modelli di spin. Nel caso di un solido, la scomparsa dell’ordine topologico è associata alla transizione da uno stato caratteriz- zato da una risposta elastica ad un piccolo stress di taglio esterno alla risposta tipica di un fluido. Nello stato liquido, in prossimità del punto di solidificazione, le configurazioni di equili-

(15)

1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 14

brio prevedono la presenza di dislocazioni libere capaci di muoversi sotto l’azione di uno stress di taglio arbitrariamente piccolo e di produrre in questo modo un flusso viscoso, mentre nello stato solido non ci solo dislocazioni libere all’equilibrio e il sistema è rigido. In due dimensioni la fase cristallina non manifesta ordine convenzionale a lungo raggio a causa delle eccitazioni fononiche. Dislocazioni isolate non possono essere create termicamente a basse temperature in sistemi macroscopici poiché l’energia necessaria per crearle cresce logaritmicamente con la taglia del sistema. Al contrario, coppie di dislocazioni con vettori di Burgers uguali e opposti possono essere create termicamente. Tali coppie possono rispondere allo stress applicato e ridurre in questo modo il modulo di rigidità. A temperature sufficientemente alte esse diventano instabili sotto l’applicazione di uno stress di taglio e producono una risposta viscosa. La fusione è pro- vocata dalla dissociazione di una frazione di queste coppie di dislocazioni. L’ordine posizionale può essere correttamente descritto in termini della funzione di correlazione posizionale:

C(r) =�ρ(�r1)ρ(�r2)|�r1−�r2|=r. (1.20) Nella fase cristallina, l’ordine posizionale a quasi lungo raggio causerà un decadimento algebrico della funzione di correlazione con la distanza. Mentre sopra la temperatura di dissociazione delle dislocazioni, la funzione di correlazione posizionale decadrà esponenzialmente a zero con la distanza.

Alcuni anni dopo la formulazione di questo schema, Halperin e Nelson provarono che anche al di sopra di questa temperatura di fusione Tmla fase fluida esibiva un ordine orientazionale residuo a quasi lungo raggio. Nel caso in cui i costituenti elementari del sistema siano sferici, i legami si dispongono in modo da formare un reticolo triangolare. Si noti che il termine legami è usato in maniera impropria, senza fare riferimento alle effettive interazioni tra gli atomi. Nel caso in cui non ci siano legami reali tra le particelle, ci si riferisce semplicemente al segmento che collega il centro di massa di particelle prime vicine. L’ordine orientazionale è quantificato attraverso la funzione di correlazione orientazionale, definita di seguito:

C6(r) =�ψ6(�r16(�r2)|�r1−�r2|=r, (1.21) dove ψ6(�r) è il parametro d’ordine orientazionale locale, detto esatico in seguito alle proprietà di simmetria esagonali, definito in ogni posizione occupata come:

ψ6(�ri) = 1 ni

ni

j=1

ei6θij(�ri), (1.22)

dove ni indica il numero di primi vicini della particella i e θij(�ri)è l’angolo che il legame tra la i−esima e la sua j−esima particella vicina forma rispetto a un asse di riferimento fisso. In un reticolo triangolare perfettamente regolare |ψ6| = 1.

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 15

Figura 1.2: Ordine strutturale orientazionale locale in un sistema atomico bidimensionale. Il parametro l = 6è indice di una simmetria esatica. Le particelle colorate in giallo presentano un elevato grado di ordine esatico. Immagine da lesterhedges.net.

Nello scenario descritto nei lavori di Halperin e Nelson, partendo dalla fase cristallina ha luogo una prima transizione di fase caratterizzata dalla rottura della simmetria traslazionale in seguito alla dissociazione di coppie di dislocazioni. Questa transizione non dà vita ad una fase liquida disordinata, ma ad una nuova fase, detta esatica. Nella fase esatica l’ordine posizionale è solo a corto raggio e la funzione di correlazione posizionale decade quindi esponenzialmente a zero.

L’ordine orientazionale, invece, è ora a quasi lungo raggio ed è accompagnato da un decadimento solo algebrico della funzione di correlazione C6(r). Soltanto con una seconda transizione continua, in corrispondenza della dissociazione di coppie di disclinazioni, viene rotta anche la simmetria rotazionale in favore di una fase liquida disordinata nella quale sia la funzione di correlazione posizionale che quella orientazionale decadono esponenzialmente.

Figura 1.3: La fusione in tre dimensioni è un processo a singolo passo, mostrato dalla freccia in blu. Nel caso bidimensionale la fusione può essere un processo che avviene attraverso una fase esatica intermedia, come proposto da KTHNY. Immagine da [25].

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 16

Nonostante il generale accordo sulla natura delle diverse possibili fasi in un sistema di dischi rigidi, l’ordine delle transizioni è argomento di dibattito ancora oggi. È stato discusso a lungo se la transizione fosse del primo ordine tra solido e liquido (senza la fase esatica, ma con una usuale fase di coesistenza tra le due) come accade in tre dimensioni spaziali, oppure se seguisse lo scenario di Kosterlitz, Thouless, Halperin, Nelson e Young (KTHNY), in cui la transizione avviene in due passaggi con la fase esatica separata da transizioni continue dal solido e dal liquido. Una delle ragioni della controversia era l’incapacità di equilibrare sistemi sufficientemente grandi con gli algoritmi usati per investigare la natura e la stessa esistenza della fase esatica con sufficiente affidabilità. Una seconda ragione trova origine nella difficoltà di interpretare i loop non fisici che comparivano nell’equazione di stato. Già nelle prime simulazioni di Alder e Wainwright la presenza di loop nel diagramma di fase aveva indotto la convinzione che la transizione fosse del primo ordine.

Figura 1.4: Equazione di stato di un sistema di 870 dischi rigidi nella regione di transizione. Le linee verticali indicano l’accuratezza della pressione media ad ogni densità. Le fluttuazioni sono molto maggiori nella regione di transizione rispetto a quelle nel solido (A/A0< 1.26) o nel fluido(A/A0> 1.33). A/A0

indica l’area ridotta rispetto all’area di massimo impaccamento. La figura è stata riportata da [4].

La presenza di loop apparentemente non fisici nelle curve della pressione in funzione del volume è stata giustificata da Mayer e Wood [12] nel caso di transizioni del primo ordine. L’

origine di questi loop va rintracciata nel contributo di energia libera dovuto alle interfacce tra

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 17

domini di fase diversa nella regione di coesistenza e spariscono nel limite termodinamico, quando questo contributo di superficie diventa trascurabile, in accordo con i teoremi di van Hove. Se il numero N di dischi è finito, l’energia libera non è necessariamente convessa e la pressione di equilibrio può formare dei loop termodinamicamente stabili. I tratti in cui la pressione cresce con il volume sono da attribuire alle interfacce tra bolle della fase minoritaria all’interno di quella maggioritaria e, in sistemi con condizioni di bordo periodiche, il tratto orizzontale al centro della regione di coesistenza corrisponde al regime in cui le interfacce sono piatte. L’energia libera di interfaccia per disco dipende dalla lunghezza delle interfacce, così che ∆f = ∆F/N ∝ 1/

N.

Figura 1.5: Differenti tipi di loop nell’equazione di stato al crescere di N. [12]

Loop di Mayer e Wood nell’equazione di stato possono essere presenti anche nel caso di si- stemi finiti che esibiscano una transizione di fase continua [13] con alcune condizioni di bordo.

In questo caso però, trattandosi di un effetto di bordo, l’energia libera per disco decresce più rapidamente, in modo che ∆F sia costante, quindi ∆f ∝ 1/N, ossia come il volume. La diversa dipendenza di ∆f dalla dimensione del sistema rappresenta un buon indicatore per distinguere una transizione del primo da una transizione del secondo ordine.

Si noti che il loop di Mayer e Wood sono concettualmente molto diversi dai classici loop di Van

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1.1 Transizioni di fase in sistemi bidimensionali 18

der Waals che vengono derivati nel limite termodinamico e sono termodinamicamente instabili.

In alcuni recenti lavori Krauth, Bernard, Kapfer et al., si veda [11, 14], hanno trovato evidenze numeriche, tramite simulazioni con metodi Molte Carlo, di uno scenario diverso sebbene all’inter- no di quello generale di KTHNY. La transizione di fase avviene in due passaggi con la fase liquida e la fase solida separate da una fase esatica. Tuttavia, mentre la transizione esatico-solido è con- tinua, la transizione liquido-esatico è sorprendentemente del primo ordine. La natura di questa seconda transizione viene dimostrata attraverso evidenze visive della presenza di una regione di coesistenza e attraverso la valutazione dello scaling ∝ 1/

N dell’energia libera di interfaccia per disco.

Figura 1.6: Equazione di stato per un sistema di dischi rigidi all’equilibrio. La pressione è rappresentata in funzione del volume specifico v = V/N (asse inferiore) e della densità η (asse superiore). Nella regione di coesistenza, la forte dipendenza dalle dimensioni del sistema deriva dall’energia libera di interfaccia. La costruzione di Maxwell (linea orizzontale) sopprime gli effetti di interfaccia per ogni N. Sono mostrate le configurazioni a striscia (c) e a bolla (b,d) tipiche nella regione di coesistenza, oltre che due configurazioni con una singola fase presente (a,e). L’energia libera per disco (area tratteggiata) scala come 1/

N (f).

Figura tratta da [13].

La natura della transizione liquido-esatico diventa meno chiara quando si abbandona l’ipotesi di dischi rigidi e si considerano interazioni repulsive a corto raggio diverse. La dipendenza dalla particolare forma del potenziale scelto è stata anche sistematicamente investigata da Kapfer e

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1.2 Materia attiva 19

Krauth in una serie di lavori successivi, ad emblema [11]. In particolare sono stati presi in considerazione potenziali repulsivi del tipo U(r) = (σ/r)n, dove l’esponente n indica la ripidità del potenziale, mentre σ è una dimensione caratteristica del sistema, come il diametro delle particelle. Al crescere di n il comportamento del sistema tende al comportamento evidenziato da un sistema di dischi rigidi, con una transizione del primo ordine tra fase esatica e fase liquida. Al decrescere di n la regione di coesistenza diventa sempre più stretta finché le due fasi non possono più coesistere ed anche questa seconda transizione diventa continua.

1.2 Materia attiva

I sistemi di non equilibrio mostrano fenomenologie molto diverse che si manifestano in un ampio spettro di situazioni. Nonostante l’eterogeneità, è possibile identificare categorie generali che con- dividano un numero sufficiente di elementi da poter essere coerentemente raggruppate in classi.

Una di queste classi comprende i sistemi che stanno rilassando verso l’equilibrio termodinamico.

Questo rilassamento può essere relativamente naturale o estremamente lento, come succede nei sistemi vetrosi. Nonostante queste differenze, è possibile individuare un verso nella direzione lun- go la quale il sistema evolve, o evolverebbe se potesse farlo. Una seconda classe di sistemi di non equilibrio comprende i sistemi la cui dinamica di bulk non riesce a raggiungere una condizione di equilibrio a causa delle condizioni di bordo imposte che provocano correnti stazionarie, come potrebbe succedere in un sistema a contatto con due serbatoi a diverse temperature.

In una terza classe di sistemi di non equilibrio, a cui si fa riferimento con il termine materia attiva, l’energia è dissipata a livello microscopico nel bulk e ogni costituente è guidato da una dinamica irreversibile. Tali costituenti hanno la capacità di assorbire energia dall’ambiente circostante o da fonti interne e dissiparla per sviluppare meccanismi di non equilibrio come l’autopropulsione, la crescita o la replicazione. Quindi per definizione la materia attiva include tutti gli organismi viventi, sebbene non si limiti a questi. Da questo punto di vista è suggestivo pensare alla materia attiva come al tentativo di includere la materia vivente nel campo di ricerca della fisica della materia soffice. I sistemi di materia attiva comprendono sia sistemi organici sia inorganici. Tra i sistemi organici ricordiamo colonie di batteri, stormi e banchi di pesci. Materia attiva inor- ganica emerge ad esempio in strati di bacchette granulari vibranti, particelle colloidali propulse attraverso un fluido da attività catalitica in corrispondenza della loro superficie o in collezioni di robot.

1.2.1 Esempi di sistemi attivi

Le colonie di microrganismi meritano particolare attenzione visto l’emergere di comportamenti macroscopici non banali nonostante la semplicità dei singoli costituenti. Si consideri, ad esempio, il lavoro di Ben-Jacob et al. [15] sulle colonie di Bacillus subtilis che, in particolari condizioni

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1.2 Materia attiva 20

ambientali, tendono a formare pattern vorticosi e migrazioni di cluster di massa e a sviluppare meccanismi per la trasmissione di informazioni a lungo raggio.

Aumentando la complessità del sistema, si può pensare allo studio del moto delle cellule all’inter- no di organismi pluricellulari per permettere lo sviluppo embrionale, la riparazione di tessuti e organi, il trasporto di sostanze nutritive e così via. Il moto delle cellule può essere indipendente, guidato da gradienti o lungo canali, ma le migrazioni collettive sono frequenti e possono essere legate alla necessità delle cellule di restare compatte durante il moto o al fine di accrescere una metastasi per strati successivi, restando sempre in contatto con il sito originario.

Sciami di insetti, banchi di pesci e stormi possono essere considerati sistemi di materia attiva per i loro comportamenti spaziale e sociale legati alla collettività. Si pensi all’efficiente moto collettivo e ordinato delle formiche, all’allineamento degli sciami di locuste che cresce con la loro densità o all’organizzazione dei banchi di pesci o degli stormi che facilita la comunicazione o gli spostamenti.

Nonostante il variegato spettro di sistemi, non si deve pensare che lo studio della materia attiva si esaurisca con lo studio degli organismi viventi. È infatti possibile creare artificialmente particelle in grado di muoversi in modo autonomo che abbiano comportamenti collettivi simili a quelli degli organismi viventi. Rispetto alla materia vivente, le differenze principali risiedono nei meccani- smi che causano l’attività e l’interazione tra gli individui, devono essere strettamente fisici, non fondati sulla comunicazione. Questo tipo di sistemi di particelle autopropulse (self-propelled par- ticles, SPPs) si presta ad un controllo sperimentale molto più accurato rispetto ai sistemi viventi e costituisce il naturale banco di prova per i modelli teorici. Dinamiche collettive, disomogeneità su larga scala, moto coerente, sono tutti fenomeni che possono emergere anche nel caso in cui le particelle non possano comunicare tra loro e le interazioni siano soltanto steriche. Il sistema di SPPs più semplice è costituito dalle cosiddette particelle Janus. Come la divinità romana Giano bifronte, le particelle Janus hanno proprietà chimico-fisiche differenti sulla superficie. È questa asimmetria, in certe condizioni ambientali, a causarne l’attività. Si pensi ad un colloide rivestito con due diverse sostanze immerso in un fluido che reagisca soltanto con una di esse.

Il colloide genererà un gradiente locale di qualche proprietà chimico-fisica che ne provocherà il moto foretico.

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1.2 Materia attiva 21

Figura 1.7: (a) Micrografia ottenuta con un microscopio ottico (b) e con un SEM di particel- le Janus PMMA/P(S-BIEM). (c) Fotografia con TEM, le fasi PMMA e P(S-BIEN) appaiono rispettivamente chiare e scure. Immagine adattata da [16].

Recentemente stanno attirando attenzione crescente i sistemi di particelle magnetiche che tendono ad organizzarsi in gruppi funzionali complessi. Queste strutture esibiscono un moto autopropulso e dinamiche collettive, meccanismi che possono essere sfruttati per intrappolare e trasportare un cargo nella direzione desiderata in seguito all’applicazione di un campo magnetico esterno.

Figura 1.8: Micro-motori di tipo Janus con teste catalitiche portatrici, il cargo è costituito da sferule di poliestere inerte. Da sinistra a destra, nella prima riga viene illustrata una portatrice libera, con singolo e doppio cargo. Nella seconda riga una coppia portatrice con simili configu- razioni. Le regioni sfumate sulle sfere corrispondono alla regione catalitica, le frecce indicano la direzione istantanea del moto. Immagine adattata da [26].

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1.2 Materia attiva 22

1.2.2 Modellizzazione teorica

Negli ultimi anni molti sistemi, prevalentemente biologici, sono stati studiati nel dettaglio e l’obiettivo di una descrizione generale della materia attiva ha naturalmente attratto interesse crescente. È ragionevole pensare che le particelle autopropulse, che altrimenti interagiscono sol- tanto attraverso usuali forze di equilibrio (attrazione, repulsione, allineamento e così via) possano formare una sotto classe coerente di sistemi di non equilibrio ascrivibili ad una descrizione teorica comune. A seconda del livello a cui si desidera descrivere il fenomeno, un modello soddisfacente dovrebbe cercare di rispondere ad una varietà di questioni aperte: in che modo l’attività influenza il comportamento macroscopico? Che ruolo ha l’ambiente nella comunicazione tra le particelle?

In che misura il dettaglio microscopico dei costituenti, come la loro forma, modifica il compor- tamento collettivo?

Nel resto della sezione descriveremo brevemente i modelli teorici impiegati nello studio della ma- teria attiva dividendoli in base al livello di descrizione desiderato, ossia alla scala caratteristica di lunghezza dei fenomeni che il modello si pone di descrivere. Come già detto l’immissione di energia nel sistema avviene a livello delle singole particelle. Comprendere come emergano i meccanismi di attività all’interno del singolo costituente, come potrebbe essere una cellula, ri- chiederebbe la considerazione di un numero enorme di gradi di liberà interni, nonché dei segnali e degli stimoli esterni. È impensabile che lo stesso modello riesca a tener conto di una simile mole di dettagli, specifici del sistema, e insieme spiegare come questi emergenti meccanismi mi- croscopici influenzino il sistema nel suo comportamento collettivo. La scelta delle caratteristiche che dovranno essere incluse dipenderà esclusivamente dagli aspetti fenomenologici che si desidera comprendere e riprodurre.

Tracciamo innanzitutto uno schema per la catalogazione dei singoli modelli che sia indipendente dalla scala dei fenomeni analizzati. Immaginiamo di elaborare uno schema nel caso di particelle attive. La prima distinzione sta nella scelta del tipo di particelle: se siano puntiformi o abbiano un volume escluso, se siano sferiche o allungate. Il secondo aspetto da considerare è la scelta dell’interazione tra le particelle. Infine si deve tenere in considerazione l’ambiente in cui è im- merso il sistema. Infatti le particelle attive all’interno di un fluido viscoso con viscosità η che sperimentano un attrito γ possono essere descritte come un sistema in cui il momento si conserva o meno a seconda di alcuni parametri fisici come la densità delle particelle e la scala di lunghezza di interesse. Se il fluido può essere considerato un mezzo inerte che causa soltanto attrito, allora le particelle che trasferiscono momento al fluido seguiranno una dinamica sovrasmorzata e il mo- mento non verrà conservato. A questo tipo di sistemi in cui non si può imporre la conservazione del momento ci si riferisce con l’aggettivo dry. D’altra parte, quando le interazioni idrodinamiche mediate dal solvente sono importanti, la dinamica del fluido deve essere inclusa nel modello che, comprendendo sia il solvente che le particelle attive sospese, prevederà la conservazione del mo- mento totale. A questo secondo tipo di sistemi ci si riferisce con il termine wet. Sebbene spesso

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1.2 Materia attiva 23

ci si riferisca ai sistemi stessi come a sistemi wet o dry, in realtà la distinzione dipende dalla scala di interesse e dal modello usato. In generale l’idrodinamica del fluido può essere trascurata solo su scale maggiori di

η/γ.

Tenendo conto delle distinzioni fatte finora, possiamo raggruppare i modelli di materia attiva in tre classi fondamentali, [17].

La più piccola scala di descrizione coinvolge la modellizzazione del singolo organismo mobile.

Una proprietà fondamentale dell’autopropulsione è il suo essere force-free, nel senso che le forze esercitate reciprocamente tra particelle e mezzo si elidono. Per esempio nel caso dei batteri la deformazione del corpo che produce il movimento è il movimento ciclico delle ciglia o dei flagelli.

Questo tipo di particelle attive è detto swimmer, nuotatore. Non si tratta dell’unico meccanismo possibile di autopropulsione. Ricordiamo ad esempio che le particelle Janus si muovono sotto l’influenza di un campo generato localmente dal diverso valore di una certa proprietà fisica sui due lati della particella. Le forze in azione sono di tipo viscoso e inerziale, quindi il parametro da controllare è il numero di Reynolds. Nel caso di grandi numeri di Reynolds si può trascura- re il termine viscoso (approssimazione di Eulero), al contrario per bassi numeri di Reynolds si può trascurare il termine inerziale (approssimazione di Stokes). Nel regime euleriano, grazie al contributo inerziale, è facile che una deformazione periodica del corpo possa dare origine a un guadagno di momento se lo spostamento dovuto alla prima metà del ciclo non cancella quello dovuto alla seconda metà. Nel secondo regime, quando l’inerzia può essere trascurata, le equa- zioni di Navier-Stokes diventano lineari e indipendenti dal tempo, questo rende lo swimming basato sulla deformazione reciproca del corpo completamente inefficace. Gli organismi possono comunque muoversi seguendo due meccanismi: usando un flagello o delle ciglia. Poiché un nuo- tatore non può esercitare una forza netta sul mezzo, questo viene rappresentato come un dipolo:

estensibile o contrattile.

Figura 1.9: Particelle autopropulse di tipo pusher e puller, immagine tratta da [18]. (a) La forza esercitata da un batterio di E. coli è equivalente ad un dipolo estensibile a grande distanza. (b) La forza esercitata da un Chlamydomonas autopropulso è equivalente ad un dipolo contrattile.

Diamo per assodata la comprensione dei meccanismi che permettono alla singola particella di muoversi in maniera attiva poiché fuori dallo scopo di questa tesi. Per comprendere l’emergere di fenomeni collettivi è necessario mettere insieme un grande numero di particelle e lasciare che

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