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Sistemi di rivelazione e controllo di qualitàR. Locont

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Academic year: 2021

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Riv Med Lab - JLM, Vol. 4, S.1, 2003 55

Sistemi di rivelazione e controllo di qualità

R. Locont

P.O. “S.G. Bosco”- ASL 1, Napoli

Rivelazione e controllo di qualità, un binomio in- scindibile se per rivelazione si intende,oltre alla ri- velazione del prodotto ricercato, evidenziazione di percorsi errati tali da inficiare il buon esito dell’inte- ro percorso analitico,essa costituisce l’ultima fase nelle tecniche di biologia molecolare clinica, così come nella maggior parte delle metodiche di labora- torio perchè rappresenta la “resa dei conti” dell’in- tero percorso analitico e deve soddisfare requisiti ta- li da garantire che il segnale rivelato corrisponda esattamente a quello ricercato, che non vi siano trac- ce di contaminanti (specificità analitica), che il dato ottenuto sia ripetibile.

Inoltre la tecnica di rivelazione deve permettere di identificare piccole quantità del segnale (sensibilità analitica).

Sensibilità, specificità e ripetibilità devono assoluta- mente essere garantiti, affinché il test possa ritenersi qualitativamente valido.

La maggior parte di questi sistemi prevede l’uso, in fase di ibridazione, di oligonucleotidi marcati con traccianti non radioattivi.

I principali metodi utilizzati per la rivelazione del DNA amplificato sono:

1. elettroforesi su gel di agarosio

2. ibridazione con utilizzo di sonde “calde” o “fredde”

3. sequenziamento 4. HPLC

5. elettroforesi capillare

Fra tutti, l’elettroforesi su gel d’agarosio è, senza dubbio, il più semplice.

La tecnica consiste in una migrazione del DNA, in un campo elettrico, impiegando come supporto un gel d’agarosio contenente bromuro d’etidio (colo- rante che intercala il DNA ed appare quindi fluore- scente su una lampada ad UV).

In un campo elettrico, ad intensità e direzione costan- te, ciascun tratto di DNA, migra con velocità inversa- mente proporzionale al proprio peso molecolare.

Su supporto di agarosio si possono quindi separare frammenti di DNA amplificato e identificare,in base

alla migrazione delle bande, il loro peso molecolare e stabilire se si tratta del segmento di DNA ricerca- to, ovviamente, per uno studio accurato, è possibile utilizzare marcatori di peso molecolare, oppure ade- guati controlli di cui è noto il peso molecolare.

Comunque, anche adottando idonei controlli, il li- mite di questa tecnica è la scarsa specificità, in quanto la separazione di una “banda” dà indicazioni relative alla massa del frammento e non alla sequen- za nucleotidica; è per questo motivo che l’elettrofo- resi su gel d’agarosio è poco impiegata come tecni- ca di rivelazione ma risulta essere un valido control- lo di valutazione in termine di resa di prodotto am- plificato, presenza di eventuali contaminanti, buona qualità del prodotto amplificato in termine di PM ri- cercato o presenza di eventuali frammenti anomali indicativi di inquinamento della master mix o am- bientale o delle pipette o di cattiva performance del- l’amplificatore infine di cattiva ibridazione tra pri- mer e filamento estratto.

Per quanto riguarda le tecniche di ibridazione il ter- mine “ibridazione” indica l’appaiamento di basi complementari fra molecole di acidi nucleici a sin- gola elica (DNA o RNA), sulla base della loro se- quenza nucleotidica, secondo il modello di Watson e Crick.

Le reazioni di ibridazione in vitro sono il fondamen- to delle tecniche molecolari di rivelazione di se- quenze specifiche di acidi nucleici. Sfruttando tale principio sono stati allestiti sistemi in grado di sele- zionare e rivelare in maniera specifica, i frammenti di acido nucleico di interesse.

Nel caso di un saggio PCR si utilizzano dei primers a sequenza nucleotidica complementare alla sequen- za del DNA o RNA da amplificare e l’ibridazione già avviene in fase di amplificazione garantendo l’amplificazione del solo frammento target. Ciò per- mette di amplificare in maniera specifica la frazione di acido nucleico ricercata. Dopo l’amplificazione, utilizzando delle sonde oligonucleotidiche marcate, con sequenza complementare ad un segmento inter- no al frammento amplificato, è possibile rivelare il prodotto dell’amplificazione in modo specifico.

Per visualizzare (cioè rivelare) l’avvenuta ibridazio-

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ne,è necessario incorporare, nella sonda, dei nucleo- tidi marcati con traccianti radioattivi (sonde o pri- mers caldi) o con enzimi o elementi fluorescenti (sonde o primers freddi).

La marcatura con radioisotopi migliora la sensibilità del test consentendo di rivelare anche quantità di DNA o RNA, inferiori al picogrammo.

I primi sistemi di ibridazione su base solida, impie- gavano sonde o primers caldi, marcati con 32P, co- me ad esempio nel “Southern Blotting” o nel “DOT BLOT”.

I rischi legati all’uso di materiale radioattivo e le complesse procedure di sicurezza da adottare, i pro- blemi relativi al decadimento del tracciante ed al suo smaltimento, hanno indirizzato la scelta verso trac- cianti diversi, alcuni esempi:

biotina (vitamina introdotta in nucleotidi modificati, in posizione 5’)

enzimi (fosfatasi alcalina, perossidasi,β-galattosidasi) sostanze chemioluminescenti (luminolo, luciferina…).

L’ibridazione in fase liquida, previa denaturazione del DNA/RNA amplificato, con utilizzo di traccianti freddi, rappresenta una valida alternativa all’ibrida- zione su fase solida.

Questo tipo di ibridazione si avvale di tecniche, per la rivelazione, già ampiamente utilizzate in immu- nenzimatica ed in chemioluminescenza, pertanto di familiare e facile approccio per l’operatore.

In questo tipo di ibridazione la sonda marcata è ade- sa a pozzetti in micropiastra o a membrane; con que- sta tecnica è possibile discriminare, con un’unica amplificazione, più mutazioni come nel caso delle b-Talassemia, o più genotipi, come nel caso del vi- rus dell’epatite C.

Altro metodo di rivelazione che utilizza sonde mar- cate è l ”OLA” (oligonucleotide ligation assey), questo sistema non è altro che un saggio colorime- trico che utilizza sia la tecnica di ibridazione sia le proprietà della DNA-ligasi (enzima che permette di discriminare la presenza di mutazioni puntiformi):

il principio della tecnica è schematizzato di seguito

Si utilizzano due oligonucleotidi adiacenti, di cui uno marcato con biotina, complementare all’estre- mità 5’ del DNA amplificato, l’altro, marcato con

un enzima, che ibriderà in posizione adiacente; solo in caso di perfetta complementarietà, la DNA ligasi unirà le due sonde dando un prodotto “OLA”; per aggiunta di streptavidina si formerà il complesso biotina-streptavidina rivelabile con reazione colori- metrica. Con questa tecnica è possibile evidenziare anche più mutazioni puntiformi contemporaneamen- te, utilizzando più marcatori e leggendo a diverse lunghezze d’onda è possibile rilevare la presenza dei diversi target mutati.

I sistemi finora studiati, prevedono l’uso di sonde marcate, in alternativa esistono metodi che utilizza- no primers marcati, ad esempio con coloranti fluore- scenti, in grado di legarsi con elevata specificità al DNA/RNA target; questi sistemi sono impiegati per evidenziare delezioni o riarrangiamenti genici.

A seconda del tipo di marcatura, la rivelazione degli ibridi tra il prodotto amplificato e la sonda marcata o tra la sonda e l’amplificato marcato, segue percorsi diversi.Se si utilizzano traccianti radioattivi gli ibri- di si evidenziano per autoradiografia, invece ibridi con marcatura fredda seguiranno un percorso del tutto simile ad un comune test EIA o LIA.

I metodi di rivelazione sono di due tipi: diretti ed in- diretti.

I metodi diretti di rivelazione dell’ibrido formatosi tra il prodotto amplificato marcato e la sonda, preve- dono il legame dell’enzima rivelatore alla sonda e l’aggiunta del substrato corrispondente, l’enzima in presenza del substrato dà formazione di prodotti co- lorati che precipitano nel punto stesso in cui è avve- nuta la reazione. Se il marcatore utilizzato è l’ALP o la perossidasi, il substrato chemioluminescente po- trà essere l’AMPPD che per la presenza dell’ALP sarà defosforilato, il composto intermedio ottenuto essendo molto instabile si decomporrà emettendo energia luminosa direttamente proporzionale al DNA target amplificato.

I metodi di rivelazione indiretta utilizzano reazioni secondarie o meglio un complesso sistema Ag-Ab marcato. Un esempio è dato dall’ibridazione tra la biotina marcante la sonda specifica ed il DNA am- plificato e denaturato.L’ibrido biotilinato ottenuto, è incubato con la streptavidina o l’avidina coniugata con un enzima (es. perossidasi di rafano), il com- plesso biotina-avidina-enzima in presenza del sub- strato (tetrametilbenzidina), darà luogo allo sviluppo di colore e quindi leggibile con un normale colori- metro o spettrofotometro.

Altro esempio di metodo indiretto prevede il ricono- scimento dell’ibrido tramite anticorpi diretti contro il DNA non denaturato o contro la biotina, l’aggiun- ta di un anti-anticorpo-coniugato con un enzima e la successiva aggiunta di substrato rivelerà il comples- so formatosi.

Queste tecniche complesse ma di semplice applica-

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zione, permettono di raggiungere standard di sensi- bilità e specificità, sovrapponibili ai metodi che uti- lizzano traccianti radioattivi.

La semplicità del sistema di rivelazione non è sino- nimo di facilità, sottovalutare questo passaggio ri- schia di invalidare l’intero processo, infatti, non bi- sogna dimenticare che l’intero sistema allestito non è altro che un’insieme di più sottoprocessi (estrazio- ne –amplificazione –denaturazione –rivelazione).

Quali le possibilità di errore che possono inficiare o falsare il dato diagnostico?

ESTRAZIONE: cattiva resa, scarsa quantità e bassa qualità del DNA/RNA estratto.

AMPLIFICAZIONE:

1) preparazione della Master-mix, in questa fase il rischio maggiore è rappresentato dall’inquinamento (pipette sporche, materiale non sterile, ambiente in- quinato, reagenti inquinati), altra possibilità di erro- re può essere dovuta ad una cattiva preparazione della miscela di reazione (es.volumi non rispettati dei diversi componenti della mix)

2)cattivo funzionamento dell’amplificatore, errore

“rampe di temperatura” dovuto ad una cattiva ge- stione della manutenzione strumentale. Il risultato di una cattiva amplificazione sarà un amplificato

“sporco, scarso, nullo”

RIVELAZIONE: le problematiche sono correlate al- la tecnica utilizzata.

Come garantire qualità ad un processo così articolato?

Il quesito che si pone è: controllo di qualità o allesti- mento di un sistema di gestione che garantisca la qualità dell’intero processo analitico?

L’uso di un campione di controllo consentirà di ap- purare l’appropriatezza dell’intero sistema ma non ci fornirà garanzie sul dato analitico specifico, alcuni esempi: l’assenza di contaminanti nel campione di controllo non è garanzia di assenza di inquinanti nei singoli campioni, le rampe di temperatura in un am-

plificatore potrebbero essere rispettate in un pozzetto e non in un altro col risultato di un prodotto di am- plificazione non uniforme per tutti i campioni testati.

La risposta al quesito sarà quindi sia utilizzare cam- pioni di controllo sia allestire un sistema di verifica del tipo “step by step” che possa garantire l’attendi- biltà del dato analitico.

Già è stato evidenziato l’uso del sistema elettrofore- tico quale controllo delle fasi ESTRAZIONE ed AMPLIFICAZIONE (II e III STEP), altra buona norma è misurare al densitometro, dopo l’estrazione, la quantità di materiale genetico ottenuto e quindi valutarne la resa (I STEP).

In caso di ricerca di mutazioni correlate a patologie genetiche è consigliabile confermare il risultato otte- nuto utilizzando una seconda metodologia di ricerca (IV STEP).

Nell’allestimento del saggio è buona norma lavorare in doppio, utilizzare un bianco, ed un campione di controllo sia normale che patologico, lavorare sotto cappa a flusso laminare, tenere separati i materiali d’uso per ricerche di DNA da quelli per RNA . Prima di avviare una procedura controllare l’ampli- ficatore accertandosi dell’assenza di eventuale con- densa nei pozzetti, verificare il buon funzionamento delle rampe di temperatura, provvedere alla manu- tenzione giornaliera degli strumenti da utilizzare.

Accertarsi della corretta pulizia e sterilità degli am- bienti , pulire il banco di lavoro con ipoclorito di so- dio prima di ogni seduta analitica.

Usare guanti monouso da cambiare continuamente, mascherina, pipette ben pulite con manutenzione pe- riodica che preveda lavaggio in alcool, trattamento UVA e taratura, stoccare in aliquote i reagenti che prevedono riutilizzo.

Tutto il materiale d’uso sarà conservato nelle rispet- tive aree di preamplificazione ed amplificazione.

Non fumare né mangiare negli ambienti di lavoro, cambiare il camice passando da un’area all’altra,evi- tando il percorso inverso (rivelazione,amplificazione astrazione).

Registrare e verificare che sia ottemperata la manu- tenzione periodica degli strumenti dalla ditta forni- trice.

Concludendo, il buon esito di un processo analitico prevede la conoscenza dettagliata delle metodologie utilizzate comprese le relative problematiche, onde poter capire i punti critici dell’intero sistema e tro- vare i mezzi per poterli risolvere.

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