CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Ufficio per gli Incontri di Studio
Incontro di studio sul tema:
“Illecito aquiliano e ingiustizia del danno”
Roma, 29 - 30 maggio 2008 Hotel Jolly Midas
Dal contatto sociale all’imputabilità dell’atto illecito: l’obbligazione senza prestazione nell’esperienza giurisprudenziale
Relatore
Dott. Enrico SCODITTI Giudice del Tribunale di Bari
Incontro di studio sul tema “Illecito aquiliano e ingiustizia del danno”, Roma 29- 30 maggio 2008, Consiglio Superiore della Magistratura
Enrico Scoditti
Dal contatto sociale all’imputabilità dell’atto illecito: l’obbligazione senza prestazione nella giurisprudenza.
Sommario: 1. Le basi teoriche dell’obbligazione senza prestazione – 2. Le applicazioni giurisprudenziali – 3. La questione dell’onere della prova - 4. L’obbligazione senza prestazione derivante da affidamento nella legittimità dell’azione amministrativa
1. Le basi teoriche dell’obbligazione senza prestazione
La categoria di “contatto sociale”, con l’addentellato dell’obbligo di protezione, di cui la giurisprudenza si è avvalsa per la qualificazione di talune forme di responsabilità, ha origini essenzialmente dottrinali, e rappresenta dunque, in questo contesto, una esplicita ricezione di acquisizioni teoriche negli indirizzi giurisprudenziali. L’esame della categoria deve dunque necessariamente muovere dalle sue basi teoriche, e segnatamente dalla nozione di “obbligazione senza prestazione”, che ne è stata ritenuta la conseguenza caratterizzante. Sorta nell’ambito della letteratura tedesca1, è stata in Italia in modo approfondito sviluppata da un autore2, ed è a questa impostazione teorica che la giurisprudenza ha fatto espresso riferimento in occasione della prima affermazione del rapporto obbligatorio da contatto sociale, a proposito della responsabilità del medico dipendente da ente ospedaliero3. Assai rilevante, soprattutto per i problemi che saranno più avanti affrontati a proposito dell’onere della prova, è il fatto che la teorica dell’obbligazione senza prestazione muova dalla configurazione della responsabilità precontrattuale
1 K. Larenz, Schuldrecht, Munchen 1982, I, p. 100 ss., ove si parla di “rapporto obbligatorio ex lege senza obbligo primario di prestazione”.
2 C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, in Id., La nuova responsabilità civile, Milano 2006, p. 443 ss..
3 Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, Foro it., 1999, I, col. 3332, con note di F. Di Ciommo, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, e A. Lanotte, L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione?.
come responsabilità contrattuale, e non extracontrattuale. Il riferimento è ad un noto scritto4, che ha rappresentato l’occasione di un confronto pervero tutto interno alla dottrina, essendo la giurisprudenza rimasta ferma, in modo monolitico, alla tesi della natura aquiliana della culpa in contrahendo5. La fase di formazione del contratto rappresenta in questo quadro l’archetipo del contatto sociale nel codice civile.
Secondo la dottrina in discorso la responsabilità prevista dagli artt. 1337 e 1338 c.c. è da ricondurre al sistema dell’art. 1218, e non a quello dell’art. 2043, perché l’illecito aquiliano è da ricondurre alla violazione di doveri assoluti, che sorgono al di fuori di una relazione specifica fra soggetti determinati. Gli obblighi reciproci di correttezza sorgono nella fase delle trattative e della formazione del contratto, si legge, “in funzione dello specifico interesse di protezione di ciascuna parte nei confronti dell’altra in quanto tale, in quanto cioè, attraverso la relazione instaurata dalle trattative, viene investita di una specifica possibilità (che altrimenti non avrebbe) di ingerenze dannose nella sfera giuridica della controparte. Quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione sociale si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede”6. Il rapporto obbligatorio precontrattuale sorge a tutela dell’affidamento di un soggetto nella lealtà e correttezza dell’altro soggetto con cui entra in relazione di affari. Sul piano delle fonti elencate dall’art. 1173 si tratta non del contratto o del fatto illecito, ma della terza categoria, e cioè di ogni altro atto o fatto idoneo a produrre l’obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico. E’ importante sottolineare che dall’autore, cui si sta facendo riferimento, si precisa che la definizione di obbligazione ex lege per il dovere precontrattuale è esatta ma insufficiente, perché non individua il fatto (la relazione specifica che si instaura nel corso delle trattative e della formazione del contratto) cui la legge ricollega la nascita del rapporto obbligatorio precontrattuale.
Si diceva della funzione archetipale della culpa in contraendo: ricorre infatti qui, secondo l’autore cui si deve l’elaborazione italiana della categoria, “un rapporto obbligatorio sprovvisto dell’obbligo di prestazione”7. Ma per definire il contenuto della categoria si deve preliminarmente, stando sempre alla teorica in discorso, stabilire il regolamento di confini fra responsabilità contrattuale (art. 1218) e responsabilità extracontrattuale (art. 2043). Quest’ultima è caratterizzata dall’assenza di doveri di comportamento rivolti a favore di persone determinate. Essa sorge pertanto non per effetto della violazione di obblighi, ma dalla lesione di situazioni soggettive altrui. L’obbligazione (di contenuto risarcitorio) nasce, nel caso dell’illecito aquiliano, solo in seguito al verificarsi di un danno ingiusto: è un posterius, e non un prius, rispetto alla lesione (l’illecito non è tale finché non si sia
4 L. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 360 (da ultimo, nel senso della riconducibilità della responsabilità precontrattuale allo schema dell’art. 1218, F. Galgano, Le antiche e le nuove frontiere del danno risarcibile, in Contratto e impr., 2008, p. 91).
5 Da ultimo, ex multis, Cass. 7 febbraio 2006, n. 2525, Foro it., Rep. 2006, voce Contratto in genere, n. 402 e 5 agosto 2004, n. 15040, Giust. civ., 2005, I, p. 669.
6 L. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p.362.
7 C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 462.
verificato il danno). La mancanza di un precedente vincolo obbligatorio fra i soggetti dell’obbligazione risarcitoria, il loro essere cioè soggetti irrelati, è alla base dell’identificazione nel dolo o nella colpa, quali criteri di imputazione, del fondamento giustificativo della responsabilità. Trattandosi dell’elemento costitutivo della responsabilità, è onere del creditore provare il c.d. requisito psicologico. Vero è che nell’ambito della responsabilità extracontrattuale si manifestano taluni doveri: si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 2050 (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose), nel quale è previsto per l’autore di attività pericolose il dovere di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno. Doveri siffatti non integrano però una obbligazione in senso tecnico perché si identificano con mere modalità di comportamento riferite all’attività, sono un puro parametro di condotta la cui violazione coincide con la colpa. In questo quadro, il precetto del neminem ledere è niente più che un generico dovere, strutturalmente inidoneo ad identificare la responsabilità. Alla base, invece, della responsabilità contrattuale c’è un obbligo di comportamento verso un soggetto determinato. La responsabilità sorge per il mero fatto della violazione del vincolo giuridico che lega due soggetti nell’ambito di un rapporto. E’ il fatto stesso della mancata attuazione dell’obbligazione a costituire l’origine della responsabilità. Ecco perché la responsabilità contrattuale non richiede un criterio di giustificazione della responsabilità, come il dolo o la colpa: essa discende, puramente e semplicemente, dall’inadempimento (che è fonte esclusiva dell’antigiuridicità). La colpa, dunque, non è un elemento costitutivo che deve essere allegato dal creditore, ma un elemento impeditivo che il debitore deve allegare e provare, e neppure in via principale. Ai sensi dell’art. 1218 costui deve infatti prioritariamente provare l’impossibilità della prestazione, e secondariamente che quella impossibilità non è imputabile a sua colpa (l’impossibilità della prestazione, non derivante da colpa del debitore, determina l’estinzione dell’obbligazione – art.
1256)8.
Ciò premesso, la problematica dell’obbligazione senza prestazione è costituita dall’“ipotizzabilità di obblighi di protezione ab origine avulsi da un obbligo di prestazione e ciononostante in grado di dar vita, in caso di danno, a responsabilità contrattuale come conseguenza tipica della violazione di obblighi”9. Per la definizione teorica dell’obbligazione senza prestazione deve ancora farsi riferimento all’autore sopra richiamato10. L’obbligo di protezione, presupponendo un obbligo in
8 Per quanto riferito nel testo si veda C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p.
455 ss.; Id., Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa e dir. privato, 2004, p. 68 ss. (ove si legge: “Nell’obbligazione ciò che è in gioco non è la responsabilità ma al contrario l’esonero da quest’ultima.
Poiché il punto di partenza è che taluno è obbligato nei confronti di un altro a fare qualcosa, solo il venir meno
dell’obbligo libera il debitore sicché sta a quest’ultimo scagionarsi dalla responsabilità piuttosto che al creditore provare alcunché al di là del rapporto obbligatorio al fine di rendere responsabile il debitore”); naturalmente, se i meri doveri, che caratterizzano al livello di colpa la responsabilità extracontrattuale, penetrano in un diritto, in modo da convertirsi in pretesa correlata ad un obbligo, si ha il passaggio alla responsabilità contrattuale. Si vedano, inoltre, L. Mengoni, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 194 ss; Id., La parte generale delle obbligazioni, in Riv. critica dir. privato, 1984, p. 515; R. Scognamiglio, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, voce del Novissimo digesto, XI, Torino 1968, p. 672.
9 C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 448.
10 Quanto esposto di seguito nel testo riprende ancora C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit..
senso tecnico, si colloca necessariamente nell’area della responsabilità disciplinata dall’art. 1218, e mette capo alla terza categoria di fonti contemplate dall’art. 1173, e cioè ogni altro atto o fatto idoneo a produrre l’obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico. La responsabilità precontrattuale in questo quadro, costituisce una forma tipizzata di dovere di protezione, che rifluisce nel più ampio genus della responsabilità da violazione dell’affidamento (il fatto cui la legge collega gli obblighi di protezione sintetizzati dalla buona fede è l’affidamento), è una specie cioè dell’obbligazione senza prestazione11. Nel momento in cui allo stato del soggetto professionale, si pensi al caso del medico lavoratore subordinato, si riconnettono, in forza del principio di buona fede, obblighi di comportamento verso soggetti determinati (il paziente della struttura ospedaliera), questi acquistano il particolare contenuto di doveri di conservazione della sfera giuridica altrui, determinati dall’affidamento generato dalla professionalità, ed alla forma tipizzata dall’art. 1337 è possibile aggiungere altre forme di responsabilità derivanti dalla violazione di un rapporto obbligatorio avulso da una prestazione specifica. Nei confronti del paziente per il medico dipendente da struttura ospedaliera prendono forma autonomi obblighi di protezione e di sicurezza (che sono gli obblighi di cura imposti al medico dall’arte che professa), disancorati da una prestazione, e la cui violazione si traduce in una culpa in non faciendo, che dà origine a responsabilità contrattuale. Il riferimento alla responsabilità contrattuale è alla tipologia di responsabilità, quella del rapporto obbligatorio alternativa all’illecito aquiliano, ma non alla fonte, posto che qui manca il contratto fra medico e paziente, e l’obbligo, in mancanza di un rapporto di prestazione, trova la sua radice nell’affidamento riposto nella qualità professionale del medico. La volontà negoziale è qui sostituita dal porsi del soggetto professionale come tale e dall’affidamento riposto in esso. Mentre nel caso dell’obbligo di prestazione il soggetto agente vi è tenuto in forza del vincolo negoziale, nel caso dell’obbligo di protezione non sussiste l’obbligo di dar corso ad una richiesta di adempimento, come accade per chi è obbligato ad una determinata prestazione, e tuttavia l’obbligo sorge, in sede di contatto sociale con l’utente la struttura ospedaliera (quest’ultima contrattualmente vincolata nei confronti di costui), per tornare all’esempio del medico, sul presupposto dell’affidamento generato dalla qualità professionale ed in forza della buona fede12.
Il rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione non è, ovviamente, circoscrivibile al caso del paziente in relazione al medico dipendente da struttura ospedaliera, ma va inteso in favore di ogni soggetto che entri nell’orbita operativa di un altro soggetto qualificato professionalmente13. La diligenza non è qui
11 Si veda, nel nuovo ordinamento tedesco, il par. 311 BGB, comma terzo, secondo cui “un rapporto obbligatorio contenente obblighi accessori secondo la previsione del par. 241, comma secondo, può sorgere anche tra soggetti che non sono destinati a diventare parti di un contratto. Un tale rapporto obbligatorio sorge in particolare nei confronti di un terzo che abbia suscitato in misura rilevante un affidamento, influenzando in maniera significativa le trattative
contrattuali o la conclusione del contratto”.
12 Del resto anche la relazione che si instaura in sede precontrattuale viene intrapresa spontaneamente, ma poi la legge collega, al presupposto dell’affidamento, doveri di protezione.
13 Ad esempio, la responsabilità della società di revisione, sulla base del suo status professionale, nei confronti dei possibili investitori nella società che ha conferito l’incarico di revisione contabile (art. 164 d. lgs. 24 febbraio 1998, n.
58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (la giurisprudenza in tali casi è invece
un mero parametro di valutazione della condotta, alla stregua di quanto avviene con il requisito della colpa nella responsabilità extracontrattuale, ma, riferita alla perizia professionale di cui al secondo comma dell’art. 1176, integra una obbligazione in senso proprio, l’obbligo di diligenza derivante da uno status professionale, in modo indipendente dall’esistenza di una relazione contrattuale. Determina, cioè, il contenuto dell’obbligazione.
2. Le applicazioni giurisprudenziali
Riprendendo il titolo di un commento alla prima sentenza in materia, è con la responsabilità del medico dipendente da ente ospedaliero che l’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione. Come si è anticipato, la pronuncia in discorso attinge a piene mani dall’impostazione teorica che è stata tratteggiata14. Con tale sentenza la Suprema corte supera il precedente orientamento secondo il quale la responsabilità del medico dipendente era da ascrivere all’illecito aquiliano15. La responsabilità del medico dipendente ospedaliero deve dunque qualificarsi contrattuale, al pari di quella dell’ente gestore del servizio sanitario, non già però per l’esistenza di un vincolo contrattuale fra le parti, ma in virtù del contatto sociale.
Nella pronuncia si adopera per il vero anche la categoria di origine dottrinale di
“rapporto contrattuale di fatto”, ma si è osservato che la fonte dell’obbligazione di protezione non è un contratto di fatto, bensì il contatto sociale il quale, allo stesso modo che nella responsabilità precontrattuale, è il fatto giuridico costituente il presupposto di applicabilità dell’art. 121816. Ad essere contrattuale è solo il rapporto,
orientata nel senso della responsabilità aquiliana – Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, Giur. comm., 2003, II, p. 445). E’
stato anche fatto il caso della c.d responsabilità da prospetto. Nell’ipotesi di sollecitazione all’investimento, in sede di appello al pubblico risparmio, ricorre l’obbligo di pubblicazione preventiva di un prospetto, da comunicare
preventivamente alla Consob. L’ art. 94, ottavo, nono e undicesimo comma, T.U.F., prevede ora che “8. L'emittente, l'offerente e l'eventuale garante, a seconda dei casi, nonché le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria competenza, dei danni subiti dall’investitore che abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso. 9. La responsabilità per informazioni false o per omissioni idonee ad influenzare le decisioni di un investitore ragionevole grava sull’intermediario responsabile del collocamento, a meno che non provi di aver adottato la diligenza prevista dal comma precedente. …11. Le azioni risarcitorie sono esercitate entro cinque anni dalla pubblicazione del prospetto, salvo che l’investitore provi di aver scoperto le falsità delle informazioni o le omissioni nei due anni precedenti l’esercizio dell’azione”.
14 Si tratta di Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, cit. (per un approccio critico al riferimento al contatto sociale, Forziati, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il “contatto sociale” conquista la Cassazione, in Resp. civ. prev., 1999, I, p. 661, ove si censurano le notevoli potenzialità espansive del nuovo indirizzo). Da alcuni autori si indica anche quale esempio di applicazione giurisprudenziale della categoria di contatto sociale Cass. 14 settembre 1999, n. 9795, Giur. comm., 2000, II, p. 167, relativa alla responsabilità dell’amministratore di fatto di società capitali per gli eventuali atti di mala gestio commessi a danno dei soci, ma trattasi di riferimento non pertinente, non ricavandosi dalla
motivazione della sentenza alcun riferimento alla categoria in discorso. Estranea alla problematica del contatto sociale in senso tecnico è anche Cass. 26 febbraio 2004, n. 3863, Foro it., 2004, I, col. 2132: si afferma nella sentenza che il contratto atipico di parcheggio si conclude sulla base della combinazione dell’offerta della prestazione di parcheggio e l’accettazione dell’utente manifestata attraverso l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione, sicché il vincolo contrattuale “si realizza attraverso il contatto sociale”; il riferimento è chiaramente alle modalità di conclusione del contratto, da intendersi per facta concludentia.
15 Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, id., 1978, I, col. 4.
16 F. Galgano, Le antiche e le nuove frontiere del danno risarcibile, p. 94; I. Sarica, Il contatto sociale tra le fonti della responsabilità civile: recenti equivoci nella giurisprudenza di merito, in Contratto e impr., 2005, p. 101, ove si critica il
non la fonte. Dall’operatore professionale, si legge nella sentenza, si deve esigere nei confronti del paziente quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento. L’assenza di un contratto, e quindi di un obbligo di prestazione in capo al sanitario dipendente, non è in grado di neutralizzare la professionalità, che qualifica ab origine l’opera di quest’ultimo, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in “contatto” con lui. La responsabilità è contrattuale perché il soggetto non ha fatto (culpa in non faciendo) ciò a cui era tenuto in base ad un vincolo obbligatorio, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale.
La sussunzione della responsabilità nell’orbita dell’inadempimento consente di agire nei confronti del medico non solo nel caso in cui il suo intervento abbia cagionato un danno, e cioè nell’ipotesi in cui il paziente si trovi in una posizione peggiore rispetto a quella precedente dell’intervento medico, come sarebbe per il caso di responsabilità aquiliana. L’esistenza di un rapporto obbligatorio consente di agire anche nel caso in cui il paziente non abbia conseguito il risultato positivo (o migliorativo) che, secondo le normali tecniche sanitarie, avrebbe dovuto raggiungere (ma, ciononostante, non è “peggiorato”). Secondo invece la dottrina, quando la cura, pur non dannosa, si sia rivelata inutile nonostante aspettative ingenerate e i risultati promessi, il paziente può agire nei confronti della struttura sanitaria, ma non nei confronti del medico che abbia concretamente operato o curato, non essendo quest’ultimo obbligato alla prestazione; l’azione contro il medico può essere proposta solo nei casi in cui la cura, oltre che inutile, si sia rivelata dannosa per la salute del paziente17. Il rilievo critico è da mettere in relazione al fatto che l’interesse positivo è risarcibile solo nel caso di inadempimento di prestazione, mentre nell’ipotesi dell’obbligazione senza prestazione, in cui rileva l’interesse di protezione (l’interesse cioè a non subire un pregiudizio), è risarcibile solo l’interesse negativo18. La posizione della giurisprudenza di legittimità, in relazione all’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, è rimasta ferma19, ma è interessante allargare lo sguardo alle altre ipotesi di obbligazione senza prestazione emerse in giurisprudenza.
L’altra ipotesi, in cui la categoria in questione ha ricevuto significativa applicazione, è quella della responsabilità dell’insegnante per il danno cagionato dal minore a sé stesso. Componendo un contrasto fra sezioni semplici, le sezioni unite, con la sentenza 27 giugno 2002 n. 934620, hanno escluso l’applicabilità della
riferimento al “rapporto contrattuale di fatto” in Trib. Roma 20 gennaio 2004, Foro it., 2004, I, 909. Per C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 487, il richiamo a rapporti contrattuali di fatto (contratti nulli a cui la legge attribuisce eccezionalmente limitato vigore) non è pertinente perché essi danno vita, in quanto atti negoziali, ad obblighi di prestazione.
17 C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 485.
18 Ivi, p. 496 ss.
19 Si segnalano le seguenti decisioni in argomento: Cass. 24 maggio 2006, n. 12362, Foro it., Rep. 2006, voce
Professioni intellettuali, n. 197; 19 aprile 2006, n. 9085, ibid., voce cit., n. 193; 21 giugno 2004, n. 11488, id., 2004, I, 3328; 29 settembre 2004, n. 19564, id., Rep. 2005, voce cit., n. 528.
20 Id., 2002, I, 2635, con nota di F. Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura a sé stesso: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c..
disciplina dettata dall’art. 2047 (prevede il primo comma: “In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”). La presunzione di responsabilità, ivi prevista, non è applicabile all’ipotesi del danno cagionato dall’incapace a sé stesso perché opera solo per il caso del danno cagionato dall’incapace ad un terzo (si trattava peraltro dell’indirizzo prevalente in giurisprudenza). L’orientamento contrario stabilisce una radicale alterazione della norma, non più intesa quale culpa in vigilando del precettore per il fatto illecito compiuto dall’allievo in danno del terzo, ma quale diretta responsabilità del precettore nei confronti dell’allievo per fatto illecito proprio (il non aver impedito, violando l’obbligo di vigilanza, che venisse compiuta la condotta autolesiva).
Dovrebbe dunque trovare applicazione l’art. 2043. Nell’occasione la Corte, chiarendo che la questione non ha formato oggetto di giudizio nelle fasi di merito, e dunque restando sul piano del decisum alla responsabilità extracontrattuale, ha comunque precisato che la soluzione più corretta sarebbe quella della riconduzione sia della responsabilità dell’istituto scolastico che di quella dell’insegnante nell’ambito della responsabilità contrattuale, con applicazione del regime probatorio di cui all’art.
1218. Quanto all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione, e la conseguente ammissione dell’allievo, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale l’istituto assume l’obbligo, fra l’altro, di vigilare anche sulla sicurezza ed incolumità dell’allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica, anche al fine di evitare che procuri danno a sé stesso. Quanto al precettore dipendente dall’istituto scolastico, si stabilisce fra costui e l’allievo, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il precettore assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Nonostante la ratio decidendi della pronuncia delle sezioni unite non fosse quella dell’applicabilità al caso del regime dell’art. 1218, tale orientamento nell’ipotesi in questione è poi rimasto costante nella giurisprudenza21.
In una particolare fattispecie è stata esclusa la configurabilità della responsabilità da contatto sociale del notaio non per ragioni di principio, ma di merito. In questione, nella specie, era l’attività di cancellazione delle ipoteche, incarico conferito al notaio in occasione di contratto di permuta. La Corte di Cassazione riconosce che l’attività professionale del notaio rientra tra quelle protette e crei un alto affidamento nel soggetto che riceve la prestazione, per cui se il notaio svolge la propria attività professionale in favore di un soggetto, essa deve sempre avere le stesse caratteristiche e qualità, previste dalle norme di varia natura che presiedono alla sua attività, non potendosene prescindere nei casi in cui la prestazione non sia effettuata sulla base di un contratto di prestazione d'opera professionale intellettuale, poiché ciò determina in ogni caso una sua responsabilità.
21 Cass. 18 luglio 2003, n. 11245, Nuova giur. civ., 2004, p. 491, con nota di I. Carassale, Danno cagionato
dall’incapace a sé medesimo: dal torto al contratto, sempre nell’ottica del risarcimento; 6 giugno 2005, n. 12966, Foro it., Rep. 2005, voce Responsabilità civile, n. 335; 18 novembre 2005, n. 24456, Danno e responsabilità, 2006, p. 1081;
29 aprile 2006, n. 10030, Foro it., Rep. 2006, voce cit., n. 303.
Sennonché presupposto della responsabilità da contatto sociale, continua la Corte, è che l'esercente della professione protetta effettui una prestazione inesatta in favore di un soggetto, che ne riceva un danno. Se detta prestazione manca nei confronti del soggetto che si ritiene danneggiato, non può sussistere neppure una responsabilità del notaio da contatto sociale. Nella fattispecie la prestazione dell'attività professionale per la cancellazione delle ipoteche, non solo non era stata richiesta dai ricorrenti, ma non era neppure stata effettuata in loro favore, ma in favore delle controparti, che erano divenute proprietarie del bene ipotecato22.
Nel quadro dell’obbligazione senza prestazione può essere collocata, sulla base dell’evoluzione giurisprudenziale, anche la responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile a soggetto non legittimato. In base all’art. 43 l.
ass. (r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736), l’assegno bancario con la clausola “non trasferibile” non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente. Questi non può girare l’assegno se non ad un banchiere per l’incasso, il quale non può ulteriormente girarlo. Aggiunge il secondo comma della norma citata che colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento23. Prima dell’intervento delle sezioni unite, per comporre il contrasto relativo alla natura della responsabilità di cui all’art. 43, essendo la giurisprudenza divisa fra responsabilità extracontrattuale e contrattuale, si era pronunciata Cass. 6 ottobre 2005, n. 1951224, in riferimento ad assegno circolare (cui la regola dell’art. 43 risulta estendibile in base al rinvio contenuto nell’art. 86, comma primo, l. ass.), nel senso dell’obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173, ad ogni altro fatto o atto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, e dunque né a fatto illecito né a contratto (la responsabilità non ha natura contrattuale, non essendovi rapporto negoziale di sorta fra banca e beneficiario).
Le sezioni unite25 concludono nel senso della responsabilità contrattuale non derivante da fonte negoziale, correggendo in parte la motivazione della pronuncia
22 Cass. 23 ottobre 2002, n. 14394, Nuova giur.civ., 2004, p. 112, con nota di R. Barbanera, La responsabilità da contatto sociale approda anche tra i notai. Si è fatto riferimento a tale sentenza per ricavarne la conseguenza che, mancando la prestazione, non è configurabile neanche il contatto sociale, e dunque che l’obbligo da “contatto sociale”
ha come proprio contenuto quello di portare correttamente e diligentemente a compimento la prestazione intrapresa spontaneamente (perché originariamente non dovuta), onde garantire le ragioni del soggetto nella cui sfera si viene ad incidere con la prestazione (F. Rolfi, Le obbligazioni da contatto sociale nel quadro delle fonti di obbligazione, in Giur.
merito, 2007, 6,, p. 570 ss.); in questo modo, però, l’obbligo di protezione, quale dovere di eseguire in mododiligente la prestazione, rifluirebbe nella tematica dell’adempimento della prestazione, la quale, già di suo, senza necessità del richiamo all’affidamento da contatto sociale, si caratterizza come uso della diligenza (art. 1176) e comportamento secondo correttezza (art. 1175).
23In base all’art. 49 d. lgs. 21 novembre 2007 n. 231 gli assegni bancari o postali emessi per importi pari o superiori a 5.000 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non
trasferibilità; gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità; il rilascio di assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 5.000 euro può essere richiesto, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non trasferibilità,ma è dovuta dal richiedente, a titolo di imposta di bollo, la somma di 1,50 euro.
24 Foro it., 2006, I, col. 1091, con osservazioni di D. Sabbatici; conforme è Cass. 25 agosto 2006, n. 18543, Banca, borsa, ecc., 2007, II, p. 285, con nota di R. Luppoli, Problemi in tema di responsabilità della banca girataria per l'incasso di assegno non trasferibile.
25 Cass. 26 giugno 2007, n. 14712, Corriere giur., 2007, p. 1706, con commento di A. di Majo, Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili.
appena citata. Per escludere la necessaria riconducibilità ad un titolo negoziale della responsabilità contrattuale si richiama la giurisprudenza sul contatto sociale, e si elimina il richiamo alla terza categoria di fonti di cui all’art. 1173, la quale viene identificata con la responsabilità da fatto lecito (in primis la responsabilità derivante dalla gestione di affari altrui o dall’arricchimento privo di causa). Alla base della responsabilità prevista dall’art. 43 vi è l’obbligo professionale del banchiere, sul cui puntuale espletamento fanno affidamento tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione ed incasso dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità (il prenditore, ma eventualmente anche colui che abbia apposto sul titolo la clausola di non trasferibilità, o colui che abbia visto indebitamente utilizzata la provvista costituita presso la banca trattaria o emittente, nonché questa stessa banca, per ipotesi diversa da quella girataria). La violazione di tale dovere di protezione, obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto, come afferma la Corte, spinge perciò fuori dell’illecito aquiliano o della stessa responsabilità ex lege (intesa come responsabilità da atto lecito), e fa concludere nel senso della natura (latu sensu) contrattuale della responsabilità.
Da ultimo, con riferimento ad una particolare vicenda giurisprudenziale, è stata prospettata in sede di commento una rilettura in termini di responsabilità da contatto sociale26. La questione è se sia esperibile, ed a quale titolo, il rimedio risarcitorio nel caso venga volontariamente eluso il regime di offerta pubblica di acquisto totalitaria prevista dagli art. 106 ss., Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lgs. 24 febbraio 1998 n. 58), con conseguente acquisto del controllo della società target, e lo scalatore abbia ottemperato alle sanzioni comminate dall’art. 110 T.U.F. (sospensione del diritto di voto ed alienazione delle azioni eccedenti le percentuali prescritte), senza tuttavia che venga meno il controllo sulla società target, medio tempore consolidatosi proprio a seguito della condotta elusiva. Secondo il tribunale, in primo grado, sussistendo un diritto soggettivo in capo al socio di minoranza al lancio dell’offerta obbligatoria, derivante dal principio di parità di trattamento di cui all’art. 92 T.U.F., lo scalatore è tenuto ai sensi dell’art. 1218 a risarcire il danno consistente nella mancata possibilità di aderire all’offerta e di percepire il relativo beneficio economico (differenza fra il prezzo legale minimo di Opa ed il valore medio di mercato dei titoli azionari). In appello la responsabilità è stata invece qualificata come precontrattuale, ascrivendo quest’ultima all’area dell’illecito aquiliano, con limitazione del danno all’interesse negativo (spese ed occasioni mancate). Commentando la pronuncia della corte d’appello, si è invece fatto riferimento alla responsabilità contrattuale da contatto sociale, con riconoscimento del risarcimento nei termini dell’interesse positivo, considerando il fatto del superamento della soglia partecipativa del 30% come fatto costitutivo dell’affidamento del socio di minoranza sulla possibilità di esercitare il diritto di exit,
26 App. Milano 15 gennaio 2007, Giur. merito, 2007, 2, p. 2578, con commento di G. Meruzzi, Responsabilità da contatto, culpa in contraendo e dintorni: il caso Sai-Fondiaria-Mediobanca tra vecchi pregiudizi e nuove prospettive.
con contestuale realizzo del c.d. premio di controllo tramite l’adesione all’offerta pubblica obbligatoria che lo scalatore è tenuto a lanciare27.
Restando alla materia della intermediazione finanziaria, è stato affermato che in questa materia l’obbligazione senza prestazione ha trovato una conferma nella legge28. Gli obblighi dell’intermediario finanziario discendono per la fase precontrattuale dall’art. 1337 e dalla fonte regolamentare (il riferimento è al regolamento Consob adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007), e per la fase di esecuzione da quanto previsto dal contratto di intermediazione finanziaria, integrato ex art. 1374 dalle disposizioni legislative (in particolare l’art. 21 T.U.F.) e regolamentari. A questo proposito non può sfuggire l’esistenza di una dettagliata disciplina regolamentare degli obblighi di comportamento, non solo di carattere informativo, ma anche per ciò che concerne il conflitto di interessi, l’adeguatezza ed appropriatezza dell’operazione finanziaria. Per ciò che concerne gli obblighi informativi, è sufficiente richiamare l’art. 34 del citato regolamento, che regolamenta sia la fase precontrattuale (“gli intermediari forniscono al cliente al dettaglio o potenziale cliente al dettaglio, in tempo utile prima che sia vincolato da qualsiasi contratto per la prestazione di servizi di investimento o accessori, le informazioni concernenti i termini del contratto”), che quella di attuazione del contratto di intermediazione finanziaria in relazione alle singole operazioni finanziarie (“gli intermediari forniscono le informazioni di cui agli articoli da 29 a 32 ai clienti al dettaglio o potenziali clienti al dettaglio in tempo utile prima della prestazione di servizi di investimento o accessori”)29.
3. La questione dell’onere della prova
L’applicazione giurisprudenziale dell’obbligazione senza prestazione, data la generalizzabilità di quest’ultima ad una pluralità di situazioni relative ad obblighi di protezione, presuppone ovviamente un corretto uso della clausola generale di buona fede, in modo da evitare un’estensione incontrollabile della responsabilità contrattuale da affidamento. Il regime conseguente alla qualificazione in termini di obbligazione senza prestazione ha, com’è evidente, le caratteristiche della responsabilità contrattuale. La prescrizione è quella ordinaria decennale prevista dall’art. 2946 e per l’onere della prova deve farsi capo all’art. 1218. Alle conseguenze più favorevoli per il creditore, rispetto all’illecito aquiliano, per ciò che concerne prescrizione e onere della prova, fa da contrappeso la limitazione del danno
27 G. Meruzzi, Responsabilità da contatto, culpa in contraendo e dintorni: il caso Sai-Fondiaria-Mediobanca tra vecchi pregiudizi e nuove prospettive, cit..
28 C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 537 (sull’inquadramento della responsabilità dell’intermediario finanziario nell’ambito dell’affidamento ingenerato dallo status professionale si veda da ultimo S. Panzini, Violazione dei doveri d’informazione da parte degli intermediari finanziari tra culpa in
contraendo e responsabilità professionale, in Contratto e impr., 2007, p. 1002 ss.).
29 Le sezioni unite hanno affermato che deriva dalla violazione degli obblighi di comportamento da parte
dell’intermediario finanziario, non la nullità del contratto di intermediazione finanziaria o dei singoli atti negoziali conseguenti, ma l’obbligazione risarcitoria ed eventualmente la risolubilità del predetto contratto (Cass. 19 dicembre 2007, n. 26724, Foro it., 2008, I, col. 784, con nota di E. Scoditti, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite).
risarcibile. Trova infatti applicazione l’art. 1225 (“Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione”), il quale non si applica alla responsabilità extracontrattuale, nella quale quindi sono risarcibili sia i danni prevedibili che quelli imprevedibili, non avendo l’art. 2056 richiamato l’art. 122530. Tornando alla questione dell’onere della prova, stante il principio affermato da una nota pronuncia delle sezioni unite31, il creditore che agisce per il risarcimento del danno derivante dalla violazione del dovere di protezione dovrà allegare l’inadempimento o l’inesattezza dell’adempimento della controparte, a parte la prova del danno, mentre compete al debitore convenuto, in base al principio di vicinanza o riferibilità, la prova della circostanza che l’inadempimento (o inesatto adempimento) non vi è stato o che l’impossibilità di adempiere è stata determinata da causa non imputabile.
La soluzione della questione dell’onere della prova, apparentemente semplice, va in realtà verificata alla luce della problematica delle obbligazioni di comportamento derivanti dalla normativa di correttezza. Nella pronuncia delle sezioni unite, sopra richiamata, il criterio di riparto dell’onus probandi individuato veniva fondato sulla presunzione di persistenza del diritto desumibile dall’art. 2697, in virtù del quale, una volta provata dal creditore l’esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l’onere di dimostrare l’esistenza del fatto estintivo, costituito dall’adempimento. Con riferimento alla culpa in contraendo, ma l’argomento pare agevolmente estendibile a tutte le obbligazioni di comportamento la cui fonte sia il principio di correttezza, è stato osservato che la presunzione di persistenza del diritto ha senso quando il diritto (di credito) ha ad oggetto una prestazione determinata nel suo contenuto, ma non ha molto senso quando la “pretesa” (creditoria) sia invece indirizzata ad un mero comportamento corretto, di cui non sia precostituito/precostituibile né il contenuto né le modalità di attuazione. Sulla base di questa premessa è stato ritenuto che all’attore non è sufficiente dimostrare l’esistenza di un rapporto precontrattuale, come fatto da cui è sorto l’obbligo di buona fede (nel nostro caso il contatto sociale), limitandosi ad allegare genericamente la “scorrettezza” del comportamento tenuto dalla controparte, e lasciando a quest’ultima l’onere di fornire la prova di aver agito “correttamente”;
sarà invece onere di chi agisce per il risarcimento allegare e provare i comportamenti
30 La prevedibilità del danno richiesta dall’art. 1225 riguarda il danno considerato non tanto nella sua intrinseca realtà, quanto nel suo concreto ammontare, sicché, ad integrare l’esistenza di tale requisito, non è sufficiente il riferimento ad una astratta prevedibilità del danno stesso, dovendo ritenersi, per converso, che il concreto ammontare del risarcimento non può eccedere l’entità prevedibile nel momento in cui è sorta l’obbligazione inadempiuta (Cass. 17 marzo 2000, n.
3102, id., 2001, I, col. 259; 25 maggio 1989, n. 2555, id., 1990, I, col. 1946; 28 maggio 1983, n. 3694, id., Rep. 1983, voce Danni civili, n. 44). Secondo la giurisprudenza l’inapplicabilità dell’art. 1225 alla responsabilità extracontrattuale attiene al nesso di causalità giuridica di cui all’art. 1223 fra fatto illecito e danno quale oggetto dell’obbligazione risarcitoria, e non a quello di causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 c.p., afferente al nesso fra condotta e danno quale evento lesivo (Cass. 31 maggio 2005, n. 11609, id., 2006, I, col. 793). Nel senso invece che dal sistema della responsabilità aquiliana è desumibile comunque una regola di pari contenuto di quello di cui all’art. 1225, essendo il danno non prevedibile incompatibile con il principio della colpa, C. Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, cit., p. 107 ss.
31 Cass. 30 ottobre 2001, n. 13533, Foro it., 2002, I, 769, con nota di P. Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova:
le sezioni unite e la difficile arte del rammendo.
altrui che si assumono contrari alla condotta che sarebbe stato “corretto” tenere32. Stando a questi rilievi parrebbe che il passaggio dalla responsabilità extracontrattuale a quella contrattuale non arrecherebbe un effettivo vantaggio al soggetto danneggiato in punto di onere della prova, incombendo su di lui comunque la prova del comportamento contrario a buona fede.
Un primo rilievo da fare attiene proprio al contenuto dell’obbligazione senza prestazione. Non è detto che quest’ultima sia ricostruibile come mero comportamento di protezione, e non anche prestazione determinata. E’ questo il senso di una delle critiche che è stata svolta nei confronti della teorica delle obbligazioni senza prestazione. Si è detto che è pur sempre prestazione un comportamento orientato a fare ottenere un risultato favorevole a soggetti determinati. Il rapporto è orientato all’adempimento di obblighi specifici derivanti dallo statuto professionale del debitore, sicché il creditore può esigere prestazioni, cioè comportamenti finalizzati alla soddisfazione di un interesse, al di là della mera protezione. L’attività professionale richiesta va oltre il mero evitare, ad esempio nel rapporto con il medico, che la condizione del paziente non sia peggiore di quella che sarebbe stata ove nessun contatto si fosse verificato. La particolarità rispetto alla prestazione contrattuale è che la fonte non è data dal contratto, ed è questo il vero significato della categoria di
“obbligazione senza prestazione”, espediente retorico per coprire il vero quid, costituito dalla fonte non contrattuale del rapporto. All’origine del rapporto non c’è un contratto, ma la stessa attività esecutiva, sicché è la prestazione professionale (in assenza di contratto) che precede l’obbligazione. Più che di obbligazione senza prestazione, dovrebbe parlarsi di prestazione senza obbligazione. La presenza di una specifica prestazione allontanerebbe la tematica del rapporto obbligatorio di fatto da quella della responsabilità precontrattuale33. Se si assume questa posizione critica nei confronti della teorica delle obbligazioni senza prestazione è agevole concludere nel senso che anche nelle obbligazioni c.d. di comportamento derivanti dallo stato professionale un diritto ad una prestazione determinata è configurabile, e dunque ben può il creditore limitarsi ad allegare l’inadempimento della prestazione in questione, rovesciando sul soggetto obbligato l’onere della prova.
Senza tuttavia approdare a questa lettura critica della tematica dell’obbligazione senza prestazione, per replicare alla tesi della necessaria prova da
32 Così G. D’Amico,La responsabilità precontrattuale, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, V, Milano 2006, p. 1117, allo scopo di dimostrare che, ai fini della distribuzione dell’onere della prova in materia di culpa in contraendo, è indifferente la qualifica in termini aquilani o contrattuali della responsabilità.
33 Si tratta dei rilievi svolti in A. di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corriere giur., 1999, p. 446 sgg. e Id., Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili, cit.
All’obiezione è stato replicato che il risultato utile della prestazione sanitaria è atteso non nei confronti del medico, ma della struttura sanitaria, che risponde ai sensi dell’art. 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari), ma la
responsabilità ex contractu del dominus non esclude quella degli ausiliari nei confronti del danneggiato (come si desume dalla derivazione dell’art. 1228, norma ignota al codice del 1865, dall’art. 2049), anche se ad un titolo diverso sia da quello aquiliano che da quello del debito per prestazione, e cioè a titolo, per l’appunto, di obbligazione senza prestazione (C. Castronovo, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 488 ss.). Si è ulteriormente replicato che, pur postulato un rapporto autonomo con il paziente, cioè al di là dell’art. 1228, la conclusione non cambia ed il contenuto dell’obbligazione resta lo stesso, e cioè una responsabilità per non faciendo (A. di Majo, Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili, cit.). Non è inutile segnalare che ai sensi dell’art.
1228 il debitore che si vale dell’opera di terzi risponde dei “fatti dolosi o colposi” di costoro, e cioè del fatto illecito, non dell’inadempimento di un obbligo (sia pure non di prestazione, ma di protezione).
parte del creditore del comportamento “scorretto” è sufficiente richiamare gli ulteriori sviluppi della giurisprudenza dopo il fondamentale arresto di Cass. n. 13533/2001. In materia di responsabilità per i danni da sangue o emoderivati infetti, proprio sul presupposto del fondamento nel contatto sociale dell’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria, le sezioni unite hanno di recente affermato il seguente principio: “l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce
causa (o concausa) efficiente del danno.
Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè
astrattamente efficiente alla produzione del danno.
Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno”34. Il creditore non dovrà provare il comportamento scorretto, ma limitarsi ad allegare l’inadempienza, purché sia un’inadempienza idonea ad essere causa del danno.
L’onere della prova incombe invece sul debitore. Non è inutile aggiungere che la conclusione raggiunta, ove si legga la responsabilità precontrattuale in termini contrattuali, e non di illecito aquiliano, può essere estesa anche a quest’ultima. Il creditore dovrà allegare la condotta, o l’omissione, che, in violazione della regola di cui all’art. 1337, ha determinato il danno, spostando sulla controparte l’onere della prova o di avere agito nel rispetto della regola di correttezza o che il contegno denunciato non è stato causa di danno.
4. L’obbligazione senza prestazione derivante da affidamento nella legittimità dell’azione amministrativa
Un capitolo a parte, per le peculiarità della materia, è quello del riferimento dell’obbligazione senza prestazione al procedimento amministrativo. Anche qui deve farsi capo alla sistemazione teorica proposta dall’autore cui si deve la ricezione in Italia dell’obbligazione senza prestazione. La posizione teorica, in sintesi, è la seguente. Nel momento in cui viene instaurato un procedimento amministrativo sorge fra privato e pubblica amministrazione una relazione inquadrabile nella maglie del rapporto obbligatorio. La supremazia della pubblica amministrazione, che dà vita alla figura dell’interesse legittimo, non consente di configurare obblighi di prestazione.
34 Cass. 11 gennaio 2008, n. 577, Foro it., 2008, I, 455, con osservazioni di A. Palmieri. Nella sentenza si specifica che in passato veniva utilizzata la distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato per sostenere che mentre nelle
obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il risultato, sul creditore incombeva l’onere della prova che il mancato risultato era dipeso da scarsa diligenza, nelle obbligazioni di risultato, invece, sul debitore incombeva l’onere della prova che il mancato risultato era dipeso da causa a lui non imputabile (la distinzione in discorso, anche sul presupposto che in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, è stata ormai abbandonata dalla giurisprudenza – cfr. Cass. 29 luglio 2005, n. 15781, Nuova giur. civ., 2006, I, p. 828 e 13 aprile 2007, n. 8826, Resp. civ. prev., 2007, II, p. 1824 –, e già Cass. n. 13533/2001 aveva chiarito la questione dell’onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento senza alcun richiamo alla distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato).
Dall’affidamento riposto sullo status di pubblica amministrazione e sulla correttezza del suo agire (alla stessa stregua di quanto accade per il soggetto professionale), discendono tuttavia, in forza del principio di buona fede, una serie di obblighi di protezione, obblighi cioè senza prestazione. Il fatto costitutivo dunque non è tanto il semplice contatto procedimentale (come viene invece affermato dalla giurisprudenza che condivide la tesi della responsabilità contrattuale, su cui più avanti), ma lo status.
Gli obblighi di protezione, già ricorrenti fra privati secondo un nesso di reciprocità, nel caso del rapporto con la pubblica amministrazione, formalmente squilibrato, devono ritenersi ancora più intensi. La l. n. 241/1990 prevede obblighi tutti dalla parte dell’amministrazione, mentre in favore dei soggetti, nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti, diritti. In tale quadro le c.d. norme di azione diventano norme di relazione, ed il regime della responsabilità applicabile è quello contrattuale di cui all’art. 1218, con tutto quanto ne consegue innanzitutto in termini di termine prescrizionale ed onere della prova. Per il privato sarà sufficiente provare la violazione degli obblighi gravanti sull’amministrazione, mentre sarà quest’ultima a dover provare di aver osservato le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero che la predetta violazione deriva da causa ad essa non imputabile35.
Anche nella vicenda in esame si propone un fenomeno di ricezione da parte della giurisprudenza di indirizzi della dottrina. E’ interessante osservare che la casistica giurisprudenziale attiene a fattispecie di lesione di interessi c.d. pretensivi.
La rilevanza del “contatto” procedimentale, quale forma determinata di contatto sociale, è stata affermata in primo luogo all’interno della giurisprudenza amministrativa, sulla base di un’esigenza di semplificazione dell’onere probatorio concernente l’elemento della colpa dell’amministrazione. Avviato il procedimento amministrativo vengono in rilievo obblighi di comportamento cui resta estraneo il modello della responsabilità aquiliana, caratterizzato dall’assenza di una precedente relazione fra i soggetti interessati dalla lesione della posizione giuridica, mentre più pertinente è il riferimento al rapporto obbligatorio di diritto comune. Al soggetto pubblico è imposto un preciso onere di diligenza, che lo rende garante del corretto sviluppo del procedimento e della sua legittima conclusione. La misura della diligenza è definita dalle regole che governano il procedimento amministrativo, e la violazione di tali regole non si traduce solo nell’illegittimità dell’atto, ma è anche indice, quanto meno presuntivo, della colpa dell’amministrazione. L’onere della prova va ripartito in base all’art. 1218: è l’autorità pubblica che deve dimostrare che, in concreto, l’accertata violazione della regola di governo del procedimento
35 C. Castronovo, Osservazioni a margine della giurisprudenza nuova in materia di responsabilità civile della p.a., in Studi in onore di G. Berti, I, Napoli 2005, p. 704 ss. (la c.d. pregiudiziale amministrativa va superata perché, dato il collegamento della responsabilità alla violazione di un rapporto obbligatorio, l’accertamento dell’illegittimità ed il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno prescindono dall’annullamento dell’atto); Id., Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, in Jus, 1998, p. 647 ss.; Id., L’interesse legittimo varca la frontiera della
responsabilità civile, in Europa e dir. privato, 1999, p. 1262 ss..
amministrativo è derivata da vicende estranee al normale limite di esigibilità imposto al soggetto pubblico, ovvero l’esistenza di errore scusabile36.
Anche nella Corte di cassazione si è affacciata una rilettura della responsabilità della pubblica amministrazione, per azione amministrativa illegittima, in termini contrattuali. Cass. 10 gennaio 2003, n. 15737 inquadra gli obblighi procedimentali (tempestiva conclusione del procedimento, accesso ai documenti, esame delle osservazioni del privato, motivazione della decisione) nello schema contrattuale, come vere e proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede, ma per i fatti antecedenti l’entrata in vigore della l. n. 241/1990 ritiene che il modello da utilizzare sia quello della responsabilità extracontrattuale. Altra pronuncia, di poco successiva38, pur riconoscendo la rilevanza del modello della responsabilità “paracontrattuale” dopo la l. n. 241/1990, esclude ogni riferimento all’art. 1337 per l’ipotesi di responsabilità dell’amministrazione da lesione di interessi legittimi del partecipante alla gara, dato che nel procedimento di aggiudicazione e partecipazione alla gara relazioni e contatti rilevanti sono solo quelli normativamente tipizzati attraverso regole di comportamento che la pubblica amministrazione deve osservare.
Il Consiglio di Stato ha poi preso le distanze dalla lettura in termini di contatto procedimentale, ritornando al modello della responsabilità aquiliana, reputato più conforme ai caratteri della lesione di interessi legittimi39. Le esigenze di semplificazione probatoria vengono salvaguardate utilizzando le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729. Il privato danneggiato, benché onerato della dimostrazione della colpa dell’amministrazione, è agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento, spettando poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi (pure indiziari) ascrivibili allo schema dell’errore scusabile. E’ significativo che il giudice amministrativo fa espresso riferimento ai parametri valutativi definiti dalla giurisprudenza comunitaria
36 Cons. Stato, sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, e Tar Puglia, sez. I, 17 maggio 2001, n. 1761, Foro it., 2002, III, col. 1 e 3, con note di V. Molaschi, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità precontrattuale e responsabilità da contatto: la disgregazione dei modelli di responsabilità della pubblica amministrazione, e E. Casetta – F. Fracchia, Responsabilità da contatto: profili problematici; conformi Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204, Cons. Stato, I, p. 68 e Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2005, n. 4461, Foro it., 2006, III, col. 457; in tali pronunce il modello della responsabilità contrattuale è comunque accolto con gradazioni diverse, dalla semplice ricezione del regime dell’onere della prova alla sottolineatura che la responsabilità della p.a. è caratterizzata da taluni aspetti della responsabilità da inadempimento di obbligazione. La problematica del contatto procedimentale va tenuta distinta, secondo la
giurisprudenza amministrativa, da quella della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione: la tutela ai sensi dell’art. 1337 prescinde dal rispetto delle norme di azione ed acquista rilevanza dopo che, revocati
l’aggiudicazione e gli altri atti del procedimento (per ipotesi per carenza delle risorse finanziarie occorrenti), resta il fatto incancellabile degli affidamenti suscitati nell’impresa dalla procedura di evidenza pubblica, protrattasi al di là del tempo strettamente indispensabile e poi venuta meno (Cons. Stato, ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6, Urbanistica e appalti, 2006, p. 69).
37 Foro it., 2003, I, col. 78 con nota di F. Fracchia, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima?) puntualizzazione.
38 Cass. 11 giugno 2003, n. 9366, id., 2003, I, col. 3359 con nota di F. Fracchia – M. Occhiena, Responsabilità delle amministrazioni: divergenze e convergenze tra la Cassazione e il Consiglio di Stato.
39 Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012, id., 2005, III, col. 247.
ai fini della gravità della violazione, e segnatamente il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima (riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto). In altra pronuncia più recente dei giudici di Palazzo Spada è stata esclusa l’assimilabilità dell’esercizio del potere autoritativo alla condotta delle parti di un rapporto obbligatorio disciplinato dall’art. 1218, ma anche allo schema dell’art. 2043, e si è fatto ricorso ad una figura autonoma di illecito, che trova fondamento nei novellati commi 1° e 4° dell’art. 35 d.
lgs. n. 80/199840.
L’osservazione critica che si suole fare nei confronti della tesi del contatto procedimentale è che essa lascia in ombra la lesione dell’utilità sostanziale cui il privato aspira41. Il rilievo non coglie però che l’utilizzo della categoria dell’obbligazione senza prestazione, per descrivere il dovere di protezione derivante dall’affidamento riposto nella legittimità dell’azione amministrativa, presuppone che di obbligo di prestazione non possa parlarsi perché, in relazione all’utilità sostanziale cui il privato aspira, vige la supremazia della pubblica amministrazione. In realtà la teorica dell’obbligo senza prestazione, in relazione all’azione della pubblica amministrazione, e la visione che vi soggiace del procedimento amministrativo come rapporto obbligatorio, non è isolata, ma è espressione di un più ampio indirizzo. Vi è innanzitutto una significativa letteratura che combina, alle situazioni di interesse legittimo correlate all’esercizio del potere, obbligazioni in senso tecnico, sottoposte al regime dell’art. 1218, e cioè i doveri procedimentali intesi come doveri di protezione, la cui violazione implica il rimedio risarcitorio in modo indipendente da quello demolitorio dell’atto42. Ma vi è nella dottrina amministrativistica una corrente più radicale la quale riconduce lo stesso esercizio del potere autoritativo nelle maglie del diritto comune. Secondo quest’ultimo indirizzo le norme di azione rifluiscono in norme di relazione, perché l’intero rapporto fra amministrazione e privato, sulla base del diritto soggettivo alla legittimità dell’atto, è da ricostruire come rapporto obbligatorio. Se l’interesse legittimo non differisce dal diritto soggettivo, secondo quest’orientamento anche la teorica dell’obbligazione senza prestazione, escludendo il dovere di prestazione dell’amministrazione, deve essere superata, perché l’obbligo della pubblica amministrazione ha in realtà ad oggetto una prestazione, cui corrisponde la pretesa ad un comportamento dalle caratteristiche predeterminate, cioè la legittimità dell’azione amministrativa. Quest’ultima è la situazione passiva corrispondente al lato attivo dell’interesse legittimo43.
40 Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2005, n. 1047, Urbanistica e appalti, 2005, p. 1060.
41 F. Fracchia, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima?) puntualizzazione, cit..
42 A. Romano Tassone, I problemi di un problema. Spunti in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, in Dir. amm., 1997, p. 64 ss.; M. Renna, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, id., 2005, p. 558; L.
Montesano, I giudizi sulle responsabilità per danni e sulle illegittimità della pubblica amministrazione, in Dir. proc.
amm., 2001, p. 583.
43 A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, Milano 2005, p. 149 ss.; L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano 2003, p. 91 ss.; per una prospettiva meno
La sottoposizione dell’esercizio del potere al regime del diritto comune entra in contraddizione con la tradizione del diritto amministrativo, e con il modo ancora prevalente di concepire il rapporto fra privato ed autorità. Secondo questa concezione norma di relazione è solo quella di attribuzione del potere (norma dell’ordinamento giuridico generale), ma, una volta attribuito il potere, non c’è più spazio per il diritto soggettivo. L’esercizio del potere è poi regolato dalle norme di azione, che dettano le regole del procedimento amministrativo in funzione dell’interesse generale.
Trattandosi di norme che regolano il potere, da esse non discendono diritti soggettivi, ma soltanto interessi legittimi. In questo quadro, le situazioni partecipative vanno ricondotte all’interesse legittimo, quali forme strumentali di tutela di quest’ultimo nel procedimento. La loro violazione si riflette dunque sul regime di validità del provvedimento finale (a meno che, non ricorrendo la lesione dell’interesse legittimo, si abbia una mera irregolarità, che integra un provvedimento difettoso ma comunque valido)44.
radicale, F. Volpe, Norme di relazione, norme di azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova 2004, p.
257 ss..
44 Per tale concezione, più rispondente alla tradizione del diritto amministrativo, si rinvia a M. Occhiena, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano 2002 (l’inclusione dell’interesse procedimentale
nell’interesse legittimo si deve a M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna 1976, p. 150). Ai sensi dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990, introdotto dall’art. 15 l. n. 15/2005, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Trattasi di norma che recepisce l’orientamento della giurisprudenza amministrativa.