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Stratagene, che consente di introdurre mutazioni in plasmidi a doppio filamento di DNA.

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Academic year: 2021

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3 METODI:

3.1 Mutagenesi sito diretta

La mutagenesi sito diretta, o sito specifica, è una metodologia in vitro utilizzata per inserire mutazioni in sequenze di DNA codificante e non, allo scopo di determinare le relazioni struttura-funzione di proteine, o per avere informazioni sulla importanza che specifiche sequenze regolatorie hanno sulle diverse fasi di produzione di una proteina (trascrizione e traduzione).

Per eseguire questa tecnica si è usato il kit di mutagenesi sito-diretta QuikChange

TM

Stratagene, che consente di introdurre mutazioni in plasmidi a doppio filamento di DNA.

Questa tecnica si basa sulla metodologia della PCR, normalmente usata per amplificare frammenti di DNA. A questo scopo, si sintetizzano due oligonucleotidi, i primers, complementari alle estremità 3’ del frammento che si vuole amplificare; è necessario, quindi, conoscere la sequenza di DNA almeno delle parti complementari ai primers. Nel caso della mutagenesi sito diretta non si ci si limita ad amplificare un breve frammento di DNA compreso tra due primers, ma si procede all’amplificazione di tutto il plasmide. I primers utilizzati sono costruiti inserendovi la mutazione che si vuole introdurre; sono tra loro complementari e complementari alla sequenza del plasmide, tranne che per i nucleotidi che si vogliono mutagenizzare. Dato che tutto il plasmide viene amplificato con oligonucleotidi che portano la mutazione, il prodotto principale di amplificazione è l’intero plasmide contenente la mutazione desiderata (Fig. 3.1).

Fig.3.1 - Schema dei passaggi della reazione di mutagenesi dal protocollo QuickChangeTM Site- Direct Mutagenesis Kit

Tanto la PCR quanto la mutagenesi sito diretta si basano su tre fasi :

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- denaturazione

- annealing dei primer - polimerizzazione

L’alternanza ciclica di queste tre fasi è permessa dal termociclizzatore, uno strumento che può essere programmato per stabilire il numero di cicli e la temperatura e durata di ogni fase.

Per sintetizzare il DNA mutante si prepara una miscela di reazione composta da:

5 l di Reaction Buffer 10X 30 ng di DNA plasmidico

1,25 l di primer F, in concentrazione 10 M 1,25 l di primer R, in concentrazione 10 M

1 l di dNTPs ogni dNTP è concentrato 25 mM la concentrazione finale è 100 mM

1 l di Pfu Turbo DNA polimerasi

X l di H

2

O mQ per portare al volume finale di 50 l

La Pfu Turbo è una polimerasi termostabile, come la Taq, ed in più garantisce una alta fedeltà, così che nel prodotto finale siano presenti le mutazioni desiderate, ma non altre che potrebbero invalidare gli esperimenti.

In alternativa alla Pfu Turbo si può usare un’altra DNA polimerasi ad alta fedeltà, la Pfu Ultra, ma in questo caso la miscela di reazione va leggermente modificata, come segue:

5 l di Reaction Buffer 10X 50 ng di DNA plasmidico

2 l di primer F, in concentrazione 10 M 2 l di primer R, in concentrazione 10 M

1 l di dNTPs, ogni dNTP è concentrato 25 mM la concentrazione finale è 10 mM

1 l di Pfu Ultra DNA polimerasi

X l di H

2

O mQ per portare al volume finale di 50 l

Si preparano sempre anche una miscela di reazione per un controllo positivo, e una per il controllo negativo.

Quando si è usata la DNA polimerasi Pfu Turbo, il termociclizzatore è stato programmato nel modo seguente:

1 ciclo a 95°C per 2’ ( denaturazione del plasmide) 20 cicli a 95°C per 1’(denaturazione)

55°C per 1’ (annealing dei primers) 68°C per 12’(estensione)

1 ciclo a 68°C per 12’ ( allungamento e completamento dei prodotti non terminati)

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18°C (fine della reazione)

Quando si è usata la DNA polimerasi Pfu Ultra è stata alzata la temperatura usata nelle fasi di estensione, allungamento e completamento da 68°C a 72°C. Il resto dei parametri è stato lasciato invariato.

Una volta terminata la reazione se ne sono controllati i risultati tramite una corsa elettroforetica su gel di agarosio: un’aliquota corrispondente a 10 l della reazione sono stati corsi su gel. In caso di riscontro positivo (avvenuta amplificazione), gli altri 40 l sono stati trasferiti in una provetta Eppendorf da 1,5 ml, vi è stato aggiunto 1 l dell’enzima di restrizione DpnI, e si è poi incubato il tutto a 37°C per 1 h e 30’ in modo che venisse degradato il DNA parentale, senza mutazione, e lasciato intatto quello prodotto dalla amplificazione. Questo risulta possibile in quanto DpnI taglia il DNA metilato su entrambe le catene (quello parentale, generato nella replicazione batterica) o metilato su una sola catena della doppia elica (originato dalla possibile ibridazione di molecole parentali con quelle prodotte dalla amplificazione), mentre non è in grado di agire sulle doppie eliche non metilate (come quelle generate in vitro dal processo di amplificazione).

3.2 Preparazione gel d’agarosio all’1%

Il gel d’agarosio è usato per effettuare corse elettroforetiche di acidi nucleici.

Per preparare 100 ml di gel si pesa sulla bilancia analitica 1 gr di polvere di agarosio e si mette in un becker a cui poi si aggiungono 100 ml di TBE (Tris/Borato/EDTA).

Si fa sciogliere la polvere di agarosio al calore e quindi si porta il becker sotto cappa e si aggiungono, prima che il gel polimerizzi, 10l di Bromuro di Etidio (EtBr), un fluoroforo che permette di visualizzare gli acidi nucleici, quando illuminato da raggi UV, perché si intercala tra le basi.

Dopo che si è aggiunto l’EtBr si versa il gel in stampi appositi dotati di “pettini”, in modo da formare dei pozzetti in cui sarà possibile caricare gli acidi nucleici per la corsa.

Il gel colato in questi stampi si lascia a polimerizzare sotto cappa.

3.3 Elettroforesi di acidi nucleici su gel

Col termine elettroforesi si intende una tecnica di separazione di diverse molecole in base alla diversa velocità di migrazione di particelle cariche in un campo elettrico.

La separazione elettroforetica su gel prevede che la miscela di molecole da separare

sia caricata su di un supporto gelatinoso a base di agarosio o poliacrilammide.

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L’agarosio è normalmente utilizzato per la separazione di frammenti di acidi nucleici aventi dimensioni tipicamente comprese tra 500 pb (paia basi) a 20 kb (kilo paia basi) circa; con alcune variazioni, ad esempio nella elettroforesi in campo pulsato, è possibile arrivare a separare anche frammenti più grandi. Gel di poliacrilammide sono invece più comunemente usati per la separazione di proteine e per frammenti di DNA più piccoli, da pochi nucleotidi a 2-3 kb circa.

Nell’ambito degli esperimenti fatti si è usata l’elettroforesi su gel di agarosio all’1- 1,5%, di cui si è già descritta la preparazione.

Il gel, una volta polimerizzato, viene posto in appositi apparati orizzontali per corsa elettroforetica che sono collegati attraverso cavi a generatori di corrente disposti in modo che l’anodo si trovi dal lato del gel più lontano dai pozzetti; gli acidi nucleici, carichi negativamente, migreranno dal catodo all’anodo.

I pozzetti nel gel vengono caricati con una miscela del DNA da esaminare e di 6X loading buffer tipo III. Per portare il loading buffer alla concentrazione finale 1X si può aggiungere al nostro campione del TE a pH8.

Nel primo pozzetto si carica sempre il Molecular Weight Ladder composto da una miscela di frammenti di DNA di determinato PM che migrando consentono di valutare quale sia il PM del DNA esaminato.

Nel 6X loading Buffer c’è del glicerolo, che appesantisce il campione garantendo che non esca dal pozzetto, e sono presenti due coloranti: lo xilene cianolo e il blu di bromofenolo, che migrano nel gel come se fossero frammenti di acido nucleico lunghi rispettivamente 3000 pb e 300-400 pb.

Una volta caricati i pozzetti si accende il generatore e si stabilisce il voltaggio o l’intensità di corrente. Questa scelta è condotta in base a quale sia la funzione della corsa: se è una semplice corsa di controllo per verificare la concentrazione di un campione di DNA si può usare un voltaggio anche superiore a 100 V; se la corsa serve per poi eluire da gel del DNA, si preferisce farlo migrare più lentamente, quindi si setta il voltaggio a 50-80 V.

3.4 Purificazione di DNA plasmidico tramite Miniprep:

La purificazione di DNA plasmidico consiste nel recuperare il DNA che è stato amplificato in vivo tramite l’inoculo di batteri in un volume di 3 ml di terreno liquido,

Per eseguire questa metodica è stato usato il kit della ditta Sigma.

Il principio su cui si basa questa tecnica di purificazione è la cromatografia per affinità, che utilizza colonnine di purificazione commerciali.

Si inizia la procedura prelevando 1,5 ml della coltura e ponendoli in una provetta Eppendorf da 1,5 ml. Questa provetta è sottoposta a centrifugazione a 12000 x g per 1’.

In seguito alla centrifugazione, sul fondo della provetta si forma un pellet composto

dalle cellule che erano cresciute; il sovranatante è gettato via.

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Questo pellet è risospeso in 200 l di Resuspension Solution, contenente RNasi.

Dopo aver risospeso le cellule si aggiungono 200 l di Lysis Buffer, si chiude la provetta e si capovolge con delicatezza 6-8 volte per garantire che la soluzione si mischi. Il Lysis Buffer è lasciato agire per 3-5’, al termine dei quali si mette nella provetta il Neutralization Buffer (350 l), si capovolge la provetta 4-6 volte e si mette il lisato in centrifuga a 12000 x g per 10’. Il sovranatante viene recuperato, mentre si scarta il detrito sul fondo della provetta, costituito dai residui risultanti dalla lisi cellulare.

Nel frattempo si prepara la colonnina di affinità per il DNA plasmidico, inserendo la Miniprep Binding Column in un tubo da micro centrifuga, si aggiungono 500 l di Column Preparation Solution alla Miniprep Binding Column e si centrifuga a 12000 x g per 1’. A questo punto la colonnina è pronta per essere caricata col sovranatante ottenuto dal lisato.

Si centrifuga quindi a 12000 x g per 1’ per far legare il DNA plasmidico alla fase inerte della colonna. Trascorso il minuto si butta il liquido (flow-through) che si è deposto nel tubo in cui è inserita la colonnina.

Dopo si passa alle fasi di lavaggio del DNA: si aggiungono 500 l di Wash solution 1 alla colonna e si centrifuga per 1’ a 12000 x g e si butta il flow-through liquid; si aggiungono 750 l di Wash Solution 2 alla colonna si centrifuga a 12000 x g per 1’

minuto e si butta il flow-through liquid.

Poiché la Wash Solution 2 contiene EtOH, che può ostacolare le reazioni enzimatiche a cui sarà successivamente sottoposto il DNA, è opportuno effettuare un’ulteriore centrifuga a tappo aperto per 10’ a 12000 x g per farlo evaporare.

Dopo aver così lavato il DNA, si procede alla eluizione: si trasferisce la colonnina in un nuovo tubo per microcentrifuga, si aggiungono 50 l di H

2

O mQ o TE pH 8 alla colonna, si incuba la colonnina 1’ a temperatura ambiente, e quindi si centrifuga a 12000 x g per 1’.

Normalmente, se il DNA viene mandato a sequenziare si preferisce eluire con acqua.

3.5 Purificazione di DNA plasmidico tramite Midiprep

Il metodo di purificazione di DNA plasmidico è simile, concettualmente, a quello della Miniprep, ma si parte da una quantità maggiore di cellule (100 ml di coltura) e si ottiene un eluato con una concentrazione di DNA molto maggiore rispetto ad una Miniprep.

Il Kit usato in questo caso è quello della NucleoBond (Macherey-Nagel).

Si parte inoculando una singola colonia di cellule trasformate in 3 ml di terreno liquido e lasciandola a crescere 8 h a 37°C in agitazione. Poi si trasferisce questa pre- crescita in una beuta contenente 100 ml di terreno liquido e si lascia a crescere over night a 37°C .

Il terreno liquido contenente la crescita batterica è trasferito in un tubo da centrifuga e

centrifugato a 4500 rpm per 20’.

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Si elimina il sovranatante e il pellet ottenuto è risospeso in 8 ml di Resuspension Buffer contenente RNasi ( 60 mg / 1000ml di Resuspension Buffer ).

Dopo si lisano le cellule aggiungendo 8 ml di Lysis Buffer, si inverte 5 volte il tubo da centrifuga per mescolare bene la soluzione e si lascia incubare a temperatura ambiente per 5’. Si aggiungono quindi 8 ml di Neutralization Buffer alla soluzione di lisi e si inverte il flacone 10-15 volte.

Si prepara nel frattempo la colonna di eluizione inserendo il filtro nella colonna ed equilibrandolo con l’Equilibration Buffer (12 ml), facendo attenzione a versare la soluzione a partire dai bordi e a non lasciarlo asciugare. Una volta equilibrata, si carica la colonna con il lisato e quindi si rilavano colonna e filtro con 5 ml di Equilibration Buffer.

Si butta il filtro della colonna, dove sono stati trattenuti i detriti cellulari, e si lava la colonna con il Wash Buffer, 8 ml; quindi si eluisce il DNA con 5 ml di Elution Buffer in tubi da centrifuga in poliallomero.

All’eluato si aggiungono 3,5 ml di isopropanolo a temperatura ambiente, e si centrifuga a 15000 x g per 30’ a 4°C.

Terminata la centrifuga il pellet viene lavato con EtOH al 70%: si mette l’EtOH sul pellet, si ruota dolcemente il tubo da centrifuga stando attenti a non staccare il pellet, e poi si scarta l’EtOH lasciando il pellet ad asciugare.

Quando il pellet è asciugato si risospende in H

2

O milliQ.

3.6 Digestione di DNA con Endonucleasi di Restrizione

Le endonucleasi di restrizione, o enzimi di restrizione (ER), sono enzimi di origine batterica usati da molti di questi microorganismi per degradare il DNA esogeno, principalmente di origine virale, e così difendersi dalle infezioni di organismi estranei.

Le endonucleasi di restrizione riconoscono sequenze palindrome di DNA a doppio filamento di lunghezza variabile tra 4pb (frequent cutter) e 8 pb (rare cutter) e operano tagli che possono lasciare estremità lisce (blunt ends) o coesive in cui uno dei due filamenti, 5’ o 3’, sporge (protruding ends).

Gli enzimi di restrizione sono utilizzati in applicazioni di tipo biotecnologico. Ad esempio, nella tecnologia del DNA ricombinante, gli enzimi di restrizione di classe II sono impiegati per il clonaggio molecolare, che consiste nell'introduzione di un frammento di DNA d'interesse in una molecola di DNA detta plasmide, in grado di replicarsi in un sistema ospite, spesso batterico. Con il clonaggio molecolare, diviene possibile produrre grandi quantità del gene per permetterne l'espressione in opportuni sistemi sperimentali, sia in vitro che in vivo.

Affinché il frammento di DNA venga inserito nel plasmide, sia l’uno che l’altro

vengono in genere trattati con lo stesso enzima di restrizione: al termine della

reazione, sia il plasmide che il frammento presenteranno delle estremità terminali

simili. In particolare, se l'enzima utilizzato produce un taglio sfalsato, le estremità

coesive prodotte tenderanno ad associarsi, e in presenza dell'enzima DNA ligasi, sarà

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possibile catalizzare una reazione di ligation che renderà possibile stabilire legami covalenti tra il vettore plasmidico e l’inserto.

Un frammento clonato in un plasmide può essere poi sottoposto a digestione per consentirne la trascrizione, per produrre sonde o messaggeri cappati in questo caso è digerito solo in un punto alla fine della sequenza da trascrivere.

Le tecniche di trascrizione saranno spiegate meglio nei paragrafi successivi.

La quantità di DNA che si può digerire varia a seconda dell’uso che se ne deve fare:

-se è una digestione di controllo per vedere se è presente un sito di taglio di interesse o un frammento sono sufficienti 500 ng;

Protocollo per una digestione di 500 ng 500 ng di DNA plasmidico

2 l di Buffer 10 X, specifico per l’ER 1 l di ER

x l di H

2

O mQ per arrivare al volume finale di 20 l.

La miscela di reazione va messa ad incubare per 1h e 30 min. a 37°C.

-se serve a prepararsi uno stock di frammenti da clonare per più reazioni di ligation o per altre reazioni come la sintesi di sonde o di messaggeri se ne digeriscono fino a 10

g.

Protocollo per una digestione di 10 g 10 g di DNA plasmidico

3l di Buffer 10X specifico per l’ER 2l di ER

X l di H

2

O mQ per arrivare al volume finale di 30 l

La miscela di reazione va messa ad incubare O.N. a 37°C.

Trascorso quel tempo si fa una corsa elettroforetica di controllo per vedere se la digestione è avvenuta. Generalmente il gel è caricato, oltre che col DNA digerito, col ladder di pesi molecolari e con lo stesso DNA plasmidico non digerito che di solito è nella forma superavvolta (supercoiled) e migra in maniera diversa dal digerito.

3.7 Purificazione del prodotto di digestione

In seguito alla digestione è necessario purificare il DNA da elementi come il tampone usato per la reazione o l’enzima di restrizione che non consentirebbero l’uso del DNA in future applicazioni.

Per farlo si possono usare due metodiche diverse a seconda dell’efficienza con cui è

avvenuta la digestione e dell’utilizzo.

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Se il DNA è stato digerito quasi completamente ed il sito di taglio è unico si può ricorrere a una purificazione mediante colonnine cromatografiche commerciali che legano l’acido nucleico per affinità.

Viceversa se da una prima corsa elettroforetica di controllo emerge che c’è una quantità (notevole) non trascurabile di non digerito oppure se si deve recuperare un frammento di DNA compreso tra due siti di taglio per poi clonarlo, si ricorre all’eluizione da gel. Questa metodica prevede sempre l’uso di colonnine cromatografiche, ma prima tramite una corsa elettroforetica su un gel con pozzetti grandi si separa il DNA digerito da quello non digerito.

Purificazione con colonnine cromatografiche:

Nel mio caso ho usato il kit GenElute

TM

PCR Clean-Up della Sigma.

Ogni Binding Column per poter legare il DNA deve prima essere attivata. Per questo, viene posta in un tubo da micro centrifuga; si aggiungono 500 l di Column Preparation Solution e si centrifugata poi la colonna ad una velocità di 12000 x g per un tempo compreso tra 30 secondi e 1 minuto. Al termine della centrifugazione si butta il contenuto refluo del tubo.

Si aggiungono alla reazione di digestione 5 volumi di Binding Solution; per 30 l di volume della digestione si mescolano i due componenti (INDICARE I VOLUMI), si mette nella colonnina e si centrifuga a 12000 x g per un minuto. In questa fase Il DNA digerito si lega alla resina della colonnina mentre il resto della soluzione comprese le proteine e i sali delle soluzioni tampone sono portate sul fondo del tubo e poi eliminate.

Il DNA deve essere ancora pulito da eventuali impurità quindi si aggiungono alla colonnina 500 l di Wash Solution, che contiene EtOH, e si centrifuga alla stessa velocità già descritta per un minuto, si butta l’eluato e si ricentrifuga per 5 minuti a tappo aperto per eliminare l’eccesso di EtOH e dopo questo passaggio in centrifuga si butta sia l’eluato che il tubo per micro centrifuga che si sostituisce con uno nuovo.

L’ultima fase è l’eluizione del DNA e si procede aggiungendo 30 l di H

2

O mQ al centro della Binding Column , lasciandolo ad incubare a RT ( circa 22° C ) per 1 minuto e poi centrifugandolo alla massima velocità per un minuto. L’eluato contiene il DNA digerito.

Eluizione da gel:

Per eluire da gel il DNA plasmidico si è usato il GenElute

TM

Gel Extraction Kit della ditta Sigma.

Si illumina con i raggi UV il gel usando una protezione per non esporre ai raggi viso

e occhi; l’EtBr emette luce rosa-arancio quando illuminato e permette di visualizzare

il DNA. Con una lametta sterile si ritaglia la banda di gel contenente la maggior

quantità di DNA stando attenti tagliare bene intorno alla banda eliminando il gel in

eccesso.Si stabilisce quindi il peso della banda di gel conteneneti i frammenti di DNA

da eluire. Per sciogliere il gel si aggiunge nella provetta un volume di Gel

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Solubilization Solution in proporzione 3:1 rispetto al peso della banda di gel: 300 l di GelSol ogni 100 mg di gel. Si mette ad incubare a 60°C per 10 min. avendo cura di agitare la provetta con il vortex 3 volte in questo intervallo di tempo, allo scopo di favorire la solubilizzazione del gel.

Durante questi 10 min. si prepara la colonna in cui rimarrà legato il DNA: si pone la colonnina in un tubo da 2 ml e si aggiungono 500 l di Column Preparation Solution.

Si centrifuga per 1 min. a 12000 x g. Finita la centrifuga si butta il liquido che passando attraverso la membrana della colonnina è stato raccolto nel tubo.

Trascorsi i 10 min. in incubazione a 60°C della miscela di gel e GelSol si controlla che il colore sia rimasto giallo; qualora fosse virato al rosso si aggiungono 10 l di Sodio Acetato 3 M pH 5,2 alla volta, mischiando bene, finché non assume colore giallo.

Dopo si aggiunge l’isopropanolo assoluto, 100 l ogni 100 mg di gel, e si carica la miscela di solubilizzazione del gel nella colonna, per far avvenire il legame del DNA plasmidico alla membrana. Per accelerare il processo si centrifuga per 1 min. a 12000 x g. Al termine si getta il flow-through liquid (FTL).

Dato che il volume della colonnina è 700 l, se il volume della miscela è superiore si carica la colonna una prima volta, si centrifuga e si getta il flow-through; poi si carica nuovamente con il volume di miscela residuo e si ripete la centrifugazione.

Quando tutto il DNA è stato fatto legare alla colonna, si passa alla fase di lavaggio: si aggiungono 700 l di Wash Solution (WS)alla colonna e si centrifuga per 1 min. a 12000 x g. Finita la centrifuga si getta il FTL. Dato che la WS contiene EtOH si fa una centrifuga supplementare a tappo aperto per 10 min. a 12000 x g per eliminare l’eccesso di EtOH. Infine si procede con la eluizione del DNA: si cambia tubo di raccolta, si aggiungono 30 l di H

2

O mQ alla colonna e si centrifuga per 1 min. a 12000 x g. Il volume di liquido contenente il DNA eluito si troverà nella provetta di raccolta.

3.8 Sintesi di sonde marcate con digossigenina

Le sonde sono molecole di RNA prodotte trascrivendo porzioni di geni di interesse, sintetizzate allo scopo di rilevare gli organi, i tessuti o le regioni dove un determinato gene è espresso, ovvero dove si trova il suo messaggero. Questa analisi viene effettuata mediante esperimenti di ibridazione in situ ( ISH in situ hybridization) nella quale le sonde sono marcate, ad esempio, con digossigenina. La digossigenina, negli esperimenti di ibridazione, è riconosciuta da anticorpi specifici a loro volta coniugati ad enzimi che, in presenza dell’apposito substrato, danno luogo ad una reazione cromogena nei tessuti o nelle cellule dove è espresso il gene.

Le sonde necessarie a riconoscere mRNA sono antisenso; le sonde senso sono usate negli esperimenti di ISH come controllo negativo.

Il DNA di partenza è DNA plasmidico che contiene una porzione più o meno lunga

del cDNA del gene di interesse e che viene trascritta nella sonda. Tale DNA

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plasmidico deve essere linearizzato usando un ER che abbia un sito di taglio a monte del 5’ della sequenza del gene (per la sintesi dell’antisenso); in questo caso viene usata una RNA polimerasi che abbia un sito di attacco a valle della sequenza di cDNA.

Reazione di trascrizione in vitro di sonde marcate con digossigenina

2g di DNA stampo linearizzato (max 11 l) 2l di DTT 100 mM

2 l di Buffer di trascrizione 10X

2 l nucleotidi marcati con digossigenina 1l RNase OUT

2l RNA polimerasi specifica

x l di H

2

O mQ per arrivare al volume finale di 20 l

La miscela di reazione viene incubata per 2 h a 37° C. Trascorso questo tempo si aggiungono 2l di DNasi, per eliminare il DNA stampo, e si lascia 15 min. a 37° C.

Per fermare la reazione di trascrizione si aggiungono 2,2l di ammonio acetato 5M, poi si procede con l’aggiunta di 48 l di EtOH assoluto( al 100%) mescolando bene e si mette a -80° C per 40 min. (o a -20° C per 1h) per consentire la precipitazione dell’RNA.

Si procede centrifugando la provetta contenente l’RNA e l’EtOH per 15 min. a 14000 x g a RT così che l’RNA precipiti sul fondo come pellet.

Il sovranatante è scartato e il pellet è lavato con EtOH al 70% precedentemente raffreddato tenendolo a -20° C.

Si elimina tutto l’EtOH e si lascia per 2 min. il pellet ad asciugare. L’RNA è quindi risospeso in 22 l di H

2

O mQ o H

2

O Nucleasi free.

Si verifica la riuscita della sintesi dell’RNA si tramite corsa elettroforetica di 1l del prodotto della reazione, assieme a dei markers di peso molecolare e di quantità e/o tramite misura spettrofotometrica.

Una volta stabilita la concentrazione si calcola la quantità totale di sonda e la si risospende in un buffer specifico per le ibridazioni, l’NIH buffer, in concentrazione 10g/ ml ( 10X); quindi lo si conserva a -20° C.

3.9 Sintesi di mRNA per microiniezioni

Per la sintesi di RNA messaggeri, poi usati in esperimenti di microiniezione di embrioni di X. laevis, ho usato il protocollo mMESSAGE mMACHINE

®

della Ambion, con alcune modifiche.

Il prodotto della reazione è un RNA senso con un cap artificiale al 5’ che, come

quello prodotto in vivo, ha la funzione di proteggere la molecola dalla degradazione.

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Per la trascrizione si usa l’RNA polimerasi corrispondente al promotore fagico al 5’

della sequenza e il DNA stampo deve essere digerito, con ER, nel polylinker a valle della regione codificante al 3’.

Tramite la digestione il DNA è linearizzato. Il protocollo prevede che, dopo un controllo della digestione su gel, si proceda con lo stop della reazione aggiungendo EDTA, sodio acetato ed EtOH e poi si esegua un trattamento con la proteinasi K per eliminare RNasi o altri inibitori della trascrizione.

Invece di eseguire questi due passaggi se il DNA è stato digerito tutto si purifica il prodotto della digestione con il kit GenElute

TM

PCR Clean Up.

Una volta che si ha a disposizione il DNA stampo (template) si procede con la reazione di trascrizione:

x l di acqua nucleasi free per arrivare al volume finale di 20 l 10 l di 2X NTP/CAP

l di Buffer di reazione 10X

il volume corrispondente a 1 g di DNA stampo senza superare 6 l l di Enzime mix

Si miscelano i reagenti e la reazione è lasciata ad incubare 2 ore a 37° C.

Dopo queste due ore si rimuove il DNA stampo aggiungendo 1 l di Turbo DNasi e lasciandola ad agire 15 min. a 37°C.

Per purificare l’RNA presente nella miscela si possono usare varie tecniche, io ho utilizzato la purificazione con fenolo cloroformio.

-Si aggiungono 115 l di acqua Nucleasi free e 15 l di soluzione di stop contenente ammonio acetato, si mescola

-si aggiunge un egual volume (151 l ) di fenolo cloroformio, si mescola fino ad ottenere un’emulsione

-si centrifuga a 13000 x g per 20 min. in questo modo si ottengono due fasi quella acquosa, superiore, e quella contenente il fenolo cloroformio inferiore

-si recupera la fase acquosa, si mette in una provetta pulita, e se ne misura il volume -per fare precipitare l’RNA si aggiunge un volume uguale di isopropanolo, si mescola bene e si mette a -20°C per 1 ora

-si centrifuga a 4°C per 15 min. a 13000 x g

-si rimuove il sovranatante e si lascia il pellet di RNA ad asciugare 2 min.

-si risospende il pellet in 30 l di acqua mQ e si conserva a -80°

La misurazione della concentrazione dell’mRNA è effettuata sia grazie corsa elettroforetica, confrontando l’intensità luminosa con quella di markers di quantità di tRNA, che tramite misura spettrofotometrica.

Dopo di che si stabilisce una concentrazione a cui conservare l’mRNA, si aggiunge

acqua per raggiungere il volume, e si aliquota in modo che si scongeli di volta in

volta solo il volume necessario per evitare che l’RNA messaggero si rovini.

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3.10 Microiniezione di embrioni

Per gli esperimenti di microiniezione sono stati usati embrioni pigmentati in cui è possibile distinguere il polo animale da quello vegetativo e i blastomeri dorsali da quelli ventrali.

Al momento della microiniezione gli embrioni degelificati vengono

trasferiti in una piastra Petri del diametro di 5 cm sul fondo della quale e stata fissata una reticella di plastica, con maglie di 1 mm, che ne limita gli

spostamenti. Inoltre gli embrioni sono immersi in una soluzione di Ficoll al 3%

(peso/volume) sciolto in MMR 0.1x: il Ficoll e uno zucchero viscoso, permette agli embrioni di mantenere la forma sferica durante la microiniezione e ne limita la perdita di citoplasma successivamente.

Gli embrioni microiniettati sono stati lasciati sviluppare ON in MMR 0.1x-ficoll 3%, trasferiti in MMR 0.1x finchè gli embrioni di controllo non inietttati non avessero raggiunto lo stadio desiderato e quindi fissati.

Le microiniezioni sono state eseguite con un microiniettore Drummond

Nanoject, che consente l’iniezione di volumi compresi tra 4.6 nl e 73.6 nl ad incrementi discreti. Gli aghi sono stati preparati per tiratura a caldo a partire da capillari forniti da Drummond: la loro qualità è stata controllata allo stereoscopio. Prima di essere montati sul microiniettore gli aghi sono stati riempiti di olio minerale con una siringa. Il caricamento degli aghi con soluzione da iniettare è eseguito dal microiniettore stesso.

Le microiniezioni sono effettuate a stadi molto precoci 2, 4 o 8 cellule solitamente da un solo lato dell’embrione così da avere un controllo interno dell’esperimento.

Oltre all’mRNA del gene di cui si vuole testare l’effetto della sovrespressione si inietta anche l’mRNA di un tracciante così da poter distinguere il lato iniettato da quello non iniettato.

Esempi di questi traccianti, o reporter, sono la GFP visibile al microscopio a fluorescenza e LacZ gene codificante l’enzima galattosidasi, che è resa visibile, dopo che gli embrioni sono stati raccolti allo stadio di interesse e opportunamente fissati, tramite un protocollo detto appunto rivelazione della galattosidasi.

3.11 Rivelazione della galattosidasi

Gli embrioni iniettati con l’mRNA di lacZ, il gene che codifica per l’enzima

galattosidasi, sono fermati allo stadio di interesse sottoponendoli ad un lavaggio di 40 min. a RT in un fissativo, il MEMFA, contenente formaldeide e sali di MEM.

Si eseguono due lavaggi da 5 min. in PBS 1X e poi si aggiunge la soluzione di rivelazione.

Soluzione di rivelazione per 500 l:

(13)

441 l di PBS 1X

49 l di soluzione ferri 10X

10 l di Salmon Gal al 5% in metanolo 2 l di MgCl

2

Si lasciano gli embrioni immersi in questa soluzione a colorare in stufa a 37°C, e si controllano ogni 15 min.

Se l’mRNA iniettato è stato tradotto in proteina l’enzima, in presenza dei substrati forniti nella soluzione di rivelazione, forma un precipitato di colore rosso.

Se, contemporaneamente all’mRNA di lacZ si è iniettato l’mRNA di un gene, si può presupporre che abbia avuto una diffusione nell’embrione pari a quella del reporter;

si ha quindi anche l’informazione se l’iniezione sia avvenuta nella parte dorsale o ventrale dell’embrione.

Dopo che è emersa la colorazione gli embrioni sono lavati due volte per 5 min. in PBS 1X e sono nuovamente fissati in MEMFA per 40 min. a RT e poi trasferiti in EtOH assoluto e conservati a -20°C.

3.12 Ibridazione in situ whole mount

Con il termine ibridazione molecolare si intende l’appaiamento tra molecole complementari di acidi nucleici.

Nel caso della ISH l’appaiamento riguarda l’mRNA di un gene espresso dall’organismo oggetto di studio e una sonda (probe) di RNA sintetizzata usando una mix di nucleotidi in cui ogni uridina porta “attaccata” una molecola di digossigenina.

I probes così marcati sono poi riconosciuti da anticorpi (Ab) anti-digossigenina modificati con una attività enzimatica che, in presenza di opportuni substrati, dà luogo a una reazione cromogena ( Vedi Fig.3.2).

Negli esperimenti di ISH che ho eseguito ho utilizzato anticorpi (Ab, dal termine inglese antibodies) coniugati a fosfatasi alcalina e come substrato il BM-Purple.

Fig.3.2 Schema dei passaggi principali della ibridazione in situ

(14)

Le ISH possono essere eseguite su sezione o whole mount, cioè sull’intero organismo se le dimensioni sono sufficientemente piccole come è il caso degli embrioni di Xenopus laevis.

Il protocollo per la Whole Mount ISH è articolato in 3 giorni.

Gli embrioni sottoposti a ISH whole mount sono precedentemente fissati in MEMFA e poi passati in EtOH assoluto e conservati a -20°C in tubi , o vials, da 4 ml.

La prima fase dell’esperimento prevede la reidratazione degli embrioni, a RT, tramite lavaggi in soluzioni con concentrazione decrescente di EtOH in agitazione orizzontale, secondo lo schema seguente:

- EtOH 75% in H

2

O mQ 1 lavaggio da 5 min.

- EtOH 50% in H

2

O mQ 1 lavaggio da 5 min.

- EtOH 25% in PTw ( PBS 1X + Tween20 0,1%) 1 lavaggio da 5 min.

- PTw 3 lavaggi da 5 min.

Per permeabilizzare le pareti cellulari e consentire l’ingresso della sonda si esegue un trattamento con la proteinasi K (10 g/ml), 1 ml per tubo 5 min. a RT senza agitazione, in verticale.

E’ importante non superare i 5 min (perché altrimenti potrebbero rovinarsi gli embrioni) e quindi eliminare la proteinasi residua tramite due lavaggi da 3 min, ciascuno in agitazione orizzontale a RT con 3 ml di PTw.

Si procede fissando gli embrioni in PFA ( paraformaldeide) al 4% in PTw 1 ml per tubo in agitazione verticale per 20 min. a RT.

Trascorso questo tempo si elimina il più possibile la soluzione presente e la si sostituisce con 500 l di NIH per ciascun tubo; i tubi vengono quindi posti a bagnomaria a 60°C per 2-4 ore. Si sostituiscono i 500 l di NIH con nuovi 500 l contenenti la sonda, precedentemente denaturata a 98°C per 2 min., alla concentrazione finale di 100ng/ml, cioè 0,1X. L’ibridazione viene fatta O/N a 62°C con i tubi in verticale senza agitazione.

Il giorno seguente si lavano gli embrioni con 2 lavaggi da 30 min. ciascuno in 3 ml di 2X SSC + CHAPS allo 0,1% a 62°C e 2 lavaggi da 30 min. ciascuno in 3 ml di 0,2X SSC + CHAPS allo 0,1% a 62°C. Le soluzioni vengono preparate il giorno prima e lasciate alle temperature a cui vengono fatti i lavaggi.

Di seguito viene effettuato un lavaggio da 5 min. a RT in 3 ml per tubo di TBSX (TBS 1X + TRITON 0,1%) in agitazione orizzontale.

Sia l’Ab anti-digossigenina che gli embrioni necessitano di essere lasciati in preincubazione in una soluzione composta da TBSX, lamb serum, egg extract e blocking solution.

In ogni tubo contenente embrioni si mettono 2 ml di questa soluzione di

preincubazione e si lasciano 2 ore in agitazione verticale a 4°C, mentre l’Ab è messo

nella stessa soluzione in una provetta a parte in rapporto di 1: 2500 tenendo conto che

per la preincubazione dell’Ab sono necessari 500 l di soluzione per ogni tubo

contenente embrioni e lasciato per lo stesso tempo e alla stessa temperatura in

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agitazione orizzontale. Se si hanno 4 tubi su cui fare una WMISH sono necessari 10 ml di soluzione di preincubazione con 8 ml si fa la preincubazione degli embrioni e con 2 ( 0,5 x 4) la preincubazione dell’Ab. La funzione di questa soluzione è di bloccare i siti aspecifici di attacco dell’Ab così da garantire un risultato più accurato.

Trascorse le 2 ore si tolgono i 2 ml di soluzione di preincubazione dai tubi con gli embrioni e si sostituiscono con di soluzione di preincubazione contenente l’Ab e si lasciano 4 ore a RT 500 l in agitazione verticale.

Per rimuovere l’eccesso di Ab si fanno 5 lavaggi da 1 ora in 4 ml di TBSX in agitazione orizzontale a RT, è possibile fare uno dei lavaggi , non il primo, O/N a 4°C.

Il terzo giorno si finiscono i lavaggi in TBSX poi si fanno 2 lavaggi da 5 min. in agitazione orizzontale a RT con AP-Buffer, che ha la funzione di acclimatare gli embrioni al pH ottimale per l’azione della fosfatasi alcalina sul suo substrato ( BM- Purple ).

Per ogni tubo si mettono 500 l di BM-Purple e si lascia in agitazione verticale a RT.

E’ importante coprire i tubi in rivelazione perché, se esposto alla luce, il BM-Purple reagisce perdendo il gruppo fosfato e diventa di colore viola scuro, e va incontro alla stessa reazione che la fosfatasi alcalina dovrebbe catalizzare alterando così il risultato dell’esperimento.

A seconda del livello di espressione dei vari geni la velocità della rivelazione può variare da poche ore a diversi giorni. A seconda dell’intensità della colorazione raggiunta, si possono lasciare i tubi a 14°C o 18°C per tutta la notte.

Quando il segnale ha raggiunto l’intensità voluta, e prima che emerga troppo fondo, si blocca la reazione togliendo il BM-Purple e aggiungendo MEMFA per 1 ora a RT o O/N a 4°C in agitazione orizzontale.

Per conservare gli embrioni il MEMFA è sostituito con EtOH assoluto e gli embrioni sono messi a -20°C. In alternativa subito dopo il passaggio in MEMFA si esegue il bleaching che consiste nell’eliminare il pigmento naturale dagli embrioni, così da far emergere più chiaramente il segnale della sonda.

Gli embrioni sono sottoposti prima ad un lavaggio di 5 min. in EtOH al 70% in agitazione orizzontale e poi ad un lavaggio di 5 min. in 50% EtOH assoluto e 50%

SSC 2X ( finale EtOH 50% e SSC 1X) in agitazione orizzontale.

Dopo si sostituisce con la soluzione di bleaching 3 ml per tubo in oscillazione orizzontale sotto la luce fredda fino a che il pigmento non è scomparso.

Gli embrioni ibridati sono conservati in EtOH assoluto a -20°C.

3.13 Saggio TUNEL Whole Mount

Il saggio di TUNEL consente di individuare le cellule che sono andate incontro ad apoptosi.

L’apoptosi è un tipo di morte cellulare programmata che segue dei passaggi ben

stabiliti uno dei quali è la condensazione e la degradazione della cromatina ad opera

(16)

delle CAD ( Caspase activated DNase) cioè DNasi attivate da caspasi, che sono gli effettori dell’apoptosi.

La degradazione del DNA avviene in quella parte di DNA non avvolta intorno al nucleosoma e lascia delle estremità 3’ libere. A queste estremità tramite l’uso dell’enzima terminal-transferasi sono fatti attaccare dUTP marcati con digossigenina, che poi è riconosciuta da un anticorpo coniugato con l’enzima fosfatasi alcalina (lo stesso usato nelle ISH).

La presenza dell’attività enzimatica è rivelata fornendole un substrato che una volta defosforilato cambia colore e permette di individuare le cellule in cui c’è stata frammentazione del DNA e quindi morte cellulare programmata.

Il protocollo per questo saggio è articolato in quattro giorni.

Le prime fasi sono molto simili a quelle dell’ibridazione in situ: si tratta di reidratare gli embrioni, precedentemente fissati in MEMFA e conservati in EtOH assoluto, con lavaggi di 5 min. in soluzioni a concentrazione decrescente di EtOH secondo lo schema:

- EtOH 70% in H

2

O - EtOH 50% in H

2

O - EtOH 30% in PBS 1X

Seguono quindi due lavaggi da 15min. in PTW o PBS.

Viene poi realizzata la permeabilizzazione delle membrane con un lavaggio di proteinasi K in PTW in verticale senza agitazione per 5min., e di seguito due lavaggi in PTW, per assicurarsi che la proteinasi non rimanga in contatto con gli embrioni rovinandoli. Segue post- fissazione in paraformaldeide diluita al 4% in PTW per 20 min. e poi 3 lavaggi da 10 min. sempre in PTW.

A questo punto si equilibrano gli embrioni tenendoli 30 min. in 500 l di buffer di reazione dell’enzima terminal transferasi portato da concentrazione 5X a 1X in PBS.

Dopo questa fase di equilibratura si aggiungono 2,5 l di enzima TdT ( Terminal trasferasi) 30 U/l e 0,25 l di UTP marcati con digossigenina 1mM e si lasciano in incubazione O/N a 4°C.

Il secondo giorno si inattiva l’enzima aggiungendo in ogni vial 1 ml di EDTA 1 mM in PBS e tenendolo a 65°C per 1 h.

Poi si fanno 4 lavaggi da 1 h in PTW in agitazione orizzontale, oppure lavaggi più brevi se gli embrioni appaiono danneggiati in seguito necessaria all’inattivazione della TdT.

Dopo si devono preparare gli embrioni all’incubazione con l’anticorpo anti

digossigenina: prima si equilibrano con un lavaggio di 15 min. in MABT poi si pre-

incubano 30-60 min. a R.T. in 2 ml di una soluzione contenente MABT, lamb serum

(20%) e blocking solution (2%) per mascherare i siti aspecifici di legame con

l’anticorpo. In 500 l di questa ultima soluzione per ogni vial, sono aggiunti 0,2 l di

anticorpo; le vials vengono lasciate a basculare a 4° C per lo stesso tempo in cui gli

embrioni sono lasciati a R.T. Al termine della preincubazione si sostituiscono i 2 ml

con i 500 l di soluzione contente l’anticorpo e si lascia O.N. a 4° C.

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Il giorno seguente si fanno solo lavaggi in PTW, sei più uno O.N. a 4°C, per eliminare l’Ab che non si è legato.

Il quarto giorno si effettua rivelazione, aggiungendo 500 l di substrato cromogeno (BM-purple); prima si fanno due lavaggi da 5 min. con AP-buffer per far adattare gli embrioni al pH della soluzione di rivelazione.

A differenza delle ibridazioni in situ il segnale in questo caso compare rapidamente.

La rivelazione è fermata togliendo il BM-Purple e fissando gli embrioni in MEMFA 30 min.

Poi sono messi in EtOH assoluto e sottoposti a bleaching come nelle ISH: EtOH 70%, EtOH 50%-50% SSC e bleaching solution.

Sono conservati in EtOH 100% a -20°C.

3.14 Acquisizione delle immagini al microscopio

Le immagini degli embrioni interi sono state acquisite mediante una fotocamera

digitale CoolSNAP-cf montata in asse focale ad uno stereoscopio Nikon SMZ1500

con l’ausilio di una coppia di fibre ottiche.

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