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6.1 Cos’è il cohousing

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Academic year: 2021

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C A P I T O L O 6 – L ’ A B I T A R E C O L L E T T I V O E C O N D I V I S O

6.1 Cos’è il cohousing

Il significato letterale della parola cohousing è coabitazione, ma può essere anche tradotto con la locuzione “abitare insieme”. Con questo termine si indicano, genericamente, degli insediamenti residenziali composti da abitazioni private corredate da spazi coperti e scoperti comuni, destinati all’uso collettivo. La coabitazione, quindi, unisce in maniera nuova l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di aree, risorse e servizi condivisi.

A differenza delle esperienze radicali delle comuni degli anni ‘70 del ‘900, il cohousing si contraddistingue per un approccio laico e non ideologico e, in questo senso, la condivisione di alcuni spazi e servizi non comporta una rinuncia alla dimensione privata dell’abitare.

«Cohousing […] risposta aggiornata alle situazioni di precarietà, alla flessibilità del lavoro, alla dissoluzione della famiglia tradizionale e al conseguente manifestarsi di nuclei familiari diversificati dove l’affettività e la socialità vengono redistribuite in altre forme. Soluzioni abitative che, il più delle volte, partono dal basso, dalla richiesta dei singoli futuri utenti verso nuove forme dell’abitare e del condividere»

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.

L’elemento che caratterizza questa tipologia di insediamento, rispetto ad uno tradizionale, è la presenza di zone coperte e scoperte ad uso collettivo, che consentono una vita meno solitaria rispetto a quanto usualmente accade nel vivere quotidiano contemporaneo. Tra gli ambienti coperti comuni si possono trovare sale polifunzionali, cucine comuni, lavanderie, guest house, biblioteche, ludoteche, laboratori, magazzini, locali tecnici, ecc., cui si aggiungono spazi scoperti quali giardini, orti, cortili, parcheggi, terrazze comuni e solarium.

Le aree condivise sono luoghi di socialità per i membri della comunità e risorse per le attività dei singoli nuclei familiari e del gruppo nel suo complesso.

Inoltre, l’esistenza di queste zone comuni permette di disporre di servizi quali i GAS

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, il baby-sitting, il car sharing e altro ancora.

1

Edoardo Narne; Simone Sfrisio, Abitare condiviso. Le residenze collettive dalle origini al cohousing (Venezia, I: Marsilio Editori, 2013), 10.

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GAS significa “gruppo di acquisto solidale” e indica un gruppo di persone che acquistano prodotti

di uso comune, utilizzando come criterio guida il concetto di giustizia e solidarietà.

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La presenza di locali condivisi consente di razionalizzare gli alloggi privati, arrivando anche a ridurre le metrature delle abitazioni e quindi i costi di costruzione.

Un modello predefinito di spazi comuni non esiste, perché i fattori che ne determinano le caratteristiche sono molteplici: innanzi tutto, sono fondamentali esigenze e desideri dei cohousers, la collocazione dell’insediamento (ambiente urbano o rurale) e la tipologia di intervento edilizio (nuova costruzione o ristrutturazione).

Generalmente il numero di famiglie coinvolte in un’esperienza di cohousing varia da un minimo di 8 ad un massimo di 20, ma ci sono anche gruppi che arrivano 40. I nuclei convivono come in una comunità di vicinato “elettivo”, perché si scelgono nel momento in cui danno vita al cohousing, e gestiscono le aree comuni in modo collettivo.

Nella maggior parte dei casi, i progetti di cohousing sono improntati alla sostenibilità ambientale, al risparmio energetico e alla bioedilizia, così da ottenere non solo risparmi e benefici in termini economici ma anche ambientali. L’obiettivo non è però quello di ricorrere a sistemi costruttivi, impianti tecnologici e materiali sofisticati, spesso accompagnati da raffinati sistemi di certificazione degli edifici, che affidano la funzione di controllo dei consumi a fattori esterni, piuttosto si predilige l’impiego di tecnologie che permettono un risparmio energetico attraverso l’utilizzo consapevole dell’edificio e l’adozione di comportamenti virtuosi. Questo perché c’è la consapevolezza che la miglior energia rinnovabile è quella che non viene consumata. Comportamenti corretti, volti al risparmio, sommati ad una buona efficienza energetica dell’edificio e a scelte energetiche consapevoli permettono di raggiungere ottimi risultati senza dover necessariamente affrontare costi elevati per l’acquisto di isolamenti o impianti ad energia rinnovabile, spesso usati più come vetrina per dimostrare la propria coscienza ambientale che come efficaci dispositivi sostenibili.

Le persone che si avvicinano a questo tipo di esperienza sono principalmente coppie con bambini piccoli, anziani, single con e senza figli, immigrati e tutti quegli individui che hanno un diffuso bisogno di socialità. Il cohousing consente di soddisfare il bisogno primario della casa dei giovani e dei cosiddetti “milleuristi”, cioè di quel 15% della popolazione che comprende giovani e meno giovani, che non possono contare su una casa di proprietà né sul mercato dell’affitto, sia esso pubblico o privato, nel primo caso perché insufficiente a soddisfare le domande e destinato a fasce sociali fortemente disagiate, nel secondo perché privi delle garanzie reddituali necessarie. Inoltre, acquistando una casa in cohousing, si entra in un particolare ambito di socializzazione, capace di contrastare le difficoltà relazionali o il carattere individualista tipico della nostra società e della nostra epoca, con ricadute positive sul piano del mutuo supporto fornito dai diversi individui che ne prendono parte e quindi sul benessere di anziani, bambini o altre categorie deboli.

I cohousers aspirano a vivere secondo principi di equità, sostenibilità,

conservazione delle risorse naturali, tutela e sviluppo dei beni comuni e non

trovano soddisfazione nel modo di vivere tradizionale e diffuso, che ha come

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modello di riferimento la struttura abitativa indipendente, ma ricercano tipologie residenziali diverse che soddisfino le necessità di socialità, condivisione, mutuo scambio e aiuto, attraverso la realizzazione di nuove forme di vicinato. Quello che i partecipanti cercano nel cohousing è una vita sociale più accogliente, gradevole e ricca, capace di moltiplicare le possibilità di scelta sia individuali sia collettive e in questo senso, l’aggregazione e la possibilità di condividere spazi e servizi è un valore aggiunto.

«L’idea di creare una rete di persone per fare tutto ciò che abbiamo sempre desiderato: un orto, un bel giardino, un gruppo d’acquisto, una biblioteca dove mettere tutti quei libri che ci invadono la casa. I punti critici sono l’impegno quasi quotidiano se vuoi fare le cose seriamente, la continua mediazione con l’altro e il capire i punti di vista e i desideri diversi dai tuoi»

3

.

Anche l’aspetto economico non è da sottovalutare, perché si riescono a realizzare alloggi con elevata qualità edilizia ad un costo sostenibile per più fasce reddituali della popolazione.

Gli elementi che caratterizzano una buona esperienza di cohousing possono essere riassunti nei seguenti punti:

1. il cohousing si costruisce su misura assieme alla comunità di cohouser;

2. il cohousing si sviluppa attraverso percorsi partecipativi;

3. il cohousing non è una teoria, bensì una buona pratica.

Questi 3 punti ci dicono che il cohousing si modella sulle esigenze e sull’identità del gruppo che lo compone e, poiché le esigenze delle persone cambiano nel tempo, il coabitare è un processo sempre in divenire, che necessita di passione ed esercizio per svilupparsi e quindi, più che un’astratta teoria, è una pratica che si misura sempre con la realtà.

Il fattore che generalmente accomuna le diverse esperienze di cohousing è la creatività con cui ogni gruppo affronta e risolve i problemi che emergono durante il percorso e che possono essere di natura amministrativa, legale, urbanistica, finanziaria, ecc. e l’approccio propositivo alla questione dell’abitare.

Durrett e McCamant

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individuano 4 caratteristiche comuni alle varie realizzazioni di cohousing:

1. partecipazione: i futuri abitanti organizzano e prendono parte ai processi di pianificazione e progettazione dell’operazione immobiliare e sono responsabili in modo collegiale delle decisioni finali;

2. progettazione intenzionale: il cohousing è ideato in modo da incoraggiare un forte senso di comunità;

3. ampi servizi in comune: gli spazi in comune sono parte integrante del cohousing e sono progettati per uso quotidiano a integrazione degli spazi privati;

3

Tamassociati, Vivere insieme. Cohousing e comunità solidali (Milano, I: altraeconomia edizioni, 2012), 8.

4

Si veda a pag. 173.

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4. gestione diretta da parte dei residenti: gli abitanti gestiscono la struttura prendendo le decisioni insieme, spesso con il metodo del consenso

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, durante incontri periodici.

A questi elementi comuni corrispondono progetti estremamente variegati in quanto a principî insediativi (geometrie e rapporti tra spazi aperti e spazi edificati, relazioni tra pieni e vuoti, sistema dei tracciati) e regole tipologiche che governano sia gli spazi aperti sia gli spazi edificati. Si possono avere insediamenti di cohousing a bassa o alta densità, con layout diversi per orientamento, dimensione e costi; le abitazioni possono essere case singole, schiere, edifici in linea o blocchi.

Per quanto riguarda l’organizzazione spaziale dell’insediamento, si possono identificare tendenze prevalenti: nel caso di progetti realizzati in ambito extra- urbano e rurale, l’impianto che ricorre con più frequenza è quello del piccolo insediamento, tendenzialmente introverso, di alloggi organizzati secondo lo schema del cluster o del sistema di case a schiera. In questi casi, gli spazi comuni coperti si trovano in posizione baricentrica rispetto all’insediamento, così da essere facilmente accessibili da tutte le abitazioni e i percorsi pedonali condivisi sono strutturati in modo da incrementare il contatto e i rapporti sociali tra residenti. Gli spazi aperti sono condivisi e privi di recinzione e affidati alla gestione comune. Il rapporto tra gli spazi coperti e quelli aperti è strutturato in modo da realizzare un gradiente tra spazio aperto condiviso, spazio semi-privato (corti e piccoli giardini) e spazio privato dell’alloggio. I parcheggi sono generalmente concentrati in aree marginali rispetto all’insediamento, per la condivisa volontà di realizzare luoghi a misura delle persone e non delle automobili.

In ambito urbano e periurbano, invece, dati i costi elevati, si preferisce realizzare edifici ad alta densità, a blocco o in linea, e gli insediamenti sono collocati in aree ben servite da mezzi di trasporto pubblici, così da ridurre il numero complessivo di auto e conseguentemente la superficie dedicata a parcheggio. I locali comuni si trovano generalmente a piano terra, in corrispondenza degli accessi dell’edificio e la loro presenza consente di razionalizzare lo spazio degli alloggi privati e di ridurne la superficie, fino a trovare soluzioni progettuali flessibili che consentono nel tempo di variare gli ambienti.

6.1.1 Fasi di attuazione del Cohousing

Premesso che ogni esperienza di cohousing è un evento a sé stante, che si sviluppa con sequenze sempre diverse e originali, l’obiettivo di questo paragrafo è tracciare una serie di passaggi utili alla definizione dell’articolazione di un processo di cohousing.

La formazione del gruppo e l’identificazione del luogo in cui la comunità si insedierà sono fattori che si intrecciano tra loro, determinando priorità e successioni temporali uniche e diverse in ogni esperienza: in alcuni casi, il processo può essere generato da una occasione, cioè dall’aver trovato un luogo o un edificio

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Il metodo del consenso, o processo decisionale consensuale, è un processo decisionale di gruppo,

che ha come obiettivo quello di pervenire a una decisione consensuale, cioè che non sia solo

l’espressione dell’accordo tra la maggioranza dei partecipanti, ma che integri nella decisione anche

le obiezioni della minoranza.

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adatti al cohousing, in altri dalla creazione di un gruppo di persone intenzionate a dar vita ad un’esperienza di cohousing.

Figura molto importante nel processo di sviluppo di un cohousing è il progettista, il cui compito è coordinare i contributi tecnici specifici necessari ed integrarli in una visione d’insieme. Per far ciò, è importante che questo individuo sia empatico al processo di cohousing e che consideri l’apporto dei cohousers come una ricchezza e non come un intralcio.

«In un cohousing il progettista non è soltanto colui che disegna e immagina ma anche chi deve essere in grado di assumere un ruolo nuovo e molto più articolato in grado di sintetizzare e semplificare processi complessi che in un cohousing, inevitabilmente, si generano per poter rispondere alle esigenze ed ai desiderata di tutti. Una sorta di mediatore tecnico/sociale che potremmo definire simplicity manager»

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.

La figura che ne discende è complessa, ibrida, perché deve gestire non solo la parte tecnica ma anche quella finanziaria e la committenza. Questo significa che il progettista deve mettere in sinergia stili di vita diversi con gusti e sensibilità a volte divergenti, disponibilità economiche diseguali con aspettative spesso irrealizzabili e quindi il lavoro da svolgere risulta essere lungo e complesso.

In media, per realizzare un cohousing servono 30 mesi, ma la stima temporale, che si basa su un gruppo costituito da 10-12 famiglie, varia a seconda della disponibilità del gruppo, della velocità di reperimento del terreno edificabile e dalle condizioni normative in cui si opera. In ogni caso, le fasi che si possono identificare per portare a termine un processo di cohousing sono 5.

Fase 1

Per prima cosa, si ha bisogno di un gruppo, con una visione comune dell’abitare, di un piano sociale e finanziario condiviso e di un territorio di interesse in cui realizzare il progetto.

Il gruppo, generalmente, si crea attraverso reti sociali già esistenti, cui aderiscono persone che condividono alcune scelte di base in campo sociale e ambientale, come le reti amicizia, i GAS, le reti della finanza etica, le reti del commercio equo e solidale, le reti solidarietà, ed è costituito da primo nucleo motivato di 6-8 famiglie che si incontrano per definire le strategie comuni e individuare le zone residenziali di loro interesse.

Gli incontri possono essere di carattere pubblico, così da consentire l’inserimento di nuove famiglie interessante al progetto e la verifica di possibili percorsi di iniziativa pubblica, oppure privato, per definire gli obiettivi comuni.

Questi incontri avvengono, in genere, alla presenza di progettisti/facilitatori, che coadiuvano i cohousers nel processo di realizzazione degli obiettivi stabiliti.

Fase 2

Il passo successivo è trovare un’area o un edificio nella zona scelta dai cohousers e verificarne le dotazioni urbanistiche, quali trasporti pubblici, servizi, infrastrutture. Si tratta di una fase molto concreta, in cui si testano operatività e solidità del gruppo e la capacità di assumere un approccio creativo e propositivo per

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Tamassociati, Vivere insieme. Cohousing e comunità solidali, 35.

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contrastare le difficoltà pratiche e finanziarie che emergono. È il momento in cui, spesso, il gruppo si riduce, ma chi decide di rimanere si compatta ulteriormente per prendere decisioni vincolanti.

Oltre a stabilire un piano finanziario sulla base delle disponibilità delle famiglie, si inizia anche un dialogo con le amministrazioni pubbliche, per verificare la disponibilità di aree ed edifici da assegnare ai cohousers.

Fase 3

Una volta identificato il terreno o l’edificio che soddisfa le esigenze delle famiglie, si procede con la redazione di un progetto preliminare, che consiste in uno studio di fattibilità e in un primo quadro estimativo di spesa. Il progetto architettonico prende forma seguendo le indicazioni fornite dai futuri abitanti e i vincoli urbanistici.

Il progetto ha un’importanza strategica, perché permette di misurare la rispondenza tra le esigenze dei cohousers e le reali condizioni che si andranno a configurare. Attraverso questo strumento e i modelli di studio la coesione del gruppo tende a rafforzarsi.

I risultati sono mostrati anche all’esterno del gruppo, all’amministrazione e ad altre comunità interessate a nuovi modi di abitare.

Fase 4

Completate le prime tre fasi, le persone che hanno condiviso il percorso formalizzano il loro impegno e definiscono le regole che disciplinano la vita in comune.

Il gruppo si trasforma in personalità giuridica (associazione, cooperativa, ecc.) così da poter acquistare il terreno o l’edificio individuato; si procede con le successive fasi della progettazione che portano all’apertura del cantiere e si definisce il piano finanziario del progetto.

Fase 5

Questa è la fase finale del percorso, in cui si elaborano progetto esecutivo, capitolato d’appalto e computo metrico, arrivando a definire i contratti necessari per la realizzazione dell’opera.

Le imprese scelte si devono impegnare a garantire la tracciabilità dei prodotti usati, con apposite schede di documentazione, e a fornire le certificazioni stabilite nel contratto.

6.2 Le origini del cohousing

Il termine cohousing, come lo intendiamo oggi, ha origine in Danimarca verso la fine degli anni ‘60 del XX secolo, per iniziativa dell’architetto Jan Gødmand Høyer e di un gruppo di persone motivate a realizzare un intervento residenziale che ridefinisca il concetto di “vicinato solidale”. È cosi che si realizza il complesso di Skråplanet, primo caso riconosciuto di bofællesskaber, ovvero di “comunità vivente”.

Tutto ha inizio per reazione alla condizione abitativa verificatasi a seguito

della rivoluzione industriale danese degli anni ‘50, che porta ad una edificazione

massiccia che non tiene per niente conto del benessere degli abitanti, ma,

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piuttosto, si focalizza sul concentrare il maggior numero di persone in un unico luogo. Il cohousing nasce quindi come ricerca di un modo di vivere che eviti l’alienazione dell’individuo dal resto della società.

Gødmand Høyer trae ispirazione per la sua idea sia dalla lettura del volume dal titolo “Utopia” di Tommaso Moro, sia dalla sua personale permanenza nella comunità dell’Abbè Pierre vicino Parigi, organizzata secondo i principi di Charles Fourier

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e utilizza come base teorica del cohousing due articoli

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che riguardano i bambini e la loro felicità, in cui si sostiene che essi hanno bisogno di un numero di amici che varia da 3 a 7, loro coetanei, che i bambini più piccoli non si devono allontanare da casa più di 15 m e che le auto devono stare lontane dalle aree destinate al gioco dei bimbi.

Siamo nell’inverno del 1964, quando l’architetto organizza un incontro con alcuni amici per parlare della situazione abitativa contemporanea della città, da cui emerge una generale insoddisfazione. A questo primo incontro ne fanno seguito altri e le persone che vi partecipano realizzano di voler vivere insieme, mantenendo però la propria privacy. Il gruppo che si forma, non troppo numeroso, così da permettere una buona socializzazione dei membri, acquista un terreno nei pressi di Hareskov, situato in un’area già occupata da case singole, per il quale la municipalità prevede la costruzione di 12 abitazioni, contro le 30 ipotizzate dal gruppo. Dopo una serie di riunioni e discussioni, si arriva alla proposta di diverse idee e numerosi schizzi. Nel frattempo, però, gli abitanti della zona acquistano un terreno che sarebbe servito per l’accesso al complesso che si stava progettando, quindi impedendone, di fatto, la realizzazione, perché convinti che le persone coinvolte fossero poco raccomandabili.

L’episodio ha una grande eco a livello mediatico e l’idea che sta alla base della costituzione della comunità, cioè il fatto di avere un vicinato elettivo, si diffonde rapidamente, facendo così avvicinare molte altre persone a questo gruppo.

Dopo poco tempo, si identifica un nuovo terreno su cui realizzare il progetto, che prevede una stanza dedicata completamente ai bambini, giardini divisi da muri e 3 diverse tipologie di abitazioni, successivamente ridotte ad una sola standardizzata. Il gruppo, però, si divide per divergenze legate alla struttura dell’insediamento e quelli che decidono di abbandonare il progetto, ne realizzano uno analogo, mantenendo i principî e le idee base di comunità appresi e condivisi nella precedente esperienza.

Un’altra insidia si pone, però, sul cammino di questo primo gruppo di cohousers: si tratta della crisi economica del 1970, che comporta un cambiamento sostanziale nelle condizioni stabilite dalla banca Bikuben per l’erogazione del mutuo. Non bastano più, infatti, 10 famiglie per avere il finanziamento, bisogna che tutti gli appartamenti previsti siano già assegnati prima dell’inizio della costruzione dell’insediamento. Questo fatto pone due problemi fondamentali: il primo è l’inserimento di persone all’interno del gruppo in una fase avanzata,

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Si veda il paragrafo 1.3.2.

8

Franco Bergamasco; Gaia Canossa, “Jan Gødmand Høyer, l’ideatore del cohousing”, in Cohousing e

condomini sociali , a cura di Matthieau Lietaert (Città di Castello, I: Aam Terra Nuova, 2007), 16-17.

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quando già tutte le decisioni sono state prese, e il secondo è la variazione del progetto per ridurre i costi.

Fortunatamente la situazione si risolve: nel 1972 iniziano i lavori e nel 1973 le prime famiglie si trasferiscono nel nuovo insediamento.

Il progetto consiste in 33 case singole o con muro divisorio in comune, terrazzate, con un piano e mezzo interrato e su differenti livelli. Ogni abitazione ha una superficie pari a 157 m

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netti, con possibilità di ampliamento di 75 m

2

. Ogni alloggio si presenta come una successione di 3 livelli: il primo, quello di accesso, ospita la cucina e la sala da pranzo, il livello inferiore è interamente dedicato ai bambini e prevede 3 camere e un bagno e il terzo livello, dedicato agli adulti, è rialzato rispetto alla cucina di alcuni gradini ed è composto da un salotto, una camera da letto, un bagno e una terrazza. Il tetto delle abitazioni è piano, per consentire a tutte le famiglie di godere dalla propria casa del panorama circostante.

A proposito di vista, la finestra della cucina riveste un ruolo molto importante, perché, data la sua posizione, dalla strada si può capire se in casa c’è qualcuno oppure no, ma ancora di più serve per creare un contatto, anche solo visivo, tra i cohousers.

Le abitazioni sono posizionate intorno alla casa comune, quasi a costituire un villaggio dove tutti conoscono tutti.

Figura 6.2.1. Planimetria dell’insediamento Skråplanet

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Figura 6.2.2. A sinistra una delle abitazioni, a destra l’orto

L’idea del cohousing si diffonde rapidamente in Danimarca e nei paesi dell’Europa del nord, in modo particolare nei Paesi Bassi e nella penisola scandinava.

«Il fatto che il cohousing sia nato in Danimarca e abbia raggiunto per prima la Svezia e l’Olanda non è una coincidenza. Fenomeni come la precarietà, la flessibilità del mercato del lavoro, la dissoluzione della famiglia tradizionale, la crescita del numero dei nuclei familiari con un unico genitore e uno o due figli si sono diffusi nel Nord Europa già a partire dagli anni settanta. Da qui una struttura come il cohousing, in grado di sostituire, almeno in parte, i servizi, l’affettività e la socialità un tempo assicurate dalla famiglia d’origine»

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.

In America il cohousing arriva alla fine degli anni ‘80 del ‘900, grazie agli architetti Charles Durrett e Kathryn McCamant, che, dopo un viaggio nel vecchio continente, pubblicano un libro che ha un grande successo negli Stati Uniti e che contribuisce in maniera significativa alla diffusione del fenomeno.

Da allora, il cohousing si è diffuso in tutto il mondo anglosassone, più recentemente, in Giappone, Germania, Francia e Belgio e negli ultimi anni anche in Italia si registra un interesse crescente verso questo fenomeno.

Nel tempo, dalla realizzazione del primo intervento di cohousing, si sono verificati diversi cambiamenti e Gilo Holtzmann

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ha identificato 3 fasi evolutive

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:

fase 1: si ha tra gli anni ‘60 e ‘70 in Danimarca e nei paesi scandinavi, dove comunità pioneristiche gettano le basi per soluzioni abitative che offrono vantaggi in termini di socialità e aiuto reciproco tra famiglie;

fase 2: si verifica dagli anni ‘80 negli Stati Uniti, con la diffusione del cohousing grazie agli studi e alle pubblicazioni di McCamant e Durrett;

fase 3: ha inizio a partire dagli anni ‘90, quando il cohousing si diffonde nell’Europa centromeridionale e nei paesi anglofoni, quali Australia e Nuova Zelanda.

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Narne; Sfrisio, Abitare condiviso. Le residenze collettive dalle origini al cohousing, 44.

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Gilo Holtzmann è un architetto australiano che si occupa di cohousing. Fa parte del Synthesis Studio.

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Narne; Sfrisio, Abitare condiviso. Le residenze collettive dalle origini al cohousing, 44.

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6.2.1 Abitare insieme

«La condivisione di luoghi e momenti collettivi, la ricerca di rapporti di vicinato solidale e, non ultimo, l’istintivo allontanamento dello spettro della solitudine e dell’isolamento, sono da sempre dimensioni abitative ricercate ad ogni latitudine.

Già nelle antiche società umane gli uomini sono appartenuti, prima che alle città o alle nazioni, a gruppi cementati da un legame di sangue. Piccole e grandi unità familiari depositarie per secoli di valori e tradizioni, dove l’architettura è stata costantemente espressione di queste varie condizioni sociali, con differenti declinazioni a seconda dei contesti; dove la stessa è stata altresì testimone fedele delle varie trasformazioni avvenute, capace di registrarne tutti i cambiamenti»

12

.

Studi effettuati non solo a livello architettonico hanno rilevato il verificarsi di una situazione globale singolare: per molti secoli, persone appartenenti ad una stessa tribù o clan o famiglia si sono raccolte intorno ad un cortile chiuso da muri ciechi, appena forati da porte per consentire l’ingresso all’interno dell’insediamento. Che si tratti dell’impero romano, cinese, persiano, delle polis greche, della civiltà etrusca o del mondo islamico, la città ha come fondamento la concentrazione di gruppi familiari dediti alla difesa del loro mondo privato. La conferma di quanto affermato si può ritrovare sia nelle rovine di Pompei ed Ercolano, sia in ciò che resta degli Hutong

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a Pechino, ma anche nelle città islamiche, dove le residenze, tutt’oggi, sono totalmente chiuse rispetto alla strada.

Questo atteggiamento di introversione non esclude, però, l’aiuto verso il prossimo bisognoso di un sostegno. In corrispondenza, infatti, delle grandi espansioni elleniche e romane si sviluppa il concetto di filantropia per salvaguardare chi si trova in difficoltà o si sente spaesato per la perdita di riferimenti.

Intorno all’anno 1000 in Europa si verificano una specie di inversione rispetto al passato e una rivoluzione nella società: non è più importante il clan a cui si appartiene, quello che conta è l’appartenenza alla città, dove ogni famiglia manifesta la sua importanza attraverso l’imponenza delle residenze e la decorazione dei relativi fronti principali. Questo comporta, nel giro di due secoli circa, la nascita di nuovo assetto della città, che cambia completamente volto.

Nel primo ‘500, in Italia si assiste ai primi casi di costruzione di piccoli quartieri per ospitare famiglie cristiane indigenti, ad opera di facoltose famiglie, quali i Fugger ad Augusta e i Lando a Padova. Si tratta di una sorta di edilizia sovvenzionata, un social housing ante litteram, che trova le sue fondamenta in impianti abitativi già presenti a Venezia a fine ‘400, in particolare nelle residenze della Corte San Marco, dove le abitazioni trovano completamento in una dimensione organica con gli spazi aperti del campiello e con gli ambienti chiusi collettivi delle cappelle private. Siamo di fronte a nuove forme di relazioni, che pur

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Narne; Sfrisio, Abitare condiviso. Le residenze collettive dalle origini al cohousing, 13.

13

Gli Hutong sono vicoli formati da file di siheyuan , che sono le tradizionali abitazioni a corte. Molti

quartieri sono formati dall’unione di più siheyuan tra di loro, a formare un Hutong, quindi

dall’unione di più Hutong. Per via di questa struttura, spesso parlando di Hutong ci si riferisce

all’intero quartiere.

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non rendendo autonomo il complesso, amplificano la condivisione dei modelli comunitari e riducono l’isolamento dei singoli nuclei familiari.

Successivamente, si assiste ciclicamente, in Europa, per circa 300 anni, all’ideazione di nuove forme di comunità, in gran parte teorie rimaste sulla carta. Il riferimento è, in particolare, a Tommaso Moro, Valentin Andreae e, nell’800, a Fourier e Owen.

Il ‘900 è ricco di proposte e sperimentazioni abitative anche a carattere collettivo. Uno dei più entusiasmanti esperimenti di edilizia sociale è realizzato tra il 1927 e il 1930 nei sobborghi di Vienna da Karl Ehn

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,che costruisce un fabbricato di 4/5 piani, lungo più di un chilometro, ritmato da tre corti-piazze principali e da diversi servizi a disposizione degli oltre 5.000 abitanti. Il Karl Marx-Hof è impostato su uno schema morfologico consolidato e collaudato di blocchi disposti a corte intorno a servizi comuni. L’elemento che più ha contribuito al successo, nel tempo, di questo esperimento urbano è il cambio di scala continuo all’interno del complesso, dove ogni singolo abitante, pur mantenendo la sua individualità è riuscito a sentirsi parte di una comunità.

Figura 6.2.3. Karl Marx-Hof

Qualche anno prima, tra il 1913 e il 1920, Michel de Klerk

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realizza, combinando ed integrando preesistenze, un piccolo isolato triangolare ad Amsterdam, dove combina funzioni diverse, grazie alla presenza di un ufficio postale, di una scuola e di un padiglione per riunioni e feste condominiali.

14

Karl Ehn (1884-1957), viennese, è stato architetto e urbanista.

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Michel de Klerk (1884-1923), olandese, è stato architetto e fondatore del movimento “Scuola di

Amsterdam”.

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Figura 6.2.4. Fronte principale dell’isolato progettato da Michel de Klerk ad Amsterdam

Figura 6.2.5. Narkomfin

Altro esempio rilevante di edificio residenziale collettivo per lavoratori,

comprensivo di aree comuni per favorire la condivisione delle attività quotidiane, è

il Narkomfin, costruito a Mosca a cavallo degli anni ‘30 del XX secolo, che ottiene un

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riscontro eccezionale dalla stampa specializzata dell’epoca. Anche Le Corbusier dimostra di apprezzare questo edificio, che rispetta in pieno i 5 punti dell’architettura da lui enunciati, ma, purtroppo, rimane un esperimento fallito, probabilmente perché ogni appartamento è autosufficiente e quindi le aree comuni non sono sfruttate e utilizzate in maniera adeguata. A livello architettonico, rimane comunque indiscussa la sua rilevanza per l’audacia delle soluzioni proposte, come, ad esempio, lo stacco da terra su pilotis dell’edificio, l’incastro degli appartamenti duplex, la ricchezza spaziale degli alloggi, pur di dimensioni ridotte, e l’organizzazione delle attività collegate da ballatoi.

Un altro esempio di edificio collettivo è quello progettato da Sven Markelius

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a Stoccolma. Di stampo razionalista, l’edifico è calibrato sulle esigenze della società svedese, in particolare dell’emancipazione della donna e quindi particolare importanza è data al rapporto tra l’oggetto architettonico e la vita della città. Le funzioni collettive, infatti si trovano a piano terra, non sono isolate in copertura o nei piani intermedi. Markelius, pur adottando una tipologia a blocco, quindi ad alta densità, anziché il collaudato schema a corte, riesce a innescare relazioni di alta socialità.

Figura 6.2.6. Stockholm collettive house

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Sven Markelius (1889-1972), svedese, è stato architetto.

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Le radici del cohousing possono anche essere ritrovate nelle cascine della campagna italiana in cui abitavano più famiglie, dove le regole di vicinato, l’aiutarsi reciproco e la condivisione del cibo e di spazi come i servizi igienici e la lavanderia, erano la base della convivenza. L’aia, luogo di transito, ma anche dell’accoglienza e della festa, luogo del gioco libero e naturalmente tutelato, richiama fortemente lo spazio aperto comune presente nelle esperienze di cohousing.

6.3 Esempi di cohousing

Le realtà di cohousing possono essere molto diverse tra loro, perché differenti possono essere le motivazioni e le condizioni di partenza, quindi, di conseguenza, la visione comune che si cerca di realizzare e il risultato pratico che ne segue. Quello, però, che accomuna tutte le esperienze è il modo creativo in cui ogni gruppo affronta e risolve le varie problematiche che si presentano e che possono essere di carattere amministrativo, legale, urbanistico, finanziario, ecc.

In Italia si assiste ad un crescente interesse nei confronti del cohousing, anche se nel nostro paese il fenomeno è ancora nuovo e limitato per numero di interventi esistenti e in corso di realizzazione.

La diffusione del cohousing si deve, da un lato, alla crescente sensibilità comune verso i temi dello sviluppo sostenibile, dall’altro, alla riduzione delle disponibilità economiche dei nuclei familiari di vario genere. Questi due fattori spingono verso la sperimentazione di un modo di abitare che privilegia le relazioni e consente di compiere scelte virtuose dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

Come mai il cohousing in Italia non è molto diffuso e praticato?

Perché il suo tasso di insuccesso è elevato?

È la mancanza di un mercato che obbliga le persone ad aderire a modelli di acquisto del bene casa di tipo tradizionale o è la mancanza di richiesta verso questa forma di abitare che fa sì che sia praticamente assente dal mercato un’offerta di abitazioni strutturate sul modello del cohousing?

Nell’immaginario comune, la coabitazione assume la connotazione di fenomeno ideologico, per cui, se si aderisce ad un’esperienza di questo tipo, significa che si abbraccia una certa ideologia, oppure l’abitare collettivo viene identificato con uno stato di bisogno e di necessità, come nel caso degli studentati o degli ospizi. In questa visione, il cohousing si riduce ad occupare una dimensione antagonista al mercato, al di fuori della logica per cui la casa è un bene e un valore, ma anzi diventa un fine per dimostrare altro, cioè l’esistenza e la possibilità di un mondo diverso.

Per far sì che più persone si interessino a questo nuova tipologia di abitare e vivere, si deve far sì che il cohousing diventi una forma di abitare “normale”, dettata da convenienze pratiche, di natura non necessariamente economica, legate a condizioni di vita specifiche e spesso a carattere temporaneo.

La casa non deve rappresentare solo un investimento, quindi non deve solo

essere durevole e aumentare di valore nel tempo, ma deve essere un bene

facilmente trasformabile, vendibile e modificabile. La casa si deve trasformare in

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un bene mobile, che favorisca la dinamicità e la crescita sociale, cioè un atteggiamento opposto rispetto a quello del rigido mercato italiano, negli ultimi anni pesantemente in crisi. Ed è proprio grazie alla crisi che gli operatori del settore si sono interrogati sull’opportunità di proporre progetti innovativi che rispondono alle necessità di individui appartenenti a nuclei familiari diversi da quelli tradizionali. Il cohousing, nato dalla crisi delle relazioni sociali, dalla riduzione dei servizi e del welfare e dall’affievolirsi del valore della rete familiare di stampo tradizionale, può essere la soluzione a questo interrogativo.

Una peculiarità del cohousing italiano, che ostacola la sua diffusione, è il rapporto con le pubbliche amministrazioni e l’assetto normativo vigente, perché in questi campi c’è uno scollamento completo tra le reali esigenze dei promotori di associazioni comunitarie come il cohousing e i dispositivi normativi. Malgrado le difficoltà, sono ormai molteplici gli esempi realizzati e in via di completamento nel territorio nazionale

17

.

6.3.1 Ecoquartiere “Quattro Passi”, Villorba (TV)

«Vogliamo costruire nel giro di pochi anni un vero e proprio quartiere residenziale secondo le buone pratiche proposte alla Fiera Quattro Passi: un quartiere di cohousing dove si condividono alcuni servizi, dove si risparmia e si produce energia, dove si producono meno rifiuti, dove c’è un magazzino GAS condiviso, dal quale le auto stanno fuori, dove si privilegia il trasporto pubblico, dove c’è tanto verde, dove l’acqua si risparmia….. e in cui le case non costino più di quelle convenzionali!»

18

.

Il progetto per questa esperienza inizia nel 2010

19

, quando, a seguito della Fiera 4 Passi

20

, che si tiene annualmente in provincia di Treviso, l’Associazione Cambieresti? Onlus decide di avviare un percorso partecipativo per individuare persone e nuclei familiari interessati a costituire un gruppo di cohousing, così da concretizzare tutte le buone pratiche promosse all’interno della Fiera.

Oltre all’associazione Cambieresti? e ad 8 famiglie (16 adulti e 12 bambini) hanno preso parte al progetto la cooperativa di commercio equo e solidale “Pace e Sviluppo”, lo studio di architettura tamassociati

21

e l’impresa cooperativa Sa.fra.

17

A questo proposito si veda il volume Ecovillaggi e cohousing , riportato in bibliografia.

18

Tamassociati, Vivere insieme. Cohousing e comunità solidali, 63.

19

I lavori sono terminati nel 2014.

20

La Fiera 4 Passi ha l’obiettivo di sensibilizzare le persone riguardo al tema di un’economia più equa e sostenibile ed è una manifestazione che invita a fare letteralmente quattro passi verso il futuro: attraverso l’organizzazione di spettacoli, laboratori, incontri, attività per bambini a tutte le ore, piatti equi e solidali, musiche dal mondo.

Con i suoi 70.000 visitatori nell’ultima edizione, è uno degli eventi più importanti a livello nazionale nel panorama dell’economia sostenibile e si caratterizza per il carattere “pratico” delle sue proposte, cioè nei consigli dispensati che ogni cittadino può adottare nella vita di ogni giorno per costruire un’economia più giusta e capace di futuro.

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Tamassociati nasce a Venezia come gruppo di ricerca architettonica a partire dagli anni ‘80,

nell’ambito dell’Associazione Utopica European Architects Network e opera in forma di studio

associato dal 1989, con sedi principali a Venezia, Bologna, Parigi. Tamassociati si attiene ai principi

di una progettazione etica e responsabile e svolge, con il proprio lavoro, un’azione in favore dei

diritti umani e di uno sviluppo sostenibile. Lavora principalmente per istituzioni pubbliche,

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Il terreno individuato per la realizzazione di questa esperienza, di quasi 7.ooo m

2

, si trova a Villorba, in provincia di Treviso e l’intervento si configura come un atto di edilizia privata edificata su di un lotto acquistato sul libero mercato.

Dal punto di vista tipologico, compositivo e strutturale il progetto rispetta la rigida normativa vigente che impone per la nuova realizzazione di villette singole tetti a falda, pianta e finestre rettangolari, allo scopo di perpetrare i caratteri dell’architettura rurale. Inserendosi nel solco della tradizione, il progetto di tamassociati è privo di qualsiasi concessione ornamentale, tipico di un manierismo che riproduce modelli storici senza evoluzione; a questa pulizia formale si sovrappone l’uso del colore associato alle persiane di ogni abitazione, che prosegue in facciata quale segno di differenziazione, movimento e personalizzazione.

Proprio come nel tipico borgo italiano, le abitazioni si affacciano su quella che è considerata la piazza principale e il Municipio, che in questo caso è appunto la “casa comune”, sta alla testa di tutto.

Figura 6.3.1. Schizzi di progetto (tamassociati)

Tutti gli elementi del complesso, cioè i fabbricati, il parcheggio e i percorsi, sono collocati a ridosso dei confini, per preservare il più possibile lo spazio verde centrale indiviso, privo di qualsiasi recinzione, che rappresenta l’elemento fondante del quartiere. Creando questo spazio, si è ottenuto il duplice vantaggio di

associazioni ed organizzazioni non profit. Lo studio è stato chiamato a curare il Padiglione Italia alla

Biennale di Architettura di Venezia del 2016.

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preservare le qualità paesaggistiche dell’area e di avere un luogo che favorisce l’interazione e la socialità dei residenti.

Il parcheggio per le auto è collocato a margine del lotto, a nord, così da non avere traffico automobilistico all’interno dell’area, dove le persone si muovono a piedi o in bicicletta, lungo un percorso ad anello posto lungo il perimetro dell’area.

A est e a ovest si fronteggiano le residenze, quattro per lato, non separate ma immerse nella corte coltivata a giardino e sud si trova l’orto collettivo.

Figura 6.3.2. Planimetria dell’insediamento

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Dell’insediamento fa parte un edificio residenziale ad uso comune, detto

“casa comune”, che completa le abitazioni individuali e, insieme al polmone verde, costituisce il cuore della comunità. Qui si possono organizzare attività di relax e svago, giochi e studio per bambini, riunioni di gruppo e iniziative organizzate o informali. L’annesso ospita anche un ampio locale magazzino al piano interrato, i locali tecnici degli impianti termici comuni e gli impianti solari termici e fotovoltaici in copertura.

Figura 6.3.3. Vista dell’insediamento; sul fondo la “casa comune”

Figura 6.3.4. Il retro di una delle abitazioni

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Per quanto riguarda le abitazioni, inizialmente è stata progettata una casa tipo di forma rettangolare con tetto a due falde e successivamente ne sono state fatte 3 versioni di dimensioni differenti per le diverse esigenze dei vari nuclei familiari. Ogni casa ha elementi invarianti, cioè i collegamenti verticali e le predisposizioni impiantistiche idrosanitarie, ed elementi variabili (divisori interni):

questo ha permesso di concordare con le singole famiglie la configurazione degli ambienti interni di ogni abitazioni. Questo analogo principio è stato applicato nella composizione dei prospetti, che pur avendo le stesse aperture in ogni edificio, si distinguono per il colore degli infissi, in modo tale da avere un equilibrio tra coerenza d’insieme ed esigenze individuali.

Figura 6.3.5. Abitazioni per due famiglie

Dal punto di vista della sostenibilità, particolare attenzione è stata posta nello studio dell’involucro edilizio, realizzato in blocchi di laterizio a grosso spessore, a doppia parete, con intercapedine per la ventilazione estiva, che presenta diversi vantaggi, come la ecocompatibilità dei materiali, la semplicità di realizzazione, la robustezza e durabilità nel tempo, la traspirabilità, l’inerzia termica, l’isolamento acustico e una certa economicità.

Per la produzione di calore, si è optato per una caldaia centralizzata

alimentata a biomassa, nello specifico a pellet, posizionata nella casa comune. La

caldaia è abbinata ad un serbatoio di energia termica, indispensabile per prevenire

problemi di sovra-temperatura nell’impianto durante i periodi di minore richiesta

di energia, impiegato anche per accumulare l’energia captata attraverso i pannelli

solari, utilizzata per sia per la produzione di acqua calda ad uso sanitario, sia come

integrazione per il riscaldamento ambientale durante le stagioni di mezzo.

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Figura 6.3.6. Schema di una unità abitativa: 14 azioni per una casa sostenibile

Figura 6.3.7. Dettaglio dell’involucro esterno

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6.3.2 Mura San Carlo, San Lazzaro di Savena (BO)

Questo progetto è stato promosso dall’Associazione bolognese È/co-housing, che da diversi anni lavora alla realizzazione di progetti di cohousing nella provincia di Bologna. L’associazione nasce nel 2008 con lo scopo di promuovere un modo diverso e originale di abitare, fa parte della Rete Nazionale delle Associazioni di Cohousing italiane ed è in relazione con altre realtà europee analoghe per lo sviluppo di una rete internazionale che operi in networking.

Il gruppo che promuove il cohousing di Mura San Carlo è costituito da 12 nuclei familiari, comprensivi di famiglie e single, per un totale di 20 adulti e 15 bambini. Dall’inizio, il gruppo si è caratterizzato per l’affinità di intenti, malgrado la varietà delle singole formazioni: le differenze hanno portato ad una visione comune del rispetto degli altri e dell’ambiente, in un contesto già urbanizzato e caratterizzato da dinamiche sociali articolate.

A differenza del caso precedente, il complesso residenziale è frutto di una sostituzione edilizia: il terreno, infatti, era occupato da un fabbricato di scarsa qualità che è stato demolito. Questo ha fatto sì che l’intervento di cohousing si caratterizzasse come un processo virtuoso di riqualificazione urbana. Poiché il lotto ha una superficie ridotta, pari a circa 2.000 m

2

, è stato previsto un parcheggio interrato per soddisfare lo standard richiesto dalle normative vigenti e per aumentare gli spazi scoperti comuni.

Figura 6.3.8. Schema del piano terra dell’edificio

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Figura 6.3.9. Sezione e schema del primo piano

L’edificio ha 4 piani e 12 alloggi e presenta una serie di spazi comuni a piano terra, direttamente connessi al giardino e accessibili anche dalla vicina strada pubblica, così da consentirne la fruizione anche da parte degli abitanti del quartiere, senza pregiudicare la privacy dei cohousers.

Negli spazi comuni sono collocati una sala per attività comunitarie, multifunzionale e dotata di cucina, cuore e centro della convivenza, un locale lavanderia, un locale per la musica, un locale attrezzi e bricolage e una zona per le biciclette.

Sono inoltre presenti spazi verdi comuni, un orto condiviso e uno spazio per il riciclo dei rifiuti.

Figura 6.3.10. Immagine notturna dell’edificio

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Figura 6.3.11. Immagine diurna dell’edificio

La struttura del fabbricato è in pannelli di legno autoportanti X-lam e l’edificio è dotato di impianti ad energia alternativa dalle alte performance che, dal punto di vista energetico, lo fanno collocare in classe A.

Grazie ad una convenzione con il Comune di San Lazzaro di Savena, in sostituzione del corrispettivo degli oneri di urbanizzazione, i cohousers si sono impegnati a recuperare alcune aree dell’adiacente Parco della Pace, di proprietà comunale. Oltre ad aver realizzato i campi da basket, pallavolo e tennis per uso pubblico, per gli anni a venire i cohousers saranno impegnati nella manutenzione dell’area verde e nel promuovere attività sportive e sociali aperte a tutta la cittadinanza.

Il cantiere è stato aperto da ottobre 2014 ad aprile 2015 ed oggi è abitato da quasi tutte le famiglie.

6.3.3 Urban Village Bovisa, Milano

Uno dei primi esperimenti di grande successo, che spopola tra i media e che è diventato il cohousing che fa scuola in Italia, è quello l’Urban Village Bovisa a Milano. L’insediamento, abitato dal 2009, sorge in un’area che ospitava una vecchia fabbrica di barattoli.

Il progetto inizia nel 2007, quando, in soli 4 mesi, si forma il gruppo fondatore, costituito da metà dei futuri abitanti, e parte la fase realizzativa. In 18 mesi di cantiere, si rigenera un’ex-area industriale che diventa una bellissima residenza in cohousing per 32 famiglie, composte da persone di età varia (single, giovani coppie con e senza figli, anziani), che entrano tutte nelle loro case tra luglio e dicembre 2009.

Il complesso, sviluppato secondo la tipologia a corte, è formato da 32 unità

immobiliari, la cui dimensione varia da 40 a 150 m

2

, da 140 m

2

di spazi comuni

coperti (living room, lavanderia con zona stiro, hobby room, deposito biciclette ed

eventuale deposito merci del GAS), una terrazza di 185 m

2

con piscina scoperta e un

giardino di 400 m

2

, la corte appunto, su cui si affacciano le residenze private.

(24)

I cohousers hanno incaricato un’agronoma di studiare la miglior disposizione del verde e dei percorsi pedonali e da questo studio è nato il bellissimo giardino comune centrale, che prevede un’area destinata a giardino delle essenze, dove si coltivano gli odori e gli aromi che tutti i cohousers possono utilizzare.

Figura 6.3.12. Il giardino/corte interna

Figura 6.3.13. La terrazza dotata di piscina scoperta

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Figura 6.3.14. Interno

Figura 6.3.15. Interno

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Bibliografia

AA.VV. Cohousing: programmi e progetti per la riqualificazione del patrimonio esistente. Pisa, I: Edizioni ETS, 2014.

Guidotti, Francesca. Ecovillaggi e cohousing. Città di Castello, I: Aam Terra Nuova, 2013.

Lietaert, Matthieau (a cura di). Cohousing e condomini solidali. Città di Castello, I:

Aam Terra Nuova, 2007.

Marrone, Vincenzo. L’abitare come pratica sociale. Milano, I: Mimesis Edizioni, 2014.

Narne, Edoardo; Sfrisio, Simone. L’abitare condiviso. Le residenze collettive dalle origini al cohousing. Venezia, I: Marsilio Editori, 2013.

Tamassociati. Vivere insieme. Cohousing e comunità solidali. Milano, I:

altraeconomia edizioni, 2012.

Sitografia

https://geograficamente.wordpress.com/2014/01/18/cohousing-e-case-condivise- labitare-per-necessita-o-per-vocazione-che-cambia-e-cerca-modi-nuovi-di- proporsi-citta-quartieri-periferie-stanno-trasformando-il-nostro/

http://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2016/04/01/il-cohousing-di-tamassociati- a-san-lazzaro-di-savena-e-a-villorba/

http://www.4passi.org

http://www.audis.it/binary_files/allegati_notizieitalia/Cohousing_40001.pdf http://www.cohousing.it/urban-village-bovisa/

http://www.cohousing.org

http://www.cohousingintoscana.it http://www.cohousingitalia.it http://www.cohousingpontedera.it

http://www.comune.capannori.lu.it/node/16585

http://www.floornature.it/quattro-passi-villorba-ecoquartiere-di-tamassociati- 11197/#

http://www.fondazionecasalucca.it

http://www.retegas.org/index.php?module=pagesetter&func=viewpub&tid=2&pid=9 http://www.tamassociati.org

http://www.terranuova.it

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