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L’avvocato può contattare la controparte?

Autore: Redazione | 18/05/2021

Sanzione disciplinare per l’avvocato che contatta direttamente la parte avversaria bypassando il collega.

Non è illecito contattare l’avvocato della controparte, scavallando il proprio, per tentare in prima persona un accordo o per qualsiasi altra ragione. Viceversa, l’avvocato non può contattare la parte avversaria, bypassando il collega che la difende. A chiarire questo delicatissimo aspetto sono state le Sezioni Unite della

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Cassazione [1].

Si tratta di un’ipotesi assai frequente che, come vedremo a breve, può costituire un illecito deontologico. In particolare, la Corte ha riposto alla seguente domanda:

«L’avvocato può contattare la controparte?». Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Avvocato comunica direttamente con l’avversario: cosa dice il codice deontologico?

Due sono le norme che rilevano ai nostri fini ed entrambe sono contenute nel codice deontologico forense.

C’è innanzitutto l’articolo 6, comma 2, a norma del quale: «L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense».

C’è poi l’articolo 27 che invece concerne gli obblighi di informazione che l’avvocato ha nei confronti del proprio cliente.

Nessuna di queste due norme prevede espressamente un divieto per l’avvocato di contattare la controparte, scavalcando il collega difensore di quest’ultima.

Avvocato comunica direttamente con l’avversario: cosa dice la giurisprudenza?

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione, l’avvocato non può contattare la controparte, ossia la parte avversaria: egli deve rivolgersi unicamente al suo difensore, il collega che l’assiste e la rappresenta; difatti, in qualità di collaboratore della giustizia, il legale deve improntare la sua condotta ai criteri di correttezza e dignità anche se il suo comportamento non ha alcuna relazione con l’attività professionale. E tanto si evince proprio dai citati articoli 6 e 27 del codice deontologico. La violazione di tale regola implica una sanzione disciplinare.

Secondo il Cnf – interpretazione avallata dalla Suprema Corte – ogni avvocato ha

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un preciso obbligo deontologico di non superare il collega.

È quindi possibile denunciare al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, per violazione del codice deontologico, il legale che, attraverso la comunicazione diretta con la controparte, si sottrae all’obbligo di corrispondere con la stessa solo per il tramite del collega che la rappresenta e la difende in giudizio. La conseguenza resta comunque confinata solo sul piano disciplinare: non ci sarà quindi la possibilità di ottenere il risarcimento del danno o, ancor meno, l’annullamento della parcella.

Non rileva neanche il fatto che l’avvocato possa difendere sé stesso e, quindi, comunicare alla controparte non in veste di professionista ma di parte stessa.

Secondo la Cassazione, «nessun rilievo possono assumere, in proposito, né la natura personale degli interessi che la missiva era volta a tutelare, né la circostanza che l’altro avvocato avesse già preso conoscenza, in sede processuale, delle ragioni esposte dall’incolpato, né infine le finalità concretamente perseguite attraverso la comunicazione, non essendo consentito all’avvocato di corrispondere direttamente con la controparte, indipendentemente dalla natura degli interessi perseguiti, se non nei casi eccezionali previsti dall’art. 27 n. 1 del Codice deontologico, pacificamente non ricorrenti nei confronti della società destinataria della lettera, e solo a condizione, anch’essa non soddisfatta nel caso in esame, che copia della corrispondenza venga inviata per conoscenza al legale avversario»

[2].

La vicenda

Un avvocato aveva inviato una lettera direttamente alla controparte mentre pendeva una causa di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento dei propri crediti professionali, senza inoltrarla anche al legale della società. Pertanto, era stato da quest’ultimo segnalato all’ordine ed aveva subito la sanzione disciplinare dell’avvertimento. La missiva, tra vari punti, conteneva tesi e argomentazioni che costituivano oggetto del giudizio, accuse contro i destinatari di aver fatto operazioni illecite penalmente rilevanti e l’intimazione a pagare la somma di cui al decreto ingiuntivo nel termine di dieci giorni.

La sanzione veniva confermata poi dal Cnf e dalla Cassazione, precisando che la lettera era stata inviata anche alla controparte solo per evitare che, in caso di

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pagamento, si potesse incorrere in eventuali duplicazioni.

Il Palazzaccio, ritenendo il motivo infondato, ha confermato la violazione del divieto di mettersi in contatto diretto con la controparte assistita da un altro legale: la lettera, con la richiesta del pagamento del compenso professionale, era stata spedita mentre era in corso un giudizio tra l’incolpato e la società destinataria.

Insomma, attraverso la comunicazione diretta con la controparte, il professionista si era sottratto all’obbligo di accordarsi esclusivamente tramite il collega che la rappresentava e la difendeva nel giudizio. Questo perché non è consentito all’avvocato di corrispondere direttamente con la controparte, indipendentemente dalla natura degli interessi perseguiti, se non nei casi eccezionali previsti dall’art.

27 n. 1 del Codice deontologico.

Niente espressioni sconvenienti nei confronti dei colleghi

Con una seconda decisione di pari data [3] la Cassazione ha ritenuto censurabile l’avvocato che usa espressioni sconvenienti nei confronti dei colleghi anche se i fatti sono veri.

In particolare, le Sezioni Unite hanno poi confermato la sanzione della censura per un legale che aveva inviato a più destinatari una lettera denigratoria di alcuni colleghi impegnati in una vertenza aziendale in materia di lavoro alla quale aveva partecipato, indicandoli genericamente come gli avvocati dei sindacati. Per i giudici

«non merita consenso la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui la veridicità dell’informazione fornita ai propri clienti in ordine all’accordo intervenuto tra la datrice di lavoro ed i sindacati avrebbe imposto di escludere la sussistenza dell’illecito disciplinare, dovendosi ritenere che egli avesse agito nell’adempimento del mandato difensivo conferitogli, comprendente anche l’obbligo di far emergere la partecipazione all’intesa degli avvocati che, in collaborazione con le organizzazioni sindacali, avevano assunto la difesa dei lavoratori». «Anche voler ritenere che tali avvocati fossero effettivamente venuti meno agli obblighi assunti nei confronti dei loro clienti – conclude la Corte -, improntando la loro strategia processuale a scelte contrastanti con gli interessi di questi ultimi e volte invece a favorire la controparte, il contenuto ed i toni della missiva avrebbero dovuto

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mantenersi rigorosamente nei limiti di una corretta critica del loro operato e di un eventuale biasimo verso il loro comportamento, senza trasmodare in apprezzamenti offensivi e dispregiativi contrastanti con la dignità ed il decoro della professione».

Note

[1] Cass. S.U. sent. n. 13167 del 17.05.2021. [2] Cass. S.U. sent. n. 17534/2018.

[3] Cass. S.U. sent. n. 13168 del 17.05.2021.

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