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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Bologna

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni Propagazione LS-B

ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI

BEAMFORMING APPLICABILI ALLA

RADIOASTRONOMIA E STUDIO

DELL’IMPLEMENTAZIONE DELLA KLT

(KARHUNEN-LOÈVE TRANSFORM) PER

SCHIERE DI ANTENNE

Tesi di Laurea di: Relatore:

GIOVANNI NALDI Chiar.mo Prof. Ing. GABRIELEFALCIASECCA

Correlatori:

Dott. Ing. MICHELE BOSCHI Dott. Ing. STELIO MONTEBUGNOLI

Anno Accademico 2005-2006

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PAROLE CHIAVE

Radio astronomia

Beamforming

Array di antenne

MVDR (Minimum Variance

Distortionless Response)

KLT (Karhunen-Loève Transform)

(3)

259

RINGRAZIAMENTI

Eccomi giunto alla fine di questo lungo e faticoso percorso che ha portato al completamento della mia, speriamo interessante, tesi di laurea.

Eh sì, sembra difficile da credere, ci ho lavorato per ben 10 mesi!!

Non mi resta quindi che ringraziare le persone che mi hanno aiutato e sostenuto in questo periodo. Il primo grazie mi sembra doveroso esprimerlo alla mia famiglia che forse troppo spesso mi dimentico di ringraziare, ma che mi è stata vicina in tutti questi anni di studio credendo sempre nelle mie capacità. Adesso basta altrimenti poi mi commuovo.

Un ringraziamento particolare spetta al direttore del radiotelescopio di Medicina, Stelio Montebugnoli, che mi ha concesso l’opportunità di svolgere una tesi così stimolante ed appassionante, seppur non priva di difficoltà.

Ringrazio il prof. G. Falciasecca dell’Università di Bologna per aver accettato la proposta di diventare relatore per questa tesi.

Grazie anche al mio tutor Michele che mi ha seguito durante la realizzazione della tesi fornendomi costantemente utili suggerimenti ed osservazioni: scusa Michele se ti ho fatto tribolare per la correzione degli ultimi capitoli, specie la sera prima della consegna!

Ringrazio anche tutto lo staff di Medicina per aver creato sempre un clima sereno e amichevole: in particolare Federico, Germano, Marco e Luca.

Un sentito grazie a Salvo per la sua disponibilità e gentilezza, per aver dedicato tempo alle preziose discussioni sulla KLT; senza il tuo supporto non so come avrei potuto concludere la tesi.

Desidero ringraziare tutti i miei compagni di laboratorio: un grazie speciale a Ilaria con la quale ho condiviso tanti bei momenti, grazie per avermi fatto sentire meno il peso della fatica per lo studio.

(4)

Ringraziamenti

260

Grazie a Luca “Caparezza” e ad Alice, in bocca al lupo per la vostra laurea, se sarò ancora disoccupato vi verrò a vedere!!

Grazie anche ai miei compagni di università: grazie Giova per il portatile, con cui ho potuto scrivere la tesi quando mio padre doveva lavorare al computer; grazie Francesco, grazie Moro per il vostro sempre vivo interessamento e supporto morale.

Ringrazio anche Luca e Guido, che, grazie alla loro esperienza acquisita (hanno svolto la tesi a Medicina prima di me), mi hanno saputo dare tanti validi consigli.

Un saluto anche a tutti i miei amici! Non li posso citare tutti, sarebbe troppo lungo ed è ora che vada a letto!

Bè, spero di non essermi scordato di qualcuno, se così fosse chiedo vivamente perdono.

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INDICE

INTRODUZIONE ...I

CAPITOLO 1

LA STAZIONE RADIOASTRONOMICA DI MEDICINA ... 1

1.1 Introduzione ... 1

1.2 I parametri fondamentali di un radiotelescopio: accenni ... 2

1.3 La parabola VLBI ... 4

1.4 Il radiotelescopio “Croce del Nord” ... 6

1.5 Principi di funzionamento della “Croce del Nord” ... 10

1.6 Il progetto LOFAR (LOw Frequency ARray) ... 16

1.6.1 Introduzione ... 16

1.6.2 Configurazione del sistema LOFAR... 20

1.6.3 Applicazioni... 23

1.6.4 Possibile realizzazione del sistema LOFAR al radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina ... 25

1.7 Il progetto SKA (Square Kilometer Array) ... 28

1.7.1 La “Croce del Nord” e SKA ... 32

1.8 La tesi ... 40

CAPITOLO 2 METODIDIBEAMFORMING ...43

2.1 Generalità ... 43

2.2 Beamforming come filtraggio spaziale... 46

2.3 Operatori statistici del secondo ordine: richiami ... 54

2.4 Classificazione dei beamformers ... 57

(6)

Indice

2.5 Beamforming data-independent ... 58

2.5.1 Beamforming classico... 58

2.5.2 Beamforming data-independent generalizzato ... 60

2.5.3 Analogie e differenze tra i metodi classico e generalizzato ... 61

2.6 Beamforming ad ottimo statistico ... 62

2.6.1 Multiple Sidelobe Canceller (MSC) ... 63

2.6.2 Utilizzo di un segnale di riferimento (REF SIGNAL) e massimizzazione del rapporto segnale/rumore (MAX SNR)... 64

2.6.3 Linearly Constrained Minimum Variance (LCMV) beamforming ... 65

2.6.4 Generalised Sidelobe Canceller (GSC)... 68

2.6.5 La cancellazione del segnale desiderato nel beamforming ad ottimo statistico... 71

2.7 Algoritmi adattativi per il beamforming ... 71

2.8 Algoritmi di beamforming parzialmente adattativi ... 75

2.8.1 Cancellazione delle radiointerferenze e gradi di libertà ... 77

2.9 Riassunto ... 80

CAPITOLO 3 ALGORITMO MVDR ADATTATIVO ... 83

3.1 Algoritmi di beamforming adattativo ... 84

3.2 MVDR beamforming deterministico ... 88

3.3 MVDR beamforming adattativo ... 91

3.3.1 Velocità di convergenza della matrice di covarianza ... 97

3.3.2 Iniezione di rumore artificiale e calcolo di Rˆ-1 ... 98

3.4 Creazione di un modello di simulazione dinamico attraverso l’uso di Simulink ... 100

3.4.1 Considerazioni introduttive... 102

3.4.2 Modello dinamico con Simulink ... 107

(7)

Indice

3.5 Simulazioni... 115

3.5.1 Caso statico ... 115

3.5.1.1 Esempio 1... 115

3.5.1.2 Esempio 2... 118

3.5.1.3 Esempio 3... 122

3.5.1.4 Esempio 4... 125

3.5.1.5 Esempio 5... 127

3.5.1.6 Esempio 6... 131

3.5.1.7 Esempio 7... 132

3.5.2 Caso dinamico... 134

3.5.2.1 Esempio 8... 134

3.5.2.2 Esempio 9... 138

3.5.2.3 Esempio 10... 140

CAPITOLO 4 ALGORITMO LCMV ADATTATIVO NEL DOMINIO DELLA FREQUENZA... 145

4.1 Formulazione nel dominio del tempo ... 146

4.2 Formulazione nel dominio della frequenza ... 148

4.3 Algoritmo adattativo vincolato nel dominio della frequenza (Frequency Domain-LCMV, FD-LCMV)... 151

4.4 Implementazione dell’algoritmo su calcolatore... 153

4.5 Esempi numerici mediante MATLAB ... 161

4.5.1 Caso statico ... 161

4.5.1.1 Esempio 1... 161

4.5.1.2 Esempio 2... 165

4.5.1.3 Esempio 3... 167

4.5.1.4 Esempio 4... 168

4.5.1.5 Esempio 5... 169

4.5.2 Caso dinamico... 171

4.5.2.1 Esempio 6... 171

(8)

Indice

CAPITOLO 5

ANALISI AGLI AUTOVALORI ED AUTOVETTORI

DELLA MATRICE DI COVARIANZA ... 173

Autostruttura della matrice di covarianza ... 174

5.2 Prove su autovalori ed autovettori ... 175

5.2.1 Esempio 1 ... 176

5.2.2 Esempio 2 ... 180

5.2.3 Esempio 3 ... 183

5.3 Null Steering beamforming adattativo ... 185

5.3.1 Implementazione... 186

5.3.2 Esempio di simulazione in ambiente statico... 187

5.3.3 Esempio di simulazione in ambiente dinamico ... 190

5.4 LCMV beamforming adattativo ... 192

5.4.1 Esempio di simulazione in ambiente statico... 193

5.4.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico ... 195

CAPITOLO 6 KLT E BEAMFORMING... 199

6.1 Considerazioni introduttive ... 200

6.2 Approccio analitico ... 203

6.3 Progetto del beamformer ... 209

6.3.1 Implementazione... 210

6.3.2 Prove di simulazione... 211

6.3.2.1 Esempio di simulazione in ambiente statico ... 211

6.3.2.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico... 213

APPENDICE A IL SISTEMA BEST-1... 217

A.1 Equivocazione spaziale e lobi di grating ... 218

A.2 Caratterizzazione del beampattern del sistema BEST-1 ... 221

A.2.1 Beampattern del singolo dipolo di BEST-1... 222

(9)

Indice

Beampattern di una singola antenna della schiera di BEST-1 ... 224

A.2.3 Beampattern di BEST-1... 225

APPENDICE B COMUNICAZIONI SATELLITARI ... 233

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI ... 249

BIBLIOGRAFIA ... 253

RINGRAZIAMENTI ... 259

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I

INTRODUZIONE

Una delle problematiche che hanno costantemente segnato la storia delle comunicazioni via radio, a partire dal momento in cui hanno subito un forte sviluppo, è senza dubbio quello legato alle interferenze: quando più sorgenti trasmettono contemporaneamente dei segnali nello spazio, diventa impossibile una corretta ricezione del segnale desiderato se non si adottano opportune contromisure.

Nel caso in cui i vari segnali che si propagano nel mezzo radio viaggiano su portanti a frequenze diverse, le interferenze vengono efficacemente soppresse mediante l’applicazione della tecnica del filtraggio spettrale. Quest’ultima si dimostra però totalmente inefficiente qualora i segnali interferenti ed il segnale voluto occupano contemporaneamente la stessa banda di frequenze. Tale situazione costituisce un problema decisamente rilevante, in quanto, da una parte coinvolge qualunque sistema di telecomunicazione wireless, dall’altra presenta un trend che, da alcuni anni a questa parte, è in forte crescita. Infatti, lo sviluppo tecnologico e la continua ricerca di servizi innovativi in grado di soddisfare le richieste di un’utenza sempre più esigente hanno portato allo sviluppo di una grande quantità di sistemi operanti su una risorsa, quella radio, per sua stessa natura limitata.

La questione introdotta non risparmia certo il mondo della radioastronomia, anzi la colpisce in maniera ancor più profonda e decisiva. I segnali che si vogliono osservare in radioastronomia hanno un’intensità di molti ordini di grandezza inferiore a quella di qualsiasi segnale di origine terrestre. Ciò fa sì che, anche segnali raccolti dai lobi secondari delle antenne, armoniche di ordine superiore, intermodulazioni e quant’altro possa capitare alle frequenze di un radiotelescopio possono causare gravi danni all’osservazione fino ad invalidarla completamente.

(11)

Introduzione

II

Nasce quindi la necessità di trovare un metodo valido, in grado di fronteggiare in maniera alternativa il problema delle interferenze. A tal proposito si candida in maniera preponderante la tecnica del beamforming: quest’ultima rappresenta la realizzazione di un filtro spaziale in ricezione che, sfruttando la diversità spaziale delle sorgenti che emettono segnali nello spazio, riesce a isolare il segnale desiderato da quelli interferenti. Più nello specifico, si tratta di combinare i segnali provenienti da un array di piccole antenne non direzionali per formare una grande antenna direzionale che riceva il segnale proveniente da una direzione ben precisa, eliminando (o limitando) il contributo di segnali che provengono da altre direzioni. L’antenna risultante può essere puntata elettronicamente, senza compiere quindi alcun movimento fisico.

Il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina (BO) possiede proprio le caratteristiche ideali per diventare un ottimo banco di prova in cui testare sul campo gli algoritmi di beamforming. Esso infatti mette a disposizione un numero estremamente elevato di ricevitori e permette di verificare la validità di tali algoritmi in un ambiente decisamente ostile e difficile, in modo da svilupparli verso un funzionamento ottimo.

Da alcuni anni è sorto l’interesse, da parte dell’Istituto di RadioAstronomia (IRA), di coinvolgere il radiotelescopio nell’ambito di due progetti radioastronomici di livello mondiale, entrambi estremamente ambiziosi: LOFAR (LOw Frequency ARray) e SKA (Square Kilometer Array); andando in ordine cronologico, già da alcuni anni si stanno effettuando ricerche in ambito SKA, mentre solo da qualche anno è emersa l’intenzione di entrare nel consorzio LOFAR.

Il primo mira alla costruzione di un grande radiotelescopio per osservazioni a bassa frequenza, il secondo si pone l’obiettivo di realizzare un radiotelescopio di proporzioni gigantesche, mai raggiunte fino ad ora: esso, come suggerisce il nome stesso, dovrebbe avere un’area efficace pari a circa 1 Km2.

Risulta allora evidente che, per la messa in opera di questi due grandi progetti, occorre compiere una serie di studi e ricerche volti allo sviluppo di nuove tecnologie e sistemi dai quali poter ottenere le massime prestazioni. In particolar modo questo discorso è valido a proposito del beamforming: occorre infatti, da un

(12)

Introduzione

III

lato sperimentare gli algoritmi già conosciuti, in modo da verificarne l’applicabilità e la reale efficacia in ambito radioastronomico; dall’altro ricercarne dei nuovi, che possibilmente offrano risultati migliori.

Il presente lavoro di tesi, realizzato presso la stazione radioastronomica di Medicina, si inserisce proprio in questo contesto. In particolare esso si articola nel seguente modo: dapprima verrà eseguito uno studio approfondito (in fase di simulazione) di un algoritmo già utilizzato nel campo delle telecomunicazioni tradizionali, l’MVDR (Minimum Variance Distortionless Response), allo scopo di saggiarne le prestazioni sia in ambiente statico (con interferenti in posizioni fissate dello spazio), sia in ambiente dinamico (con interferenti in movimento).

Successivamente verranno ricercati, partendo da un’attenta indagine bibliografica, e poi implementati al calcolatore altri possibili algoritmi da analizzare e valutare in riferimento alle applicazioni radioastronomiche.

Da ultima, verrà presa in esame la possibilità di applicare al beamforming lo stesso principio di funzionamento dell’algoritmo che realizza l’analisi di segnali radioastronomici tramite KLT (Karhunen-Loève Transform): questo allo scopo di trovare, se possibile, un modo alternativo e innovativo per realizzare il filtraggio spaziale.

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CAPITOLO 1

LA STAZIONE RADIOASTRONOMICA DI

MEDICINA

1.1 Introduzione

La stazione radioastronomica di Medicina (Bologna) è gestita dall’Istituto di RadioAstronomia (IRA) dell’Istituto Nazionale di AstroFisica (INAF) (fig. 1.1).

Fig. 1.1: veduta aerea della stazione di Medicina con il radiotelescopio “Croce del Nord” e la parabola VLBI

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

2

Nella stazione sono attivi due grandi radiotelescopi:

1. un’antenna parabolica di diametro pari a 32 m

2. l’interferometro “Croce del Nord”, che consta di due bracci disposti lungo le direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest.

Numerosi sono gli studi ed i progetti nei quali tali strumenti sono coinvolti: i maggiori impulsi scientifici riguardano la continua osservazione del cielo e la possibilità di elaborare mappe radio, con particolare attenzione ai fenomeni di transito (ad esempio la Croce si adatta molto bene alla ricerca ed alla misura del periodo di oscillazione delle pulsar), nonché applicazioni di spettroscopia a bassa frequenza, come l’identificazione della riga di ricombinazione del carbonio.

La stazione, con la sua parabola, fa inoltre parte dell’European VLBI Network, lavorando quindi in rete con i maggiori siti di ricerca radioastronomica europei e mondiali; come verrà meglio illustrato nel paragrafo 1.5, la stazione stessa ha recentemente acquistato ulteriore importanza grazie alla possibilità di divenire un ottimo banco di prova per il progetto SKA (Square Kilometer Array).

1.2 I parametri fondamentali di un radiotelescopio:

accenni

Un radiotelescopio viene caratterizzato principalmente da due parametri: la sensibilità e la risoluzione (o potere risolutivo) ([1]).

Per sensibilità di un radiotelescopio si intende l’intensità della più debole radiosorgente rilevabile dallo strumento; in termini fisici essa rappresenta la minima variazione di potenza o di flusso per unità di banda rilevabile.

Per poterne fornire un’espressione matematica occorre esprimere la densità di potenza ricevuta dallo strumento in termini di temperatura equivalente: in questo modo la sensibilità si può definire come la minima variazione di temperatura di rumore rilevabile dal radiotelescopio ∆Tmin:

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

3

B n

T Tmin kr sys

∆ = τ (1.1)

dove:

kr è una costante adimensionale di sensibilità che dipende dal tipo di architettura del ricevitore e può variare tra 0.6 e 2;

T è la temperatura equivalente di rumore dell’intero sistema; sys

• B è la larghezza di banda del ricevitore;

• τ è il tempo di integrazione;

• n è il numero di osservazioni.

Si può dunque affermare che, affinché una radiosorgente sia rilevabile, occorre che porti una variazione della temperatura d’antenna che sia maggiore o uguale a

Tmin

∆ .

Ci si riferisce alla risoluzione, invece, per indicare la capacità di distinguere due sorgenti adiacenti; più precisamente essa è definita come l’angolo minimo che deve esserci tra due oggetti affinché siano distinguibili.

Ad alta risoluzione corrisponde alta direttività di un’antenna, cioè un diagramma di radiazione con il lobo principale angolarmente molto stretto. Ciò, unitamente a lobi secondari molto ridotti, consente una buona precisione nell’individuazione di una sorgente.

L’estensione angolare del lobo principale (detta anche fascio o beam) viene convenzionalmente descritta dall’ampiezza del fascio o BWFN (BeamWidth between First Nulls): questa è la distanza angolare tra i due zeri ai lati del lobo principale (fig. 1.2).

E’ possibile definire la risoluzione di un radiotelescopio come:

HPBW

BWFN ≅2 dove

HPBW Dλ

∝ (1.2)

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

4

HPBW (Half Power Beam Width) è l’ampiezza angolare a metà potenza del lobo principale, λ è la lunghezza d’onda d’osservazione e D è il diametro dello specchio primario. La precedente relazione si ottiene considerando che l’HPBW è approssimabile all’angolo compreso tra il picco del diagramma di potenza ed il primo zero.

Fig. 1.2: diagramma di potenza in dB in funzione di una sola coordinata angolare (θ).

1.3 La parabola VLBI

L’antenna parabolica è stata costruita nel 1983 secondo il progetto della ditta americana TIW, per partecipare alle osservazioni VLBI (Very Long Baseline Interferometry), tecnica mediante la quale si è in grado di aumentare il potere risolutivo dell’antenna ([2], [3]).

Essa è basata sul principio dell’ottica secondo il quale, per ottenere la massima risoluzione possibile da uno specchio di un dato diametro, non è necessario utilizzare tutta la superficie ma bastano due punti diametralmente opposti; tale principio è applicabile anche in campo radio, l’unica differenza è rappresentata dalla diversa frequenza. Nella radioastronomia la tecnica interferometrica permette l’utilizzo di due o più radiotelescopi di dimensioni ridotte posti anche a grande distanza, al posto di uno singolo e di grandi dimensioni.

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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L’antenna parabolica è formata da uno specchio primario di 32 m di diametro ed è completamente orientabile in ogni direzione: essa è quindi in grado di puntare ed inseguire una qualunque sorgente sopra l’orizzonte, compensando il suo moto apparente causato dalla rotazione terrestre (fig. 1.3).

Fig. 1.3: la parabola VLBI

A seconda del funzionamento, può essere utilizzata avvalendosi anche di un secondo specchio di forma iperbolica, detto specchio secondario o subriflettore , del diametro di 3.2 m (sistema ottico di tipo Cassegrain).

Quando lo specchio secondario è in funzione, le onde elettromagnetiche vengono convogliate sul fuoco secondario, dove risiede il sistema di ricezione; in certi casi è invece sufficiente un sistema ottico più semplice: il subriflettore viene spostato e come sistema di ricezione viene utilizzato quello posto sul fuoco primario.

L’antenna può funzionare a frequenze comprese tra 1.4 GHz e 22 GHz, ovvero per lunghezze d’onda comprese tra 21.5 cm e 1.37 cm.

Essa è coinvolta in diversi progetti, in rete o in single dish, che è la modalità operativa in cui compie le sue osservazioni singolarmente, non cooperando con radiotelescopi di altre nazioni; in particolare, come già accennato, l’antenna parabolica di Medicina fa parte dell’European VLBI Network.

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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1.4 Il radiotelescopio “Croce del Nord”

La “Croce del Nord” è un interferometro radioastronomico costituito da due serie di antenne disposte a T secondo la direzione Est-Ovest (E-W) e Nord-Sud (N-S).

La sua costruzione è iniziata nel 1960, per poi concludersi nel 1967, sebbene in una versione ridotta rispetto al progetto originario. Problemi tecnici alle antenne hanno suggerito un parziale rifacimento dello strumento, oltre ad un suo ammodernamento dal punto di vista elettronico e nel 1976 la “Croce del Nord”

ha iniziato una nuova fase di attività ([2], [3]).

Questo array di antenne è stato progettato per operare alla frequenza di 408 MHz (λ = 73.5 cm) ed attualmente viene impiegata con una banda di circa 2.5 MHz.

Si tratta di uno strumento di transito, ovvero in grado di ricevere le onde elettromagnetiche provenienti da un punto dello spazio quando questo, per effetto della rotazione terrestre, si trova sul meridiano celeste locale; il sistema di movimentazione elettromeccanica prevede, quindi, il solo puntamento in declinazione.

La “Croce del Nord” ha un’area collettrice geometrica di più di 31025 m2 (quella effettiva è di circa 20000 m2), tra le più vaste dell’emisfero settentrionale, ed è noto per aver prodotto accurate mappe del cielo (B1, B2 e B3) alla frequenza di 408 MHz.

Essa è comunque sensibile alla sola polarizzazione del segnale incidente parallela all’asse focale, per cui viene raccolta mediamente circa la metà della potenza della radiazione in arrivo.

Il ramo E-W

Il ramo E-W è costituito da un’unica grande antenna con uno specchio di forma cilindrico-parabolica lungo 564 m e largo 35 m (fig. 1.4). Lungo l’asse focale, parallelo all’asse di rotazione e a distanza di circa 20 m da esso, si trovano 1536 dipoli, allineati ed equispaziati di circa 36 cm: essi trasformano le onde radio incidenti in tensioni elettriche misurabili.

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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Fig. 1.4: il ramo E-W

Il profilo dello specchio è particolare, in quanto non contiene il vertice della parabola, e questo permette di non avere lobi secondari dovuti al bloccaggio dell’apertura.

In prossimità dei dipoli è inoltre stato posto uno specchio a forma d’angolo (corner reflector, vedi fig. 1.5), realizzato con fili metallici, che, nonostante riduca in parte l’efficienza d’antenna illuminando solo la porzione centrale dello specchio, consente l’eliminazione del fenomeno di illuminazione oltre il bordo (spill over), causa di ricezione di segnali spuri non provenienti dallo specchio.

Fig. 1.5: il corner reflector corner reflector

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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Il ramo N-S

Il ramo N-S è costituito da un array di 64 antenne, anche queste di forma cilindrico-parabolica, lunghe 23.5 m e larghe 7.5 m, disposte parallelamente a 10 m l’una dall’altra; sull’asse focale di ognuna di esse, posto a meno di 6 m da terra, sono disposti, ad uguale distanza gli uni dagli altri, 64 dipoli a mezz’onda (36 cm) per un totale di 4096 dipoli nel ramo complessivo (fig. 1.6).

Fig. 1.6: il ramo N-S

La forma cilindrico-parabolica per il riflettore delle antenne (fig. 1.7) è stata scelta per unire la semplicità costruttiva della forma cilindrica alle proprietà matematiche della parabola, che consentono di:

ƒ far convergere sul fuoco tutte e sole le onde radio provenienti da una direzione ortogonale alla direttrice;

ƒ ottenere che tutti i punti del fronte d’onda (in fase), provenienti da tale direzione, si trovino ancora in fase nel fuoco.

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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Fig. 1.7: schema esemplificativo del profilo parabolico del riflettore delle antenne, in cui vengono evidenziati i parametri fondamentali e le proprietà della parabola.

La precisione meccanica della struttura non è da considerarsi in senso assoluto, ma relativamente alla lunghezza d’onda alla quale lo strumento lavora (73.5 cm).

Se la forma del riflettore non differisce da un profilo parabolico per più di un sedicesimo della lunghezza d’onda (tolleranza che comprende gli effetti di deformazione meccanica, degli agenti atmosferici, etc.), si può ritenere che le imperfezioni non influenzino in modo significativo il rendimento dello strumento.

Il riflettore è stato realizzato non a superficie completamente piena, ma con una serie di fili d’acciaio di 0.5 mm di diametro, paralleli alla linea focale e distanziati fra loro di circa 2 cm, per una lunghezza complessiva di circa 2000 Km (fig 1.8).

Fig. 1.8: particolare del riflettore di una delle antenne che compongono il ramo N-S

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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Alla lunghezza d’onda di lavoro il rendimento di riflessione cala in modo ridottissimo, ma risultano molto più agevoli sia la costruzione, sia la manutenzione e si è ottenuta una maggiore resistenza agli agenti esterni, quali il clima e la gravità.

1.5 Principi di funzionamento della “Croce del Nord”

La conversione dell’energia elettromagnetica in tensione elettrica viene effettuata ad opera dei dipoli. Tale segnale deve poi essere trasportato nella sala centrale di elaborazione dei dati seguendo alcune specifiche:

1. limitare il più possibile l’attenuazione del segnale rispetto al rumore, cioè amplificare il segnale fino a renderlo accettabile come input per l’elettronica che dovrà elaborarlo, massimizzando quindi il rapporto segnale-rumore;

2. fare in modo che i punti in fase di una superficie d’onda si trovino ancora in fase, ma come tensione elettrica, all’ingresso della stanza di elaborazione e in tutti i punti intermedi in cui vengono a sommarsi.

I 1536 dipoli del braccio E-W sono divisi in 6 sezioni da 256 dipoli ciascuna.

All’interno di ogni sezione si opera una somma progressiva dei segnali raccolti con un sommatore detto ad albero di Natale (fig. 1.9), che permette di passare da 256 segnali elementari ad un unico segnale, mantenendo le specifiche citate in precedenza.

Fig. 1.9: schema del sommatore ad albero di Natale impiegato nel ramo E-W

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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All’interno di ogni sottosezione, costituita ognuna da 64 dipoli, il segnale elettrico si muove lungo una linea cava di alluminio, mentre dalle sottosezioni fino alle cabine si muove su cavo coassiale rigido. La prima parte è quella più critica, in cui occorre mantenere possibilmente costanti le condizioni atmosferiche ed in particolare l'umidità. Per questo motivo sia i dipoli sia il primo percorso in cava originariamente erano racchiusi in un involucro in polietilene ad alta densità, trasparente alla radiazione elettromagnetica, riempito di aria secca.

Il segnale radio a 408 (± 1.25) MHz viene convertito, giunto in cabina, a 30 (±

1.25) MHz per ridurre le perdite nel portare il segnale dalle cabine alla sala di elaborazione: il trasporto su cavo, infatti, comporta delle perdite per effetto "pelle"

proporzionali alla radice quadrata della frequenza. I segnali a frequenza intermedia giungono quindi alla stazione di elaborazione tramite cavi coassiali interrati a circa 1.20 m di profondità, per sottrarli alle rapide variazioni termiche giornaliere che potrebbero alterare le delicate relazioni di fase ed ampiezza fra i segnali provenienti dalle 6 cabine (6 canali). Le variazioni termiche lente (stagionali) non comportano causa di errore poichè vengono eliminate con le calibrazioni giornaliere.

Le 64 antenne che costituiscono il braccio N-S sono divise in 8 sezioni che raggruppano ciascuna 8 antenne. All’interno di ciascuna antenna si trovano 64 dipoli e, anche in questo caso, con lo stesso metodo ad albero di Natale, ma in modo un po' meno rigoroso, i segnali dai dipoli vengono successivamente sommati fino ad avere un singolo segnale per ogni antenna (fig. 1.10); questo allo scopo di raggiungere un compromesso tra una buona efficienza ed un disegno relativamente semplice dal punto di vista costruttivo.

Fig. 1.10: schema quasi ad albero di Natale impiegato nel ramo N-S

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

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Si deve evidenziare come la situazione per il ramo N-S sia differente dal caso E-W: come si vede dalla fig. 1.11, i punti equifase (P1, P2,….., P8) in genere non arrivano in fase sulle singole antenne poiché sono differenti i percorsi in aria (L1, L2,….., L8); si noti inoltre che tali percorsi variano con l’angolo di puntamento δ.

Fig. 1.11: vengono mostrate le posizioni relative fra le antenne di una qualunque sezione del ramo N-S ed il fronte d’onda elettromagnetico ricevuto per diversi valori dell’angolo di puntamento δ:

in a) si ha un puntamento allo zenith, il fronte d’onda arriva in fase su tutte le antenne; mentre in b) e in c) si ha un puntamento a declinazioni differenti, con conseguenti differenti sfasamenti fra le singole antenne.

Occorre quindi un sistema di rifasamento, variabile con l’angolo di puntamento δ, per rifasare i segnali provenienti dalle singole antenne prima di sommarli a formare il segnale singolo. Attualmente il rifasamento viene ottenuto impiegando

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dei cavi coassiali riempiti parzialmente di kerosene. La lunghezza del tratto riempito dal fluido, che, per via della maggiore costante dielettrica del mezzo, determina una velocità di propagazione minore per il segnale che lo attraversa, è controllato da un sistema elettro-idraulico: al variare dell’angolo di puntamento, il sistema provvede automaticamente ad impostare il giusto livello di kerosene nei cavi. Questo sistema è concettualmente semplice, seppur meccanicamente elaborato, ma non consente di raggiungere la massima efficienza dello strumento.

Per tale motivo è in fase di studio presso l’istituto un nuovo sistema basato sull’impiego di moderni e flessibili phase shifters.

Giunto in cabina, il segnale viene convertito alla media frequenza di 30 MHz (analogamente a quanto accade per il braccio E-W) e tramite cavi coassiali viene trasportato nella stanza di elaborazione.

Prima di essere analizzati, i 14 segnali (6 E-W + 8 N-S, si veda la fig. 1.12) vengono fatti passare attraverso opportune linee di ritardo per equalizzare i diversi percorsi tra le 14 cabine e la stanza di elaborazione.

Fig. 1.12: schema riassuntivo della composizione dei segnali forniti dalla “Croce del Nord”

singolo elemento

(riflettore) singolo canale N-S (8 riflettori per canale)

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A questo punto tutto ciò che si è fatto è stato semplicemente convertire in tensioni elettriche misurabili l’energia elettromagnetica proveniente da una zona di cielo e concentrarla in 14 segnali distinti. Le cross-correlazioni tra questi 14 segnali forniscono a loro volta 6×8 segnali indipendenti.

Sommando in fase i segnali provenienti dalle 6 sezioni del braccio E-W si ottiene poi quello che viene chiamato fascio B. Ritardando progressivamente i segnali elettrici che arrivano dalle 6 sezioni del braccio E-W, prima di sommarli, si ottengono ulteriori fasci ed agli effetti pratici questa operazione equivale ad osservare zone di cielo circostanti il meridiano locale: con un anticipo sul meridiano si ottiene il fascio A, mentre con un ritardo si ottiene il fascio C.

Cosicché, per via di un semplice artificio di natura elettrica, è come disporre di tre antenne puntate in direzioni progressive, invece di una singola antenna puntata verso il meridiano (fig. 1.13). La sorgente, in moto apparente a causa della rotazione terrestre, attraverserà prima il fascio A, poi il fascio B ed infine il C.

Un eventuale disturbo generato in prossimità del radiotelescopio (ovvero di origine terrestre) entrerà invece contemporaneamente nei 3 fasci. In questo metodo si può avere, oltre a 3 misure per ogni radiosorgente, anche un primo criterio di separazione tra radiosorgenti e radiointerferenze.

Fig. 1.13: in alto – formazione dei 3 fasci del ramo E-W; come si vede, il fascio A risulta essere in anticipo sul fascio B, mentre il fascio C risulta essere in ritardo. In basso – raffigurazione del transito di una radiosorgente e della ricezione di una interferenza sui 3 fasci.

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Analogamente si può operare con i segnali che arrivano dalle 8 sezioni N-S, ottenendo così 5 fasci (F, G, H, I e J) puntati elettricamente in 5 direzioni progressivamente spostate da Nord verso Sud (ma tutte alla stessa ascensione retta, quella del meridiano). In questo caso l’artificio permette di esplorare contemporaneamente una zona di cielo più estesa durante la stessa osservazione.

Una volta trasformato in segnale elettrico dai dipoli, quindi, il segnale radioastronomico viene convogliato, dopo essere stato amplificato e ripulito dalle eventuali interferenze radio-contigue alla banda, nella stanza del ricevitore (fig. 1.14). Qui viene ulteriormente amplificato e filtrato per eliminare eventuali residui di interferenze presenti in prossimità della banda operativa dello strumento. Si equalizzano in fase ed ampiezza tutti i 14 contributi relativi ai 14 canali (6 per il ramo E-W e 8 per quello N-S) prima di elaborarli singolarmente od effettuarne la cross-correlazione con un banco di 48 correlatori complessi.

Dopo l’elaborazione analogica i segnali vengono campionati ed acquisiti da un calcolatore, che ne effettuerà la post-elaborazione e la relativa memorizzazione su Hard Disk.

Fig. 1.14: La stanza del ricevitore della “Croce del Nord”: in essa convivono apparecchiature realizzate negli anni ’60 e ’70 (lettore a carta, sistema di calibrazione,…) e nei giorni nostri (spettrometro digitale, sistema PULSAR,…).

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A seconda dell’utilizzo dei segnali, la “Croce del Nord” può essere fatta lavorare in differenti modalità, riconducibili alle tecniche di indagine radioastronomia total power e interferometrica.

Nella prima si sommano i vari segnali in modo da realizzare un’unica antenna equivalente, la cui area di raccolta risulta pari alla somma delle superfici di raccolta delle singole antenne. Questo viene fatto con i segnali dei tre fasci del ramo E-W e dei cinque fasci del ramo N-S, presi singolarmente.

Svolgendo invece un’operazione di correlazione tra i segnali, cioè una moltiplicazione ed una successiva integrazione, si può far lavorare lo strumento come un interferometro a correlazione; i segnali correlati possono essere sia quelli degli 8 fasci d’antenna, nella modalità cosiddetta “multifascio”, sia quelli di ogni singola sezione dei due rami, nella modalità “interferometri sciolti”.

1.6 Il progetto LOFAR (LOw Frequency ARray)

1.6.1 Introduzione

Sin dagli albori della radioastronomia si è sempre cercato di operare a frequenze elevate, in modo da riuscire a realizzare antenne di dimensioni ragionevolmente ridotte, mantenendo un potere risolutore e una sensibilità sufficientemente elevati.

Si ricordi a tal proposito (vedi paragrafo 1.2) che la capacità di risoluzione di un’antenna è inversamente proporzionale al rapporto

D

λ , dove λ è la lunghezza

d’onda d’osservazione e D il diametro dello specchio primario.

Da alcuni anni a questa parte molti enti, tra cui ASTRON (ASTRonomisch Onderzolk in Nederland), si stanno impegnando per rivalutare la radioastronomia a bassa frequenza, che risulta essere un campo non ancora esplorato e che può fornire informazioni utili sull’origine dell’universo e non solo.

Infatti uno dei vantaggi legato ad operare a bassa frequenza è l’elevata intensità della radiazione proveniente dalla maggioranza delle sorgenti celesti (dovuta a meccanismi non termici), e alle buone caratteristiche in sensibilità dei ricevitori;

tuttavia si registrano gli svantaggi dovuti al limitato potere risolutivo dell’antenna,

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che diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda operativa, e all’aumentata possibilità di disturbi causati da radiointerferenze terrestri naturali (essenzialmente di tipo atmosferico) ed artificiali (emissioni man-made).

Il problema relativo alla bassa risoluzione è stato superato grazie alla tecnica interferometrica applicata, per esempio, agli attuali sistemi a grandissima base (VLBI), di cui si è già discusso in precedenza. Grazie a questa tecnica si possono realizzare virtualmente antenne di dimensioni enormi, con un elevato potere risolutivo, grazie all’interazione tra più antenne, disposte in varie parti del globo terrestre.

Un esempio di questa tipologia di sistema è LOFAR (LOw Frequency ARray), il cui progetto, tra i più innovativi in campo radioastronomico, è attualmente in corso di sviluppo.

LOFAR, seppur ancora in fase di costruzione ad opera dell’istituto di radioastronomia olandese ASTRON, costituirà un nuovo potente radiotelescopio, il quale, tramite le sue considerevoli prestazioni, dovrebbe consentire di osservare il cosmo nella sua fase iniziale di evoluzione, offrendo la possibilità di effettuare nuove sorprendenti scoperte. Inoltre dovrebbe fornire mappe dettagliate su come si sono formate le prime stelle, e informazioni per comprendere meglio le tempeste magnetiche che avvengono sul sole, il vento solare ed il loro effetto sul clima terrestre.

I concetti tecnologico-costruttivi su cui si basa LOFAR rappresentano un punto di rottura con il passato e si traducono in una consistente riduzione dei costi: i radiotelescopi tradizionali, infatti, combinano i segnali elettronici raccolti da enormi parabole mobili che risultano estremamente costose da costruire e, comunque, troppo piccole per mettere a fuoco le elevate lunghezze d’onda necessarie per osservare la formazione delle galassie. Più della metà dei costi legati allo sviluppo di questi radiotelescopi è da attribuire alla struttura meccanica per il sostegno e il puntamento meccanico. Se la stessa tecnologia fosse utilizzata anche per LOFAR, i costi della sua realizzazione sarebbero enormi (decine di miliardi di dollari).

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LOFAR invece sfrutta una nuova tecnologia: esso è in grado di rilevare i segnali provenienti dal cielo, utilizzando un array di semplici ed economiche antenne omni-direzionali (in grado cioè di captare segnali provenienti da qualunque direzione), ciascuna a forma di piramide cava e realizzata con stecche di metallo (fig. 1.15).

Fig. 1.15: esempio di antenne impiegate nel sistema LOFAR

Per poter fornire una mappa dettagliata del cielo, tali antenne sono raggruppate in clusters estesi su un’ area di 350 km di diametro.

Le onde elettromagnetiche ricevute vengono campionate ed inviate tramite collegamenti digitali a larga banda (cavi in fibra ottica) ad un nuovo apposito supercomputer, denominato IBM Blue Gene/L, che ha raggiunto la velocità di calcolo di 70 TFlops/s, diventando il più potente elaboratore d’Europa, ed in grado di sintetizzare immagini radio in tempo reale.

Il particolare disegno delle antenne, unitamente alle proprietà del concetto di array, consente tanto di poter disporre di field of view multipli, cioè di poter puntare contemporaneamente più punti nel cielo, tanto di poter utilizzare tecniche di beamforming digitale adattativo per la soppressione di interferenze radio, problema molto sentito a queste frequenze.

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In poche parole, il sistema LOFAR (fig. 1.16) può essere considerato come una rete estesa di antenne (array di sensori), distribuite geograficamente su larga scala, connesse, tramite una rete indipendente (in parte wireless), basata su una dorsale in fibra ottica ad altissima velocità, ad un supercomputer per formare complessivamente un unico radiotelescopio (che non ha parti in movimento);

quest’ultimo opera in una banda di frequenze che va da 10 MHz a 250 MHz, suddivisa in due sottobande: la prima va da 10 MHz a 80 MHz (“LOFAR basso”), la seconda da 110 MHz a 250 MHz (“LOFAR alto”).

Fig. 1.16: rappresentazione di LOFAR realizzata mediante simulazione virtuale al calcolatore

Il suo costo è pertanto legato solo al costo delle apparecchiature elettroniche che, come sappiamo, segue la legge di Moore e decresce sempre più con l’evoluzione della tecnologia, permettendo di incrementare le dimensioni di questo nuovo radiotelescopio.

Oltre a tali antenne il sistema LOFAR è dotato anche di piccoli sensori per il monitoraggio atmosferico e del sottosuolo.

Il luogo adatto dove costruire il cuore del sistema LOFAR si trova nella provincia olandese di Drenthe, in cui è già presente una piccola area di test costituita da un centinaio di antenne, che rappresentano le basi per uno sviluppo futuro del

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progetto. Tali antenne sono disposte lungo cinque bracci immaginari che si dipartono dal nucleo centrale (fig. 1.17).

Fig. 1.17: collocazione del sistema LOFAR

1.6.2 Configurazione del sistema LOFAR

Si è detto in precedenza che LOFAR rappresenta, seppur ancora in linea teorica, un sistema in grado di svolgere molteplici funzioni: esplorazione dello spazio profondo, monitoraggio del sottosuolo terrestre e analisi meteorologiche.

Il tutto avviene attraverso l’utilizzo di un ingente numero di piccoli sensori a basso costo (antenne omni-direzionali, sensori di vibrazione e microbarometri).

I principali sottosistemi che costituiscono LOFAR sono:

• rete di sensori: piccoli, distribuiti in aree chiamate “stazioni remote” e in un’area centrale chiamata “core”;

• rete a banda larga, per il trasporto dei dati e delle informazioni di controllo;

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• sistema centrale di elaborazione;

• sistema software, che include i software di controllo e le interfacce con gli utenti.

LOFAR, nella sua prima fase di attività, è costituito da un nucleo centrale (core) e da 45 stazioni remote. I sensori nelle stazioni remote e nel nucleo centrale sono costituiti da 100 antenne caratterizzanti il cosiddetto “LOFAR alto”, 100 antenne caratterizzanti il “LOFAR basso”, 13 sensori di vibrazione, 3 microbarometri e parecchi altri sistemi ausiliari.

In definitiva è possibile classificare questi sensori in varie categorie:

- low band antennas: sono ottimizzate per operare in un range di frequenze da 10 MHz a 80 MHz (vedi fig. 1.18 a sinistra);

- high band antennas: esse operano in una banda da 110 MHz a 250 MHz (vedi fig. 1.18 a destra);

- sensori geofisici: sensori di vibrazione e microbarometri (fig. 1.19). I sensori di vibrazione vengono piazzati a 10 m sotto la superficie terrestre;

i microbarometri vengono incapsulati in tubi da 0.5 m di diametro.

I segnali provenienti dalle due categorie di antenne (low e high) vengono rilevati da un ricevitore a banda larga; ogni ricevitore è connesso a due antenne (una appartenente al gruppo low e una appartenente al gruppo high), ma ne viene resa attiva solo una per volta.

Il nucleo centrale ha un diametro di 2 Km ed è costituito da 3200 high band e da 3200 low band antennas dislocate in 32 sottostazioni.

Fig. 1.18: esempi di low band (sinistra) e high band antennas (destra).

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Fig. 1.19: esempi di sensore di vibrazione (sinistra) e microbarometro (destra).

La rete che permette di connettere ogni stazione remota con il sistema di elaborazione centrale ha una capacità di 10 Gbit/s.

Questo sistema di trasporto dati è basato su una comunicazione digitale a fibre ottiche. Il metodo, con il quale i dati vengono codificati e trasmessi, è funzione della capacità della rete, della distanza percorsa e delle caratteristiche dell’infrastruttura a fibra ottica (fibra già esistente in commercio oppure sviluppata per il progetto LOFAR).

Questa rete viene implementata utilizzando la tecnologia Ethernet a 10 Gb, che rappresenta la scelta ottimale sino ad una distanza di 40 Km utilizzando solo una coppia Tx/Rx, ma può essere estesa anche a distanze superiori senza enormi costi aggiuntivi.

Il sistema di elaborazione centrale (CEP) combina ed elabora i segnali provenienti dalla rete di sensori; esso è progettato per gestire un gran numero di dati in modo semplice ed efficiente. Il cuore del sistema di elaborazione centrale è costituito dal supercomputer Blue Gene/L sviluppato da IBM, di cui si è già parlato in precedenza.

L’interfaccia tra gli utenti e il sistema LOFAR avviene attraverso un avanzato e distribuito sistema di monitoraggio e controllo. LOFAR è dotato anche di un sistema di gestione autonoma in grado di eseguire auto-diagnosi e, ove possibile, anche auto-riparazioni. Il sistema produce un enorme quantitativo di dati, specialmente nelle applicazioni astronomiche (6 Tb di dati grezzi per 8 beam in 4

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ore di osservazioni); si pensi che un mese di osservazioni di questo tipo produce un PetaByte di dati.

LOFAR adotta un sistema di elaborazione in cui i dati finali prodotti dalle osservazioni di routine sono accessibili agli utenti in qualsiasi momento.

Il post-processing di LOFAR può avvenire sia dove si trova l’utente, sia nell’elaboratore centrale. Il tutto vincolato ad una disponibilità di banda sufficiente per il trasporto dei dati raccolti dall’elaboratore centrale all’utente.

Viceversa si può ricorrere ad ulteriori stadi di elaborazione e riduzione dei dati sfruttando l’elaboratore centrale.

1.6.3 Applicazioni

Risulta chiaro, dalla trattazione precedente, che LOFAR non è soltanto un radiotelescopio adibito alle osservazioni astronomiche, ma un vero e proprio sistema globale in grado di fornire molteplici informazioni anche in altri campi come la geofisica. Infatti grazie a LOFAR potrà essere realizzato, per esempio, il monitoraggio dell’attività sismica naturale collegando semplicemente i sensori di vibrazione alla rete. Si potrà inoltre osservare anche la sismicità indotta da eventuali operazioni prodotte dall’uomo, come ad esempio l’estrazione di gas dal sottosuolo. Utilizzando sensori ad infrasuoni connessi al sistema LOFAR, si sarà in grado di monitorare i processi che generano queste onde, quali ad esempio eruzioni vulcaniche o esplosioni nucleari. Collegando microbarometri e sensori termici alla rete si sarà in grado di rilevare la pressione e la temperatura in luoghi critici, come ad esempio pozzi di trivellamento. Infine LOFAR permetterà di risolvere il problema del controllo dell’innalzamento del livello delle acque specialmente nei Paesi Bassi, ove il problema risulta critico.

L’istituto meteorologico olandese reale (KNMI) sta partecipando proprio all’applicazione di LOFAR in quest’ambito.

Numerose, evidentemente, sono anche le applicazioni in ambito astronomico.

LOFAR rappresenterà il primo strumento capace di rilevare e forse anche di tracciare la struttura dell’universo fin dall’ “Epoca di Re-ionizzazione”, la cui conoscenza potrebbe risolvere le tante questioni sulla formazione del cosmo.

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Infatti, in accordo con la presente visione dell’universo, la ricombinazione dell’idrogeno al suo stato neutro avvenne circa mezzo milione di anni dopo il Big Bang, quando la materia primordiale si raffreddò sino ad una temperatura di 3000 K. L’universo entrò poi in un periodo di "oscurità" in cui la sua temperatura andò via via diminuendo a causa della sua espansione. Questa “Era Oscura” (Rees 1996) terminò molte centinaia di anni dopo quando si formarono le prime stelle.

La radiazione ionizzata proveniente da queste stelle iniziò a scaldare l'universo, producendo radiazioni visibili. Quando un numero sufficiente di sorgenti si furono create, la temperatura e la frazione ionizzata dell’universo aumentarono rapidamente e la maggior parte dell’idrogeno neutro scomparve. Questo periodo, in cui l’universo si portò in una fase in cui quasi tutto l’idrogeno neutro passò in uno stato ionizzato, prende il nome di epoca di Re-ionizzazione.

Una delle più importanti applicazioni di LOFAR sarà legata all’esplorazione delle radiosorgenti extragalattiche. Queste indagini si legano molto bene alle caratteristiche di LOFAR e rappresentano uno dei punti cardine che hanno caratterizzato l’inizio del progetto. L’esplorazione della volta celeste in un range di frequenze molto ampio (LOFAR possiede infatti una banda maggiore di 4 ottave) permetterà di creare una mappa delle radiosorgenti per lo studio di innumerevoli fenomeni come buchi neri, galassie ecc.; inoltre, siccome LOFAR andrà a sondare lo spazio inesplorato, sarà in grado di scoprire nuove entità che potranno essere studiate, come ad esempio la presenza di galassie al di fuori della Via Lattea o la nascita di nuovi corpi celesti.

LOFAR contribuirà direttamente anche allo studio dei raggi cosmici, attraverso una rilevazione efficiente dei raggi ed un’accurata determinazione della loro direzione di provenienza e quindi della loro sorgente. I raggi cosmici sono costituiti da un flusso di particelle provenienti dallo spazio, quasi tutte dotate di carica elettrica. Si tratta per lo più di ioni di elementi leggeri (idrogeno, deuterio, elio, litio, ecc..) ed elettroni, che si muovono a velocità altissime, prossime a quella della luce. Essi possiedono energie molto superiori a quelle ottenibili attraverso acceleratori di particelle sulla Terra. I raggi cosmici vengono emessi dalle stelle durante alcuni fenomeni che liberano molta energia, come le

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esplosioni di supernove. Alcuni hanno origine nel Sole, altri da sorgenti nella Via Lattea, altri ancora da sorgenti esterne alla nostra galassia. Lo studio dei raggi cosmici permetterà di indagare il cosmo attraverso segnali ad alta energia, di studiare la fisica fondamentale ad energie irraggiungibili dagli acceleratori sulla Terra, e di ottenere preziose indicazioni sulle prime fasi di evoluzione dell’Universo.

Grazie ad un ampio lobo principale, LOFAR sarà in grado di monitorare un’ampia porzione di cielo, permettendo un’indagine approfondita delle radiosorgenti in transito nella volta celeste. Utilizzando una media dei dati ricavati, esso fornirà le informazioni per una grande varietà di scale temporali, da pochi secondi a molti giorni. La risoluzione raggiunta sarà sufficiente per l’operazione di identificazione dei raggi X ed ottici.

1.6.4 Possibile realizzazione di una stazione LOFAR al radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina

Una volta completata la realizzazione della prima fase di LOFAR, si passerà all’estensione geografica delle stazioni in maniera tale da poter ottenere una baseline di un certo livello per migliorare sensibilmente le prestazioni dello strumento in termini di potere risolutore.

A tal proposito anche il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina ha deciso di partecipare alla realizzazione di questo grande strumento, in quanto permetterà di ottenere enormi vantaggi sotto il profilo della ricerca in campo europeo.

Il progetto italiano, in fase di elaborazione, prevede due fasi distinte, che potrebbero essere tanto una successiva all’altra quanto portate avanti in parallelo.

La più semplice ed immediata è rappresentata dall’acquisto del kit di installazione di una stazione LOFAR da attivare a Medicina, la seconda, più complessa ma dai grandi ritorni in termini di prestazioni, prevede l’aggiornamento del ramo Est- Ovest del radiotelescopio “Croce del Nord”, in modo che possa funzionare alle frequenze di LOFAR.

Il consorzio LOFAR mette a disposizione la strumentazione necessaria per l’installazione di una stazione remota. Si parla quindi dei sensori (200 antenne

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complessivamente), dell’elettronica direttamente installata sulle antenne e della rete di collegamento fra le stesse.

Per quanto riguarda il sito adatto dove collocare la stazione remota LOFAR, sito che poi dovrebbe essere collegato attraverso link a larga banda alla rete di trasporto dati nazionale, la stazione di Medicina presenta condizioni decisamente favorevoli, dal momento che, essendo uno dei nodi della rete europea VLBI, è collegata tramite rete a larga banda Gb Ethernet alle dorsali nazionali.

Questo rappresenta una grossa facilitazione per l’installazione della stazione LOFAR, i cui dati potrebbero anch’essi viaggiare su questa struttura.

Inoltre la stazione di Medicina è proprietaria di un’ampia area di terreno attorno ai radiotelescopi, area piatta e stabile, sufficientemente lontana da centri abitati e linee dell’alta tensione, fonti di forti disturbi, quindi idonea ad ospitare la stazione LOFAR. Sarebbe quindi sufficiente studiare un’adeguata rete di alimentazione e di trasferimento dati fra il sito scelto e il nodo della rete ad alta velocità e la stazione potrebbe essere immediatamente installata.

Un grosso salto da un punto di vista scientifico, per quanto riguarda la ricerca radioastronomica, è rappresentato da quello che è stato battezzato “progetto super-station”. Sfruttando le potenzialità offerte da una struttura importante come quella della “Croce del Nord”, l’idea è quella di cercare di ottimizzare le capacità dell’antenna (in particolare del ramo Est-Ovest), oltre che per il suo normale range di frequenze di funzionamento (attorno a 408 MHz), anche per le frequenze di osservazione di LOFAR.

Uno studio svolto di recente ha messo in evidenza le buone capacità in termini di prestazioni di un’antenna cilindrico-parabolica, come la croce, per una banda che va da 100 MHz a 700 MHz. Sarebbe ovviamente necessario sostituire i sensori, che nella fattispecie sono dei dipoli a mezz’onda ottimizzati per i 408 MHz.

In sostanza, l’obiettivo potrebbe essere quello di aggiungere (previo studio meccanico) dei sensori idonei alla parte alta della banda di osservazione di LOFAR (120-240 MHz).

Sfruttando anche le tecnologie in fase di studio per il progetto BEST (realizzazione di un dimostratore per SKA, di cui si parlerà in seguito),

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attualmente in corso (collegamenti ottici analogici, elaborazione digitale dei dati tramite poly-phase filter bank ecc..), si collegherebbero i ricevitori alla stanza di elaborazione dati e si effettuerebbe la prima elaborazione dati in vista della successiva in ambito LOFAR.

Le ragioni di effettuare un’opera di questo genere sono tanto semplici quanto valide: si riuscirebbe ad ottenere un’antenna da inserire nella rete LOFAR con un’area efficace estremamente superiore a quella di ogni stazione remota, area che potrebbe arrivare vicino all’intera area del ramo Est-Ovest (20000 m2). Ciò consentirebbe un notevole salto in termini di prestazioni (in particolare in termini di sensibilità dello strumento).

Lo sforzo tecnologico-logistico, anche in questo caso, risulterebbe minimo se comparato ai risultati ottenibili, sia per i ricercatori italiani, che si troverebbero a disposizione uno strumento dalle prestazioni considerevoli, sia per il consorzio, che di colpo avrebbe in un unico strumento l’area efficace che normalmente potrebbe ottenere con ben 20 stazioni.

La prima fase di upgrade ipotizzata è quella di illuminare 5000 m2 geometrici del cilindro parabolico per mezzo del fuoco primario (efficienza stimata del 40%), che corrisponde a sostituire 6 linee focali, per un totale di circa 110 m di linea.

Le suddette linee da smontare e rimpiazzare con i nuovi sistemi sarebbero quelle più esterne dell’E-W escludendo la prima e l’ultima linea (3+3), per minimizzare l’effetto di spill-over del terreno e avere fra i due gruppi la massima distanza, al fine di ottenere la più lunga baseline possibile (fig. 1.20).

Fig. 1.20: foto del ramo E-W con indicazione delle linee focali da sostituire

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In tal caso, considerando la dimensione dell’illuminatore pari a circa 60 cm, sul totale delle nuove linee focali verrebbero installati fino a 220 sistemi illuminatore + LNA + TX ottico + fibra.

Un’ulteriore considerazione, anch’essa di estrema rilevanza, va fatta a proposito dell’eventualità di installare tanto la stazione remota LOFAR quanto la super- station. Utilizzando singolarmente uno strumento come il ramo Est-Ovest adattato alle frequenze di LOFAR, ci si aspetta di ottenere un fascio di puntamento piuttosto grande (circa 10 arcmin a 150 MHz). In questo modo lo strumento da solo non sarebbe in grado di operare per le applicazioni astrofisiche standard nel range di frequenze di LOFAR. Al contrario, installando anche la stazione remota LOFAR, opportunamente collocata, sarebbe possibile ottenere una baseline di circa 1.5-2 Km, sufficiente a ottenere uno strumento complessivo in grado di portare a importanti e sorprendenti nuove scoperte astronomiche. Quindi, da un lato con il ramo Est-Ovest (avente una baseline ridotta del complesso), dall’altro con una o due stazioni LOFAR distanziate di 2.5 Km dalla croce, si otterrebbe uno strumento dalle potenzialità considerevoli con un’area efficace complessiva di circa 22000 m2, che, per fare un confronto, sarebbe circa 3-4 volte più grande del Synthesis Radio Telescope di Westerbork.

1.7 Il progetto SKA (Square Kilometer Array)

Negli ultimi decenni in molte nazioni sono sorte diverse discussioni su quale fosse il logico sviluppo della radioastronomia dopo la costruzione del telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter Array).

E’ così emersa l’intenzione di sviluppare il progetto di un radiotelescopio in grado di fornire un incremento di due ordini di grandezza in sensibilità rispetto agli strumenti esistenti, per lunghezze d’onda dal metro al centimetro.

Per raggiungere questo scopo occorre un radiotelescopio con un’area collettrice molto elevata, di circa un chilometro quadrato, ovvero cento volte maggiore di quella del radiotelescopio VLA (Very Large Array) situato in New Mexico (fig.

1.21).

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Fig. 1.21: Very Large Array (VLA)

Questo progetto, concepito dalla comunità radioastronomica mondiale, è comunemente identificato con l’acronimo SKA (Square Kilometer Array, vedi []), che pone l’accento proprio sull’area efficace che dovrà avere questo radiotelescopio, cioè circa (1 Km)2.

Grazie alla maggiore sensibilità potranno essere ricevuti segnali molto più deboli, cioè emessi da oggetti celesti più distanti o di minore intensità; uno degli obiettivi di SKA sarà addirittura ricevere segnali provenienti da oggetti così lontani da poter essere temporalmente collocati in un’età primordiale dell’universo, rispondendo così a domande fondamentali sull’origine e l’espansione dello stesso.

Tali segnali sono molto deboli e dunque richiedono, per essere rilevati, un telescopio molto sensibile e perciò di dimensioni enormi.

Per fornire un’apertura di un milione di metri quadrati ad un costo accettabile, la tecnologia di SKA sarà rivoluzionaria rispetto a quella degli attuali radiotelescopi;

in questi anni i diversi istituti che concorrono al progetto stanno ideando e realizzando prototipi, a partire dai quali saranno determinate anche le tecnologie di base da utilizzare; l’inizio della costruzione dello Square Kilometre Array è previsto per il 2014 e si pensa possa essere completamente operativo intorno al 2020.

Il concetto di SKA a cui si è giunti prevede la sua realizzazione tramite una schiera interferometrica di stazioni-array (fig. 1.22), ciascuna delle quali è in pratica una schiera di antenne elementari, tra le quali sarà distribuita l’area

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collettrice dell’ordine del chilometro quadrato; sono allo studio diverse configurazioni, che includono un diverso numero di stazioni: ad esempio 150 stazioni ognuna con area pari a quella di un telescopio di 30 m di diametro oppure 30 stazioni, ognuna equivalente ad un telescopio del diametro di 200 m.

Una singola stazione-array potrà consistere di un numero più o meno elevato di antenne, disposte su una superficie di 100-200 m di diametro. Il numero delle stazioni-array richieste, almeno 100 ma possibilmente fino a 1000 più piccole, dipenderà dai risultati degli studi sulle configurazioni delle antenne e dalle risorse finanziarie disponibili.

Fig. 1.22: immagine realizzata al computer di come potrebbe apparire una stazione-array

Si ritiene che approssimativamente il 50% dell’area collettrice sarà fornita da una densa schiera interna e centrale di circa 5 Km di diametro, per disporre di un’elevatissima sensibilità su una risoluzione dell’ordine dell’arcosecondo, il che renderà possibile lo studio di deboli tracce di righe spettrali di strutture risalenti alle origini dell’universo. Un altro 25% dell’area collettrice sarà collocato in un diametro di 150 Km, e la parte rimanente al di fuori di esso, fino a una distanza dal centro di 3000 Km e più.

Questa elevata accuratezza nella risoluzione angolare permetterà la rilevazione di deboli emissioni dal mezzo interstellare di lontane galassie, così come l’indagine della superficie delle stelle e dei nuclei attivi delle galassie.

Per quanto riguarda la tecnologia realizzativa delle singole antenne, si stanno considerando sia strutture planari, sia riflettori; in ogni caso, la scelta dovrà anche consentire di applicare tecniche di multibeaming, ovvero di osservazione

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simultanea in più direzioni di ampie porzioni di cielo, con la possibilità di selezionare certi campi di vista in modo indipendente.

Il technical concept di SKA è attualmente in fase di studio presso l’ATNF (Australia Telescope National Facility) e ci sono varie candidature a livello mondiale per ospitare SKA, la più forte delle quali, sia per caratteristiche geografiche favorevoli, sia per la presenza di molte zone ove lo spettro è abbastanza libero da segnali di origine terrestre (fonte di forte disturbo per le osservazioni radioastronomiche), è l’Australia (fig. 1.23).

Fig. 1.23: immagine dell’Australia con un possibile schema della dislocazione delle stazioni; il nucleo centrale si trova collocato presso il sito di Mileura, a circa 300 Km dalla costa occidentale

Tra i progetti più validi per la realizzazione delle antenne si può citare quello americano, che nasce dalla collaborazione tra il SETI Institute e il Laboratorio di Radioastronomia dell’Università di Berkeley e che prende il nome di ATA (Allen Telescope Array): esso prevede l’utilizzo di antenne di tipo gregoriano, disassate o classiche, con un riflettore primario parabolico di 6.1 m di diametro e un subriflettore secondario ellittico di 2.4 m (fig. 1.24).

Fig. 1.24: antenne utilizzate nel progetto ATA

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Un’altra proposta di elevata importanza è quella olandese, sostenuta dall’ASTRON (ASTronomisch Onderzolk in Nederland), che ha portato alla realizzazione del Phased Array THEA (THousand Element Array), costituito da 1024 antenne di tipo Vivaldi, distribuite su una griglia regolare di 16 metri quadrati (fig. 1.25).

Fig. 1.25: Thousand Element Array

Esso è organizzato secondo una gerarchia a due livelli di beamforming; la sua struttura consente di lavorare ad una frequenza compresa tra 750 MHz e 1500 MHz e di avere beam multipli guidati in modo digitale.

I benefici legati alla realizzazione dello Square Kilometer Array, comunque, non sono soltanto legati al mondo della radioastronomia; essendo esso un progetto estremamente innovativo, SKA porta infatti con sé notevoli vantaggi dovuti alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie di larga applicazione nel mondo delle telecomunicazioni, nell’information technology e nei settori attigui.

1.7.1 La “Croce del Nord” e SKA

L’Istituto di RadioAstronomia costituisce uno degli organi istituzionali che collaborano al progetto SKA.

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Date le sue grandi dimensioni (564 m x 640 m) e l’elevato numero di dipoli (5632) posti sulla sua linea focale, la “Croce del Nord” rappresenta il banco di prova ideale per le tecnologie che dovranno essere sviluppate nell’ambito del progetto SKA; avendo infatti un’area collettrice pari a circa quella di una sottostazione SKA, può essere considerata come un “reduced scale SKA” ed utilizzata per investigare molti punti cruciali nella definizione del progetto.

A questo proposito è attualmente sotto studio un upgrade globale della Croce, che consenta di acquisire utile esperienza nel progetto di ricevitori a basso costo, nella realizzazione di beamforming analogico e digitale e di multibeaming, nella mitigazione delle interferenze e nella trasmissione di dati su fibra ottica, tutte caratteristiche essenziali in un radiotelescopio di ultima generazione quale è quello del progetto SKA.

Il primo passo di questo progetto consiste nell’implementare diverse centinaia di ricevitori solo sul ramo Nord-Sud; in un secondo momento ne verranno installati un certo numero anche sulla linea focale del ramo Est-Ovest.

Prima dell’upgrade complessivo, è attualmente allo studio un progetto di re- ingegnerizzazione della “Croce del Nord” per trasformarla in un vero e proprio dimostratore per SKA, che ha preso il nome di BEST (Basic Element for SKA Training) e si suddivide in tre fasi:

¾ BEST-1: prevede la re-ingegnerizzazione di un cilindro parabolico del ramo Nord-Sud della “Croce del Nord”, tramite l’installazione di 4 Front End sulla linea focale (1 ogni 16 dipoli) connessi via collegamenti ottici analogici alla sala di elaborazione dati, dove il segnale verrà convertito ad una frequenza media di 30 MHz, digitalizzato e filtrato tramite un banco di filtri polifase implementato grazie ad una FPGA. L’elaborazione dei dati così ottenuti avverrà in un cluster di PC. In questo modo sarà possibile testare tecniche di beamforming e mitigazione delle interferenze (fig. 1.26)

¾ BEST-2: prevede l’estensione del progetto a 8 cilindri del ramo Nord-Sud per un totale di 32 ricevitori installati (fig. 1.27)

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