PROPOSIZIONI 1 E 2 DEL METODO DI ARCHIMEDE
“Diremmo che si tratta di una Matematica dietro le quinte: è come se in un teatro, ad un certo punto della rappresentazione, lo spettatore, fatto alzare dalla sua poltrona di platea, venga condotto sul palcoscenico dietro le quinte, perché possa, dal nuovo punto di osservazione, capire i segreti dell’organizzazione dello spettacolo”
A. Frajese (Opere di Archimede)
Dall’analisi del testo del Metodo risulta che Archimede aveva adottato un procedimento innovativo che gli aveva permesso di arrivare a risultati formidabili nel campo della geometria; entusiasta, lo aveva proposto ai matematici alessandrini. Lontano dal nascondere i “trucchi del mestiere”, era convinto che non poca utilità esso arrecherà alla matematica.
Il metodo meccanico era stato sfruttato per scoprire le formule che sarebbero state dimostrate in un secondo momento, solitamente attraverso il metodo di esaustione.
Usando le parole di Archimede: è più facile, dopo avere con tal metodo acquistato una certa cognizione delle questioni, trovarne la dimostrazione (cit. Dalla lettera di Archimede a Eratostene, Enrico Rufini, Il metodo di Archimede e le origini del calcolo infinitesimale nell’antichità, p. 107, 108).
Riporto il testo della lettera a Eratostene nella traduzione di Giuseppe Boscarini (18-28, 1- 9): “Ma vedendo che tu, per quanto affermo, sei zelante e in modo eccellente maestro di filosofia e che anche sai valutare nelle cose matematiche l’osservazione che ti si presenta, decisi di scrivere a te e di esporre nello stesso libro la proprietà di un modo mediante il quale sarà dato a te di afferrare i mezzi per avere la capacità di osservare nelle cose matematiche per mezzo degli enti meccanici alcune di loro.
Sono convinto poi che questo non è da meno anche nella dimostrazione degli stessi teoremi. E infatti alcune delle cose che mi apparvero per prima in modo meccanico in seguito furono dimostrate in modo geometrico, perché l’osservazione per mezzo di questo modo è senza dimostrazione (geometrica); difatti è più facile avendo ottenuto prima per mezzo di questo modo una qualche conoscenza delle cose cercate fornire la dimostrazione piuttosto che cercare senza alcuna conoscenza preliminare.
Perciò di quei teoremi, dei quali Eudosso trovò per primo la dimostrazione (geometrica), sul cono e la piramide che il cono è la terza parte del cilindro, la piramide del prisma, aventi la stessa base e altezza uguale, non piccola parte potrebbe essere attribuita a Democrito che per primo fece conoscere l’asserzione riguardante la (conoscenza) sulla figura suddetta senza dimostrazione ( geometrica).
Scriviamo dunque per prima il primo dei teoremi apparso per mezzo di enti meccanici che ogni segmento di sezione di cono rettangolo è i quattro terzi del triangolo avente la stessa base e l’altezza uguale, dopo ciascuno (dei teoremi) osservati per mezzo dello stesso modo; quindi alla fine del libro scriviamo le dimostrazioni geometriche di quei teoremi, dei quali ti mandammo prima gli enunciati”
Dal brano sembra che Archimede non distingua tra ricerca e dimostrazione, ma piuttosto tra “dimostrazione meccanica” e “dimostrazione geometrica”, pur avendo evidenziato, all’inizio della lettera che, se c’è stata una scoperta del tropos meccanico, deve esserci
pure stata una scoperta del tropos geometrico: “Ti ho antecedentemente inviato dei teoremi scoperti (per via meccanica) dei quali ti ho scritto gli enunciati e ti ho invitato a scoprire le dimostrazioni (geometriche) che non ti ho dato” .
I precursori del metodo meccanico furono il pitagorico Archita (428 – 360 a.C.) e Eudosso di Cnido (408 – 355 a.C.), con cui Platone polemizzò per aver “distrutto ciò che c’era di buono nella geometri”a come riportato da Plutarco in Vita di Marcello ( vol. III, p.331)
“Gli iniziatori della meccanica, scienza oggi seguita con interesse e a tutti nota, furono Eudosso ed Archita, i quali comunicarono un grande fascino alla geometria mediante l'eleganza dei suoi procedimenti. Essi diedero ai problemi che non offrivano possibilità di soluzione con un procedimento soltanto logico e verbale il sostegno di schemi visivi e meccanici. Ad esempio nella soluzione del problema di due rette medie proporzionali, elemento necessario alla composizione di molte figure, entrambi gli scienziati ricorsero a mezzi meccanici, servendosi delle medie proporzionali che certi strumenti ricavano da linee curve e da segmenti Platone rimase indignato da questo modo di procedere e polemizzò coi due matematici, quasi che distruggessero e corrompessero ciò che vi era di buono nella geometria; in tal maniera essa abbandonava infatti le cose incorporee e intellegibili per scendere nel mondo sensibile, ed usava anch'essa oggetti che richiedevano ampiamente un grossolano lavoro manuale. La meccanica fu così separata e si staccò dalla geometria; per molto tempo la filosofia l'ignorò ed essa divenne una delle arti militari”
Archimede integra i procedimenti meccanici con considerazioni sull’equilibrio dei corpi, da lui stesso analizzate; sciolto dal rigore delle dimostrazioni geometriche, procede alla felice combinazione di ragionamenti meccanici e di ragionamenti infinitesimali (E. Rufini, op. cit., p. 84) e geometrici.
Archimede pensa ogni figura composta o riempita da tutti i suoi elementi. Per usare il linguaggio moderno, queste parole ci rimandano alla teoria degli indivisibili: un concetto elaborato e ampliato dal matematico italiano Bonaventura Cavalieri (1598-1647). Un indivisibile è un ente geometrico (punto, retta, piano) privo di dimensione e che dunque non può essere ulteriormente diviso. Ogni figura piana è composta da infinite rette parallele e analogamente ogni figura solida è composta da infinite sezioni piane parallele. I matematici greci erano molto scettici riguardo agli Indivisibili a causa dei paradossi di Zenone da Elea (489-431 a.C.), come ad esempio Achille e la Tartaruga. Il filosofo aveva dimostrato che lo spazio non poteva essere diviso all’infinito: per questo il procedimento adottato da Archimede sarebbe stato considerato inaccettabile dai suoi contemporanei.
Archimede nomina un unico filosofo nelle sue opere, Democrito, per le sue considerazioni sull'area del segmento parabolico. Il matematico riprende la teoria atomica ed è convinto che la realtà sia formata da pieno e vuoto, e che il primo sia composto di atomi: enti materiali che non posso essere ulteriormente divisi. E' probabile che la decisione di sfruttare gli indivisibili nel metodo meccanico derivi dalla loro somiglianza con gli atomi del mondo fisico. E' sempre presente un contatto tra matematica e realtà tangibile: infatti Archimede non è solo matematico ma è anche fisico e ingegnere.
Il cuore del metodo meccanico è la legge della leva, analizzata dal matematico stesso e contenuta nel trattato Sull’Equilibrio dei Piani; la legge afferma che:
“Due pesi posti su una bilancia si trovano in equilibrio quando sono inversamente proporzionali alle rispettive distanze dal fulcro” ; ovvero in condizione di equilibrio vale la relazione M1D1=M2D2 ,dove M1 e M2 sono le masse poste rispettivamente a distanza D1 e D2 dal fulcro.
Archimede attribuisce un “peso reale” agli indivisibili, considerando linee e piani paralleli come “fili” e “lastre pesanti”. Per quanto innovativa, questa idea non dovrebbe suonare
troppo bizzarre all’orecchio di un lettore moderno: in fisica è presente il concetto di “punto materiale”, un ente senza dimensioni, ma dotato di massa che permette di semplificare notevolmente i modelli risolutivi.
Una chiara sintesi del metodo meccanico è stata scritta da Enrico Rufini (1890-1924), curatore dell’edizione italiana del Metodo, nella sua opera “ Il metodo di Archimede e le origini del calcolo infinitesimale nell’antichità” ( pp. 83-87).
“Supponiamo che si debba calcolare la superficie o il volume di una figura X, piana o solida,. Si sceglie anzitutto opportunamente un’altra figura B, di cui si conosce la superficie o il volume e la posizione del centro di gravità. Si dispongano le due figure in modo che i loro diametri o i loro assi giacciano sulla stessa retta, cosicché anche i loro centri di gravità siano situati sulla stessa retta. Si segano le due figure con piani paralleli e (in generale) perpendicolari all’asse; le sezioni ottenute sono i loro elementi infinitesimali, e le due sezioni create dallo stesso piano nell’una o nell’altra figura si considerano come elementi corrispondenti. Si prolunga d’una lunghezza opportuna il diametro o l’asse, e il segmento ottenuto si considera come il giogo di una bilancia o l’asta di una leva di primo genere. Si tratta ora di stabilire della leva l’equilibrio fra gli elementi di X e quei di B, fissati preventivamente il punto d’appoggio P, o fulcro della leva. Archimede sa che due grandezza sospese ai bracci d’una leva si fanno equilibrio quando è uguale il prodotto delle loro superfici o volume per la distanza del loro centro di gravità dal fulcro; in altre parole “quando i loro momenti rispetto al punto d’appoggio sono uguali”.
Per determinare il momento di X si può procedere in questo modo: uno qualsiasi dei piani tra loro paralleli e perpendicolari alla leva abbia da P la distanza α e determini nella figura X la sezione ν, e nella figura B la sezione u (a una distanza b); νdx e udx saranno gli elementi (pesi) corrispondenti di X e B.
Posto che v : u = b : α
Si avrà che ogni elemento di X sospeso alla leva alla distanza α da P farà equilibrio al corrispondente elemento di B situato al suo posto.
Si immaginino allora tutti gli elementi di X trasportati e sospesi tutti per il loro centro di gravità nello stesso punto in cui furono sospesi i suoi elementi da equilibrio alla figura B situata al suo posto; i loro momenti saranno perciò uguali. Il momento di X rispetto a P sarà dunque Vα, se con V indichiamo la sua superficie (o il suo volume); e se b è la distanza nota da P del centro di gravità di B, sarà Ub il suo momento. Quindi: Vα = Ub Da cui V=(Ub)/d oppure d=(Ub)/V
che danno rispettivamente la superficie (o il volume) di X, o il suo centro di gravità se si conosce V”
Vediamo ora come sono legate fra loro nel pensiero archimedeo la meccanica e la geometria, analizzando quanto presente nelle Proposizioni 1 e 2 del Metodo; esse ci forniscono la “dimostrazione meccanica” di due Proposizioni di cui in seguito Archimede ci darà anche la “dimostrazione geometrica”, all’interno della Quadratura della parabola e Sulla sfera e il cilindro. Ripercorreremo le dimostrazioni archimedee, pur utilizzando il simbolismo moderno e giustificando alcuni passaggi con teoremi enunciati con il linguaggio moderno.
Nella Proposizione 1 del Metodo Archimede individua l’area del segmento parabolico;
questo problema costituisce l’esempio più semplice e il primo in ordine di tempo a cui il
matematico siracusano applica un procedimento meccanico. La parte più difficile è individuare una seconda figura che possa essere efficacemente messa in relazione con la figura di cui vogliamo conoscere le proprietà. In questo caso il segmento parabolico viene equilibrato da un triangolo, grazie a relazioni elementari precedentemente dimostrate. Ma la scelta delle due figure può essere anche più complessa. Nella proposizione 2 la scelta delle figure è molto complessa: la seconda figura è un cilindro, mentre la prima è addirittura la somma di una sfera e di un cono. Se nel primo caso è verosimile che il solo metodo meccanico avesse permesso al matematico di giungere direttamente al risultato, lo stesso non si può dire per il volume della sfera: deve aver avuto una qualche intuizione prima di applicare il metodo. Archimede notò una simmetria che lega cono, sfera e cilindro; simmetria in Greco ha il significato di commensurabilità: possiamo affermare che il termine è qui traducibile con “rapporto di numeri interi e piccoli”. Per fare alcuni esempi, la sfera ha un rapporto tra la sua superficie e il cerchio massimo di 4:1; il rapporto tra segmento parabolico e triangolo inscritto vale 4:3; cono e cilindro stanno tra loro come 1:3.
Archimede si meravigliò di questo gran numero di relazioni e sviluppò un senso di fiducia nella semplicità delle leggi geometriche, come già aveva affermato Pitagora.
Proviamo a ricostruire il modo in cui il matematico siracusano ebbe l'intuizione del volume della sfera. Considero la sezione BDXV di un cilindro con raggio di base uguale all'altezza;
sia ABD la sezione di un cono con stessa base e altezza; disegno il semicerchio ABD, sezione della semisfera inscritta nel cilindro.
Sappiamo che il volume del cono è un terzo del volume del cilindro: Vcono = 1/3 Vcilindro
La semisfera è intermedia tra cono e cilindro e quindi l'ipotesi più semplice è che abbia un rapporto di due terzi con il cilindro: Vsemisfera = 2/3 Vcilindro
Dunque una sfera intera è pari a quattro terzi del cilindro circoscritto, che corrisponde all'enunciato della Proposizione 2: Vsfera = 4/3 Vcilindro
Proposizione 1:
Sia il segmento ABC compreso dalla retta AC e dalla sezione di cono rettangolo (parabola) e si divida per metà la AC nel punto D, si tracci la DB parallela al diametro e si traccino le congiungenti AB, BC.
Dico che il segmento ABC è quattro terzi del triangolo ABC.
Archimede dimostra quanto contenuto anche nell’opera Quadratura della Parabola, cioè che l’area di un segmento parabolico individuato dalla corda AC e dall’arco ABC è pari ai 4/3 del triangolo ABC in esso inscritto.
Traccio dagli estremi A e C le rette AF, parallela al diametro DB, e CF, tangente alla parabola in C; queste si incontrano nel punto F. La retta CF interseca la retta DB nel punto E. Disegno una generica retta MO parallela a DB, da cui sono staccati rispettivamente i
segmenti OP e OM dal segmento di parabola e dalla retta CF. Prolungo la CB fino ad incontrare la retta AF nel punto K. Chiamo N il punto di intersezione tra le rette CK e MO.
Inizialmente Archimede scrive la proporzione, dimostrata nella Prop. 5 della Quadratura della Parabola:
Componendo:
da cui si ottiene
Considero le rette FA e MO, parallele per costruzione; per il teorema di Talete, vale la proporzione:
Componendo:
da cui si ottiene
Confrontando il rapporto AO:AC nelle due proporzioni trovare e sostituendo, si ha:
Prolungo CK fino al punto H, tale che CK = KH.
La proporzione scritta diventa:
ossia
Si immagini una leva HN, avente fulcro in K; se attribuisco un peso ai segmenti OP e OM in funzione della loro lunghezza, quella che abbiamo scritto è proprio la Legge che mi esprime l’equilibrio della leva ( ) Se si trasporta il segmento OP sull'estremo H della leva HN, con H nel suo punto medio, ovvero il suo centro di gravità, questo farà da contrappeso al segmento MO lasciato dov'è.
Nella Prop. 2 della Quadratura della Parabola Archimede dimostra che la retta CK è mediana del triangolo CFA tangente il segmento parabolico; ne consegue che anche i segmenti paralleli al lato AF sono divisi a metà dalla retta CK. Il centro di gravità del segmento MO è dunque N, in quanto suo punto medio.
L’uguaglianza sopra scritta, , mi dice che i segmenti OP e OM sono in equilibrio per la legge della leva. Ma quanto affermato per OP e OM vale rispettivamente per tutti i segmenti che compongono il segmento parabolico ABC e il triangolo ACF paralleli al diametro BD.
Da questa osservazione deriva l'idea di Archimede di concepire le figure come riempite da infinite linee. Il segmento parabolico P è l'insieme di tutti i segmenti come OP, che vengono trasportati nell'estremo H della leva HC. Tutti i segmenti che compongono il triangolo T vengono lasciate dove sono. Il peso delle linee si concentra nel baricentro W del triangolo. Come sappiamo, il baricentro è il punto d'incontro delle tre mediane e dunque giace sulla retta CK. Per il teorema del baricentro, il segmento KW è un terzo di KC. Ma poiché KC = KH, allora KW è un terzo di KH.
Se applichiamo a tutti i “segmenti” delle due figure la legge di equilibrio della leva, si ottiene:
Si è così dimostrato che il triangolo ACF, il cui “peso” è dato da T, è triplo del segmento parabolico ABC, il cui “peso” è dato da P.
Seguiamo ancora le indicazioni archimedee, per giungere a dimostrare che l'area del triangolo ABC è un quarto dell'area del triangolo ACF.
Osservo i triangoli ACF e KAC. Traccio le rispettive altezze FH e KJ alla base comune AC.
I triangoli KJA e FHA sono retti, hanno in comune l'angolo FÂH e sono dunque simili (primo criterio). Il segmento FA è doppio rispetto a KA, perché CK è la mediana di FAC; ne consegue che i lati FH e KJ sono una il doppio dell'altro. Poiché i triangoli KAC e FAC hanno la stessa base AC e le altezze sono in
rapporto 1:2, allora l’area di KAC è la metà di quella di FAC, ossia:
Considero ora i triangoli KAC e BDC. I due triangoli sono simili poiché hanno l'angolo BĈA in comune e gli altri due angoli uguali in quanto corrispondenti di rette parallele. Il lato AC è il doppio di AC per costruzione e quindi il rapporto di similitudine tra i due triangoli è 2; ne consegue che l'altezza KJ è doppia rispetto all’altezza BV.
Consideriamo ora i triangoli KAC e ABC hanno la base AC in comune e le rispettive altezze KJ e BV sono una doppia dell’altra:
dunque l'area di KAC è doppia di quella di ABC:
Ne deduco quindi che l’area di FAC è quattro volte l’area del triangolo ABC:
Ricordiamo che abbiamo dimostrato che
, ossia che il segmento parabolico ABC è 1/3 del triangolo FAC. Risulta perciò che l’area del segmento parabolico ABC è pari a 4/3 del triangolo inscritto ABC.
Proposizione 2:
Che qualunque sfera è quadrupla del cono avente la base uguale al circolo massimo della sfera e l'altezza uguale al raggio della sfera; e che il cilindro avente base uguale al circolo massimo della sfera e l'altezza uguale al diametro della sfera è una volta e mezza la sfera, si vede nel modo seguente.
Archimede dimostra per via meccanica quanto dimostrato per via geometrica nel trattato Sulla Sfera e Sul Cilindro, e ci racconta inoltre come abbia dedotto che la superficie della sfera è uguale a quattro volte l'area del circolo massimo.
Considero una sfera nella quale il circolo massimo sia ABCD; siano AC e BD due diametri perpendicolari tra loro e K il centro della sfera. Prendiamo il cerchio della sfera di diametro BD perpendicolare al piano del cerchio ABCD; questo nuovo cerchio trasportato fino al piano tangente la sfera nel suo punto C, sarà la base di un cono con vertice in A e base il cerchio suddetto, di diametro EF. Da questo cerchio costruiamo un cilindro il cui asse sia AC e le cui latezze sono LE e GF.
Conduciamo una generica retta parallela a BD: questa incontra il rettangolo EFGL (sezione del cilindro) nei punti M e N, il cerchio ABCD (sezione della sfera) in Q e R e il triangolo AEF (sezione del cono) in O e P e il diametro AC in S.
Prolungo il segmento AC fino al punto H, tale che AC = AH; immagino che il segmento HC sia una leva il cui fulcro è il punto A.
Analogamente a quanto fatto nella Proposizione 1, Archimede dimostra che l'area del cerchio sezione della sfera sommato all’area del cerchio sezione del cono, spostato in H, equilibra l'area del cerchio sezione del cilindro lasciato dov'è. Possiamo scrivere tale uguaglianza, utilizzando la legge della leva, come:
ossia:
semplifico:
Questa relazione può essere espressa anche sotto forma di proporzione:
ossia ( )
Per dimostrarla, iniziamo con l’osservare che ho costruito il segmento AH lungo quanto AC, per cui è sicuramente vera la proporzione:
Moltiplico il numeratore e il denominatore del secondo membro per AC:
Considero il triangolo AOC: è rettangolo in O perché inscritto in una semicirconferenza di diametro AC. Applicando il primo teorema di Euclide si ottiene:
I triangoli ACE, AKB, ASQ sono simili per il Primo Criterio di similitudine, perché hanno l'angolo ̂ in comune, ̂ ̂ ̂ in quanto la rette SQ, CE sono parallele al diametro BD che per costruzione è perpendicolare a AC. Per cui poso scrivere la proporzione:
Dato che AK = BK perché entrambi sono raggi della sfera, allora anche AS = SQ e AC = CE.
Poiché MS è il raggio del cerchio sezione del cilindro, allora MS=EC; per proprietà transitiva MS = AC.
Sostituisco nella relazione sopra scritta quanto trovato, ottenendo:
Osservo il triangolo rettangolo AOS; AS e OS sono i suoi cateti e dunque, per il teorema di Pitagora:
Ma essendo, come già dimostrato QS = AS (il triangolo AQS è isoscele), possiamo scrivere che:
Sostituendo nella relazione sopra scritta otteniamo:
che è proprio la relazione che volevamo dimostrare. E' dunque valida la relazione iniziale:
che mi dice che se consideriamo una leva con fulcro in A e bracci uguali AH e AS, la sezione della sfera insieme alla sezione del cono, appesi in H, equilibra la sezione del cilindro, appesa in S.
Archimede considera allora i tre solidi come “riempiti” o composti da infiniti “cerchi sezione”, paralleli al piano MN, che sono perciò in equilibrio tra loro (ciò che abbiamo dimostrato vale qualunque sia la posizione della retta MN considerata). Se sommiamo i vari “cerchi sezione” otteniamo i volumi dei rispettivi solidi e quindi possiamo scrivere un’analoga relazione di equilibrio. Occorre però fare attenzione ai punti in cui vengono appesi i solidi per farsi equilibrio, che devono essere i loro centri di massa.
Se supponiamo di spostare la sfera e il cono in modo che il loro centro di gravità coincida col punto H, questi equilibrano il cilindro lasciato dov'è. Ma il centro di massa del cilindro è il punto d’intersezione delle diagonali del rettangolo EFGL (come dimostrato al lemma VIII del Metodo), cioè il punto K. Per cui la relazione, di una leva di prima specie, che esprime l’equilibrio tra i volumi dei tre solidi diventa:
Ma il segmento AH è pari al diametro AC, e quindi AH=2AK; per cui:
Ma Archimede sapeva che il volume di un cono è un terzo di quello del cilindro che ha la stessa base e la stessa altezza, per cui risulta:
Ossia il cono che ha come sezione il triangolo AEF (e altezza pari ad AC) ha volume doppio della sfera di diametro AC.
Ma tale cono ha un volume pari a 8 volte il volume del cono che ha come sezione il triangolo ABD. Infatti la sua altezza AC è il doppio di AK, come il raggio di base EC è due volte KB; per cui:
( ) Per cui sostituendo si ha:
Osserviamo che il cono che ha come sezione il triangolo ABD ha l’altezza uguale al raggio della sfera e la sua base è data dal cerchio di raggio massimo della sfera considerata.
Siamo quindi giunti a dimostrare la prima parte della Proposizione 2: la sfera è quadrupla del cono avente la base uguale al circolo massimo della sfera e l'altezza uguale al raggio della sfera.
Ricordiamo che il cilindro la cui sezione è il rettangolo EFGL ha volume triplo rispetto al cono che fa come sezione il triangolo AEF, per cui risulta:
Considero il cilindro la cui sezione è il rettangolo VWZX, con asse AC e lati VW, XZ tangenti la sfera nei suoi punti B e D. Questo cilindro ha un volume che è un quarto del volume del cilindro di sezione cilindro EFGL, in quanto l'altezza AC è la stessa, ma il raggio di base AL è doppio rispetto a AV, perché sono rispettivamente uguali al diametro e al raggio della sfera.
e quindi
Siamo quindi giunti a dimostrare l’altra parte della Proposizione 2: il cilindro avente base uguale al circolo massimo della sfera e l'altezza uguale al diametro della sfera è una volta e mezza la sfera
Da questa proposizione si può agilmente risalire alla formula con cui comunemente si calcola il volume di una sfera:
( )
Archimede si spinge oltre e constata che la superficie della sfera è uguale a quattro volte il circolo massimo.
Nel Metodo non dimostra questo risultato, ma fa solo riferimento al modo in cui ha avuto l'intuizione:
“Veduto ciò: che qualunque sfera è quadrupla del cono avente per base il cerchio massimo e altezza uguale al raggio della sfera, mi venne l'idea che la superficie di qualunque sfera sia quadrupla del cerchio massimo della sfera: la supposizione consisteva nel ritenere che come qualunque cerchio è uguale ad un triangolo avente per base la circonferenza del cerchio e l'altezza uguale al raggio del cerchio, così qualunque sfera sia uguale al cono avente per base la superficie della sfera e l'altezza uguale al raggio della sfera”. (cit. Opere di Archimede, a cura di Attilio Frajese)
Noi possiamo riscrivere la relazione appena scritta nel seguente modo (ricordando che AK=KB=r):
ossia, posso pensare la sfera come un cono avente l’altezza pari al raggio AK della sfera e base la superficie S della sfera. Da qui si ricava che la superficie della sfera è quattro volte l’area del cerchio di raggio r (circolo massimo)
Da questo passaggio del Metodo Enrico Ruffini ha dedotto che il Metodo doveva essere posteriore alla pubblicazione di Sulla Sfera e sul Cilindro, un trattato in cui Archimede dimostra rigorosamente il valore del volume e della superficie della sfera. Altrimenti non si spiegherebbe come mai il matematico faccia solo un breve accenno a questo notevole risultato, a lui tanto caro. La leggenda vuole che, per desiderio dello stesso Archimede,
sulla sua tomba a Siracusa fosse incisa una sfera inscritta in un cilindro; Cicerone scrisse che grazie ai segni sulla lapide fu in grado, durante il suo soggiorno in Sicilia, di individuare il sarcofago del suo più geniale cittadino:
“Quando ero questore scoprii il suo sepolcro, tutto circondato e rivestito di rovi e pruni, di cui i Siracusani ignoravano l'esistenza, anzi escludevano che ci fosse. Ricordavo alcuni senari di poco conto, che sapevo trovarsi iscritti sulla sua tomba: dicevano che sulla sommità del sepolcro era posta una sfera con un cilindro” (Cicerone, Tuscolanae Disputationes, I, 23, 64)
Tuttavia bisogna distinguere il concepimento del metodo meccanico dalla pubblicazione del libro: è infatti probabile che Archimede avesse elaborato questo procedimento ben prima della pubblicazione delle dimostrazioni per esaustione della superficie del segmento parabolico e della sfera.
Il metodo meccanico è un passaggio fondamentale per il matematico siracusano.
Archimede, sciolto da qualsiasi criterio di rigore, ha la possibilità di costruire e sperimentare, provare nuove strade fino a trovare la soluzione ad un problema. I risultati ottenuti erano poi dimostrati con altri metodi, detti geometrici, come il metodo di esaustione, la cui esattezza era indiscussa: esso consiste in una doppia dimostrazione per assurdo che porta ad affermare che due figure sono uguali. Alle dimostrazioni per esaustione, difficili e meticolose, si deve una parte non trascurabile della fama di Archimede, che è passato alla storia come esempio di eleganza formale. Tuttavia ai matematici è sempre sembrato chiaro che, data la doppia dimostrazione per assurdo, il metodo di esaustione abbia carattere “indiretto” - da qui il sospetto, che si è dimostrato fondato, di un metodo “segreto” con cui il matematico greco giungesse alle stesse conclusioni in precedenza. Il metodo meccanico, anche se complesso, permetteva di costruire punto per punto la dimostrazione: ha dunque un valore euristico, ovvero efficace per trovare una soluzione, assente nel metodo di esaustione. Secondo alcuni storici della matematica, tra cui G. Boscarino, Archimede ha un'idea unitaria della realtà: c'è identità tra il mondo geometrico e il mondo fisico; il confronto con la realtà lo conforta. Il metodo meccanico assicura al matematico che il suo teorema rispecchia la realtà e dunque non potrà giungere a conclusioni fallaci; il metodo di esaustione serve poi a “tradurre”,
“trasportare” una verità dal campo della meccanica a quello della geometria.