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Anno Accademico 2019/2020

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Università degli Studi dell’Aquila

Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologie

Area di Psicologia

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute

Indirizzo: Psicologia Clinica e della Salute Tesi di Laurea

Donne e uomini nella percezione del movimento:

confronto su due compiti di time-to-contact.

Laureanda Relatrice

Chiara Cellitti Prof.ssa Monica Mazza Matricola: 239067

Anno Accademico 2019/2020

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Indice

INTRODUZIONE……….3

Capitolo 1- PERCEZIONE E MOVIMENTO 1.1 Elaborazione bottom-up e topo-down……….6

1.2 Le principali teorie sulla percezione………... 6

1.3 Modalità di riconoscimento degli oggetti………....7

1.4 I principi di organizzazione percettiva……….9

1.5 Processi neuroanatomici nella visuo-percezione………..11

1.6 Apprendimento percettivo………15

1.7 Memoria percettiva a breve termine………...17

1.8 Orientamento e movimento………. 18

1.9 Iniziazione, imitazione e comprensione dei movimenti: il ruolo della corteccia motoria associativa………...18

1.10 Percezione del movimento………...19

1.11 La compensazione dei movimenti oculari durante la percezione del movimento………. .20

1.12 Sistema visivo e TTC (time-to-contact) 1.13 L’effetto del significato simbolico della velocità sul tempo di contatto………23

1.14 Processi percettivi e cognitivi in stima del tempo di contatto………26

Capitolo 2 – DIFFERENZE DI GENERE 2.1 Differenze di genere nella struttura del cervello………...27

2.2 Circuiti neuronali sottostanti le funzioni esecutive………36

2.3 Differenze di sesso nella sensibilità visiva……….39

Capitolo 3 – DONNE E UOMINI NELLA PERCEZIONE DEL MOVIMENTO: CONFRONTO SU DUE COMPITI DI TIME-TO-CONTACT 3.1 Introduzione………48

3,2 Materiali e metodi………..55

3.3 Risultati………56

3.4 Discussione………....59

Conclusioni………60

BIBLIOGRAFIA………61

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Introduzione:

Per definizione, la percezione è un processo multisensoriale che si svolge nel tempo come una complessa sequenza di attività esplorative dell'organismo.

In un sistema di questo tipo la percezione e l'azione sono integrate, e sono disponibili contemporaneamente. La percezione delle attività sensoriali e motorie intreccia le attività sensoriali e motorie in comportamenti significativi.

Il presente contributo offre una visione del modo in cui la percezione e l'azione guidano l'organismo attraverso una competente analisi funzionale dell'ambiente circostante (Doyon et al, 2019).

Le basi neurali del comportamento sono spesso discusse in termini di fasi percettive, cognitive e motorie, definite all'interno di un quadro di elaborazione dell'informazione che è stato originariamente ispirato da modelli di problem solving umano astratto (Cisek et al., 2010).

In uno studio, Cisek (2010) ha passato in rassegna un corpo crescente di dati neurofisiologici che sono difficili da conciliare unicamente tramite prospettiva teorica del probelm solving. Come base alternativa per l'interpretazione dei dati neurali, ha considerato i quadri presi in prestito dall'etologia, che enfatizzano i tipi di comportamenti interattivi in tempo reale, in cui gli animali si sono impegnati per milioni di anni.

In particolare, hanno discusso una visione etologicamente ispirata al comportamento interattivo come processi simultanei che specificano le potenziali azioni motorie. Ha così esaminato come i dati neurofisiologici recenti provenienti da diverse regioni corticali e sottocorticali appaiono più compatibili con questa visione parallela, che con la visione classica delle fasi di elaborazione delle informazioni seriali.

Quando decidiamo di attuare un comportamento in base alla percezione, stiamo compiendo a tutti gli effetti una decisione, infatti, è stato introdotto il modello dell’Analisi dei modelli di movimento (Model Processing Analysis, MPA): c'è un crescente riconoscimento del ruolo essenziale dei processi sensomotori come sostenitori non solo degli aspetti cognitivi del processo decisionale, ma piuttosto come fondamento di tutte le attività fisiche e mentali coordinate che entrano in gioco nel modo in cui prendiamo le decisioni.

Illuminiamo concetti e metodi per esaminare il processo decisionale incarnato attraverso la lente dell'Analisi dei modelli di movimento (MPA). L'MPA è il primo esempio di una metodologia osservazionale concettualmente radicata

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per decifrare il processo decisionale incarnato e per decifrare come le persone differiscono come decisori rispetto alle priorità motivazionali cognitive. L’MPA è usato come strumento per la comprensione delle differenze individuali nello stile decisionale incarnato. Le direzioni future della ricerca sono considerate, in particolare per quanto riguarda il potenziale di utilizzo della codifica automatica e la necessità di sforzi di ricerca collaborativa nel campo delle neuroscienze, che aiuterebbe a comprendere ulteriormente come la decodifica del modello di movimento catturi la motivazione umana a livello sensoriale, motorio, cognitivo e di integrazione dell'azione che guida il funzionamento delle persone come decisori (Connors e Rende,2018). Così ci chiediamo: esistono differenze legate al genere in questo?

Le persone sono biologicamente legate non solo a pensare, ma anche a determinare quando, perché e come agire in relazione al cambiamento dell'ambiente fisico, emotivo e sociale interno ed esterno. C'è un intrinseco

"accoppiamento sensomotorio" tra persona e ambiente che definisce l'essenza della cognizione incarnata, espressa come cambiamenti di indicatori osservabili come le espressioni facciali, le posture e i gesti (Pietrazak et al., 2018). Per quanto riguarda il processo decisionale, stiamo assistendo a una corrente di riconoscimento del ruolo essenziale dei processi sensomotori come sostenitori non solo della cognizione, ma piuttosto come fondamento di tutte le attività fisiche e mentali coordinate che entrano nel modo in cui prendiamo le decisioni attraverso la percezione (Connors et al., 2018). Nel presente manoscritto dopo aver spiegato cos’è la percezione.

spiegherò nello specifico la percezione del movimento, tenteremo di capire se esistono in questo differenze legate al genere, incentrerò l’attenzione sulle differenze di genere legate alle funzioni esecutive e in quelle nel sistema visivo umano, poiché è molto importante per la percezione del movimento.

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CAPITOLO 1

PERCEZIONE E MOVIMENTO

Un input sensoriale, di qualsiasi natura è diretto alla corteccia sensoriale primaria per quella specifica modalità. Ad esempio nel caso del sistema visivo, questa regione si trova nel lobo occipitale ed è chiamata corteccia visiva primaria, o V1, corteccia striata o area 17 di Brodmann. L’elaborazione a livello delle cortecce sensoriali primarie, in tutti i sistemi sensoriali, avviene in concomitanza con l’elaborazione della medesima informazione nelle aree che di solito vengono chiamate aree corticali di associazione o cortecce associative. Le cortecce associative che occupano la maggior parte della superficie corticale, integrano le qualità percettive dello stimolo (per la visione, ad es., colore, luminosità, forma) con le informazioni provenienti da altre modalità sensoriali e dalle regioni cerebrali che svolgono altre funzioni (per es., l’attenzione e la memoria). L’elaborazione da parte delle aree associative viene chiamata “dall’alto verso il basso”, in quanto l’influenza di queste aree sulla percezione è più generale rispetto all’influenza dell’elaborazione sensoriale in sé (Làdavas,2012).

Le cortecce associative sono in genere adiacenti a quelle sensoriali primarie e sono connesse a queste ultime da circuiti neurali dotati di meccanismi di feedback e feedforward. Ad esempio, le aree corticali visive extrastriate adiacenti a quelle visive tendono ad elaborare una o più caratteristiche dello stimolo che definiscono la percezione visiva; ad esempio l’area chiamata V4 è particolarmente importante per l’elaborazione delle informazioni relative al colore, mentre le aree MT (temporale e mediale) e MST (temporale mediale superiore) (V5) sono importanti per l’elaborazione del movimento (Làdavas, 2012).

La percezione può essere definita come l’elaborazione delle sensazioni elementari convogliate dagli organi di senso. Il concetto di elaborazione sta ad indicare che la sensazione raccolta dagli organi sensoriali viene codificata, organizzata, riconosciuta e interpretata. I processi sottostanti le fasi di elaborazione permettono quindi di far emergere gli oggetti “strutturati”.

In un primo stadio, di solito definito come stadio primario, hanno quindi luogo i processi visivi primari che svolgono il compito di individuare e descrivere le caratteristiche fisiche dello stimolo visivo lasciandone però indeterminati il significato, l’uso e la funzione (Nicoletti e Rumiati, 2006).

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1.1 Elaborazione bottom-up e top-down

Elaborazione bottom-up vuol dire dal basso verso l’alto e top-down significa dall’alto verso il basso. Con la prima si intende una modalità di elaborazione

“guidata dai dati”, cioè una elaborazione che parte dai dati sensoriali o, in altre parole, dalle singole parti dello stimolo. L’elaborazione top-down si riferisce invece ad una elaborazione “guidata dai concetti”, cioè basata sulle rappresentazioni contenute in memoria. Prendiamo ad esempio un’automobile. Possiamo riconoscerla a partire dalle caratteristiche fisiche elementari come le linnee orizzontali, verticali e curve che la compongono.

Queste varie caratteristiche vengono poi riunite in forme più articolate e complesse come grandezza e forma, numero delle ruote, colore ecc., per poi verificare quale oggetto emerge “dall’assemblaggio” delle parti; oppure possiamo partire dal concetto di automobile rappresentato nella memoria e poi analizzare se le varie parti che lo compongono confermano questa prima percezione. L’utilizzo di una modalità rispetto che un’altra dipende in una buona misura dal contesto in cui è inserito l’oggetto percepito e dal grado di conoscenza che l’osservatore ne ha, tuttavia il processo finale di elaborazione, cioè la denominazione dello stimolo può essere raggiunto attraverso un confronto tra l’input sensoriale confrontato con la rappresentazione mentale (Nicoletti e Rumiati, 2006).

1.2 Le principali teorie sulla percezione

Una teoria che pone molta enfasi sul processo bottom-up è la teoria della percezione diretta di Gibson: ogni stimolo possiede informazioni sufficientemente specifiche da renderne possibile il riconoscimento senza l’intervento dei processi cognitivi superiori. Processi cognitivi quali la memoria per accedere all’esperienza passata non sarebbero quindi necessari per riconoscere lo stimolo che avrebbe già un “proprio ordine interno che ne consentirebbe una percezione diretta. L’ordine interno, costituito dalla distribuzione spaziale e temporale dello stimolo, permette una diretta

“disponibilità” al suo riconoscimento (Agnoli, 1991).

Gibson ha definito questa disponibilità dello stimolo “affordance”. L’affordance sarebbe ciò che permette all’osservatore di estrarre le caratteristiche che definiscono l’uso e le finalità dell’oggetto percepito (Nicoletti e Rumiati, 2006).

Per esempio l’interruttore della luce suggerisce l’azione di premere così come una tazza suggerisce di essere afferrata impugnando il manico e non sollevando il piattino sul quale è appoggiata e così via.

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Sempre secondo la teoria della percezione diretta, l’affordance suggerita dall’oggetto all’osservatore si basa non soltanto su fattori fisici posseduti dall’oggetto, ma anche sullo stato psicologico e fisiologico dell’osservatore.

Per esempio, in uno stato di rabbia, un posacenere può perdere la sua affordance di appoggio della sigaretta nelle scanalature apposite e può assumere l’affordance di un oggetto pesante da afferrare e lanciare. Una delle critiche che viene mossa alla teoria della percezione diretta è quella che si riferisce alle illusioni ottiche, che dimostrerebbero che le sole caratteristiche fisiche dell’oggetto non permettono una sua corretta percezione. Gibson ha risposto che le illusioni ottiche sono un fenomeno quasi esclusivamente di laboratorio e non sono invece presenti in tutti quei contesti definiti naturali dove la percezione deve essere studiata, infatti, per questo motivo questa teoria viene anche chiamata “teoria ecologica della percezione”.

Una teoria della percezione, invece, a favore del processamento top-down è la teoria costruttivista (Bruner 1957; Rock 1983) secondo la quale, dato che noi non vediamo delle semplici configurazioni ma vediamo oggetti complessi, perché questo sia possibile è necessaria un’attiva ricerca della migliore interpretazione possibile delle caratteristiche disponibili. Secondo Gregory tale interpretazione definita “controllo delle ipotesi” non può che avvenire secondo il processamento top-down grazie al quale costruiamo le nostre percezioni attraverso i nostri processi cognitivi. Le due teorie descritte non sono del tutto opposte perché a ben vedere non c’è una netta contrapposizione tra il principio del controllo delle ipotesi proposto da Gregory e l’affordance dello stimolo oltre che lo stato psicologico e fisiologico dell’osservatore ipotizzato da Gibson (Nicoletti e Rumiati, 2006).

Un’altra teoria della percezione è quella di Neisser (1976). Ed è quella dell’analisi tramite sintesi. Secondo questa teoria la percezione sarebbe il risultato di una sequenza di stadi che avrebbe al primo posto la selezione preliminare dello stimolo visivo tramite un processo preattentivo e automatico in grado di fornire una prima rappresentazione dello stimolo visivo secondo un processamento di tipo bottom-up. Al secondo livello interverrebbe uno spostamento volontario dell’attenzione sullo stimolo analizzato prima. È in questo stadio che l’osservatore si forma una rappresentazione mentale dello stimolo, basata sulle aspettative e sulle esperienze passate, per poi metterla a confronto con la rappresentazione preliminare effettuata nello stadio precedente. Questo secondo stadio sarebbe evidentemente guidato da un processamento di tipo top-down. Ciò che avviene nel terzo stadio dipende dal risultato del confronto avvenuto nello stadio precedente. Se il confronto è positivo, allora la rappresentazione mentale dello stimolo ottenuta nel

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precedente viene considerata il risultato finale della percezione. Se invece il confronto tra la rappresentazione preliminare dei dati sensoriali e la successiva rappresentazione percettiva non coincidono, allora il sistema dovrà ipotizzare nuove rappresentazioni percettive fino a raggiungere la corrispondenza. Il maggior limite della teoria di Neisser riguarda la indeterminatezza dei processi che avrebbero luogo nella fase di confronto tra la rappresentazione preattentiva delle caratteristiche sensoriali e le rappresentazioni delle conoscenze già presenti in memoria. Anche la teoria della percezione di Mar (1982) prevede un livello di elaborazione di tipo bottom-up ed un livello più avanzato che si baserebbe su processamenti di tipo top-down (Nicoletti e Rumiati,2006)

Secondo tale teoria, la percezione inizia fin dall’immagine retinica dello stimolo che, attraverso stadi successivi, viene trasformata in una rappresentazione sempre più complessa. In particolare, per uno stimolo tridimensionale sarebbero necessari tre distinti stadi per arrivare ad una percezione completa: un primo stadio che può essere definito “schizzo primario bidimensionale 2-D” dello stimolo visivo che colpisce l’occhio; un secondo stadio costituito da uno schizzo e mezzo “ che aggiungerebbe gli indizi di profondità e orientamento; e un terzo stadio definito “modello tridimensionale 3-D” nel quale si ottiene la rappresentazione tridimensionale dello stimolo e le relazioni spaziali tra le sue varie parti ( Nicoletti e Rumiati, 2006).

In particolare, nel primo stadio non è coinvolta la percezione cosciente; le caratteristiche di forma e grandezza simili vengono automaticamente accorpate.

Nel secondo stadio lo stimolo comincia a delinearsi ma soltanto nelle sue parti percettivamente visibili all’osservatore e, naturalmente, la rappresentazione cambia cambiando il punto di osservazione. In questo stadio quindi non ci formeremo la rappresentazione delle quattro gambe del tavolo se alcune sue parti sono coperte da fogli, libri o altro. Per questo motivo viene anche definito “percezione centrata sull’osservatore”.

Nel terzo stadio si forma infine la rappresentazione tridimensionale dell’oggetto. In questa fase la rappresentazione viene integrata dalle conoscenze acquisite nelle esperienze passate. Nell’esempio del tavolo siamo ora in grado di formarci una rappresentazione completa della sua superficie (anche le parti nascoste degli oggetti “appartengono” ora alla superficie del tavolo) e delle altre parti che non siamo in grado di percepire (per esempio le gambe che non vediamo). Lo stimolo visivo indipendente dal

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punto di vista di osservazione e per questo lo stadio viene anche definito

“percezione basata sull’oggetto” (Nicoletti e Rumiati, 2006).

1.3 Modalità di riconoscimento degli oggetti 1.3.1Teoria della comparazione tra sagome.

Questa teoria sostiene che nella nostra memoria sarebbe archiviato un numero enorme di sagome, cioè tutte le forme degli oggetti che possiamo riconoscere. Quando ci troviamo in presenza di un oggetto, avrebbe luogo un’analisi di tutte le sagome simili contenute in memoria e al termine dei confronti verrebbe scelta quella uguale. Una volta ritrovata la sagoma uguale alla sagoma esterna avverrebbe il riconoscimento dello stimolo (Selfridge e Neisser, 1960).

Un esempio di funzionamento del processo di riconoscimento di questo tipo è dato dal sistema dei prezzi tramite i codici a barre sui prodotti del supermercato. Ogni prodotto ha un codice che corrisponde ad un identico codice immagazzinato nel sistema e il confronto tra i die permette di riconoscere quel particolare prodotto (Nicoletti e Rumiati, 2006).

Naturalmente, affinché il riconoscimento possa aver luogo, occorre che il codice sul prodotto (la configurazione esterna) siano esattamente sovrapponibili (Nicoletti e Rumiati, 2006).

Mentre nel caso del sistema dei codici a barre è possibile pensare ad un numero di configurazioni interne pari al numero dei prodotti in vendita, è difficile pensare che nella nostra memoria a lungo termine possa essere archiviato un così alto numero di configurazioni da permettere il riconoscimento di tutti gli stimoli che possono colpire il nostro sistema visivo.

Peraltro dobbiamo pensare che anche lo stesso stimolo esterno, per esempio il volto di un nostro amico, può variare la sagoma a seconda della luce, della lunghezza dei capelli e della barba, ma anche dell’angolo visivo dal quale lo guardiamo e così via (Nicoletti e Rumiati 2006) questo proprio perché non sarebbe “cognitivamente economico” immagazzinare migliaia di sagome per riconoscerne una questa teoria può spiegare il riconoscimento di configurazioni molto semplici.

1.3.2Teoria dei prototipi.

Prevede che il confronto avvenga tra lo stimolo esterno ed un prototipo interno che contiene le caratteristiche più frequenti di un certo insieme di oggetti. Un prototipo non contiene le proprietà della sagoma, ma è una

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rappresentazione astratta della configurazione. Ne consegue che il prototipo non deve essere una copia della configurazione esterna ma è sufficiente che condivida con essa alcune caratteristiche esterne (Posner e Keele 1968;

Solso e McCarthy, 1981). È interessane notare che, come dimostrato da Neuman (1977), siamo in grado di costruirci un prototipo anche nel caso in cui non abbiamo avuto esperienza precedente della configurazione. Ciò sta a significare che siamo in grado di formarci un prototipo nel quale sono integrate tutte le caratteristiche più tipiche di una configurazione anche se non abbiamo mai visto in precedenza la configurazione contenente tutte le caratteristiche più tipiche (Nicoletti e Rumiati, 2006). Purtroppo, questa teoria non spiega il modo attraverso il quale si formano prototipi nella nostra memoria e la modalità attraverso la quale sono archiviati in memoria ( Nicoletti e Rumiati, 2006).

1.3.2Teoria delle caratteristiche (o tratti).

Un’altra spiegazione del riconoscimento di stimoli visivi è quella che si basa su questa teoria. Secondo la quale il confronto non avverrebbe tra l’intera configurazione esterna e le sagome o i prototipi immagazzinati in memoria, ma tra alcune caratteristiche possedute dallo stimolo esterno e le caratteristiche archiviate in memoria. Secondo il modello di Selfridge (1959), il riconoscimento avrebbe luogo attraverso stadi successici. In un primo stadio la configurazione esterna sarebbe rilevata per come appare sulla retina. In un secondo stadio la configurazione esterna sarebbe “sezionata”

nelle sue caratteristiche specifiche individuando la presenza o assenza di linee verticali, orizzontali, oblique, angoli retti, acuti, ottusi, linee curve continue, discontinue ecc. in uno stadio successivo ci sarebbe poi il riconoscimento cognitivo (Nicoletti e Rumiati,2006).

1.4 I principi di organizzazione percettiva

Secondo gli psicologi appartenenti alla scuola della Gestalt, la nostra attività percettiva viene influenzata in maniera determinante da principi di raggruppamento percettivo presenti in ogni uomo dal momento della nascita (Koffka 1935; Kohler 1940; Wertheimer, 1923). Come è noto, infatti, la psicologia della Gestalt sostiene che la percezione si fondi su principi innati e nega l’importanza o il ruolo dell’esperienza (Nicoletti e Rumiati, 2006). La capacità di raggruppare stimoli isolati in sottoinsiemi e organizzarli come figura è, secondo la Gestalt una tendenza naturale, innata e quindi condivisa da tutti gli osservatori. I principali principi di organizzazione percettivi proposti

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sono: somiglianza, vicinanza, chiusura e continuità o buona direzione.

secondo il principio della somiglianza, quando in un insieme di stimoli, un certo numero sono simili tra loro, la percezione tenderà ad unificarli in un’unica figura. il principio della vicinanza afferma che, a parità di altre condizioni, se all’interno di un certo numero di stimoli ve ne sono alcuni vicini tra loro, questi verranno segregati a formare una figura unica e organizzata.

secondo il principio della chiusura, gli elementi che tendono a formare una figura chiusa vengono percepiti come un’unità organizzata a sé stante. per il principio della buona direzione, infine, viene data maggiore importanza e vengono percepite come continue le linee le cui traiettorie sono simili rispetto a linee le cui traiettorie sono opposte (Nicoletti e Rumiati, 2006).

1.5 Processi neuroanatomici nella visuo-percezione

Il riconoscimento degli oggetti va oltre la visione, e richiede modelli che incorporino diversi aspetti di significato. La maggior parte dei modelli si concentra su categorie sovraordinate (ad esempio, animali, strumenti) che non catturano la ricchezza della conoscenza concettuale. Noi sosteniamo che il riconoscimento degli oggetti deve essere visto come un processo dinamico di trasformazione da un input visivo di basso livello attraverso l'organizzazione categoriale a rappresentazioni concettuali specifiche. I modelli cognitivi basati su grandi insiemi di dati normativi sono adatti a catturare le regolarità statistiche all'interno e tra i concetti, fornendo sia la struttura delle categorie che l'individuazione a livello di base (Clarke e Tyler, 2015).

L'elaborazione distinta degli oggetti e dello spazio è stato un principio organizzativo per lo studio della visione superiore e della memoria del lobo temporale mediale. Qui, tuttavia, si discute di come le informazioni oggettuali e spaziali siano di fatto strettamente integrate nella visione e nella memoria. Il percorso visivo ventrale di elaborazione degli oggetti porta informazioni spaziali precise, trasformate da coordinate retinotopiche in dimensioni relative. Nelle fasi finali del percorso ventrale, compreso il lobo temporale anteriore dorsale (TEd), i neuroni sensibili agli oggetti sono mescolati con i neuroni che elaborano lo spazio ambientale su larga scala. TEd proietta principalmente alla corteccia peririnale (PRC), che a sua volta proietta alla corteccia entorinale laterale (LEC). RPC e LEC combinano anche informazioni oggettuali e spaziali. Ad esempio, i neuroni di PRC e LEC mostrano campi di luogo che sono evocati da oggetti di riferimento o dalle posizioni ricordate degli oggetti. Così, le informazioni spaziali, sia su scala locale che globale, sono profondamente integrate nel percorso ventrale (temporale) di elaborazione degli oggetti nella visione e nella memoria.

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È comunemente concepito che le aree corticali della regione ippocampale sono funzionalmente divisi in corteccia peririnale (PRC) e corteccia entorinale laterale (LEC), che selettivamente elaborano informazioni oggetto di processo, e la corteccia entorinale mediale (MEC), che elabora selettivamente le informazioni spaziali. Contrariamente a questa nozione, in uno studio di Connor e Rende del 2018 si notò che nei ratti che svolgono un compito che richiede sia l'elaborazione di oggetti che di informazioni territoriali, i singoli neuroni nella RPC, nel LEC e nel MEC, compresi quelli nelle aree corticali sia superficiali che profonde e nelle cellule di posizione, cocleari e della direzione della testa del MEC, hanno una gamma di selettività molto simile a quella degli oggetti e delle dimensioni spaziali del compito. Al contrario, l'analisi della somiglianza rappresentazionale dell'attività della popolazione rivela una distinzione chiave nell'organizzazione delle informazioni in queste aree, in modo tale che le popolazioni della RPC e del LEC danno priorità agli oggetti rispetto alle informazioni sulla localizzazione, mentre le popolazioni del MEC danno priorità alla localizzazione rispetto alle informazioni sugli oggetti.

Contrariamente all'opinione comune secondo cui le regioni cerebrali nei flussi

"cosa" e "dove" elaborano in modo distinto i segnali di oggetti e spaziali, rispettivamente, abbiamo scoperto che entrambi i flussi codificano sia l'oggetto che le informazioni spaziali, ma organizzano in modo distinto le memorie per gli oggetti e lo spazio. In particolare, la corteccia peririnale e la corteccia entorinale laterale rappresentano gli oggetti e, all'interno delle rappresentazioni specifiche dell'oggetto, i luoghi in cui si verificano. Al contrario, la corteccia entorinale mediale rappresenta i luoghi rilevanti e, all'interno di tali rappresentazioni spaziali, gli oggetti che li occupano. Inoltre, questi risultati vanno oltre le semplici nozioni della corteccia peririnale e dei neuroni della corteccia entorinale laterale come rivelatori di oggetti e dei neuroni MEC come rivelatori di posizione, e indicano un'organizzazione più complessa delle rappresentazioni della memoria all'interno del sistema del lobo temporale mediale.

1.5.1 L’analisi dell’informazione visiva: il ruolo della corteccia striata Le cellule gangliari retiniche codificano l’informazione relativa alla quantità di luce che le colpisce nel centro o alla periferia del loro campo recettivo e anche, in molti casi, l’informazione riguardante la lunghezza d’onda della

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sorgente luminosa. La corteccia striata elabora ulteriormente queste informazioni e le ritrasmette alla corteccia visiva associativa (Carlson, 2007).

La corteccia striata consiste di sei strati principali (e numerosi sottostrati), disposti in bande parallele alla superficie, questi strati contengono i nuclei cellulari e gli alberi dendritici e somigliano a strisce chiare e scure di tessuto (Carlson, 2007)

Hubel e Wiesel (1990) hanno rilevato che i neuroni della corteccia visiva non rispondono solo a macchie di luce: essi rispondono invece a caratteristiche specifiche del mondo visivo. Cioè, i circuiti neuronali della corteccia visiva combinano le informazioni provenienti da numerosi fonti (per esempio, dagli assoni di molte cellule gangliari).

1.5.2 L’analisi dell’informazione visiva: il ruolo della corteccia associativa

Sebbene la corteccia striata sia necessaria per la percezione visiva, la percezione degli oggetti e della scena visiva nella sua interezza non è realizzata a questo stadio anatomico del sistema. Ciascun modulo del sistema della corteccia striata vede solo una piccola parte di ciò che avviene nel campo visivo; quindi, per percepire completamente gli oggetti e le scene visive, bisogna integrare le informazioni provenienti da questi moduli separati.

Tale integrazione avviene appunto nella corteccia visiva associativa (Carlson, 2007).

L’informazione prodotta dalla corteccia striata è analizzata dalla corteccia visiva associativa. I neuroni della corteccia striata inviano assoni alla corteccia extra striata, la regione della visiva associativa che circonda quella striata (Zeki, Shipp, 1988). La corteccia extrastriata dei primati consiste in numerose regioni, ciascuna delle quali contiene una o più mappe indipendenti dal campo visivo. Ciascuna regione è specializzata nelle sue funzioni e contiene neuroni che rispondono a una particolare caratteristica dell’informazione visiva come l’orientamento, il momento, la frequenza spaziale, la disparità retinica o il colore. Fino a questo momento gli studiosi hanno identificato più di due dozzine di regioni e sotto-regioni della corteccia visiva del cervello di macaco.

Queste regioni sono organizzate gerarchicamente, a cominciare dalla corteccia striata ( Grill-Spector, Malach, 2004).

Gran parte dell’informazione aumenta di complessità, man mano che si sale nella gerarchia: ciascuna regione riceve gli input da quelle localizzate a livello

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inferiore, elabora questi input e li ritrasmette alle regioni superiori, affinchè li elaborino ulteriormente. Una certa quota di informazioni è anche trasmessa in direzione opposta, ma gli assoni che discendono ai livelli inferiori della gerarchia sono molto meno numerosi di quelli che salgono ai livelli più alti (Carlson,2007).

A questo punto la corteccia visiva associativa si divide in due vie. Sulla base di alcune ricerche Ungerleider e Mishkin (1982) hanno proposto l’esistenza, nella corteccia visiva associativa, di due canali di analisi: la via dorsale e la via ventrale. Ricerche neuroanatomiche, condotte in seguito hanno confermato questa teoria (Baizer, Ungerleider, Desimone, 1991). Un canale si estende verso una serie di regioni che costituiscono la via ventrale e termina nella corteccia temporale inferiore; l’altro ascende in regioni della via dorsale e termina nella corteccia parietale posteriore (Carlson, 2007).

La via ventrale riconosce cos’è un oggetto e che colore ha, mentre il canale dorsale localizza dov’è l’oggetto e l’eventuale movimento (Carlson, 2007).

1.5.3 L’analisi della forma

L’analisi dell’informazione visiva che ci porta alla percezione della forma ha inizio con i neuroni della corteccia striata, sensibili all’orientazione e alla frequenza spaziale. Questi neuroni inviano informazioni alla corteccia extrastriata, composta da numerose sottoregioni che analizzano l’informazione in questione e le ritrasmettono lungo il canale ventrale, verso la neocorteccia temporale (Carlson,2007).

Gli studi su persone che hanno subito un anno cerebrale alla corteccia visiva associativa ci hanno permesso di scoprire molte cose sull’organizzazione del sistema visivo umano (Carlson, 2007).

Lesioni a queste aree possono compromettere il riconoscimento visivo portando ad una condizione definita “agnosia visiva”. Il termine agnosia (

“incapacità di conoscere) si riferisce all’incapacità di percepire o identificare uno stimolo presentato in una certa modalità sensoriale, anche se i suoi dettagli possono essere rilevati mediante tale modalità e nonostante la persona mantenga inalterate le sue capacità intellettive generali. L’agnosia può presentarsi in due forme: appercettiva e associativa. L’agnosia visiva appercettiva consiste in problemi riscontrati nella percezione ad alti livelli, mentre le agnosie associative sono provocate da disconnessioni tra queste percezioni e il sistema verbale (Carlson,2007).

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Una persona affetta da agnosia appercettiva, che non riesce a riconoscere gli oggetti comuni, non riesce neppure a disegnarli o a copiarne il disegno fatto da altri, perciò possiamo parlare di deficit percettivo in senso proprio. Al contrario il cervello di pazienti, con agnosia associativa sembra contenere i circuiti neurali necessari al riconoscimento degli oggetti, ma le persone sono inconsapevoli delle loro percezioni. Per esempio, un paziente esaminato da Ratcliff e Newcombe(1982) riusciva a copiare il disegno di un’ancora; quindi, mostrava di percepire correttamente la forma dell’oggetto. Tuttavia, non riusciva a riconoscere né l’oggetto campione né l’oggetto campione né il disegno da lui stesso eseguito; se gli era chiesto di eseguire in un’altra occasione di eseguire il disegno di un’ancora (e non di eseguirne una copia), non era in grado di svolgere il compito. Anche se il paziente era capace di eseguire la copia di un’immagine reale di un’ancora, la parola “ancora” non riusciva ad evocare in lui l’immagine mentale corrispondente. Se inoltre, gli veniva chiesto di definire cos’è un’ancora, egli rispondeva abbastanza correttamente “un freno per le navi”, il che ci fa concludere che conoscesse sufficientemente bene il significato della parola. (Carlson,2007).

1.6 Apprendimento percettivo

L’apprendimento ci permette di adattarci al nostro ambiente e di rispondere ai cambiamenti che avvengono al suo interno.

In particolare, ci fornisce la capacità di eseguire un comportamento adatto ad una specifica situazione (Carlson,2007).

Le situazioni possono essere semplici, come il suono di un cicalino, o complesse, come l’interazione sociale di un gruppo di persone. La prima parte dell’apprendimento riguarda l’imparare a percepire. L’apprendimento percettivo consiste nell’imparare a riconoscere le cose, indipendentemente da cosa fare.

Nei mammiferi con cervelli grandi e complessi, i neuroni della corteccia associativa visiva si occupano del riconoscimento di oggetti. L’apprendimento visivo può essere estremamente rapido e il numero di oggetti che può essere ricordato è estremamente enorme. Infatti Standing (1973) ha mostrato a dei soggetti 10000 diapositive a colori, per poi rilevare che erano in grado di riconoscerne la maggior parte a distanza di settimane. Gli altri primati sono in grado di ricordare gli item che hanno appena visto solo per qualche secondo,

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e l’esperienza modifica le risposte dei neuroni nella loro corteccia visiva associativa (Rolls, 1995). L’apprendimento percettivo chiaramente implica cambiamenti delle connessioni sinaptiche nella corteccia visiva associativa, che stabiliscono nuovi circuiti neuronali. In seguito quando l’animale vede lo stesso stimolo e lo stesso pattern di attività è trasmesso alla corteccia, questi circuiti si riattivano. Questa attività costituisce il riconoscimento dello stimolo:

la lettura della memoria visiva. Per esempio Yang e Maunsell (2004) hanno addestrato delle scimmie a rilevare piccole differenze negli stimoli visivi le cui immagini erano proiettate su specifiche regioni della retina. Le registrazioni di singoli neuroni della corteccia visiva di associazione hanno dimostrato che le attività di risposta dei neuroni che ricevevano le informazioni da queste regioni retiniche addestrate erano divenute sensibile alle piccole differenze tra gli stimoli. Chiaramente, solo i circuiti neurali di quelle regioni erano stati modificati dall’addestramento.

1.7 Memoria percettiva a breve termine

Una memoria a breve termine è il ricordo che dura un breve momento di uno stimolo o di un evento; solitamente è dell’ordine di pochi secondi (Carlson,2007).

Apprendere a riconoscere uno stimolo implica modificazioni sinaptiche nelle appropriate regioni della corteccia sensoriale associativa, che stabiliscano nuovi circuiti di neuroni (Carlson, 2007).

Il riconoscimento di uno stimolo si stabilisce quando l’input sensoriale attiva questi specifici gruppi di circuiti neurali. La memoria a breve termine di uno stimolo necessita dell’attivazione di questi circuiti – o di altri attivati da essi- che continua anche dopo che lo stimolo è scomparso (Carlson, 2007).

I neuroni della corteccia visiva associativa sembrano codificare la memoria a breve termine per gli stimoli visivi. Molti studi hanno rilevato che la corteccia prefrontale è coinvolta anche in questa funzione (Carlson, 2007).

Infatti, in un compito di confronto differito con un modello fatto eseguire a scimmie, Funahashi, Bruce e Goldman. Rakic (1989) hanno osservato la comparsa di attività neurale nella corteccia prefrontale durante il periodo di intervallo, nelle prove in cui gli animali facevano la scelta corretta. Nelle prove in cui emettevano risposte sbagliate, non si osservava nessuna attività nello stesso intervallo considerato.

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1.8 Orientamento e movimento

Quasi tutti i neuroni della corteccia striata sono sensibili all’orientamento dello stimolo: cioè, se una linea viene a cadere nel campo recettivo di una cellula e ruota sul proprio centro, la cellula risponderà soltanto quando la linea avrà assunto una particolare angolatura – ovvero un particolare orientamento nello spazio. Alcuni neuroni rispondono meglio a una linea verticale e altri a linee orizzontali e altri ancora quando la liearà assuto na particolare angolatura- ovvero un particolare orientamento nello spazio. Alcuni Alcuni neurono rispondono meglio ad una linea verticale, alcuni ad una linea orizzontale e altri ancora a linee orientate secondo angoli intermedi.(Carlson, 2007).

Alcuni neuroni sensibili all’orientamento possiedono campi recettivi organizzati in aree con effetti opposti. Hubel e Wiesel (1979) li hanno definiti cellule semplici. Per esempio, una linea ad una particolare orientazione potrebbe eccitare una cellula se venisse posta al centro del suo campo recettivo, ma potrebbe anche inibirla se fosse spostata dal centro verso la periferia. (Carlson, 2007).

Anche un altro tipo di neurone, chiamato cellula complessa, risponde bene ad una linea orientata in modo particolare, ma non sembra possedere una periferia inibitoria: in altre parole, questo neurone continua a rispondere quando la linea è spostata all’interno del suo campo recettivo. Infatti, molte cellule complesse aumentano la loro frequenza di scarica, quando la linea è spostata perpendicolarmente al suo angolo di orientamento; in tal modo esse svolgono la funzione di rilevatrici di movimento. Inoltre, le cellule complesse rispondono altrettanto bene a linee scure su sfondo bianco e a linee bianche su sfondo scuro. Infine, le cellule iper-complesse rispondono sempre a linee con un’orientazione particolare, ma possiedono una regione inibitoria all’estremità della linea, il che significa che la cellula percepisce la posizione delle estremità di una linea orientata secondo un angolo definito (Carlson,2007).

L’orientamento dello stimolo è molto importante durante il movimento. I movimenti possono essere iniziati in diversi modi. Per esempio lo stiramento rapido di un muscolo innesca il riflesso monosinaptico da stiramento. Un passo sbagliato fa sì che si attivi un riflesso di raddrizzamento (Carlson, 2007). L’avvicinamento rapido di un oggetto al volto causa una risposta di sobbalzo, che è un riflesso complesso costituito dal movimento di differenti gruppi muscolari. Il cervello e il midollo spinale comprendono diversi sistemi

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motori, ognuno dei quali può controllare contemporaneamente particolari specie di movimenti (Carlson, 2007).

1.9 Iniziazione, imitazione e comprensione dei movimenti: il ruolo della corteccia motoria associativa

L’area motoria supplementare e la corteccia premotoria sono coinvolte nella pianificazione del movimento ed eseguono questi piani attraverso le loro connessioni con la corteccia motoria primaria (Carlson, 2007).

Gli studi di imaging funzionale evidenziano che quando le persone eseguono sequenze di movimenti – o le immaginano- queste regioni si attivano (Roth, et al., 1996).

Prove empiriche più recenti indicano che la corteccia motoria associativa è implicata anche nell’imitazione delle azioni effettuate da altre persone (una capacità che rende possibile l’apprendimento di nuovi comportamenti tramite l’osservazione di modelli) e persino nella comprensione delle funzioni dei comportamenti altrui (Carlson, 2007).

L’area motoria supplementare e la corteccia premotoria ricevono l’informazione dalle aree associative della corteccia parietale e da quella temporale. La corteccia visiva associativa è organizzata in due vie: la via ventrale che è implicata nel riconoscimento di oggetti e la via dorsale implicata nel capire dove è localizzato quell’oggetto (Carlson,2007).

Inoltre i ruoli parietali giocano un ruolo fondamentale nei movimenti organizzati sotto la guida visiva : il “come” della percezione visiva. Oltre a ricevere l’informazione visiva sullo spazio, il lobo parietale riceve l’informazione sulla localizzazione spaziale dal sistema somatosensoriale e dal sistema uditivo, e la integra con il sistema visivo (Carlson,2007).

Quindi, le regioni della corteccia frontale coinvolte nella pianificazione dei movimenti ricevono dal lobo parietale e dal lobo temporale le informazioni su che cosa sta avvenendo e dove si sta verificando. Poiché i lobi parietali contengono l’informazione spaziale, la loro connessione con i lobi frontali è molto importante nel controllo della locomozione e nei movimenti del braccio e della mano (Carlson,2007). Dopotutto, una locomozione sensata richiede la conoscenza di dove siamo e significativi movimenti delle nostre braccia e delle nostre mani richiedono di riconoscere dove sono localizzati gli oggetti nello spazio.

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1.10 Percezione del movimento

I neuroni della corteccia motoria primaria controllano i movimenti attraversi due gruppi di tratti discendenti, il gruppo laterale e il gruppo ventromediale, chiamati in questo modo per la loro posizione nella sostanza bianca del midollo spinale. Questo sistema è coinvolto nel controllo dei movimenti e degli arti indipendenti. Con l’espressione movimenti degli arti indipendenti, si intende che l’arto destro e sinistro eseguono movimenti differenti, o che un arto si muove mentre l’altro rimane fermo (Carlson, 2007).

Questi movimenti si differenziano da quelli degli arti coordinati, che sono, per esempio, quelli coinvolti nella locomozione.

In sostanza, alle persone è utile sapere non solo cosa sono le cose che stanno osservando, ma anche dove si trovano e dove stanno andando.

Senza la capacità di percepire la direzione e la capacità di movimento degli oggetti, infatti, non avremmo alcun modo di prevedere dove si troveranno in un certo momento: saremmo quindi incapaci di afferrarli o evitare che ci afferrino (Carlson, 2007).

Gli studi di imaging funzionali suggeriscono che l’area V5 che contiene neuroni che rispondono al movimento ricevendo input dalla corteccia striata, si trova all’interno del solco temporale inferiore del cervello umano (Dukelow et al., 2001).

Tuttavia, secondo uno studio più recente, questa regione è situata nella corteccia occipitale laterale (Annese, Gazzaniga, Toga, 2004).

La percezione del movimento può anche aiutarci a percepire forme tridimensionali, un fenomeno noto come induzione della forma in base al movimento. Johansson (1973) ha dimostrato appunto quanta informazione possiamo derivare dal movimento. Questo ricercatore faceva indossare ai suoi soggetti delle tute nere, su cui applicava delle piccole lampadine in corrispondenza di svariati punti del corpo, come i polsi, i gomiti, le spalle, le anche, le ginocchia e i piedi. Johansson, quindi realizzava dei filmati dei soggetti che si muovevano in una stanza buia camminando, correndo, zoppicando, oppure danzando con un partner che indossava la stessa luce con lampadine. Ebbene, anche se i soggetti che poi visionavano i filmati potevano vedere soltanto un insieme di luci su sfondo buio, essi riuscivano facilmente a riconoscere il pattern come appartenente ad un essere umano

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che compiva dei movimenti, e potevano identificare il tipo di comportamento che l’attore stava eseguendo (Carlson,2007).

Studi successivi (Kozlowski, Cutting, 1977; Barclay, Cutting, Kozlowski, 1978) hanno dimostrato che i soggetti riescono persino a dire, con un ragionevole grado di precisione, il sesso dell’attore di cui stanno osservando il filmato.

Tuttavia, altri studi hanno dimostrato che la percezione del movimento e la percezione della forma in base al movimento implicano regioni separate della corteccia visiva associativa.

La percezione della forma a partire dal movimento può sembrare un fenomeno privo di importanza al di fuori di un laboratorio. In realtà, invece, si tratta di un fenomeno che si verifica normalmente in moltissime situazioni, e sembra fare leva su meccanismi cerebrali diversi da quelli da quelli implicati nella semplice percezione degli oggetti. Per esempio, le persone che soffrono di agnosia visiva riescono ancora a percepire le “azioni” (come nel caso di uno che fa finta di mescolare qualcosa in una brocca), anche se non sanno riconoscere gli oggetti in base alla vista. Questi pazienti possono magari riconoscere un amico dal modo di camminare, anche se i loro volti non dicono loro nulla.

1.11 La compensazione dei movimenti oculari durante la percezione del movimento

Abbiamo parlato sino ad ora del movimento degli oggetti nel campo visivo.

Ma se una persona muove gli occhi o tutta la testa, l’immagine che cade sulle retina si muoverà, anche se tutti gli oggetti restano immobili (Carlson, 2007).

Naturalmente entrambi i tipi di movimento si verificano insieme, perciò un problema che il sistema visivo deve risolvere è determinare quali di queste immagini sono prodotte dal movimento degli oggetti e quali immagini sono prodotte dal movimento degli occhi (Carlson,2007).

Esempio: pensiamo a come ci appare la pagina di un libro che abbiamo davanti, se registrassimo un filmato su ciò che vede una delle nostre retine , vedremmo che l’immagine del libro proiettata su di essa è in movimento costante, eppure la pagina del libro ci sembra immobile. D’altra parte se fissiamo un punto della pagina e poi muoviamo a caso la pagina del libro, percepiremmo il libro in movimento, anche se in realtà l’immagine sulla nostra retina è stabile ( Carlosn, 2007)

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Pensiamo anche alle immagini che scorrono nella nostra mente quando guidiamo in mezzo al traffico e muoviamo gli occhi, per controllare la nostra posizione e quella degli altri veicoli che si muovono in direzioni e velocità diverse. Quello che percepiamo non è solo il movimento il movimento degli oggetti ma anche il flusso ottico, che ci aiuta a tenere sotto controllo le traiettorie degli oggetti gli uni rispetto agli altri e rispetto a noi stessi ( Carlson, 2007). Haarmeier e i suoi collaboratori (1997) hanno riferito il caso di un loro paziente il quale, in seguito ad una lesione bilaterale della corteccia extrastriata, non riusciva a compensare il movimento della testa e degli occhi.

Quando il paziente muoveva gli occhi, gli sembrava che il mondo si spostasse nella stessa direzione. Una volta perduta la capacità di compensare i movimenti della testa e degli occhi, un qualunque movimento dell’immagine retinica era percepito come un movimento dell’intero ambiente.

Successivamente attraverso altri studi, è stato ipotizzato che la compensazione coinvolge la corteccia extrastriata localizzata a livello della giunzione tra i lobi parietale e temporale.

1.12 Sistema visivo e TTC (time to contact)

Il sistema visivo umano è notevolmente abile nello specificare le caratteristiche dell'oggetto, come la forma e le dimensioni tridimensionali (3- D), sulla base di input visivi impoveriti, frammentati e/o mimetizzati. Per fare alcuni esempi, gli esseri umani sono in grado di percepire superfici tridimensionali complesse, da stereogrammi a punti casuali totalmente privi di spunti monoculari (Julesz, 1971), anche in condizioni in cui le superfici stereoscopiche devono essere ricostruite a partire da elementi di texture sparse o discontinue (ad esempio Yang e Blake 1995). Una sensibilità comparabile si evidenzia nel caso della percezione del movimento, dove l'uomo è in grado di percepire la curvatura della superficie (ad esempio Todd e Norman 1991) e le forme esotiche (Sperling et al 1989) a partire da sequenze di animazione in cui la struttura è specificata unicamente da trasformazioni nel tempo nelle posizioni di array casuali di punti (Vickl, Ahlstrom, et al, 1997). Nel mondo in cui viviamo, dove tutto è in costante movimento, troviamo che molti oggetti attraversano continuamente il nostro campo visivo. A volte, la loro traiettoria diventa nascosta per un breve periodo di tempo da altri oggetti. In queste circostanze, la capacità di giudicare con precisione il momento della riapparizione dell'oggetto nascosto diventa molto importante. Per esempio, per evitare un incidente durante la guida, dobbiamo giudicare, e lo facciamo in modo abbastanza accurato; il tempo che impiega una motocicletta a passare dietro un autobus fermo alla fermata. Questa

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abilità comune (abilità innata) solleva molte domande interessanti (Battaglini et al, 2013). Come si fa una stima del moto occluso sulla base del moto visibile? Studi precedenti hanno affrontato questo problema utilizzando un paradigma di previsione del movimento, in cui gli osservatori stimano il tempo di contatto (TTC) utilizzando le informazioni sulla velocità di inizio della traiettoria di un oggetto (prima dell'occlusione), cioè il tempo che intercorre tra la scomparsa del bordo d'attacco di un bersaglio dietro l'occlusore, e quando esso entrerebbe in contatto con un determinato punto di intercettazione. La differenza tra il "tempo di risposta totale" (tempo di risposta totale 5 TTC 1 durata della traiettoria visibile) e il "tempo di arrivo fisico" risulta nell'"errore di temporizzazione" (Battaglini et al, 2013).

Molti studi hanno cercato di determinare quale sia la strategia migliore per stimare il TTC. Un'idea è che le persone usano una strategia di "clock cognitivo" (DeLucia & Liddell, 1998). Essi calcolano il tempo di contatto prima dell'occlusione in base al tasso di variazione dell'angolo visivo tra un bersaglio in movimento e il suo punto finale. Questa rappresentazione temporale può poi essere "contata alla rovescia" durante il periodo di occlusione (Tresilian, 1995). Il modello di "clock cognitivo" sembra in contrasto con diversi risultati. Ad esempio, è stato dimostrato che i distrattori in movimento disturbano le prestazioni di estrapolazione del movimento (Lyon & Waag, 1995). Inoltre, l'induzione del moto come conseguenza di una traiettoria invisibile sposta sistematicamente il tempo di risposta (Gilden, Blake, & Hurst, 1995).

Il cervello è in grado di conservare le informazioni sulla velocità nella memoria visiva a breve termine in modo sorprendentemente preciso. Alcuni studi hanno indagato se questo sistema di memoria visiva (precoce) è attivo durante l'estrapolazione del movimento occluso e se riflette la percezione errata della velocità dovuta al contrasto e alle dimensioni. Alcuni esperimenti hanno mostrato che la riduzione del contrasto dell'obiettivo o l'aumento delle sue dimensioni hanno portato ad una sottovalutazione illusoria della velocità.

Altri esperimenti hanno mostrato che questo fenomeno illusorio si riflette nella memoria della velocità durante il movimento occluso, indipendentemente dalla gamma delle velocità visibili, dalla lunghezza della traiettoria visibile o invisibile e dal tipo di compito. Questi risultati suggeriscono che la velocità illusoria viene mantenuta in memoria durante il movimento invisibile (Battaglini,2013).

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Cattura dell’oggetto bersaglio

Nonostante sia stato osservato in tutto il regno animale, la cattura di un oggetto in movimento è un compito complesso e poco si sa sui meccanismi che stanno alla base di questo comportamento negli animali non umani.

Nella percezione del movimento l'anticipazione è fondamentale per un controllo del motore fluente e preciso nel tempo. Movimenti oculari anticipati, opportunamente temporizzati, compensano la risposta ritardata e reattiva al feedback visivo (Kowler e Steinman 1979; Ohashi e Barnes 1996), e quindi avvicinano l'immagine di destinazione, riducono la sfocatura e favoriscono la percezione degli oggetti in rapido movimento. Negli esseri umani, con una presentazione regolare e ripetuta degli stimoli di movimento del bersaglio, l'inseguimento regolare precede l'inizio della cattura del bersaglio di diverse centinaia di millisecondi (Barnes e Asselman 1991; Kao e Morrow 1994).

1.13 L'effetto del significato simbolico della velocità sul tempo di contatto

Nella vita di tutti i giorni, spesso dobbiamo stimare la ricomparsa di oggetti che sono scomparsi dalla nostra vista per un breve periodo. Per esempio, per evitare un incidente durante la guida è importante stimare il tempo di riapparizione di una moto che passa dietro un camion. In letteratura, il compito utilizzato per studiare questo fenomeno è chiamato compito di previsione-mozione (Tresilian, 1995). Il compito consiste nel premere un pulsante quando un bersaglio (generalmente in movimento traslazionale), che scompare dietro un occlusore, raggiunge un punto visibile. In altre parole, gli osservatori sono tenuti a stimare il tempo di contatto (TTC) tra ilbersaglio occluso e lo spunto (Battaglini, Campana, & Casco, 2013). Per raggiungere questo obiettivo in modo efficiente, gli osservatori devono estrapolare il moto dell’oggetto in movimento occluso e prevedere la sua posizione futura secondo una stima della velocità dell'oggetto in movimento (Battaglini &

Casco, 2016; Peterken, Brown,& Bowman, 1991). Rosenbaum (1975) ha trovato che gli osservatori sono molto bravi a stimare il TTC quando il bersaglio si muoveva a velocità costante. Tuttavia, diversi studi suggeriscono che la relazione tra il tempo di arrivo fisico(TTC effettivo) e TTC (stimato) non è lineare (Sokolov & Pavlova,2003) e può dipendere da diversi parametri,

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come ad esempio le dimensioni, la durata dell'occlusione, la velocità tipica dell'oggetto (Makin, Stewart, & Poliakoff, 2009) e la massa implicita dell'oggetto (Vicovaro, Noventa, & Battaglini, 2019).

Ad esempio, Makin et al. (2009) hanno mostrato che, dopo che gli osservatori hanno classificato un bersaglio rosso come lento e uno verde come veloce, quando eseguono un compito TTC hanno risposto come il bersaglio verde si stava muovendo più velocemente in quelle prove in cui sia il rosso che il verde si muovevano alla stessa velocità (20 gradi/s). Inoltre, anche la presenza di distrattori influenza la stima di TTC. (Battaglini,Contemori, et al., 2016). Gli effetti della dimensione e della velocità sono stati osservati in diversi studi. Ad esempio, nelle attività di cronometraggio in cui i partecipanti sono tenuti a stimare la durata degli stimoli presentati, la dimensione dello stimolo e il movimento potrebbero influenzare le stime temporali. Xuan, Zhang, He e Chen (2007) hanno dimostrato che i grandi stimoli sono percepiti per durare più a lungo di stimoli più piccoli e concludere che la durata temporale e le dimensioni non temporali (magnitudine) non sono indipendenti. Marrone (1995) ha mostrato come la durata degli oggetti in movimento sia stata sistematicamente giudicata più lunga della durata degli oggetti fissi. Inoltre, questo effetto di allungamento aumenta con l'aumentare della velocità di movimento e la durata viene giudicata più lunga quando le forme si muovono più rapidamente rispetto a quando si muovevano più lentamente.

Studi precedenti hanno proposto diversi modi per stimare il TTC; il TTC può essere stimato direttamente, utilizzando la contrazione dell'angolo visivo tra l'oggetto e il punto di destinazione (Hecht & Savelsbergh, 2004), oppure può essere misurato utilizzando una strategia di clocking (DeLucia & Liddell, 1998), utilizzando un monitoraggio visuo-spaziale (Makin & Poliakoff, 2011) o grazie ad un comune regolatore di velocità che aggiorna la simulazione mentale (Makin, 2018). Se il meccanismo utilizzato per eseguire il compito TTC comporta la velocità dell'oggetto la stima potrebbe essere influenzata da informazioni semantiche dall'alto verso il basso.

Ogni stimolo che percepiamo è sottoposto ad un'analisi semantica, cioè alla parola che utilizziamo per spiegare ciò che esprimiamo, che produce il suo significato in varie dimensioni (McKoon & Ratcliff,1989). Ad esempio, per esprimere il concetto di peso è possibile utilizzare una piuma, per ricordare l'idea di leggerezza, o per usare una pietra, per ricordare l’idea di pesantezza. Diversi lavori hanno dimostrato che analisi semantiche o modelli impliciti di fisica intuitiva influenzano una varietà di compiti percettivi/cognitivi

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(Dils & Boroditsky, 2010; Hsu, Taylor, & Pratt,2015; Meteyard, Bahrami, &

Vigliocco, 2007; Ramachandran, Armel,Foster, & Stoddard, 1998).

Meteyard et al. (2007) hanno condotto uno studio in cui i partecipanti hanno eseguito un compito di rilevamento del movimento durante l'ascolto di verbi che si riferivano a mozione. Quando i verbi erano incongruenti con il movimento la sensibilità percettiva nel compito di rilevamento del movimento è diminuita in modo significativo.

Reed e Vinson (1996) hanno dimostrato che i partecipanti del loro studio mostravano un maggiore slancio rappresentativo (cioè: errore nella percezione visiva in cui invece di riferirsi alla posizione esatta di un oggetto in movimento, la gente pensa che sia un po' più lontano lungo la sua traiettoria) per uno stimolo ambiguo etichettato come un razzo, che per lo stesso stimolo etichettato come campanile. Questa polarizzazione era ancora più grande quando si utilizzava l'immagine di un razzo vero e proprio e di una chiesa vera e propria. Zago, McIntyre, Senot e Lacquaniti (2008) hanno suggerito che è stato utilizzato un modello implicito e orientato all'azione dell'effetto della gravità quando si intercetta un oggetto in caduta libera. Vicovaro, Battaglini, e Noventa (2018) hanno dimostrato che i partecipanti hanno utilizzato un sistema pesante, veloce e leggero. È interessante notare che il concetto di moto implicito può influenzare anche i giudizi percettivi.

Nel mondo in cui viviamo, dove tutto è in costante movimento, troviamo che molti oggetti attraversano continuamente il nostro campo visivo. A volte, la loro traiettoria diventa nascosta per un breve periodo di tempo. In queste circostanze, la capacità di giudicare con precisione il momento della riapparizione dell’oggetto nascosto diventa molto importante. Per esempio, per evitare un incidente durante la guida, dobbiamo giudicare, e lo facciamo con precisione, il tempo che ci vuole perché una motocicletta passi dietro un autobus fermo alla fermata, questa abilità innata solleva molte domande interessanti. Come facciamo una stima di movimento occluso alla base del movimento visibile?

Studi precedenti hanno affrontato questo problema utilizzando un paradigma di previsione del movimento, in cui gli osservatori stimano il tempo di contatto (TTC) utilizzando le informazioni sulla velocità di avvio di un oggetto su una traiettoria (prima dell'occlusione), cioè il tempo che intercorre tra la scomparsa del bordo di attacco di un bersaglio dietro l'occlusore, e quando entrerebbe in contatto con un determinato punto di intercettazione.

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1.14 Processi percettivi e cognitivi in stima del tempo di contatto

Tre classi di compiti sembrano comprendere informazioni sul tempo di contatto (TTC): compiti di anticipazione delle coincidenze (CA), compiti di giudizio relativo (RJ) e azioni intercettive (LA). Un tipo importante di CA compito utilizzato per studiare la percezione del TTC è il compito di predizione – movimento.

Gli studi sulla tempistica delle prestazioni sono coerenti con l'idea che l'esecutore del compito tragga informazioni su TTC dall'input sensoriale.

Nel compito di CA, i soggetti sono tenuti a Dare una semplice risposta (ad esempio, premere un pulsante) allo stesso momento in cui il bersaglio in movimento arriva ad una posizione specificata, che possa essere chiamato qui il punto di contatto. Un importante tipo di compito di CA comporta la scomparsa del bersaglio in movimento dalla vista prima di raggiungere il punto di contatto; il soggetto è poi esortato a dare una risposta che coincida con il presunto arrivo del bersaglio al punto di contatto. Tali compiti di CA sono spesso indicati come compiti di previsione (PM).

Nel compito RJ, i soggetti indicano quali dei due obiettivi in avvicinamento arriveranno per primi dopo la loro scomparsa. In linea di principio non è necessario che l'osservatore attenda fino a quando l'obiettivo non scompare prima di dare una risposta. Nella maggior parte degli esperimenti, sembra che la risposta viene data dopo la scomparsa dell'obiettivo, ma l'osservatore può rispondere immediatamente, invece di aspettare che l'obiettivo sia giudicato come raggiunto(se avesse continuato). Un recente studio riportato da Regan e Hamstra (1993) hanno impiegato un interessante variante del compito RJ basata su un compito psicofisico.

Gli osservatori erano tenuti a indicare in ogni prova se un singolo obiettivo sarebbe arrivato ad un punto di contatto prima o dopo rispetto all'orario medio di arrivo per il set di stimoli, che servivano come forma di riferimento interno.

Tuttavia, ci sono importanti differenze tra i casi dove il bersaglio scompare prima che inizi la risposta rispetto a quando il bersaglio scompare dopo (J. R.

Tresilian, 1995).

In conclusione, abbiamo spiegato cosa è la percezione, partendo dal sistema visivo, il ruolo fondamentale della corteccia striata e della corteccia

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associativa, citando alcune variabili di stima del time to contact e della sua importanza sia percepire il movimento sia per prevederlo.

CAPITOLO 2

DIFFERENZE DI GENERE

Per genere si intende l’insieme dei tratti sociali e culturali che caratterizzano il comportamento, il vissuto e i ruoli di una persona in termini di mascolinità o femminilità. Tale concetto è stato introdotto nell’ambito delle scienze sociali nel 1975, allo scopo di porre attenzione all'importanza della dimensione sessuata della realtà sociale e, prendendo in considerazione sia maschi che femmine, sottolineare le relazioni e le differenze tra i due (Rubin, 1975). Il sesso denota la categoria biologica e anatomica (maschio/femmina), il genere si riferisce ai tratti sociali, culturali e psicologici che caratterizzano gli individui di sesso differente. Il termine genere è usato quindi in opposizione al termine sesso per indicare un processo di costruzione sociale contrapposto ad un mero dato biologico. Il genere è significato sociale assunto dalle 35 differenze sessuali. La prima etichetta che contraddistingue un essere sociale alla nascita, è proprio l’essere maschio o femmina. Maschile e femminile si configurano, pertanto, come due categorie complementari e reciprocamente escludentisi, nelle quali sono collocati tutti gli esseri umani (Cucchiari, 2000).

Jessica Benjamin parlando di "eterodossia dei sessi", designa in prospettiva relazionale lo sviluppo del genere e dell’identità dell’individuo, sostenendo che alla nascita non esiste una reale distinzione di genere tra maschio e femmina e che un individuo, sviluppando la propria identità in conseguenza delle relazioni con altri individui, abbia in sé sia tratti maschili che tratti femminili. Il concetto di un soggetto-sé unitario, risulta, infatti, inadeguato secondo l’autrice, in quanto il soggetto è un contenitore e un luogo plurale di esperienza. L’identità incompleta del soggetto si orienta verso la relazione con l’altro. L’identità si basa sull’introiezione della differenza dell’altro, o altri;

differenza che è anche differenza di genere (Benjamin, 2006). Tutti, dunque, siamo maschi e femmine, con una distinzione evidente dal punto di vista biologico:

• Femmina: è l’individuo portatore di gameti femminili, atti ad essere fecondati da quelli maschili, al fine della riproduzione della specie;

• Maschio: è l’individuo portatore dei gameti maschili, atti a fecondare quelli femminili al fine della riproduzione della specie (Zingarelli, 1999). Nel momento in cui definiamo un soggetto come maschio o femmina, stiamo

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