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Scuola di Specializzazione in Medicina Legale

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Academic year: 2022

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Scuola di Specializzazione in Medicina Legale

“ANALOGIE E DISCOSTAMENTI TRA GIUSTIZIA PENALE E GIUSTIZIA ORDINISTICA: ANALISI CASISTICA E CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI SUI

PROCEDIMENTI VERSO GLI ISCRITTI ALL’ORDINE DEI MEDICI-CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DI MILANO”

Relatore:

Chiar.mo Prof. Andrea Gentilomo

Correlatore:

Dott. Giuseppe Deleo

Tesi di Specializzazione di Maddalena Giriodi

Matricola: S61958

Anno Accademico 2020-2021

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La morale è individuale, la legge è universale, l’etica è convenzionale ed il livello etico di un Ordine Professionale riflette quello dell’intero Paese

Vito Tenore

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INDICE

PREMESSA ... 6

IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE ORDINISTICO: RIFERIMENTI NORMATIVI E PROCEDURALI ... 7

La celebrazione del procedimento ... 16

La fase dibattimentale ... 17

La camera di consiglio ... 17

La notifica della decisione... 19

Le sanzioni ... 20

RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E GIUDIZIO DISCIPLINARE ... 28

Autonomia della decisione disciplinare ... 28

LA LEGGE LORENZIN: COSA CAMBIERA’? ... 38

MATERIALI E METODI ... 41

RISULTATI ... 42

Distribuzione in base al sesso ... 42

Distribuzione in base all’età ... 42

Fonti degli esposti e delle comunicazioni pervenute all’Ordine dei Medici ... 43

Articoli del codice penale violati ... 45

Esiti del procedimento penale ... 46

Esiti procedimento disciplinare ... 48

Articoli del Codice Deontologico violati ... 49

Esiti disciplinari nei casi di assoluzione penale ... 50

Esiti disciplinari nei casi di prescrizione penale ... 51

Esiti disciplinari nel caso di sentenza con solo pena pecuniaria (anche da conversione di pena detentiva) ... 52

Esiti disciplinari nei casi di sentenza di condanna >2 anni ... 52

Esiti penali in seguito alla violazione dell'articolo 348 ... 54

Esiti disciplinari in seguito alla violazione dell'articolo 348 ... 55

CONCLUSIONI ... 57

BIBLIOGRAFIA ... 59

RINGRAZIAMENTI ... 62

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PREMESSA

La responsabilità disciplinare degli esercenti la professione sanitaria ha un ruolo di particolare importanza, soprattutto per le possibili interferenze ed embricazioni con gli altri procedimenti che possono originare dal medesimo fatto. È una forma di responsabilità ulteriore a quella civile e penale (ed eventualmente a quella contabile-amministrativa) e nasce dalla violazione delle norme deontologiche che governano la professione.

Queste ultime posso essere considerate come un insieme di norme comportamentali a cui il professionista iscritto a un Ordine si deve attenere; sono atti di soft-low, in quanto non promulgate da organi dello Stato bensì scelte e condivise da una determinata categoria;

ciononostante possono essere previsti aspetti sanzionatori con ricadute dirette sulla possibilità di svolgere la professione. Importante sottolineare come tali norme comportamentali vadano a disciplinare non solo l’esercizio della professione in senso stretto ma anche il decoro e la dignità diventando così contigue alla sfera della vita privata, come esplicitato nel commento all’art.1 della FNOMCEO ove viene ribadito il concetto che: “le norme deontologiche non riguardano solo l’attività professionale ma incidono su tutta la sfera comportamentale del professionista. Infatti, la deontologia medica rappresenta l’insieme delle norme riguardanti i doveri del medico nei suoi rapporti con le autorità, con i cittadini e con i colleghi ...”.

Di particolare interesse è il cercar comprendere se questa forma di giustizia applicata all’esercizio della professione sanitaria possa essere considerata meramente sovrapponibile alla giustizia di tipo ordinario o al contrario si manifesti con caratteristiche di maggiore o minore severità; in altre parole valutare la presenza di tratti di analogia o discostamento tra i due ambiti.

Per cercare di dare risposta a tale quesito,si è pensato di svolgere un’analisi della casistica degli iscritti all’Ordine dei Medici di Milano sottoposti a procedimenti penali nel periodo corrente dall’anno 2015 all’anno 2019 andando a valutare se vi fosse una corrispondenza in termini di gravità di sanzione tra giudicato penale e ordinistico. Di seguito si riportano i risultati svolgendo alcune riflessioni sul punto.

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IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE ORDINISTICO: RIFERIMENTI NORMATIVI E PROCEDURALI

Il momento dell’iscrizione all’albo professionale1 ha molti significati ma sicuramente delle conseguenze in termini giuridici amministrativi: da un lato il medico può da quel momento iniziare a svolgere la propria professione e dall’altro accetta di essere sottoposto alle norme cosi come disciplinate del proprio codice deontologico. Operando questo automatismo si crea immediatamente l’obbligo del rispetto dello stesso.

Le norme del Codice di deontologia, in materia di responsabilità disciplinare, come detto, costituiscono mere esplicitazioni esemplificative dei principi generali contenuti nella legge istitutiva e nello stesso codice di deontologia, di dignità, di lealtà, di probità e di decoro professionale e, in quanto prive di ogni efficacia limitativa della portata di detti principi, sono inidonee a esaurire la tipologia delle violazioni disciplinarmente rilevanti.

Le relative sanzioni sono inflitte dall’Ordine professionale2 nel cui Albo è iscritto il professionista ed il procedimento è celebrato dinanzi a particolari organismi interni all’Ordine3. Il procedimento disciplinare nei confronti dei professionisti sanitari è disciplinato dal D.P.R. n. 221/1950 e dal Regolamento per la esecuzione del D.Lgs. n.

233/1946 sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie, il quale ha codificato il potere disciplinare degli Ordini professionali sanitari.

L’articolo 1 del Codice di deontologia medica “Definizione” ribadisce che “il Codice di Deontologia Medica contiene principi e regole che il Medico Chirurgo e l’Odontoiatra, iscritti agli albi professionali dei medici chirurghi e degli odontoiatri, di seguito indicati con il termine di medico, devono osservare nell’esercizio della professione. Il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa in armonia con i principi di solidarietà, umanità e impegno civile che la ispirano. Il medico è tenuto a prestare la massima collaborazione e disponibilità nei rapporti con il proprio Ordine Professionale. Il medico è tenuto alla conoscenza delle norme del presente Codice, e degli orientamenti espressi nelle

1“ Iscrizione all’albo professionale è definita provvedimento amministrativo con funzione di accertamento costitutivo..”GIANNINI M.S., Diritto amministrativo,II,Milano,1993.

2 “...ordini e collegi professionali, enti pubblici associativi non economici ad appartenenza

necessaria...V.FERRARA, Note critiche sulla natura giuridica degli ordini professionali, in Dir. Amm.,2011

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allegate linee guida, la ignoranza dei quali, non lo esime dalla responsabilità disciplinare.

Il medico deve prestare giuramento professionale”.

Il Codice deontologico costituisce un corpus formalizzato di regole di autodisciplina a cui gli iscritti devono adeguare la loro condotta professionale al fine di evitare comportamenti illeciti, mantenere la fiducia dei cittadini, legittimare la professione4. Pertanto, i fatti che possono formare oggetto di procedimento disciplinare sono innanzitutto quelli derivanti dall’inosservanza dei precetti, degli obblighi e dei divieti fissati dal vigente Codice, ed ogni azione od omissione comunque disdicevoli al decoro o al corretto esercizio della professione (articolo 2 “Potestà e sanzioni disciplinari. Sanzioni.”). Fermo restando che la CCEPS5 (Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie) ha di recente ulteriormente allargato il campo dell’indagine disciplinare precisando che “Nel giudizio disciplinare non è necessaria l'individuazione di una specifica disposizione che si assume violata, come invece accade nel diritto penale, potendosi ricavare l'infrazione anche da principi di deontologia professionale, o anche attinenti alla morale sociale, all’etica professionale non necessariamente stigmatizzati da disposizioni normative specifiche” (n. 55 del 6 dicembre 2010).

L’azione disciplinare è promossa d’ufficio, quando l’Ordine o Collegio o la Federazione viene a conoscenza di fatti – apprezzabili disciplinarmente - di pubblica notorietà o a seguito di un esposto, di una segnalazione da parte di altro Ordine provinciale, della ASL o di una Procura della Repubblica di altra circoscrizione territoriale. Peraltro, è irrilevante, ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare, la mancanza di un esposto o il ritiro dello stesso o l’assenza di una qualsiasi segnalazione, anche anonima6, purché l’Ordine sia, comunque, venuto a conoscenza di un fatto o atto suscettibile di valutazione in sede disciplinare.

4 BELELLI, Il codice di deontologia medica e il suo valore giuridico, GIUFFRE’, Milano,1999.

5 La Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie è un organo di giurisdizione speciale, istituito presso il Ministero della Salute con il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233. la Commissione Centrale è preposta all'esame dei ricorsi presentati dai professionisti sanitari contro i provvedimenti dei rispettivi Ordini e Collegi professionali in determinate materie (iscrizione e cancellazione dall’albo, provvedimenti disciplinari di competenza delle Commissioni d’albo; operazioni elettorali). https://www.salute.gov.it/.

6 Qualora pervenga a conoscenza dell’Ordine un fatto in base a una denuncia anonima, nessun accertamento preliminare verrà svolto né della denuncia verrà fatto alcun uso, conformemente a quanto previsto dall’art. 333, comma 3, del codice di procedura penale. Tuttavia, qualora una segnalazione, se pur anonima, sia corredata da elementi probatori oggettivi, come foto o dépliant che forniscono all’Ordine un riscontro obiettivo e facilmente verificabile nella sua veridicità, potrà essere dato seguito all’accertamento dei fatti così conosciuti, conformemente a quanto disposto dal comma 2 dell’art. 38 del DPR 221/50 che prevede la possibilità di aprire il procedimento disciplinare d’ufficio.

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Nell’ipotesi in cui l’esposto sia a firma di un cittadino, il Presidente deve accertarne l’autenticità della firma, interpellando l’autore dell’esposto stesso. Se l’esponente nega la paternità o rifiuta di confermare quanto denunziato, il Presidente procederà all’archiviazione della pratica, perché la notizia non è confermata.

Si esclude nel modo più categorico che un cittadino, o un’associazione, che presenta all’Ordine un esposto contro un medico o un odontoiatra possa assumere la figura di contraddittore necessario nel procedimento disciplinare, essendo i contraddittori tassativamente indicati dalla legge, vale a dire il Ministro della Salute e il Procuratore della Repubblica che, unitamente al medico o all’odontoiatra incolpati e sanzionati dall’Ordine, hanno la capacità di essere parte7. Parimenti, godono della capacità di essere parte dinanzi alla Cassazione l’Ordine e la Federazione, ognuna nell’ambito della propria competenza, avverso le decisioni della CCEPS.

L’articolo 39 del Regolamento prevede che il Presidente dell’Ordine o Collegio, allorché viene a conoscenza di un fatto o atto, che può formare oggetto di procedimento disciplinare, dopo aver verificato sommariamente la fondatezza e la veridicità della notizia, convoca il sanitario per l’audizione. L’espressione “che può formare oggetto di procedimento disciplinare” sintetizza il precedente art. 38 ove si parla di “abusi o mancanze nell’esercizio professionale o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale”. L’indeterminatezza fa sì che, anche nell’ipotesi di un pur minimo fumus di violazione delle norme del Codice di deontologia, il presidente deve verificare, anche se sommariamente, la loro fondatezza e veridicità8. Nell’indagine preliminare, infatti, non si deve accertare necessariamente la colpevolezza o l’innocenza dell’iscritto indagato, ma si deve verificare soltanto se la condotta tenuta, il fatto o l’atto sia effettivamente avvenuto, se sia riconducibile all’iscritto medesimo e se, infine, possa, anche genericamente, configurare una violazione disciplinare.

Esaurita la fase istruttoria, il Presidente, dopo aver valutato i fatti, se li ritiene ragionevolmente apprezzabili sotto l’aspetto disciplinare, riferisce al Consiglio che, a suo insindacabile giudizio, ma non arbitrario, delibera l’apertura o l’archiviazione del procedimento. Qualora gli elementi raccolti non siano sufficienti per l’adozione della deliberazione, sia essa di archiviazione che di apertura del procedimento, il Consiglio

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8 RAIMONDI F.,RAIMONDI L., Il procedimento disciplinare nelle professioni sanitarie, Giuffrè, Milano, 2006, 48.

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direttivo richiede un supplemento di indagini. Avverso la deliberazione motivata di archiviazione non è ammesso ricorso. In materia disciplinare, infatti, non è ammessa impugnazione dei singoli atti del procedimento, ma soltanto avverso la decisione conclusiva ovvero –come si dirà nel prosieguo - anche avverso l’apertura dello stesso.

Il Presidente dell’Ordine o Collegio o della Federazione (per gli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, il Presidente della Commissione competente), esaurita l’istruttoria preliminare consistente nella constatazione della veridicità del fatto o atto, apprezzabile sotto l’aspetto disciplinare, nell’acquisizione di documenti ed eventuali prove testimoniali, nell’ascrivibilità del fatto stesso all’iscritto indagato e la non intervenuta prescrizione procede alla convocazione del sanitario per l’audizione. La convocazione è effettuata a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi dell’articolo 79 del Regolamento, con un congruo tempo di preavviso e l’espresso avvertimento che, qualora non si presenti e non giustifichi la sua assenza, il procedimento avrà luogo, in ogni caso.

Nell’avviso di convocazione, ai sensi dell’art. 39 del Regolamento, devono essere indicati il luogo, il giorno, l’ora e il motivo della convocazione.

Di certo non è richiesto, né è possibile, indicare i fatti concreti o la loro menzione circostanziata, atteso che, allo stato, è in corso la fase preliminare di accertamento degli stessi fatti e l’audizione è strumentale al riguardo. A ciò si deve aggiungere che non è stata ancora deliberata l’apertura del procedimento e conseguentemente non sono stati, quindi, individuati i fatti apprezzabili disciplinarmente e formulati gli addebiti.

Alla luce della recente giurisprudenza, quindi, l’Ordine, su richiesta dell’iscritto indagato, deve far visionare e consegnare copia del fascicolo personale. L’indagato, in tal modo, viene a conoscenza delle accuse che gli sono state mosse ed è posto in grado di predisporre la propria difesa sin dal momento dell’audizione, prevista a sua tutela. Inoltre, l’iscritto, oggetto dell’esposto, può tutelare nelle sedi giudiziarie competenti, ove lesi, i propri diritti, che sono di pari rango a quelli dell’esponente.

Nell’ipotesi, invece, in cui la convocazione avvenga a seguito di condanna penale, il motivo deve essere indicato in modo esplicito, disponendo l’Ordine di tutti gli elementi accusatori.

Nella lettera deve essere specificato che la convocazione avviene ai sensi dell’art. 39 DPR 221/50. L’intervento personale dell’indagato all’audizione è una facoltà e non un obbligo e, pertanto, può rinunziarvi; in tal caso non potrà far valere in sede di gravame un vizio del procedimento. Nell’ipotesi in cui l’indagato non si avvalga di tale facoltà ciò non costituirà,

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di per sé, motivo di distinto addebito, a meno che le modalità con cui si verifica e il ripetuto e ingiustificato diniego a presentarsi siano indice di mancanza di riguardo all’istituzione.

Diversa è la posizione dell’iscritto che deve comparire dinanzi al Presidente e collaborare con la propria testimonianza a far chiarezza sui fatti in via di accertamento. La mancata presentazione del sanitario, nella fattispecie, costituisce fatto illecito perseguibile disciplinarmente.9

L’audizione deve essere effettuata da un Organo monocratico individuato nella persona dei Presidenti delle Commissioni, ciascuno per le proprie competenze così come in precedenza precisato, a esclusione di qualsiasi altro componente delle Commissioni.

Nell’ipotesi in cui all’audizione partecipasse altro componente delle Commissioni o terzi, si altererebbe la composizione dell’Organo che, da monocratico, diverrebbe collegiale e ciò in contrasto con il dettato di legge.

In caso di assenza, incompatibilità o impossibilità del Presidente della Commissione iscritti albo Medici Chirurghi, le funzioni vengono svolte dal Vicepresidente dell’Ordine solo nel caso in cui questi sia un Medico Chirurgo. Se anche quest’ultimo è assente, incompatibile o impossibilitato, è il Consigliere più anziano di iscrizione all’Albo a svolgere l’audizione.

Le modalità dell’audizione sono precisate dall’articolo 39 e successivi del DPR 221/50.

All’atto dell’audizione preliminare, il Presidente della Commissione, dopo aver esposto in dettaglio il motivo della convocazione, procederà a rivolgere al sanitario specifiche domande alle quali lo stesso è tenuto a rispondere.

Nell’ipotesi in cui il comportamento tenuto sia apprezzabile sotto l’aspetto disciplinare, ma non sia riconducibile ad alcuna norma deontologica violata, il sanitario è in ogni caso perseguibile disciplinarmente, atteso che – come già è stato sottolineato in precedenza - le fattispecie previste nel Codice di deontologia hanno soltanto valore indicativo e non esaustivo. Nell’esercizio del potere disciplinare, infatti, non vige il principio di stretta legalità di cui al secondo comma dell’art. 25 della Costituzione per il quale non esiste alcun reato se non è previsto dalla legge.

Le norme del Codice di deontologia, in materia di responsabilità disciplinare, come detto, costituiscono mere esplicitazioni esemplificative dei principi generali contenuti nella legge istitutiva e nello stesso codice di deontologia, di dignità, di lealtà, di probità e di decoro

9 Codice di Deontologia Medica, art.66: “Doveri di collaborazione” prevede che: “la mancata collaborazione e disponibilità del medico convocato dal Presidente dell’Ordine costituisce ulteriore elemento d valutazione ai fini disciplinari.”

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professionale e, in quanto prive di ogni efficacia limitativa della portata di detti principi, sono inidonee a esaurire la tipologia delle violazioni disciplinarmente rilevanti

Si deve, altresì, verificare la veridicità e l’ascrivibilità del fatto al sanitario incolpato nel caso in cui la notizia sia stata appresa attraverso i mass media.

Nel corso della fase istruttoria il Presidente può raccogliere anche prove testimoniali di cittadini che possono, però, opporre rifiuto a comparire e deporre. L’Ordine, al fine di esercitare la vigilanza sul comportamento dei propri iscritti, qualora non sia in grado di accertare in modo autonomo la veridicità degli addebiti, può avvalersi dell’attività ispettiva di un’agenzia investigativa.

Esaurita la fase istruttoria, il Presidente, dopo aver valutato i fatti, se li ritiene ragionevolmente apprezzabili sotto l’aspetto disciplinare, riferisce al Consiglio che, a suo insindacabile giudizio, ma non arbitrario, delibera l’apertura o l’archiviazione del procedimento. Qualora gli elementi raccolti non siano sufficienti per l’adozione della deliberazione, sia essa di archiviazione che di apertura del procedimento, il Consiglio direttivo richiede un supplemento di indagini. Avverso la deliberazione motivata di archiviazione non è ammesso ricorso. In materia disciplinare, infatti, non è ammessa impugnazione dei singoli atti del procedimento, ma soltanto avverso la decisione conclusiva ovvero –come si dirà nel prosieguo - anche avverso l’apertura dello stesso.

All’atto dell’audizione preliminare, il Presidente della Commissione, dopo aver esposto in dettaglio il motivo della convocazione, procederà a rivolgere al sanitario specifiche domande alle quali lo stesso è tenuto a rispondere.

Il colloquio deve avvenire nella massima serenità, facendo preliminarmente intendere al collega che si sta adempiendo a un obbligo procedurale e chiarendo che il sanitario è considerato innocente fino al riconoscimento definitivo dell’addebito mossogli. Occorre ribadire che l’audizione non coincide con l’apertura del procedimento disciplinare ma consiste nell’acquisizione di notizie nell’interesse del convocato.

Dell’audizione va redatto apposito verbale, che il convocato dovrà sottoscrivere, e nel quale devono essere riportati il luogo, la data, l’identità del sanitario ascoltato e del Presidente; nel preambolo del verbale vanno citati gli estremi della lettera di convocazione e, a conclusione dell’audizione, una copia del verbale deve essere consegnata all’interessato.

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Il verbale consisterà in domande poste con chiarezza dal Presidente, e nelle relative risposte del sanitario. Non risponde allo spirito della procedura la consegna al sanitario di un foglio contenente le domande con l’impegno a restituirlo entro una determinata data. Poiché verrebbe a mancare quel contraddittorio spontaneo tra il sanitario sottoposto a procedimento disciplinare e il Presidente e quindi l’occasione di proporre una ricostruzione personale dei fatti addebitati, elemento che potrebbe rivestire un’importanza decisiva nel successivo giudizio da parte della Commissione.

Il Presidente, dopo aver garantito che tutti i componenti della Commissione possano avere visione del verbale dell’audizione preliminare e di tutti gli atti istruttori, deve riferire alla Commissione stessa formalmente convocata in merito agli elementi acquisiti e ai fatti narrati dal sanitario, senza esprimere opinioni. È la Commissione, Organo collegiale, che decide, in base agli elementi di prova acquisiti, se si debba promuovere a carico del sanitario un procedimento disciplinare ovvero se si possa procedere all’archiviazione della pratica nel caso in cui il fatto risulti manifestamente infondato o assolutamente irrilevante dal punto di vista disciplinare, o se si debba chiedere al Presidente della Commissione di esperire ulteriori indagini, anche ascoltando di nuovo l’interessato.

Quindi, la Commissione può decidere per:

1. L’archiviazione, qualora non ricorrano gli estremi per procedere disciplinarmente.

2. L’apertura del procedimento disciplinare in quanto gli atti addebitati possono costituire violazione di regole deontologiche.

3. Il mandato a svolgere ulteriori indagini al Presidente sugli addebiti mossi al sanitario.

La Commissione gode di piena discrezionalità e indipendenza nella decisione di procedere all’archiviazione o all’apertura del procedimento disciplinare, eccetto che nel caso, come già detto, in cui l’istanza provenga dal Ministro della Salute o dal Procuratore della Repubblica10.

Per la validità delle decisioni, è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti (per maggioranza si intende la metà più uno dei componenti). La decisione è assunta

10 Fermo restando che l’esito di tale procedimento può essere di pieno proscioglimento.

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anch’essa a maggioranza dei voti. In caso di parità prevale il voto del Presidente. Gli astenuti vanno conteggiati ai fini del quorum. La votazione è palese per alzata di mano.

Se si assume la decisione di aprire il procedimento disciplinare, tale decisione deve riportare in maniera circostanziata gli addebiti oggetto del giudizio (indicazione precisa delle circostanze di tempo, luogo e modalità, nonché della norma violata).

Può essere nominato un relatore con lo scopo di semplificare lo svolgimento del procedimento disciplinare, al quale è affidato lo studio degli atti che gli altri Colleghi apprenderanno dalla sua relazione, fornisce una informazione circa lo stato degli atti istruttori, al momento della celebrazione del procedimento disciplinare.

Nel caso in cui non si sia provveduto alla nomina del relatore, il procedimento è ugualmente valido se tutti i relativi atti siano letti in seduta dal Presidente.

Delle decisioni assunte dalla Commissione va redatto apposito verbale. Dell’avvenuta apertura del procedimento viene formalmente messo a conoscenza il Presidente dell’Ordine il quale dovrà darne comunicazione, a mezzo lettera racc. a.r., al Ministro della Salute e al Procuratore della Repubblica. Il Presidente dell’Ordine deve essere messo a conoscenza dell’apertura del procedimento disciplinare da parte del Presidente della Commissione albo Odontoiatri (nell’altra Commissione è lui stesso il Presidente) anche al fine di comunicare al responsabile della tenuta degli albi tale decisione per l’apposita annotazione e quindi consentire al Presidente medesimo e al Consiglio Direttivo, cui compete la tenuta degli Albi, di esprimere, con cognizione di causa, l’eventuale parere sulla richiesta di trasferimento a altro Ordine provinciale o di cancellazione dall’albo.

È invece il Presidente della Commissione, a seguito della decisione di apertura del procedimento disciplinare, che deve darne comunicazione all’interessato con lettera racc. a.

r. precisando:

1. La menzione circostanziata degli addebiti11.

2. La specifica norma deontologica presumibilmente violata.

11 Un addebito generico e imprecisato, come a es. fatto disdicevole, comportamento scorretto, può viziare l'intero procedimento, in quanto non mette l'incolpato nella condizione di difendersi efficacemente.

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3. L’indicazione del giorno, ora e luogo della celebrazione del procedimento. Il giorno deve essere fissato in data distante almeno 20 giorni liberi da quella della presumibile avvenuta notifica della lettera all’interessato12.

4. L’espresso avvertimento che qualora l’interessato non si presenti alla seduta della Commissione si procederà al giudizio in sua assenza.

5. Possibilità di farsi assistere da un avvocato e/o da un esperto.

6. L’avvertenza che prima della celebrazione del giudizio l’interessato può consultare gli atti in segreteria durante gli orari di ufficio ed essere ulteriormente sentito dal Presidente della Commissione.

Nella comunicazione deve essere anche indicato il relatore se nominato.

La mancata circostanziata menzione degli addebiti comporta la nullità dell’intero procedimento disciplinare. Nel formulare la contestazione di addebito, non vi è l’obbligo di indicare su quali prove certe l’addebito sia fondato, potendo quelle essere acquisite anche nel corso del procedimento disciplinare. Infatti, per l’apertura di un procedimento disciplinare non è necessario che si raggiunga la certezza del comportamento illecito del sanitario ma è sufficiente la convinzione che esistano concreti presupposti per dare luogo al procedimento disciplinare. Spetterà poi alla fase del giudizio giungere alla motivata decisione in merito alla fondatezza e alla prova degli addebiti stessi.

L’interessato potrà chiedere, per motivate esigenze, la proroga del termine fissato dal Presidente della Commissione e potrà prendere visione degli atti relativi al suo deferimento a giudizio a esclusione del verbale con il quale la Commissione ha deciso l’apertura del procedimento disciplinare. A tal fine si dovrà indicare nella lettera l’orario dell’ufficio di segreteria. Il fascicolo potrà essere consultato direttamente dall’interessato o da un avvocato a ciò delegato e potranno esserne estratti, in copia conforme, tutti gli atti fatta eccezione, come già detto, per il verbale della Commissione.

L’incolpato potrà chiedere di essere sentito prima del giorno fissato per la celebrazione dal Presidente della Commissione cui compete l’istruttoria. L’interessato può procedere a

12 La mancata osservanza del termine di venti giorni fissato dal Regolamento, vizia la regolarità del contraddittorio e non consente l'esercizio del diritto di difesa, con conseguente nullità del procedimento.

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ricusazione nei casi previsti dall’art. 52 del Codice civile. La ricusazione deve essere supportata da motivi specifici e mezzi di prova su precisa richiesta con atto scritto.

In base alla sentenza n. 29294 del 15 dicembre 2008 delle della Corte di Cassazione SS.UU., anche l’atto di apertura del procedimento disciplinare può essere impugnato dinanzi alla CCEPS. Detta pronuncia modifica un precedente orientamento giurisprudenziale sulla base delle modifiche apportate all’articolo 111 della Costituzione in tema di giusto processo. La Suprema Corte, nella motivazione, fa riferimento agli orientamenti affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla giurisprudenza nazionale con riferimento alla legge 89 del 2001 c.d. “legge Pinto”, in base ai quali ogni processo, sia esso civile, penale o amministrativo, costituisce di per sé fonte di pregiudizio in quanto anche nei casi in cui non provoca danni patrimoniali comporta, comunque, dei turbamenti e delle sofferenze capaci di peggiorare la situazione di chi lo vive13.

La celebrazione del procedimento

La trattazione del procedimento disciplinare consiste in una fase dibattimentale e, successivamente, in una fase deliberativa in Camera di Consiglio. La seduta non è pubblica e per la validità delle decisioni è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti (per maggioranza di voti si intende la metà più uno dei componenti). La decisione è assunta a maggioranza dei voti e, in caso di parità, prevale il voto del Presidente. Gli astenuti vanno conteggiati ai fini del quorum. La votazione è palese per alzata di mano. La composizione del Collegio giudicante deve rimanere immutata, anche in caso di aggiornamento della seduta, perché solo chi ha assistito a tutte le fasi del procedimento, con l’esposizione dell’accusa e della difesa, è in grado di esprimere con cognizione di causa il proprio convincimento. Se nel corso della fase dibattimentale la Commissione decide di aggiornare a data certa, non è necessario inviare un nuovo avviso all’interessato sempre che questi risulti presente e ne prenda atto. Poiché il giudice disciplinare deve pronunciarsi in assoluta obiettività, gli istituti dell’astensione e ricusazione previsti dagli articoli 51 e 52 del Codice di procedura civile sono, come detto, applicabili anche nel procedimento disciplinare. Ciò si può verificare tutte le volte che un componente della Commissione ha un interesse personale e diretto nel procedimento o quando esistono gravi ragioni di convenienza o di inimicizia grave. L’insussistenza dei motivi di ricusazione e di astensione può essere accertata dalla

13 Tratto da RIGHETTI G.M., Il procedimento disciplinare. Vademecum 2009-2011.

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stessa Commissione giudicante (Cassazione SS. UU. n. 3350/64). Il componente che si astiene deve allontanarsi dalla sala ove si svolge il procedimento.

La fase dibattimentale

In questa fase, il Presidente, o il relatore se nominato, espone i fatti alla Commissione.

L’indagato può farsi assistere da difensori (un esperto e/o un avvocato), mentre nessun estraneo di nomina dell’Ordine (avvocato, consulente, impiegato) può affiancare la Commissione. Nel dibattimento vengono ammesse e valutate le prove prodotte dalla Commissione e dall’indagato e di ciò deve essere redatto dettagliato verbale. Più nel dettaglio, nella fase dibattimentale il relatore, alla presenza dell’indagato e dell’avvocato e/o del consulente tecnico, svolge la propria relazione in modo asettico, senza anticipare conclusioni. Viene, quindi, sentito l’indagato, che può motivare e precisare il proprio comportamento, rettificare e contraddire fatti e circostanze, avvalendosi anche della assistenza di uno o più avvocati e/o consulenti tecnici14. Sono ascoltati, infine, gli eventuali testimoni. Durante l’escussione dei testimoni, l’incolpato e l’avvocato hanno diritto a essere presenti e possono interloquire.

La camera di consiglio

Terminata la fase dibattimentale, fatti allontanare l’incolpato e i suoi eventuali difensori, la Commissione decide in Camera di Consiglio. Il dispositivo della decisione viene riportato nel verbale, con una motivazione che evidenzi l’iter logico che ha condotto alla decisione.

La decisione può essere adottata a maggioranza e non necessariamente all’unanimità. La pronuncia deve rispettare il principio di corrispondenza tra contestazione e decisione. Il verbale va sottoscritto dal Presidente e dal Segretario. La decisione va redatta a parte, e deve contenere, a pena di nullità, la data in cui è stata adottata, i fatti addebitati, le prove assunte, l’esposizione dei motivi e il dispositivo. La motivazione può essere materialmente redatta successivamente alla data della seduta. Copia del verbale può essere rilasciata soltanto, dietro richiesta, alla Commissione Centrale; l’incolpato e l’esponente non hanno diritto né

14 Nel procedimento disciplinare promosso a carico di un medico, l'incolpato ha la facoltà di avvalersi della assistenza di un difensore o di un esperto di fiducia, ma l'affermazione di tale facoltà di difesa non impone, nel silenzio della legge, alcun obbligo procedimentale a carico dell'organo disciplinare, dalla cui violazione possa conseguire l'illegittimità del procedimento. Ne consegue che l'assenza di un difensore tecnico non è causa di nullità del procedimento (e non confligge con i principi costituzionali del diritto di difesa), posto che sia l'ordine sia il professionista discutono di vicende tecniche che entrambi sono perfettamente in grado di valutare in base alla propria esperienza e professionalità (Cassazione civile sez. III 23 maggio 2006, n. 12121 in Giust. civ.

Mass.2006,5).

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alla copia, né alla visione del verbale. La ratio di tale preclusione risiede nella circostanza che nel verbale sono riportate, tra l’altro, le posizioni assunte dai singoli componenti del Collegio in sede di discussione. La consapevolezza che le opinioni espresse in sede di camera di consiglio possano essere conosciute dal sanitario incolpato, potrebbe condizionare, per paura di ritorsioni, la dialettica formativa della decisione e limitare il modo di sentire nonché la libera e obiettiva espressione del pensiero dei singoli componenti del Collegio giudicante, ragion per cui i verbali devono rimanere segreti. Si vuole, in buona sostanza, garantire ai partecipanti che le loro dichiarazioni e, in particolare, le considerazioni esposte durante il procedimento, non saranno conosciute dall’interessato. D’altra parte, il sanitario sanzionato dispone di tutti gli elementi per la propria difesa, atteso che gli deve essere notificata la decisione ove devono essere riportate, a pena di nullità, le motivazioni che hanno determinato la condanna. La Corte di Cassazione SS.UU. 8 ottobre 2004, n. 20024, in proposito, ha sentenziato che l’interessato ha diritto ad acquisire soltanto quei documenti che possono incidere sul diritto di difesa e la decisione, in tal senso, è sufficiente.

Il procedimento disciplinare si deve concludere, in ogni modo, con la decisione. Essa è distinta dal verbale della seduta disciplinare, ha natura diversa e costituisce il presupposto indispensabile per l’eventuale proposizione del gravame. Sulla distinzione tra verbale della seduta disciplinare e decisione non sussiste alcun dubbio, atteso che i due atti sono previsti e disciplinati da due distinti articoli, vale a dire il primo dall’art. 46 e il secondo dall’art. 47 del Regolamento, anche se alcuni elementi sono comuni. La decisione deve contenere, a pena di nullità:

- la data in cui è stata deliberata;

- i nominativi dei componenti del Collegio giudicante presenti alla seduta:

- l’esposizione dei fatti addebitati;

- le prove assunte;

- l’esposizione dei motivi;

Particolare attenzione merita l’esposizione dei motivi che hanno determinato la volontà dei componenti del Collegio giudicante ad adottare la decisione. La carente o illogica motivazione e, in taluni casi, la totale assenza della stessa, comporta la nullità della decisione

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e, pertanto, determina l’accoglimento del gravame proposto innanzi alla Commissione Centrale. L’inesatta o incompleta esposizione dei fatti e della motivazione, infatti, non consente al sanitario sanzionato e agli interdittori necessari la conoscenza del ragionamento logico-giuridico, che ha determinato la decisione assunta dal Collegio giudicante, e la predisposizione delle controdeduzioni in sede di gravame.

Il provvedimento disciplinare, pertanto, deve essere chiaramente motivato con l’esposizione delle argomentazioni sulle quali si fonda, in modo da poter cogliere l’iter logico-giuridico, che ha condotto alla formazione del convincimento e ha determinato la decisione. La motivazione deve, inoltre consentire ai contraddittori necessari (incolpato, Ministro della Salute e Procuratore della Repubblica) di comprendere l’iter logico seguito dall’organo che ha deciso e deve, altresì, porli nella condizione di valutare se il provvedimento adottato è sorretto da prove sufficienti e da valide argomentazioni di ordine giuridico e deontologico.

Da sottolineare, inoltre, che la decisione deve tener conto solo dei fatti addebitati sicché, qualora emergessero altri fatti idonei ad una valutazione disciplinare, si dovrebbe dar luogo ad un altro procedimento. La decisione deve essere sottoscritta da tutti i componenti del collegio giudicante. Si deve in proposito prendere atto che tale norma regolamentare è da ritenersi superata a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, n. 323/2001 in base alla quale le sentenze rese da un giudice collegiale devono essere sottoscritte soltanto dal Presidente e dall’estensore (v. anche CCEPS dec. nn. 201/2001 e 61/2002).

La notifica della decisione

La decisione assunta dalla Commissione per gli iscritti all’Albo degli Odontoiatri deve essere comunicata, a cura del Presidente, al Segretario e al Presidente dell’Ordine. Stessa procedura deve essere seguita dal Presidente per gli iscritti all’albo dei Medici Chirurghi. La decisione va pubblicata mediante deposito dell’originale nell’ufficio della Segreteria. La normativa non fissa alcun termine per il deposito dell’originale né per la comunicazione all’interessato. Il Segretario dell’Ordine provvede a notificare il provvedimento all’interessato con l’avviso che può ricorrere entro 30 giorni dalla data della notifica alla CCEPS. Il sanitario ha diritto a ricevere copia integrale del provvedimento con l’attestazione che trattasi di copia conforme all’originale a firma del Segretario. È invece il Presidente dell’Ordine che notifica la decisione al Ministro della Salute e al Procuratore della Repubblica i quali possono anch’essi ricorrere alla CCEPS. Tutte le notificazioni devono essere eseguite a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

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Il procedimento disciplinare si può concludere con l’assoluzione, con la condanna o con l’estinzione per decesso del sanitario incolpato.

Il sanitario è assolto quando:

1. gli addebiti non sono stati provati;

2. gli addebiti non sono a lui ascrivibili;

3. non vi sono prove certe della volontarietà delle violazioni deontologiche imputategli.

Il sanitario è sanzionato allorché si perviene, con prove inconfutabili, all’accertamento della sua colpevolezza.

Le sanzioni

Le sanzioni disciplinari professionali15 pur avendo carattere amministrativo ed elementi comuni con le sanzioni amministrative (astrattezza, afflittività e intimidazione) e con quelle penali (personalità, imputabilità, irretroattività e proporzionalità alla gravità dell’infrazione) si differenziano per altri caratteri tipici ed esclusivi (la possibilità di essere irrogate solo in costanza di iscrizione all’albo, la non cumulabilità con altre sanzioni professionali, la relatività dell’immediatezza, la non convertibilità in valore economico o con pene sostitutive). Altro elemento caratteristico delle sanzioni disciplinari è l’esclusione dell’applicazione della legge più favorevole sopravvenuta16.

Il sistema disciplinare delle professioni sanitarie prevede sanzioni formali (avvertimento e censura), che si sostanziano in una deplorazione del comportamento tenuto dal sanitario senza alcun pregiudizio per l’attività professionale e sanzioni sostanziali (sospensione, interdizione e radiazione), che impediscono temporaneamente o definitivamente l’esercizio dell’attività professionale.

Le sanzioni disciplinari, così come tassativamente previste dall’art. 40 del DPR 221/50, sono:

1. L’avvertimento: consiste nella diffida a non ripetere una mancanza commessa. Si tratta di norma che intende soprattutto intimorire ed ha conseguenze di ordine soprattutto morale. Di

15 C.Cost.,19 maggio 2008.

16 RAIMONDI F.,RAIMONDI L., Il procedimento disciplinare nelle professioni sanitarie, cit., 129.

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solito ricorre nei casi in cui la infrazione riguarda mancanze di modesta entità relative al comportamento dell’iscritto;

2. La censura: consiste in una dichiarazione di biasimo. Ha carattere afflittivo, con ripercussioni di ordine morale e talvolta materiale, in quanto può influire sulla carriera del medico, per l’assegnazione di incarichi, per la concessione di onorificenze. Ricorre quando la infrazione è di una certa gravità, in rapporto al comportamento professionale o alla violazione di leggi ordinarie17.

3. La sospensione dall’esercizio della professione per una durata minima di 1 mese fino a un massimo di 6 mesi. Viene inflitta nei casi di gravi abusi o mancanze nell’esercizio professionale oppure di gravi fatti disdicevoli per il decoro professionale. Ha carattere punitivo che comporta un danno morale e anche quello materiale relativo alla inibizione di esercitare. L’art. 43 stabilisce che ha effetto immediato e può avere durata superiore quando ricorre la sospensione in conseguenza di provvedimenti previsti dalla legge penale.

4. La radiazione dall’Albo.

La sospensione dall’esercizio della professione e la radiazione possono discendere automaticamente da alcuni provvedimenti cautelari e di sicurezza emessi dall’Autorità giudiziaria.

Inoltre, anche l’interdizione dall’esercizio della professione (rectius sospensione, trattandosi di un provvedimento dell’Ordine, da non confondere con l’interdizione dalla professione di cui agli articoli 19 e 30 del Codice penale) può rappresentare una sanzione disciplinare qualora espressamente prevista dalla legge, quale quella contemplata dall’articolo 8, primo comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 175 che così recita:

“Gli esercenti le professioni sanitarie che prestano comunque il proprio nome, ovvero la propria attività, allo scopo di permettere o di agevolare l’esercizio abusivo delle professioni medesime sono puniti con l’interdizione dalla professione per un periodo non inferiore a un anno”.

17 La giurisprudenza ha precisato che l’applicazione della sanzione della censura non presuppone che sia stata preventivamente comminata la sanzione dell’avvertimento (Cass. civ. 20.2.01, sez. III, Rassegna di Giurisprudenza Farmaceutica, 2001, fasc. 66, 71).

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In questo specifico caso, occorre precisare che la condotta illecita prevista dalla predetta legge, che fa esplicito riferimento al favoreggiamento dell’esercizio abusivo della professione, si viene ad integrare solo laddove esista l’elemento soggettivo del dolo generico, previsto dal codice penale in riferimento al reato di cui all’articolo 348 c.p., cioè la coscienza e la volontà di porre in essere atti diretti a favorire l’esercizio indebito della professione da parte di un soggetto non abilitato (“... lo scopo ulteriore che l’agente si deve prefiggere è quello di permettere o comunque agevolare l’esercizio abusivo della professione...” Sentenza Cassazione Sez, III civ. n.834/2007). Quando si raggiunge tale convinzione, non può che irrogarsi la sanzione della interdizione.

Laddove, invece, possa essere dimostrata soltanto l’esistenza di un comportamento colposo da parte dell’iscritto (a esempio, insufficiente ed omessa vigilanza) possono essere irrogate soltanto le ordinarie, più lievi, sanzioni previste dall’articolo 40 del DPR 221/50.

Il DPR 221/50 non impone una automatica corrispondenza fra la sanzione da applicare e la contestazione disciplinare, rimettendo così la valutazione della sanzione al prudente apprezzamento della Commissione. L’art. 38 DPR 221/50, nello stabilire che gli illeciti disciplinari consistono in abusi e mancanze o fatti disdicevoli al decoro professionale, non ha descritto compiutamente le azioni e le omissioni vietate, a differenza delle norme penali soggette al principio della stretta legalità, ma ha posto clausole generali il cui contenuto deve essere integrato dalle norme di etica professionale la cui enunciazione, interpretazione ed applicazione nei procedimenti disciplinari è rimessa all’autonomia dell’Ordine professionale. Anche il Codice deontologico, che rappresenta la fonte regolamentare della responsabilità disciplinare, non prevede l’entità della sanzione da applicare per ogni violazione commessa, ma all’art. 2 precisa che “Le sanzioni, nell’ambito della giurisdizione disciplinare, devono essere adeguate alla gravità degli atti”. L’applicazione della sanzione è dunque lasciata alla discrezionalità del giudice disciplinare, il quale deve valutare la gravità della mancanza, la personalità dell’incolpato e le modalità di verificazione dei fatti, evitando con scrupolo eventuali disparità di trattamento18.

18 Al riguardo la CCEPS ha recentemente ribadito che «Si considera l’eccessiva severità della sanzione laddove il consiglio di disciplina non abbia tenuto conto, ai fini della determinazione quantitativa della medesima sanzione, dell’inesistenza di un precedente specifico, suscettibile di essere considerato quale recidiva. D’altro canto, va considerato che, in base a principi più volte affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e già recepiti in precedenti decisioni della Commissione Centrale (tra le altre, cfr. decisione 7 marzo 2003, n. 1), nella concreta determinazione della responsabilità dell’inquisito l’organo di disciplina non può prescindere dall’elemento psicologico collegabile all’infrazione commessa e, conseguentemente,

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Sussistono, tuttavia, alcune leggi che limitano l’autonomia dell’Ordine nella scelta della sanzione: ad esempio, la legge n. 42/1999, che modifica la precedente legge n. 175/1992 in materia di pubblicità sanitaria, obbliga l’Ordine a non archiviare ma a aprire procedimento disciplinare, concedendo la facoltà di scegliere solo tra due sanzioni da comminare (censura o sospensione). Anche per i reati fiscali, la piena autonomia sanzionatoria dell’Ordine appare limitata dall’art. 6 D.L. 1/10/82, il quale stabilisce che, a seguito di notifica di accertamento, l’Agenzia delle Entrate può proporre all’Organo disciplinare la sospensione dell’iscrizione all’albo per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi.

L’art. 41 del Regolamento recita: “la radiazione è pronunciata contro l’iscritto che con la sua condotta abbia compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della classe (rectius categoria) sanitaria”. Si tratta, a riprova di quanto detto, di una norma astratta che rimette alla discrezionalità dell’organo giudicante l’apprezzamento della condotta del sanitario. È la sanzione più grave e comporta l’espulsione del professionista dalla categoria, anche se non produce effetti definitivi. Il successivo art. 50 prevede, infatti, la possibilità della reiscrizione dopo 5 anni dal provvedimento e, se questo derivò da condanna penale, dopo la riabilitazione. Per la reiscrizione, il combinato disposto degli artt. 6 e 50 del Regolamento richiede che il sanitario abbia tenuto, durante tutto il periodo di radiazione, condotta irreprensibile e che, al momento della domanda di reiscrizione, non versi in una delle condizioni di cui agli artt. 42 e 43.

Si tratta di un richiamo tautologico che nulla aggiunge ai requisiti richiesti per la prima iscrizione dall’art. 9 del D.L.CPS n. 233 del 1946, e in particolare al requisito della buona condotta. È di tutta evidenza che il sanitario assoggettato a una misura restrittiva o condannato, in sede penale, per gravi reati correlati all’esercizio della professione o, infine, non in possesso dei diritti civili, non gode di condotta specchiatissima, ragion per cui non può essere iscritto per la prima volta e, tanto meno, può essere reiscritto dopo la radiazione.

Il sanitario radiato, per potersi iscrivere di nuovo, deve sostenere e superare di nuovo l’esame di abilitazione all’esercizio professionale per effetto della decadenza ai sensi dell’art. 30 del c.p.

L’art. 43 del DPR 221/50 stabilisce i casi in cui la sospensione dall’esercizio della professione opera di diritto quale conseguenza di provvedimenti adottati dall’Autorità

nell’irrogare la sanzione non può non tener conto dei precedenti personali del soggetto interessato e di tutte le circostanze atte a determinare la sua personalità, in analogia con quanto avviene per l’esercizio del potere punitivo del giudice penale ex art. 133 c.p.» (n. 11 del 12 aprile 2010).

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giudiziaria. Essi vengono di seguito elencati così come modificati dall’entrata in vigore del nuovo CPP.

1. Misure cautelari coercitive quali gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere o in luogo di cura.

2. Provvedimenti di fermo.

3. L’interdizione dai pubblici uffici.

4. L’applicazione di misure di sicurezza non detentive previste dal codice penale quali la libertà vigilata, il divieto di soggiorno, il divieto di frequentare pubblici spacci.

Ove ricorrano i casi elencati, l’Ordine non ha alcun potere discrezionale relativo alla possibilità di comminare la sanzione e la sua durata, ma deve limitarsi a “dichiarare” la sospensione dall’esercizio professionale con delibera del Consiglio Direttivo.

La sospensione ha durata pari a quella prevista nella sentenza o nel provvedimento in cui essa è stata determinata. Vige in tal modo un automatismo tra la sospensione dall’esercizio della professione e la sussistenza della causa che l’ha determinata. È opportuno, pertanto, che nella deliberazione di sospensione adottata in conseguenza di provvedimenti dell’Autorità giudiziaria, sia riportata esplicitamente la previsione: “la sospensione ha durata fino a quando abbia effetto la sentenza o il provvedimento da cui essa è stata determinata”, in quanto detta procedura consente al medico o all’odontoiatra di riacquistare automaticamente il diritto all’esercizio professionale senza il successivo intervento dell’Ordine. Competente a dichiarare la sospensione è il Consiglio Direttivo e non la Commissione, in considerazione del fatto che la sospensione medesima non discende da un provvedimento disciplinare e che il Consiglio Direttivo medesimo ha conservato tra le proprie attribuzioni la tenuta e la formazione dell’albo. Il Presidente darà comunicazione della dichiarata sospensione, ai sensi dell’art. 48, secondo comma, del DPR 221/50, alle Autorità e agli Enti di cui all’articolo 2 del Regolamento stesso. Laddove la sanzione della sospensione derivi dall’applicazione di una misura cautelativa emessa da un giudice penale, nulla osta alla successiva erogazione allo stesso sanitario della sospensione disciplinare. Il sanitario condannato alla sospensione da due diversi organismi ha però diritto a che i due provvedimenti non si sommino ma si sottraggano, nel senso che la pena inflitta da parte del giudice si “detrae” da quella comminata dall’Ordine. “… detrarre la misura cautelativa da quella disciplinare risponde a un principio di ragionevolezza…” (Corte di Cassazione, Sezione civile III, n. 592 del 17 gennaio 2001).

Diversa ancora è la fattispecie prevista dall’art 583 ter c.p. dove la pena accessoria (interdizione della professione da tre a dieci anni) non è di natura amministrativa essendo

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peraltro sottratta alla valutazione ordinistica, fermo restando che al primo comma viene statuito che la condanna deve essere comunicata all’Ordine dei medici chirurghi di appartenenza.

Come ricordato in precedenza, invece. l’art. 42 del DPR 221/50 stabilisce i casi in cui la radiazione dall’Albo opera di diritto quale conseguenza di provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria, così come modificati da successive leggi penali.

1. Interdizione dai pubblici uffici o dalla professione perpetua o di durata superiore a tre anni.

2. Ricovero in una casa di cura (ex manicomio giudiziario)

3. Applicazione della misura di sicurezza preventiva (assegnazione a una casa di lavoro) 4. Commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti così come modificato dalle leggi 22.12.1975 n. 685 e 26.06.1990 n. 162.

La radiazione ope legis è stata però, come detto, censurata dalla Corte di Cassazione che aderisce all’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale secondo cui vanno ritenute illegittime le sanzioni disciplinari di carattere rigido, la cui applicazione risulti avulsa da una valutazione. Con tale decisione è venuto meno ogni automatismo nell’applicazione di tale sanzione, tutelandosi in tal modo il principio di adeguatezza delle sanzioni al caso concreto.

L’esecutività del provvedimento disciplinare non decorre dalla data di notificazione all’interessato della decisione adottata, in quanto il sanitario ha diritto a proporre ricorso alla CCEPS e tale ricorso ha effetto sospensivo.

Trascorsi invano i termini per l’impugnazione (trenta giorni) o laddove essa venga respinta, il provvedimento disciplinare diviene immediatamente esecutivo, rispettivamente, alla data di scadenza dei termini per l’impugnazione e a quella di notificazione della decisione all’interessato da parte della CCEPS. Si ritiene che al Consiglio Direttivo dell’Ordine non possa essere attribuito il potere di rendere esecutivo il provvedimento disciplinare e, perciò, quello di differire la data di decorrenza della sanzione. È il Presidente della Commissione per gli iscritti all’Albo degli Odontoiatri che deve comunicare al Presidente dell’Ordine il passaggio in giudicato della decisione o per la mancata proposizione di gravame alla CCEPS oppure a seguito della notificazione della decisione di rigetto del ricorso da parte della CCEPS. È di competenza del Presidente dell’Ordine, che presiede il Consiglio Direttivo cui compete la tenuta dell’albo, in caso di sospensione o radiazione, comunicare il relativo provvedimento, quando sia divenuto definitivo, a tutti gli

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Ordini e alle autorità ed enti ai quali deve essere inviato l’albo a norma dell’art. 2 del DPR 221/50.

Avverso la decisione della CCEPS, è proponibile ricorso avanti la Corte di Cassazione, entro sessanta giorni dalla notificazione della decisione stessa. In questo caso, il ricorso non ha effetto sospensivo.

Nel caso in cui la sanzione consista nella sospensione dall’esercizio professionale, l’interessato conserva lo status di iscritto all’Albo con le relative attribuzioni e incombenze.

Nel caso in cui l’interessato non sospenda l’esercizio della professione dopo averne ricevuto comunicazione, sarà passibile di denuncia all’autorità giudiziaria per esercizio abusivo della professione.

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SCHEMA PROCEDIMENTO DISCIPLINARE DI COMPETENZA DELL’ORDINE

ESPOSTO NEI CONFRONTI DI UN MEDICO/ODONTOIATRA

PRESENTAZIONE ESPOSTO AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ALBO MEDICI/ODONTOIATRI

ARCHIVIAZIONE INVIO LETTERA DI CONVOCAZIONE AL SANITARIO

PER AUDIZIONE EX ART. 39 DPR 221/50

AUDIZIONE DEL SANITARIO E STESURA DEL VERBALE DI AUDIZIONE

INSERIMENTO DELLA QUESTIONE ALL’O.D.G. DELLA COMMISSIONE ALBO MEDICI/ODONTOIATRI

INVIO LETTERA DI ADDEBITI ALL’INTERESSATO CON INDICAZIONE

DELLA DATA DI CELEBRAZIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE E NOTIFICA

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA E AL MINISTRO DELLA SALUTE

CELEBRAZIONE PROCEDIMENTO DISCIPLINARE E STESURA DEL VERBALE

APERTURA PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NON APERTURA PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

NOTIFICA ALL’INTERESSATO

ASSOLUZIONE

IRROGAZIONE SANZIONE DISCIPLINARE DECISIONE

DELIBERAZIONE

NOTIFICA DECISIONE ALL’INTERESSATO, ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA E AL MINISTRO DELLA SALUTE + DEPOSITO DECISIONE NELLA SEGRETERIA DELL’ORDINE

(A CURA DEL SEGRETARIO DELL’ORDINE) ISTRUTTORIA SOMMARIA DEL PRESIDENTE DELLA CAM/CAO

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RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E GIUDIZIO DISCIPLINARE

Ai sensi dell’art. 44, D.P.R. n. 221/50: “Fuori dei casi di radiazione, previsti dall’art. 42, il sanitario a carico del quale abbia avuto luogo procedimento penale è posto a giudizio disciplinare per il medesimo fatto imputatogli, purché egli non sia stato prosciolto per la non sussistenza del fatto o per non averlo commesso”. In altre parole, vi è l’obbligatorio intervento da parte dell’Ordine, con le delibere conseguenti, allorquando un iscritto si trovi ad essere direttamente coinvolto in un procedimento penale. Su tale relazione si svolgeranno alcune riflessioni e valutazioni con particolare riferimento alle possibili interferenze di dei due giudizi.

Autonomia della decisione disciplinare

L’organo di disciplina ha piena facoltà di porre a base del proprio convincimento le risultanze emerse in sede penale, rendendole oggetto di autonoma valutazione sotto il profilo disciplinare (Cass., sez. III civ., 1° ottobre 2004, n. 19658). In applicazione di tale orientamento, l’Ordine può far proprie le risultanze del procedimento penale di primo grado dandone adeguata motivazione nel provvedimento sanzionatorio (cfr. sul punto CCEPS, dec.

nn. 22 e 23 del 2 febbraio 2015), tanto più quando i suddetti fatti, sui quali sono fondati gli addebiti contestati, sono cristallizzati dal passaggio in giudicato della sentenza penale e risultano, pertanto, tali da garantire la certezza del diritto a tutela dell’interessato, fermo restando il permanere dell’autonomia di giudizio da parte dell’Ordine. Nell’ambito della decisione assunta in sede disciplinare, non rileva il percorso logico argomentativo e deduttivo compiuto dalla autorità giudiziaria penale, in quanto la verifica disposta sotto il profilo disciplinare assume, a parametri di valutazione, criteri diversi dalla violazione dell’ordine sociale, prendendo in considerazione il prestigio della professione medica, il decoro della medesima e il comportamento del sanitario deontologicamente orientato al primario interesse della salute del paziente, scevro da interferenze relative all’illegittimo perseguimento di interessi personali. Va altresì considerato che, in relazione alla natura del bene tutelato in ambito disciplinare, quale è, come detto, il decoro della professione e l’integrità morale della categoria, è sufficiente l’esistenza di un solo caso comprovato, peraltro connotato da particolare gravità, atto a palesare la sussistenza di un comportamento deontologicamente scorretto, per giustificare l’irrogazione della massima sanzione.

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Non costituisce reiterazione del medesimo procedimento il giudizio disciplinare avente ad oggetto la medesima condotta già valutata nel giudizio penale in virtù del principio di autonomia che caratterizza i due procedimenti. Diversa è la ratio sottesa ai due accertamenti, diversi sono i parametri assunti alla base delle rispettive valutazioni. In particolare, i due procedimenti sono tra loro strutturalmente indipendenti – caratteristica, questa, che influisce sull’autonomia anche dei rispettivi provvedimenti da essi scaturenti – in quanto trovano fondamento su due ratio sostanzialmente diverse: l’una, quella del procedimento penale, mirante alla repressione di condotte contrarie al vivere civile che integrino una fattispecie considerata reato per l’ordinamento giuridico; l’altra, inerente al procedimento disciplinare, che tutela il prestigio e il decoro di una categoria di professionisti attraverso una serie di regole deontologiche, fondate piuttosto su principi di correttezza e irreprensibilità della condotta dei relativi componenti. Differente è il presupposto (violazione di regole professionali e deontologiche, anziché penali) e parimenti diverso è l’interesse tutelato, ragion per cui non è dato ravvisare alcuna violazione del principio di irripetibilità del medesimo giudizio.

Il Presidente procede all’archiviazione della pratica nel caso di sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunziata ai sensi dell’art. 653, primo comma, C.p.p., come modificato dalla legge n. 97 del 2001. La norma prevede, infatti, che la sentenza di assoluzione “ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare davanti alle pubbliche autorità, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso”. La modifica all’art. 653 c.p.p., peraltro, va interpretata in collegamento con gli artt. 129 e 530 C.p.p. che distinguono l’ipotesi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato da quella dell’assoluzione, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Nel caso “perché il fatto non costituisce reato” al giudice disciplinare viene preclusa ogni azione, mentre nell’ipotesi “perché il fatto non previsto dalla legge come reato” il Presidente deve procedere all’istruttoria preliminare in quanto l’atto potrebbe essere suscettibile di apprezzamento disciplinare19.

Il Presidente è tenuto, altresì, a iniziare l’istruttoria preliminare nell’ipotesi in cui l’iscritto sia stato prosciolto con decreto di archiviazione da parte del GIP. Il decreto di archiviazione della denunzia, infatti, non ha natura giurisdizionale ed è sempre suscettibile di essere revocato dall’organo che lo ha emesso. Inoltre, stante il principio di autonomia della

19 RAIMONDI F.,RAIMONDI L., Il procedimento disciplinare nelle professioni sanitarie, cit., 50.

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valutazione disciplinare rispetto a quella effettuata dal giudice penale, nulla impedisce all’Ordine professionale l’apprezzamento positivo della condotta dell’iscritto, ove siano stati lesi i principi della deontologia. Un comportamento che non ha rilevanza penale, infatti, può essere apprezzato in sede disciplinare se concretizza un fatto disdicevole al decoro della professione.

La Cassazione civile che a Sezioni Unite ha precisato: “L’art. 42 del DPR n. 221/1950, è illegittimo e pertanto, essendo privo dell’efficacia formale della legge, va disapplicato da parte del giudice, prevedendo la radiazione di diritto dall’Albo del professionista che abbia riportato condanne penali, sia che tale sanzione venga fatta discendere dalla condanna per reati genericamente indicati con riferimento alla generica pena edittale comminata, sia che essa venga collegata a specifici titoli di reato per i quali la condanna stessa sia stata pronunciata, in violazione del principio generale dell’ordinamento che vieta l’irrogazione automatica di siffatte sanzioni, senza l’apertura e lo svolgimento del preventivo procedimento disciplinare (quale sede propria per la indispensabile valutazione dei fatti e della correlata gradualità sanzionatoria)” (Cass. Civ., SS. UU. n. 9228/1990). Pertanto, appare chiarito, in via definitiva, che non è legittima una irrogazione de plano di sanzioni disciplinari che prescinda dall’instaurarsi di un procedimento disciplinare. Ciò, evidentemente, per impedire un automatismo che richiederebbe di non tenere nel debito conto elementi di giudizio i quali, in ambito disciplinare, possono qualificare in maniera diversa la medesima condotta che, invece, in sede penale può subire una valutazione differente. Viceversa, vi è da aggiungere che un medesimo fatto può avere una configurazione etico morale tale da condurre a una sanzione disciplinare anche più severa rispetto alla decisione del giudice penale. Conseguentemente, non è lecito affermare che, una volta instaurato il procedimento disciplinare, sussista una sorta di vincolo nella scelta della sanzione da irrogare. Infatti, se una norma di legge impone l’obbligo di irrogare una determinata sanzione all’esito di un procedimento disciplinare avente a oggetto un determinato reato, il principio dell’Ordinamento secondo cui non può sussistere una sanzione disciplinare rigida irrogata automaticamente sine judicio, verrebbe violato, dal momento che il procedimento, non avendo altro sbocco che la sanzione stabilita ex lege, diverrebbe una fictio giuridica in cui si prescinderebbe dalla ponderazione della gravità del fatto.

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L’art. 3 del codice di procedura penale abrogato prevedeva, nei casi di contemporanea apertura, a carico del sanitario presunto colpevole, di un procedimento penale da parte dell’Autorità giudiziaria e di un procedimento disciplinare ad opera del competente Ordine, il cd. principio della pregiudizialità penale, ovvero l’obbligo della sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo del procedimento penale.

Il nuovo codice di procedura penale ha abolito tale obbligo di sospensione, introducendo il principio dell’autonomia dei giudizi, pertanto, l’azione disciplinare può essere instaurata senza dover attendere la conclusione dell’azione penale.

In alcuni casi, quindi, quando la criticità deontologica è palese e la prova della responsabilità del medico è conclamata (es. confessione nel corso del giudizio) è auspicabile che il procedimento disciplinare si svolga anche in pendenza di quello penale.

Negli altri casi, quando l’azione disciplinare si riferisce agli stessi addebiti contestati in sede penale, è preferibile deliberare l’apertura e la contestuale sospensione del procedimento disciplinare fino al passaggio in giudicato della sentenza penale ovvero in caso di inesperibilità avverso quel provvedimento di alcun mezzo di gravame.

In tal modo si eviterebbero diversità di giudizio, come potrebbe succedere qualora un iscritto venisse condannato in sede disciplinare e successivamente assolto con formula piena dal giudice penale perché́ il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso (v. art.

653 c.p.p. modificato dall’art. 1 della legge 97/2001), con il rischio di richieste di pretese risarcitorie da parte del sanitario nei confronti dell’Ordine che lo ha condannato.

Nel caso di azione penale conclusa con una sentenza di patteggiamento, ove il giudice applica una pena oggetto di una concorde richiesta delle parti senza entrare “ancora nel merito dei fatti” (applicazione della pena su richiesta delle parti), essendo la stessa equiparabile a una sentenza di condanna (art. 444 e seguenti, co. 1 bis, c.p.p.), le Commissioni ordinistiche dovranno valutare la rilevanza deontologica dei fatti, avendo piena discrezionalità̀ sia per una decisione di condanna che di assoluzione, basandosi sulle risultanze emerse in sede penale ed essenzialmente riferibili agli atti delle indagini preliminari, cui va attribuito carattere probatorio. (CCEPS dec. n.1/2003 e 62/2003).

In base a quanto disposto dall’art. 653, comma uno-bis, c.p.p., nonché alla luce del costante orientamento interpretativo della giurisprudenza, anche della CEEPS, “l’autorità

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