Inadempimento contrattuale: solo se grave. Come si valuta?
Autore: Redazione | 30/11/2015
Risoluzione per inadempimento contrattuale: come valuta il giudice la gravità dell’inadempimento della parte?
La legge dispone che, in caso di inadempimento dell’accordo da parte di uno dei soggetti contraenti, l’altro può chiedere la risoluzione del contratto ossia:
– di essere liberato dall’obbligo di eseguire la propria prestazione (o, se già eseguita, di ottenere la restituzione di quanto dato)
– eventualmente, il risarcimento del danno.
Ma tale rimedio è possibile solo se l’inadempimento viene considerato grave.
Tanto per fare un esempio, non si può chiedere la restituzione dei soldi corrisposti per un abito sartoriale su misura solo perché la fodera interna di una tasca si è scucita; non si può pretendere la risoluzione del contratto di vendita di un’automobile solo perché uno degli pneumatici è forato. Ma se l’inadempimento riguarda un aspetto della prestazione ritenuto “essenziale” per l’utilità della stessa cosa, allora la risoluzione del contratto può essere richiesta al giudice che la dispone con sentenza.
In tal caso, il giudice, per valutarne la gravità dell’inadempimento, deve tener conto di un criterio oggettivo: deve riferirsi innanzitutto all’interesse del creditore all’adempimento della prestazione verificando che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente). Insomma, a seguito dell’inadempimento si deve essere verificato “uno squilibrio sensibile” tra le due prestazioni.
Di norma, nell’economia di ogni contratto le due prestazioni raggiungono sempre un equilibrio tra il valore del bene fornito o del servizio erogato e la controprestazione (generalmente un corrispettivo in denaro). Solo se l’inadempimento sposta tale equilibrio in favore di uno dei due soggetti (che così dal contratto andrà a guadagnarci maggiormente dell’altro) si può parlare di gravità e, quindi, di risoluzione del contratto.
La valutazione della gravità dell’inadempimento è insindacabile se adeguatamente motivata. Quindi le parti non possono, su questo punto, far ricorso per Cassazione.
Note
[1] Cass. sent. n. 24206/15 del 27.11.2015. Autore immagine: 123rf com
Sentenza
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 giugno – 27 novembre 2015, n. 24206 Presidente Vivaldi – Relatore Armano
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Bologna con sentenza depositata il 5 marzo 2012, ha confermato la decisione di primo grado che, provvedendo su due giudizi riuniti, ha
accolto la domanda ex art 2932 c.c proposta da M. M. volta ad ottenere il trasferimento in suo favore della proprietà dell'appartamento oggetto del contratto
preliminare sottoscritto in data 23 settembre 1986 con D. P. , nudo proprietario, e gli usufruttuari G. P. e L. C.; ha dichiarato non luogo a provvedere sulla domanda
proposta dalla curatela dei fallimento della società di fatto G. P. e L. C. . D. P.
presenta ricorso con un articolato motivo illustrato da successiva memoria. Resiste con controricorso M. M..
Motivi della decisione
1.La Corte d'appello ha accolto la domanda proposta da M. M. ed ha trasferito in suo favore l'immobile di cui alla preliminare del settembre 1986, sul rilievo che nel
comportamento di quest'ultima non vi fosse alcun grave inadempimento da legittimare la richiesta di risoluzione del contratto preliminare avanzata da D. P.. La Corte ha affermato che nel contratto preliminare il termine fissato per la stipula del
definitivo non aveva natura essenziale; che, ali' approssimarsi della data della stipula del definitivo, gli usufruttuari avevano manifestando alla M. l'esistenza di difficoltà finanziarie che potevano determinare il loro fallimento ;che questi ultimi
avevano stipulato con la M. una scrittura in data 23 dicembre 1986 con la dichiarazione di non volere dare esecuzione al contratto, in attesa di verificare se
fosse o meno intervenuto il fallimento, immettendo la stessa precariamente nel godimento dell'immobile. La Corte ha evidenziato che nel contratto preliminare i promittenti venditori si sono atteggiati come un'unica parte complessa, in quanto il
bene è stato considerato come un unicum giuridico inscindibile , sicché le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi erano prive di una
specifica autonomia, con la conseguenza che la M. non era tenuta a dare esecuzione parziale al contratto e ben poteva sospendere il proprio adempimento ex art. 1460 c.c.; che, una volta intervenuto il fallimento della società di fatto G. P.
e L. C., la M. ha sollecitato la stipula del rogito di trasferimento sollecito che costituisce idonea offerta della prestazione: che l'inadempimento era a carico dei
venditori e che l'offerta della M., non essendo previsto un termine essenziale, non doveva considerarsi tardiva. 2.Con l'unico articolato motivo di ricorso si denunzia
violazione e falsa applicazione degli articoli 1453-1455-1457-1460 e 2932 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. e contraddittoria motivazione per aver la
Corte di merito considerato irrilevante il patto aggiunto al contratto preliminare intervenuto il 23.12. 1986 fra i soli usufruttuari e l'acquirente. Il ricorrente deduce
che avendo la M. concordato con i soli usufruttuari di non dare esecuzione al contratto preliminare escludendo il nudo proprietario quest'ultimo legittimamente
si era rifiutato di riconoscere la validità del contratto preliminare eccependone la risoluzione; che la M. doveva considerarsi inadempiente, in quanto con la stipula del patto aggiunto con i soli usufruttuari veniva vanificato il contratto preliminare
del settembre 1986, a cui la M. si era resa inadempiente; la mancata stipula del definitivo non era imputabile alla parte venditrice, perché il nudo proprietario non si era sottratto al definitivo mentre la stessa acquirente aveva espresso la volontà di non adempiere ; il termine per la stipula del definitivo non solo era essenziale, ma era stato annullato con la scrittura del dicembre 1986. 3.Il motivo è infondato
Si osserva che in presenza di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione del medesimo per inadempimento, il giudice deve procedere a una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l'inadempimento che legittima la risoluzione. La valutazione della gravità dell'inadempimento, prendendo le mosse dall'esame dei fatti e delle prove inerenti
al processo, è rimessa al giudice dei merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici. Cass, Sentenza n.
12296 del 07/06/2011 Ancora questa Corte ha affermato che in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini
della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente
apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
Cass, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015 In tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse dei creditore all'adempimento della prestazione attraverso la
verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione
al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile dei sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un
atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità. Cass, Sentenza n. 22346
del 22/10/2014. 4.Si osserva che sotto l'apparente denunzia di vizio di violazione di legge e vizio di omessa motivazione il ricorrente richiede a questa Corte un
riesame del merito della controversia con una valutazione delle risultanze probatorie diversa da quella motivatamente fatta propria dai giudici di merito.
5.Nel caso di specie la Corte di Appello ha operato una valutazione completa delle risultanze probatorie tenendo conto che il termine per l'adempimento non era un
termine essenziale ; che l'interesse concreto dell'acquirente era quello di acquistare il diritto di proprietà sull'immobile oggetto del preliminare; che tale interesse non era realizzabile senza la manifestazione di volontà di ciascuno dei
promittenti venditori, nudo proprietario e usufruttuari; che proprio questi ultimi avevano chiesto di ritardare la stipula del definitivo temendo una prossima dichiarazione di fallimento; che una volta dichiarato il fallimento della società di
fatto G. P. e L. C., la promissaria acquirente aveva immediatamente invitato i venditori a stipulare il contratto definitivo; che il fallimento G. P. e L. C. concordava
con il trasferimento dell'immobile alla M.. 6.Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità mentre l'impugnazione si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella
del giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.
Infatti il ricorrente richiede una diversa valutazione della natura essenziale del termine a stipulare contenuta nella scrittura del settembre 1986, una valutazione della successiva scrittura fra agli usufruttuari e l'acquirente M., che secondo la sua
prospettazione annullerebbe renderebbe vano il termine per la stipula, senza peraltro riportare il ricorso perlomeno delle parti essenziali tali documenti e senza
indicare dove è possibile rinvenirli nel fascicolo di ufficio incorrendo anche nella censura di inammissibilità dei motivo ex art. 366 primo comma, n. 6, cod. proc.
civ., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006. Conclusivamente il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della resistente liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori e spese generali come per legge.