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Nanotossicologia dei quantum dot di CdS in linee cellulari umane

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Academic year: 2022

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DIPARTIMENTO DI BIOSCIENZE

DOTTORATO DI RICERCA IN BIOTECNOLOGIE CICLO XXVIII

Nanotossicologia dei quantum dot di CdS in linee cellulari umane

Coordinatore:

Chiar.mo Prof. Nelson Marmiroli Tutor:

Chiar.mo Prof. Nelson Marmiroli Co-Tutor:

Prof.ssa Annamaria Buschini Prof.ssa Marta Marmiroli

Dottoranda:

Dott.ssa Laura Paesano

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Nanomateriali ... 5

Proprietà chimico-fisiche ... 7

Sintesi dei nanomateriali ... 9

Classificazione dei nanomateriali ... 10

Applicazioni ... 12

Quantum dot e quantum dot di cadmio solfuro (CdS QD) ... 16

Applicazioni ... 16

Valutazione del rischio tossicologico ... 17

Nanotossicologia ... 18

Meccanismi di nano-tossicità ... 20

Principali meccanismi cellulari di risposta ai nanomateriali ... 24

Tossicità dei nanomateriali ... 28

Tossicità dei CdS QD ... 29

Linee cellulari umane come modello per gli studi di tossicità in vitro ... 30

Tossicità del cadmio ... 31

2. Scopo del lavoro ...34

3. Materiali e metodi ...36

Quantum dot di cadmio solfuro ... 37

Coltura cellulare ... 37

Internalizzazione di CdS QD ... 38

Citotossicità ... 39

Analisi di espressione genica ... 40

Estrazione RNA ... 40

Retrotrascrizone ... 41

Real Time - PCR: analisi di espressione mediante TaqMan® custom Array Plates ... 41

Real Time PCR: analisi di espressione mediante chimica SYBR® Green ... 48

Analisi dei dati ... 52

Determinazione della presenza di danno al DNA ... 53

Saggi per la valutazione dello stress ossidativo ... 54

Determinazione della formazione di specie reattive dell'ossigeno ... 54

Determinazione dei livelli di glutatione intracellulare ... 55

Determinazione dei livelli di ossido nitrico intracellulare ... 57

Saggio per la determinazione dell'integrità mitocondriale ... 58

Depolarizzazione della membrana mitocondriale ... 59

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Determinazione del numero di copie del mtDNA ... 59

Analisi statistica ... 60

4. Risultati ...62

Internalizzazione di CdS QD ... 63

Citotossicità ... 65

Analisi di espressione genica ... 67

Determinazione di danno al DNA ... 73

Saggi per la valutazione dello stress ossidativo ... 74

Saggio per la determinazione dell'integrità mitocondriale ... 77

5. Discussione ...79

6. Conclusioni ...85

Bibliografia ...87

Appendice ...98

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l'esplosione del mercato dei prodotti ad esso collegati. I quantum dot di cadmio solfuro (CdS QD) sono ampiamente utilizzati per la produzione di materiali semiconduttori e dispositivi optoelettronici; tuttavia, non sono ancora completamente chiari gli effetti di questi nanomateriali sulla salute umana. Questo lavoro di dottorato si pone l'obbiettivo di definire il potenziale citotossico e genotossico dei CdS QD in linee cellulari umane e definirne il meccanismo implicato. A questo scopo, essendo il fegato uno dei principali organi di accumulo del cadmio e dei nanomateriali a base di cadmio, è stata utilizzata la linea cellulare HepG2 derivante da un epatocarcinoma umano. È stato evidenziato, in seguito all'assorbimento a livello cellulare dei CdS QD, un effetto citotossico, con conseguente modulazione dell'espressione genica di una serie di geni coinvolti sia nei processi di rescue (autofagia, risposta allo stress) sia in quelli di morte cellulare programmata. È stato, inoltre, dimostrata l'assenza di un rilevante effetto genotossico dipendente da questi nanomateriali.

Infine, è stato osservato che cellule esposte ai CdS QD presentano mitocondri con un potenziale di membrana alterato, con conseguente alterazione della funzionalità di tale organello, pur conservando l'integrità del DNA mitocondriale.

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Abstract

Nanotechnology is a rapidly growing field with many products manufactured and distributed in a wide and diverse range of industrial and technological applications. Cadmium sulfide quantum dots (CdS QDs) are widely used in the electric and electronic industries to produce semiconductor structures, solar energy and optoelectronic devices. However, the mechanism of interactions of these nanomaterials with living organisms have not been thoroughly evaluated. This study, on the effects of CdS QDs in HepG2 cells, has produced precious novel information regarding their potential action including their toxicity. CdS QDs internalization in HepG2 cells was led to a decrease in cell viability. The uptake was followed by the modulation of several key genes involved in the programmed cell death (PCD) pathways and in rescue pathways (i.e. autophagy, ROS clearance, oxidative stress response) leading to hypothesize a dual role for CdS QDs interaction. At low toxic dose, CdS QDs may trigger a cellular response which leads to a damage rescue and an early establishment of the apoptotic-like PCD pathway. This study demonstrated also that CdS QDs induced loss of mitochondrial function, but without a substantial damage of mitochondrial DNA.

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Ct ciclo soglia

Cyt c citocromo c

CTR cellule non trattate DCF 2,7-diclorofluoresceina

DCFH-DA 2,7-diclorofluoresceina diacetato DMEM Dulbecco Modified Eagles’s Medium dNTP deossinucleotidi trifosfato

DTNB acido 5,5'-ditio -bis -(2-nitrobenzoico) EDTA acido etilendiamminotetracetico

FS foward scatter

GSH glutatione ridotto GSSG glutatione ossidato

MOMP permeabilizzazione della membrana mitocondriale

mtDNA DNA mitocondriale

MTS 3 - (4,5-dimethylthiazol-2-yl) - 5 - (3-carboxymethoxyphenyl) - 2 - (4- sulfophenyl) - 2H - tetrazolium

MWCNT multi-walled carbon nanotube NADH nicotinammide adenina dinucleotide

NADPH nicotinammide adenina dinucleotide fosfato

NM nanomateriale

NO ossido nitrico

PBS phosphate buffered saline PCD morte cellulare programmata

QD quantum dot

RNS specie reattive dell'azoto ROS specie reattive dell'ossigeno RQ fold-expression change SEM errore standard della media

SS side scatter

SWCNT single-walled carbon nanotube TI% tail intensity percent

TNB acido 5-tio-2-nitrobenzoico

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1. Introduzione

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modificare i materiali a livello atomico e molecolare; richiedono un approccio multidisciplinare permettendo la realizzazione di materiali, dispositivi e sistemi con dimensioni nanometriche. Sono un settore in rapida crescita, come è dimostrato dal continuo aumento dei prodotti ad esse correlate e dalle numerose applicazioni nei diversi ambiti industriali e tecnologici (Maynard et al., 2006).

La prima idea di nanotecnologia è stata introdotta nel 1959, quando il fisico americano e futuro premio Nobel, Richard Feynman, intuì la possibilità di manipolare la materia su scala atomica e molecolare, e le immense potenzialità che da ciò potessero derivare (Feynman, 1960). Infatti durante un suo, ormai, celebre seminario, "There's plenty of room at the bottom", gettò i semi per questo nuovo settore scientifico e tecnologico, suggerendo la possibilità di realizzare strumenti dalle dimensioni nanometriche attraverso la manipolazione di singoli atomi o di molecole. Egli, inoltre, suggerì come queste nuove tecnologie potessero essere utilizzare per creare strutture ancora più piccole.

Il termine "nanotecnologia" fu coniato solo qualche decennio dopo, nel 1974, da Norio Taniguchi che, in un suo lavoro, la definì come la capacità di processare, separare, deformare la materia lavorando su scala atomica o molecolare. Tuttavia le nanotecnologie non si svilupparono prima degli anni ottanta, quando Drexler espanse l'idea di Feynman descrivendo un approccio di ingegneria molecolare (Drexler, 1987, 1981). Drexler propose una visione molecolare della materia, definendo così un nuovo settore scientifico, quello delle nanotecnologie, che, da quel momento in poi, si svilupperà unendo la ricerca propria di diverse discipline, come la chimica, la scienza della materia, la medicina, la tossicologia, l'ecotossicologia, la biologia molecolare e l'ingegneria molecolare. Nel suo libro, "Engines of creation. The coming era of nanotechnology.", definì la capacità di porre ogni atomo dove si voglia che esso stia come nanotecnologia, poiché si opera a livello del nanometro, un milionesimo di metro. Da questo momento in poi le nanotecnologie presero il volo, grazie anche allo sviluppo di microscopi sofisticati (Microscopio a Scansione a effetto Tunnel, STM, Microscopio a Forza Atomica, AFM, ecc.), che permisero l'osservazione della materia su scala atomica. Un significativo incremento nella popolarità delle nanotecnologie e nello sviluppo di diversi nanomateriali si è registrato a partire dagli anni novanta, portando ai risultati noti ai nostri giorni.

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Le nanotecnologie promettono vantaggi sia industriali che economici in diversi settori che vanno da quello medico, cosmetico e alimentare a quello energetico, elettronico e tessile.

Nanomateriali

I nanomateriali sono il fondamento delle nanotecnologie. Sono definiti come particolari strutture di differente composizione chimica che presentino almeno una dimensione inferiore ai 100 nm (Fig. 1.1).

Figura 1.1 Scala nanometrica che mostra i nanomateriali comparati ai componenti biologici e a materiali di dimensioni non nanometriche.

Le diverse organizzazioni esistenti, internazionali e non, hanno sviluppato definizioni specifiche per definire i nanomateriali principalmente sulla base delle loro dimensioni. In particolare, l'Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO) definisce i nanomateriali come materiali con una dimensione esterna nanometrica o con una struttura nanometrica interna o superficiale; intendendo con il termine nanometrica una grandezza compresa approssimativamente tra 1 e 100 nm (http://cdb.iso.org). L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), invece, li descrive come sostanze chimiche

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struttura interna o superficiale nanometrica (Fig. 1.2). All'interno dell'Unione Europea, la

Figura 1.2 Definizione di nanomateriale. Tratto da Krug & Wick (2011).

Commissione ha emanato una Raccomandazione, nell'ottobre del 2011, nella quale definisce un nanomateriale come un "materiale naturale, derivato o fabbricato contenente particelle allo stato libero, aggregato o agglomerato, e in cui una o più dimensioni esterne siano comprese tra 1 e 100 nm" (2011/696/UE).

Nonostante si tratti di definizioni leggermente differenti tra loro, in tutti i casi i nanomateriali vengono confinati in un dominio dimensionale ben definito, equivalente a quello del particolato ultrafine, e collocato all'interno di quello proprio dell'insieme dei colloidi (Fig. 1.3) (Christian et al., 2008). Ricordiamo che per colloide (o sistema colloidale) si intende, generalmente, un sistema a due fasi: una costituita da una sostanza di dimensioni microscopiche (diametro da 1 nm a 1 μm) e una fase continua disperdente. Si tratta, dunque, di sistemi eterogenei, caratterizzati da una tensione di vapore e pressione osmotica non regolari.

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7 Figura 1.3 Dominio dimensionale dei colloidi e delle nanoparticelle, con esempi di alcuni colloidi naturali.

Tratto da Christian et al. (2008).

La definizione di nanomateriale come sotto-frazione dei colloidi è fondamentale per capirne appieno le peculiari proprietà chimico-fisiche. È importante, infatti, sottolineare che la dimensione dei nanomateriali è la loro principale caratteristica, che li rende completamente differenti dai corrispondenti materiali di dimensioni maggiori.

Proprietà chimico-fisiche

I nanomateriali, come più volte evidenziato, sono caratterizzati da peculiari proprietà chimico-fisiche che sono da attribuire alle loro piccole dimensioni (area di superficie e distribuzione della dimensione), composizione chimica (purezza, cristallinità, proprietà elettroniche, ecc.), struttura superficiale (reattività di superficie, gruppi esposti sulla superficie, rivestimento inorganico o organico, ecc.), solubilità, forma e aggregazione (Nel et al., 2006). Tali proprietà sono descrivibili combinando insieme leggi proprie della fisica classica con quelle della fisica moderna.

Come già detto precedentemente, la caratteristica principale dei nanomateriali è la loro dimensione, che è responsabile delle differenti proprietà fisico-chimiche rispetto al

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reattività chimica (Fig. 1.4). Il risultato di ciò è che materiali preparati sottoforma di nanomateriali potrebbero presentare una maggiore attività in processi catalitici rispetto al corrispondente materiale di dimensioni non nanometriche (bulk) (Yoo, 1998). Ad esempio, un materiale considerato normalmente un pessimo catalizzatore, come l'oro, presenta ottime proprietà catalitiche se formulato con dimensioni nanometriche (Sau et al., 2001). L'elevato rapporto area di superficie/volume è, quindi, responsabile di alcune peculiari proprietà dei nanomateriali (come nuova reattività chimica e nuove proprietà ottiche, magnetiche, catalitiche ed elettrochimiche).

Figura 1.4 Relazione inversa tra dimensioni delle particelle e numero di molecole esposte sulla superficie. Tratto da Nel et al. (2006).

I nanomateriali, inoltre, sono caratterizzati da un'elevata energia superficiale che conferisce loro un'elevata capacità di agglomerazione e, di conseguenza, la tendenza a precipitare quando presenti in soluzione (Christian et al., 2008). Il grado di aggregazione in un mezzo acquoso dipenderà dalla frequenza di collisione particella-particella, dall’energia della collisione e dalle proprietà attrattive-repulsive delle particelle implicate. Dopo l’iniziale collisione, le particelle possono formare cluster o aggregati di cluster (le forze implicate nella collisione includono la repulsione di Borne e attrazione di van der Waals), a causa dell'elevata energia superficiale che li caratterizza, provocandone la precipitazione. Tale fenomeno ha pratiche implicazioni, poiché, nella maggior parte dei casi, i nanomateriali perdono le loro peculiari proprietà in seguito all'aggregazione. Per evitare la precipitazione in soluzione dei

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nanomateriali molto spesso si cerca di stabilizzarle creando delle barriere tra le particelle stesse. Generalmente si cerca di ottenere una giusta combinazione tra cariche superficiali del materiale stesso e quelle degli ioni presenti nel solvente per creare repulsione tra i nanomateriali in sospensione (Christian et al., 2008).

Sintesi dei nanomateriali

Le strategie di sintesi e assemblaggio dei nanomateriali possono seguire un approccio top-down o un approccio bottom-up (Fig. 1.5). Quest'ultimo prevede la preparazione del nanomateriale desiderato tramite l'assemblaggio di singoli elementi nanometrici (nano- building blocks) basandosi su principi fisico-chimici di auto-organizzazione molecolare o atomica. Questo approccio permette, sfruttando il principio di supersaturazione, la sintesi di strutture più complesse a partire da atomi o molecole, controllando finemente le dimensioni, forme e intervalli di grandezza. L’approccio top-down, invece, si riferisce ai processi di produzione mediante tecnologia dei microsistemi, che prevede la generazione diretta del nanomateriale sfruttando metodologie fisiche come la fotolitografia, il processamento laser o tecniche meccaniche basate sull’attrito; quindi da un materiale grezzo saranno generati i singoli nanomateriali. Un approccio di questo tipo è utilizzato per la produzione di nanoparticelle metalliche; in questo caso, materiali tradizionali, come ossido di metalli, sono polverizzati all'interno di mulini a sfere ad alta energia (Raab et al., 2011).

Figura 1.5 Tecniche per la sintesi di nanomateriali. Tratto da Raab et al. (2011).

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un approccio bottom-up nanomateriali con un diametro compreso tra 1 e 10 nm e con una struttura cristallina o con una superficie derivatizzata (Murray et al., 1993; Saravanan et al., 2008). La sintesi in fase gassosa o di aerosol è più comunemente utilizzata a livello industriale per la produzione di nanomateriali sottoforma di polveri o film. Tale tecnica è basata su processi di evaporazione e condensazione (nucleazione e crescita) in ambiente inerte. Le nanoparticelle vengono sintetizzate vaporizzando il materiale di partenza mediante mezzi chimici o fisici. La produzione delle nanoparticelle iniziali, che può essere in stato liquido o solido, avviene tramite nucleazione omogenea. A seconda della strumentazione, la successiva crescita della particella può avvenire per condensazione (transizione dallo stato gassoso allo stato di aggregazione liquido), per reazione/i chimica sulla superficie della particella e/o per processi di coagulazione (adesione di due o più particelle). Esempi di nanomateriali sintetizzati con tecniche di questo tipo sono i nanotubi di carbonio e i fullereni.

L’utilizzo di uno o dell’altro approccio comporta risultati molto differenti in termini di densità, resistenza meccanica e proprietà magnetiche del prodotto finale. Tali risultati sono imputabili sia alle dimensioni dei nanomateriali, sia, in larga parte, al numero di atomi sulla superficie della particella.

Classificazione dei nanomateriali

In accordo con Stern & McNeil (2007), i nanomateriali possono essere classificati in due gruppi dipendenti dalla natura delle particelle: naturali o ingegnerizzati.

Tra i nanomateriali naturali distinguiamo quelli di origine geologica da quelli di origine biologica. I primi sono tipicamente nanomateriali inorganici e sono originati in seguito ai cambiamenti fisico-atmosferici, come abrasione o dissoluzione del materiale roccioso a polveri, all’attività vulcanica, alle attività geotermali/idrotermali e alla neoformazione nel suolo. Quelli di origine biologica, invece, sono generalmente molecole organiche, come proteine/peptidi, DNA/RNA, virus (Handy et al., 2008).

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Per nanomateriali ingegnerizzati si intendono, invece, quei nanomateriali sintetizzati attraverso processi tecnologici. Questi, a loro volta, possono essere classificati, sulla base della loro natura chimica, in:

 nanomateriali a base di metalli

Possono essere costituiti da soli metalli, come i nanomateriali di oro (Au NM), argento (Ag NM) e ferro (Fe NM), o da ossidi di metalli, come i nanomateriali di ossido di titanio (TiO2 NM), ossido di zinco (ZnO NM). Rientrano in questo gruppo anche una particolare tipologia di nanomateriali, i quantum dot (QD).

Questi sono nanocristalli semiconduttori con peculiari proprietà ottiche ed elettroniche dipendenti esclusivamente dalle loro piccole dimensioni.

 nanomateriali a base di carbonio

Sono costituiti esclusivamente da atomi di carbonio e, a seconda della struttura che li caratterizza, si distinguono in:

◊ fullereni (Fig. 1.6), molecole composte da 60 - 70 - 80 atomi di carbonio comunemente di forma sferoidale. Aumentando il numero di atomi varierà la struttura della molecola e le proprietà fisico-chimiche.

Figura 1.6 Esempi di fullereni costituiti da 60 (a) e 70 (b) atomi di carbonio

◊ nanotubi di carbonio (CNT; Fig. 1.7), molecole di forma tubolare di lunghezza e diametro variabili. Possono essere sintetizzate come singoli strati (single- walled, SWCNT) o come più strati concentrici (multi-walled, MWCNT).

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12 Figura 1.7 Esempi di nanotubi di carbonio. A sinistra un SWCNT e a destra un MWCNT

nanomateriali con struttura ibrida

Nanomateriali metallici o a base di carbonio, che sono stati funzionalizzati o rivestiti esternamente in modo da aumentare l'affinità per un specifico target o per conferire nuove proprietà al nanomateriale stesso (es. conducibilità termica o elettrica).

Applicazioni

La quota di mercato mondiale dei prodotti derivanti dal settore delle nanotecnologie è stato valutato pari a 26 miliardi di euro nel 2014 e si prevede che possa raggiungere i 64 miliardi di euro entro il 2019 (BBCResearch, 2014). Le applicazioni dei nanomateriali sono innumerevoli e comprendono il settore medico, cosmetico ed elettronico (Fig. 1.8). Prodotti a base di nanomateriali possono essere utilizzati in prodotti igienici o di bellezza (ad esempio nei pannolini o creme solari), in prodotti per l’industria aerospaziale (come additivi per i propellenti dei razzi), in medicina e diagnostica e in prodotti per l’industria dei materiali.

Questo ampio spettro di applicazioni è reso possibile grazie alle peculiari proprietà fisico- chimico che caratterizzano i nanomateriali.

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13 Figura 1.8 Esempi di prodotti commerciali a base di nanomateriali. Tratto da Maynard et al. (2006).

Nanomateriali di ossidi di metallo sono molto utilizzati nel settore chimico, della scienza dei materiali e delle scienze biologiche. Ad esempio, il TiO2 NM trova impiego nella catalisi chimica, il SiO2NM nei filler dentali e il CeO2NM come additivo nei carburanti. I Au NM e Ag NM, date le loro proprietà ottiche, elettroniche, magnetiche e la loro stabilità chimica, trovano applicazione in ambito medico come agenti di contrasto; inoltre, i Ag NM sono spesso utilizzati per la loro proprietà antibatterica (interferiscono con la trascrizione del DNA e bloccano la respirazione cellulare). Sono stati, ad esempio, realizzati cerotti protettivi contenenti nanoparticelle di argento per curare le ferite provocate da ustioni. TiO2 NM sono anche utilizzati per formulare creme solari, che bloccano tutti i raggi UV restando completamente trasparenti alla luce visibile. I nanotubi sono molto utilizzati nell'industria tessile, in quanto danno origine a fibre molto resistenti che possono trovare applicazioni per costituire imbracature di sicurezza, giubbotti e schermi antiproiettili. Inoltre, sono stati realizzati indumenti in cotone impermeabili ai liquidi. Le fibre di cotone sono state ricoperte da una "peluria" (nano-whiskers) che, creando un cuscino d'aria, simula l'effetto loto osservato in natura. Le foglie di loto, infatti, hanno la proprietà di non trattenere l'acqua;

questa, infatti, scivola via sotto forma di tante goccioline a causa dell'alta tensione superficiale presente sulla foglia, portando via tracce di fango e insetti che vi si appoggiano. Le foglie di loto sono rivestite da cristalli di cera idrofobica di dimensioni nanometriche che le rendono molto ruvide in superficie (Fig. 1.9). In questo modo l'area di contatto tra la goccia e la

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d'acqua su una superficie liscia slitta mentre su una ruvida rotola, rendendo più efficace l'effetto autopulente.

Figura 1.9 Ingrandimenti progressivi di una foglia di loto

Sempre sfruttando l'effetto loto, i nanomateriali sono anche utilizzati per formulare spray super idrofobici da spruzzare su materiale edile (anche vetro), permettendo alle superficie di auto-pulirsi, sfruttando l'acqua piovana (Fig. 1.10).

Figura 1.10 A. Clarity Defendere Automotive-Glass Treatment, film nanostrutturato che previene la formazione di ghiaccio e di sporco nel parabrezza delle auto. B. SurfaPore® C, idrorepellente per superfici in cemento, malta, stucco, pietra.

Altre applicazioni sono costituite dalla formulazione di rivestimenti superficiali antigraffio e con una migliore resistenza all'usura.

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I nanomateriali, inoltre, trovano impiego per la bonifica di siti contaminati. Ad esempio, nanomateriali a base di ferro sono utilizzati per rimuovere il tetracloruro di carbonio dalle acqua di falda o l'arsenico dalle acque.

Le nanotecnologie, inoltre, possono avere un grande impatto sullo sviluppo, l'elaborazione e l'applicazione di dispositivi elettronici; ne sono esempi i diodi nano, OLED, display al plasma, dispositivi per computer, progettazione di chip, nano transistor, ecc. I nanomateriali possono essere sfruttati anche nel campo delle energie rinnovabili per migliorare l'efficienza energetica della produzione, l'assorbimento e lo stoccaggio di energia.

Le loro applicazioni, inoltre, possono essere ulteriormente ampliati funzionalizzando la superficie dei nanomateriali con ioni di metalli, piccole molecole o polimeri; in questo modo, ad esempio, potrebbero essere utilizzati, in campo medico, per interagire selettivamente con uno specifico target. Sfruttando questa idea, si sta cercando di sviluppare nanomateriali per veicolare chemioterapici esclusivamente alle cellule tumorali, per approcci di terapia genica come mezzi trasportanti uno specifico gene, e per tecniche di ingegneria tissutale come scaffold (Fig. 1.11). Un'importante applicazione potrebbe essere nel settore della drug delivery, per la formulazione di farmaci a rilascio controllato e specifico.

Figura 1.11 Applicazioni mediche delle nanotecnologie. Tratto da Fadeel (2013).

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inferiore ai 10 nm (sebbene in alcuni casi possano raggiungere dimensioni di 50 nm quando funzionalizzati con particolari gruppi). Si tratta di nanomateriali costituiti, generalmente, da atomi appartenenti ai gruppi II-VI (es. CdSe, CdTe, CdS, PbSe, ZnS e ZnSe) e III-V (es.

GaAs, GaN, InP e InAs) della tavola (Chan et al., 2002). Le dimensioni molto piccole sono responsabili delle particolari proprietà ottiche ed elettroniche tipiche di questi nanomateriali e non riscontrabili nel corrispondente materiale in scala non nanometrica. Esempi di queste peculiari proprietà sono l'ampio e continuo spettro di assorbimento e una stretta banda di emissione (Bruchez Jr., 1998).

I QD, inoltre, possono subire passivazione con la conseguente formazione di un rivestimento esterno, che, solitamente, conferisce loro una maggiore bio-stabilità e bio- compatibilità (Lewinski et al., 2008).

La produzione dei QD può avvenire principalmente con due approcci: sintesi organometallica e sintesi acquosa (Chen et al., 2012). La prima permette di ottenere QD con eccellenti proprietà ottiche (Peng et al., 2000) ma solitamente di natura idrofobica, che ne limita l'utilizzo in ambito biologico. I QD così ottenuti potrebbero essere sottoposti a trattamenti di funzionalizzazione con ligandi idrofilici per permetterne la dispersione in ambienti acquosi (Gerion et al., 2001). Tuttavia, questi processi spesso ne alterano le proprietà ottiche/fisiche/chimiche (Bao et al., 2004). La sintesi acquosa costituisce sicuramente una strategia più economica, semplice e ecosostenibile rispetto a quella appena descritta. I QD ottenuti con questo approccio risultano avere un diametro inferiore ai 5 nm, non necessitano di trattamenti post sintesi, ma spesso sono caratterizzati da proprietà ottiche non ottimali (Gaponik et al., 2002). Tuttavia, per ovviare a questo problema, si stanno sviluppando nuove strategie per ottenere QD mediante sintesi acquosa con ottime proprietà ottiche.

Applicazioni

Le eccellenti proprietà ottiche fanno dei QD un'interessante nuova classe di fluorofori per applicazioni mediche, come traccianti per immagini diagnostiche in vivo e biosensori (Bu

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et al., 2013; Zhang et al., 2013). QD bioconiugati sono in via di sviluppo per l'utilizzo come strumenti per la drug delivery (Yu and Chow, 2004).

Inoltre, date le loro peculiari proprietà di semiconduttori sono spesso utilizzate in microelettronica e optoelettronica (Chan et al., 2002; Nann and Skinner, 1993); ad esempio per la produzione di pannelli LED. Si stanno, inoltre, sviluppando procedure per sistemi di memorizzazione ad altissima densità (Hardman, 2006).

Nel settore dell'energia rinnovabile, i CdS QD vengono utilizzati in celle solari per una produzione più efficiente ed economica di energia.

Valutazione del rischio tossicologico

La grande importanza che viene data alle nanotecnologie unitamente all'esplosione del mercato dei prodotti ad essa collegati, avvenuta nel corso degli ultimi due decenni, ha suscitato un grande interesse nei confronti dei potenziali effetti che i nanomateriali possano avere sulla salute umana e sull'ambiente.

Visto che i nanomateriali presentano spesso caratteristiche diverse dai corrispondenti materiali in scala non nanometrica, il sospetto è che lo stesso possa accadere per gli effetti tossici. Le loro piccole dimensioni, unitamente alle loro nuove proprietà chimico-fisiche potrebbero, infatti, essere responsabili di aumentare l'uptake e l'interazione con i sistemi biologici, determinando quindi effetti nocivi. Per tale motivo nasce la necessità di un'attenta valutazione del rischio connesso a tali materiali.

Nel campo della tossicologia regolatoria (branca della tossicologia che raccoglie, processa e valuta i dati tossicologici per consentire decisioni volte alla protezione della salute), un rischio è definito come funzione dell'esposizione e del pericolo. Ne consegue che i possibili danni alla salute o agli ecosistemi dipenderanno dalla dose (quindi dal livello di esposizione) e dalla tossicità. Tale definizione di rischio tiene in considerazione due aspetti indipendenti tra loro:

 l'esposizione: cioè la misura in cui gli organismi viventi entrano in contatto con i nanomateriali. L'esposizione descrive la quantità di nanomateriale a cui un organismo è sottoposto per un determinato periodo di tempo.

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descrive la proprietà intrinseca di un preciso nanomateriale, e dipende dalle proprietà fisico/chimiche della sostanza, nonché della natura dell'organismo bersaglio.

L'esposizione ai nanomateriali può avvenire sia durante il loro sviluppo, sia durante la fabbricazione di prodotti che li contengono, sia durante l'utilizzo di questi. Definire il ciclo di vita di questi prodotti può essere d'aiuto per comprendere le diverse vie di rilascio, trasporto, esposizione e uptake dei nanomateriali (Hischier and Walser, 2012). L'esposizione umana può anche essere il risultato di un contatto diretto, come l'ingestione di alimenti che presentano nanomateriali come additivi o il sottoporsi a procedure mediche che sfruttano tali materiali, o l'utilizzo di prodotti cosmetici che li contengono.

La valutazione dei rischi, quindi, descrive l'effetto tossico di una sostanza o materiale, ovvero la capacità di provocare un danno in un organismo vivente, quando tale sostanza è assunta ad una certa dose. La tossicità della maggior parte delle sostanze segue una funzione dose-risposta non lineare: a basse dosi non si osservano effetti avversi fino al raggiungimento di una specifica dose soglia, superata la quale si rendono evidenti gli effetti tossici.

Ovviamente il tempo di esposizione svolge un ruolo cruciale in questa relazione; non possono essere esclusi effetti negativi in seguito ad un'esposizione a lungo termine di una dose bassa.

Ciò che determina la dose che un organismo target può assorbire è, quindi, la durata dell'esposizione.

Nanotossicologia

La nanotossicologia si riferisce allo studio delle interazioni dei nanomateriali con i sistemi biologici, definendo il rapporto tra le proprietà fisico/chimiche e l'induzione degli effetti tossici (Oberdörster et al., 2005).

Capire tutto ciò non è semplice; la complessità è data dalla possibilità, da parte dei nanomateriali, di modificare la loro capacità di legame e di interazione con il materiale biologico e di cambiare le proprie caratteristiche di superficie a seconda dell'ambiente in cui si trovano (Elsaesser and Howard, 2012). Le conoscenze scientifiche accumulate negli ultimi

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anni sui meccanismi di interazione nanomateriale-cellule, indicano che queste sono in grado di internalizzarli attraverso meccanismi sia attivi che passivi (Fig. 1.12).

Figura 1.12 Possibili meccanismi di internalizzazione di nanomateriali: diffusione passiva, endocitosi mediata da recettore o da vescicole di clatrina. Tratto da Singh et al. (2009).

Tuttavia, nell'ambiente intracellulare molto poco ancora è chiaro sui processi coinvolti.

Particelle dello stesso materiale possono, quindi, mostrare un comportamento completamente diverso dovuto, ad esempio, a piccole differenze sul rivestimento superficiale, sulla carica o sulla dimensione. Questo rende la possibilità di una categorizzazione del comportamento dei nanomateriali, a contatto con sistemi biologici, molto complicata e di conseguenza la valutazione del rischio non è semplice. Questa è una delle principali differenze esistenti tra nanotossicologia e tossicologia classica, dove, in quest'ultima, la caratterizzazione delle sostanze tossiche segue, generalmente, protocolli ben definiti indicanti una serie consolidata di metodologie disponibili. Protocolli di questo tipo non sono ancora diffusi per i nanomateriali e, inoltre, per la loro formulazione, sarà necessario tenere in considerazione molte più variabili, come materiale, dimensione, forma, superficie, carica, rivestimento, dispersione, agglomerazione, aggregazione, concentrazione e matrice (Fig. 1.13). Il dover considerare un gran numero di variabili, che possono influenzare la tossicità di questi materiali, si traduce in una difficile generalizzazione sui rischi per la salute associati all'esposizione ai nanomateriali; ogni nuovo nanomateriale deve essere valutato individualmente e tutte le proprietà che lo caratterizzano devono essere prese in considerazione (Shinde et al., 2012).

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20 Figura 1.13 Schema delle principali caratteristiche dei nanomateriali che devono essere tenute in considerazione per valutare la biocompatibilità. Modificato da Soenen et al. (2011).

Non essendo ancora presenti linee guida per la valutazione del rischio di questi materiali, si cerca di realizzare dei prodotti derivanti dalle nanotecnologie con un profilo rischi-benefici accettabile; questo è reso possibile grazie ad una nuova ed emergente strategia, detta safe by design (Fadeel, 2013). Questo approccio si basa sulla modificazione dei nanomateriali per renderli completamente safe (bassa reattività in un sistema biologico) (Lynch et al., 2014), sfruttando la connessione esistente tra proprietà fisico-chimiche dei nanomateriali e i meccanismi biologici o tossicologici di risposta a questi (Fadeel, 2013).

Meccanismi di nano-tossicità

L'impatto biologico dei nanomateriali e la loro biocinetica dipendono dalle dimensioni, composizione chimica, struttura di superficie, solubilità, forma e aggregazione (Fig. 1.14). Questi parametri, infatti, possono modificare l'internalizzazione da parte delle cellule, il legame a proteine, la traslocazione all'interno dell'organismo e la possibilità di

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causare lesioni ai tessuti (Oberdörster et al., 2005). Ad esempio, più è piccola una particella, maggiore sarà il rapporto area di superficie/volume e maggiore sarà la sua reattività chimica ed attività biologica.

Figura 1.14 Relazione tra le proprietà delle nanoparticelle e gli effetti biologici. Tratto da Dietz & Herth (2011).

Il meccanismo primario di tossicità dei nanomateriali sembra essere l'aumento delle specie reattive dell'ossigeno (ROS) e la produzione di radicali liberi (Fig. 1.15). Inoltre, le ROS sono uno dei principali fattori coinvolti nel processo infiammatorio determinando una up-regolazione dei geni coinvolti nella risposta pro-infiammatoria, mediante l'attivazione di specifici fattori di trascrizione (Gou et al., 2010; Li et al., 2008). Tuttavia, la formazione di radicali liberi può avere anche un impatto diretto sull'integrità cellulare (Uchino et al., 2002).

Ciò è stato osservato per una vasta gamma di nanomateriali, come fullereni, nanotubi di carbonio e nanoparticelle di ossidi di metallo. Le dimensioni estremamente ridotte dei nanomateriali implicano anche un più facile assorbimento da parte dell'organismo, rispetto alle particelle di dimensioni maggiori (Yang et al., 2010).

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22 Figura 1.15 Rappresentazione grafica dei diversi modi in cui i nanomateriali possono indurre stress ossidativo.

a) Generazione diretta delle ROS come risultato dell'esposizione ad un ambiente acido, come quello dei lisosomi, o per rilascio di ioni o per le proprietà chimiche della superficie. b) Interazione dei nanomateriali con organelli cellulari, come i mitocondri, alterandone la funzionalità. c) Interazione dei nanomateriali con proteine come NADH ossidasi. d) Interazione dei nanomateriali con recettori di superficie e attivazione di processi di segnalazione intracellulare. Tratto da Soenen et al. (2011).

Come questi nanomateriali si comportino all'interno del corpo non è ancora del tutto chiaro. È stato ipotizzato che la maggior parte di essi possa subire processi di fagocitosi, saturando tale meccanismo cellulare con conseguente attivazione dei meccanismi di risposta allo stress, portando, quindi, ad infiammazione e indebolimento dei meccanismi di difesa dell'organismo. Oltre a dover comprendere cosa succeda in un organismo che accumuli nanomateriali, bisogna anche capire se e come, queste particelle, interferiscano con i processi biologici. Ad esempio, potrebbero legare alcune proteine, causandone alterazione delle loro attività enzimatiche o dei meccanismi di regolazione in cui sono implicati.

Le potenziali vie di esposizione ai nanomateriali includono il tratto gastrointestinale, la pelle, i polmoni e la somministrazione sistemica, in caso di uso diagnostico e terapeutico (Nel et al., 2006). In quest'ultima situazione, é stato osservato che questi materiali possano distribuirsi nell'organismo raggiungendo il colon, il midollo osseo, il fegato, la milza e i vasi linfatici (El-Ansary and Al-Daihan, 2009). Le interazioni dei nanomateriali con i fluidi corporei, le cellule e le proteine giocano un ruolo principale nel determinare gli effetti biologici e l'abilità di distribuirsi nei vari tessuti. Ad esempio, i nanomateriali potrebbero legare proteine, generando complessi in grado di penetrare in tessuti altrimenti inaccessibili o potrebbero andare incontro a sistemi di difesa che potrebbero eliminarli, sequestrarli o dissolverli.

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Quindi per poter effettuare una valutazione tossicologica, il punto di partenza è rappresentato dal definire tutte le caratteristiche del nanomateriale oggetto dell'analisi (Burleson et al., 2004). Questo è necessario poiché, altrimenti, i possibili effetti tossici rilevati non potrebbero essere attribuiti con assoluta certezza ad una particolare proprietà del nanomateriale o al nanomateriale stesso, ma potrebbero, ad esempio, essere una conseguenza della presenza di impurità o di altri elementi presenti nella miscela in cui si trova il nanomateriale (Sayes and Warheit, 2009).

I meccanismi di interazione nanomateriale-sistema biologico possono essere di natura chimica e/o fisica (Nel et al., 2009). I primi possono includere la produzione di ROS (Nel et al., 2006), il rilascio di ioni tossici (Xia et al., 2008), l'alterazione dei trasporti transmembrana (Auffan et al., 2008), il danno ossidativo mediante catalisi (Foley et al., 2002), la perossidazione lipidica (Kamat, 2000). I meccanismi di natura fisica dipendono principalmente dalle dimensioni e dalla superficie del nanomateriale. Queste includono alterazione dell'integrità delle membrane cellulari, aggregazione con proteine, alterazione del folding proteico e dei processi di trasporto (Elsaesser and Howard, 2012).

Entrambe le tipologie di interazione saranno seguite dall'attivazione di una serie di processi cellulari che costituiscono la risposta biologica alla presenza dei nanomateriali.

Alcuni compartimenti cellulari, inoltre, saranno più suscettibili e, quindi, più vulnerabili all'internalizzazione dei nanomateriali, poiché coinvolti in questi processi di risposta (Fig.

1.16). I nanomateriali possono, ad esempio, interagire direttamente (es. danno fisico) o indirettamente (es. ossidazione) con le membrane biologiche, portando anche a morte cellulare, visto il loro ruolo nel controllo dell'omeostasi. In questo caso, dunque, sono le proprietà di superficie delle particelle a determinare l'interazione o meno con le membrane biologiche. Questa è la ragione per cui le modificazioni sulla superficie sono cruciali nel disegno di sistemi di drug delivery per avere la certezza dell'uptake da parte delle cellule.

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24 Figura 1.16 Interazione dei nanomateriali con le cellule: bersagli intracellulari e meccanismi nano-tossicologici.

Tratto da Elsaesser & Howard (2012).

Principali meccanismi cellulari di risposta ai nanomateriali

Uno dei principali effetti biologici dovuti ai nanomateriali è la produzione di ROS nell'ambiente intracellulare. Il controllo dello stato redox cellulare è cruciale per il normale funzionamento della cellula ed è, per tale motivo, finemente controllato. La produzione di molecole ossidanti è, infatti, controbilanciata dalla presenza di antiossidanti, che mantengono bassi i livelli di ROS per prevenire il danno cellulare. Uno sbilanciamento di questo equilibrio è causa di stress ossidativo, che può tradursi in accumulo di proteine ossidate, alterazione delle membrane degli organelli cellulari e, infine, morte cellulare, se i meccanismi di rescue non sono sufficienti a contrastare lo stress (Fig. 1.17). Infatti, se si è in presenza di un'elevata quantità di ROS, queste possono agire come messaggeri secondari e attivare fattori di trascrizione, come NF-kB (fattore nucleare k B), che inducono l'espressione di geni coinvolti nella risposta pro-infiammatoria e nel processo apoptotico. Nel caso in cui si abbia un lieve incremento delle ROS, la cellula avvierà processi antiossidanti mediante l'attivazione del fattore di trascrizione nucleare NRF-2, che legherà gli elementi ARE (elementi di risposta antiossidanti), inducendo l'espressione di enzimi, come la glutatione S transferasi (GST) (Nel et al., 2006). Quindi, a seconda dell'intensità dello stress ossidativo indotto dai QD, la cellula risponde o attivando processi di difesa o quelli di morte cellulare.

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25 Figura 1.17 Meccanismi cellulari di risposta allo stress.

Recenti evidenze suggeriscono, inoltre, che i nanomateriali possono indurre il processo autofagico (Stern et al., 2008). Questo processo cellulare potrebbe essere un tentativo di degradare ciò che è percepito, dalla cellula, come estraneo e pericoloso, i nanomateriali. Il processo autofagico è solitamente attivato in risposta a situazioni di stress cellulari, come stress ossidativo dovuto ad un accumulo di proteine danneggiate dall'ossidazione, e conseguente stress del reticolo endoplasmatico, e/o per la rimozione di mitocondri danneggiati (mitofagia). Inoltre, evidenze sperimentali suggeriscono che tale processo cellulare possa essere attivato per compartimentalizzare i nanomateriali (Seleverstov et al., 2006; Stern et al., 2008). Tuttavia, sembra anche che la biopersistenza dei nanomateriali nell'autofagosoma potrebbe provocare disfunzione dello stesso processo autofagico; ciò vuol dire che l'alterazione dell'autofagia potrebbe essere incluso tra i possibili meccanismi di tossicità indotta dai nanomateriali (Fig. 1.18) (Stern et al., 2012).

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26 Figura 1.18 Induzione del processo autofagico ad opera dei nanomateriali. a) Recenti evidenze suggeriscono che i nanomateriali possono essere accumulati all'interno dell'autofagosoma. b) Studi in letteratura supportano anche l'ipotesi che i nanomateriali possano indurre alterazione del sistema autofagico. Tratto da Stern et al. (2012).

La disfunzione del processo autofagico potrebbe essere causata direttamente o indirettamente dai nanomateriali, per saturazione delle vescicole autofagiche o per alterazione del citoscheletro cellulare, con conseguente blocco del flusso autofagico. Tale disfunzione ha, inoltre, come conseguenza, l'attivazione del processo apoptotico. Infatti, se il danno cellulare è limitato, l'autofagia svolge il suo ruolo principale come meccanismo di rescue; se, invece, il danno è ingente o prolungato, tale processo cellulare determinerà la morte metabolica dopo una fase di lag (Jäättelä, 2004).

Quindi, sia in caso di induzione di stress ossidativo, sia in caso di disfunzione del processo autofagico (processi tra l'altro collegati tra loro), i nanomateriali possono condurre verso la morte cellulare.

La morte cellulare programmata (PCD) indotta in seguito ai danni cellulari causati da questi materiali è principalmente quella associata ai mitocondri, apoptosi intrinseca, e apoptotic-like PCD (Fig. 1.19). In entrambi i casi, si tratta di pathway di morte cellulare nei quali il mitocondrio svolge un ruolo centrale. La permeabilizzazione della membrana mitocondriale esterna (MOMP), infatti, costituisce spesso un punto di non ritorno per i principali modelli di PCD (Jäättelä, 2004).

Nell'apoptosi intrinseca, proteine pro-apoptotiche BH3-only, come NOXA, PUMA, BAD, determinano l'inizio della MOMP inducendo l'oligomerizzazione di BAX e/o BAK

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nella membrana mitocondriale esterna, con conseguente formazione di canali che causano il rilascio del citocromo c e altre proteine mitocondriali. Il rilascio del citocromo c induce la multimerizzazione del fattore apoptotico APAF-1 e la formazione dell'apoptosoma. Questo ha il compito di reclutare, dimerizzare e attivare la caspasi 9, che a sua volta attiva la caspasi -3, - 6 o -7 portando all'apoptosi (Tait and Green, 2010).

Figura 1.19 Principali pathway di morte cellulare caspasi-dipendente e caspasi-indipendente. I due principali pathway di apoptosi caspasi-dipendente sono: la via estrinseca, che coinvolge la stimolazione dei, cosiddetti, recettori di morte, e la via intrinseca, nella quale è necessaria la MOMP e l'assemblaggio dell'apoptosoma.

Inoltre, il rilascio di alcune proteine mitocondriali, dovuto alla MOMP (AIF, HtrA2/Omi, endonucleasi G), possono promuovere la morte cellulare caspasi-indipendente attraverso diversi meccanismi. Tratto da Kroemer and Martin (2005).

Il rilascio dai mitocondri di AIF (apoptosis-inducing factor) determina, invece, la sua traslocazione nel nucleo inducendo la condensazione della cromatina, con un meccanismo ancora da definire (Kroemer and Martin, 2005).

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tossici dei nanomateriali sono sempre più numerosi. Tuttavia, non sono ancora sufficienti per una esaustiva valutazione del rischio poiché, spesso, emergono informazioni contraddittorie e mancano delle linee guida standardizzate (Borm et al., 2006; Iavicoli et al., 2011; Schulte and Salamanca-Buentello, 2006).

I TiO2 NM possono essere considerati relativamente innocui per la salute umana poiché, generalmente, le cellule endoteliali entrano in contatto con una piccolissima quantità di questo materiale (Strobel et al., 2014). In alcuni studi, però, è stata dimostrata una rapida internalizzazione dei TiO2 NM da parte delle cellule, con conseguente accumulo e danno all'endotelio per un'esposizione a lungo termine (Savi et al., 2014). In questo caso, quindi, particolare attenzione va indirizzata agli effetti cronici di questo nanomateriale. Inoltre, studi in vitro dimostrano che TiO2 NM, una volta all'interno della cellula, si distribuiscono nella zona perinucleare causando induzione di ROS nella medesima regione (Park et al., 2008;

Singh et al., 2009). Cai et al. (1992) dimostrano che la citotossicità associata a questi nanomateriali potrebbe essere dovuta a foto-eccitazione da luce UV, con conseguente stress ossidativo.

I ZnO NM sono, anch'essi, considerati non tossici e biocompatibili e per tale motivo utilizzati in prodotti cosmetici e nelle pitture. Tuttavia, esistono un piccolo numero di studi scientifici che dimostrano la loro possibile citotossicità (Vandebriel & De Jong 2012; Jeng &

Swanson 2006).

Studi in vitro suggeriscono che alcuni tipi di QD possono essere citotossici. Lovrić et al. (2005) hanno osservato che QD di CdTe hanno un effetto citotossico in cellule MCF-7 (derivate da un adenocarcinoma mammario). La produzione di ROS sembra essere la principale causa del danno osservato. Tale osservazione è confermata da altri studi (Chen et al., 2012; Nguyen et al., 2015, 2013; Zhang et al., 2015), condotti su linee cellulari diverse, che permettono di meglio definire il meccanismo alla base della citotossicità osservata.

L'aumento delle ROS intracellulari causa disfunzione mitocondriale, con conseguente attivazione del processo apoptotico. Questi lavori, inoltre, suggerisco che la tossicità evidenziata sia principalmente dovuta al rilascio di ioni cadmio dallo stesso QD.

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Tossicità dei CdS QD

I QD, come detto precedentemente, sono particolarmente interessanti per le loro applicazioni come fluorofori diagnostici in ambito biomedicale, per via del loro spettro di fluorescenza, e per l'industria elettronica. Tuttavia, possono essere responsabili di effetti nocivi per la salute umana e l'ambiente, in determinate condizioni.

I dati presenti in letteratura riguardanti la tossicità di questi nanomateriali presentano delle discrepanze, che possono essere dovute alla varietà delle dosi e dei tempi di esposizione valutati e alla diversità dei QD studiati. Inoltre pochi sono gli studi progettati per una valutazione tossicologica (esempio dose, durata, frequenza dell'esposizione, meccanismo d'azione). Molto importante è sottolineare che la tossicità dei QD dipende sia dalle proprietà fisico-chimiche che dalle condizioni dell'ambiente in cui si trovano. Ad esempio, se i CdS QD dovessero trovarsi in condizioni che ne determinano la loro degradazione, come un ambiente ossidativo, la tossicità correlata al rilascio dello ione metallo sarebbe predominate e il cadmio è noto essere tossico già a basse concentrazioni. Quindi un fattore cruciale nel determinare la tossicità è la stabilità del nanomateriale stesso (Lewinski et al., 2008).

Alcuni effetti citotossici dei CdS QD sono stati riportati sia in sistemi procariotici che eucariotici (Chen et al., 2012; Hossain and Mukherjee, 2013; K. G. Li et al., 2009; Lovrić et al., 2005), dimostrando che quanto osservato dipendesse principalmente dal rilascio dello ione cadmio dal QD stesso. In questi studi viene messo in evidenza che, in seguito all'esposizione a questi nanomateriali, nell'ambiente intracellulare, si registra un aumento dei livelli di ROS con conseguente induzione dei meccanismi di risposta allo stress e del processo apoptotico intrinseco.

Recentemente studi condotti con CdS QD, accuratamente caratterizzati, in Arabidopsis thaliana e Saccharomyces cerevisiae hanno evidenziato che i meccanismi cellulari e molecolari di sensibilità e tolleranza a questo nanomateriale sono differenti da quelli del corrispondente materiale di dimensioni maggiori e apparentemente non correlata al rilascio di Cd2+ (Marmiroli et al., 2015, 2014).

Inoltre per valutare gli effetti citotossici dei QD è importante conoscere la loro biodistribuzione. Numerosi studi si sono occupati di ciò, evidenziando come, dopo somministrazione intravenosa, il fegato, organo chiave per la detossificazione di xenobiotici, sia il principale sito di accumulo (Haque et al., 2013; Kato et al., 2010).

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potenziale tossico del gran numero di nanomateriali prodotti. Infatti, sarebbe impensabile testarli tutti su animali, prendendo in considerazione le numerose variabili che possono influire sulla tossicità. Si rende, quindi, necessario individuare una serie di saggi in vitro per realizzare una procedura standard per la valutazione, in maniera accurata, della capacità dei nanomateriali di indurre effetti tossici sugli esseri umani (Stone et al., 2009).

Numerosi sono i vantaggi dei test di tossicità in vitro, come rapidità e costi relativamente bassi, se paragonati a quelli dei test in vivo. Tuttavia sono presenti anche una serie di svantaggi. Il principale è dato dal fatto che ogni sistema in vitro si limita ad un solo tipo cellulare o ad una combinazione di pochi di esse e ciò non permette di replicare pienamente la complessità delle interazioni che avvengono in vivo tra diversi tipi cellulari.

Quindi un sistema in vitro può definire il potenziale di una particella di attraversare la membrana cellulare, ma non può essere utilizzato per studi di tossicocinetica. I dati osservati in vitro, come assorbimento delle particelle, segnalazione cellulare, espressione genica,

produzione di proteine, nella maggior parte dei casi rispecchiano quelli evidenziati in vivo.

Nonostante gli svantaggi appena elencati, le colture cellulari rappresentano un utile strumento per lo studio della tossicità sui sistemi viventi. Vengono infatti utilizzate, ormai di consueto, in ambito tossicologico come sistema in vitro per lo studio degli effetti prodotti da composti potenzialmente tossici negli organismi. La scelta del tipo cellulare da utilizzare dipenderà dalla via di esposizione presa in considerazione e dal potenziale organo bersaglio.

In questo lavoro di dottorato, vista la necessità di definire la tossicità di CdS QD e i meccanismi alla base di questa, si è deciso di utilizzare:

 una linea cellulare derivante da un epatocarcinoma umano (HepG2) come modello per lo studio degli effetti epato-tossici. Nonostante sia noto che tale linea cellulare presenti bassi livelli di specifici enzimi implicati nel metabolismo della fase I e della fase II (Wilkening et al., 2003), è ampiamente utilizzata in studi tossicologici.

È, infatti, considerata un buon sistema modello per gli studi in vitro poiché mantiene le principali funzioni tipiche degli epatociti (Liguori et al., 2008;

Schoonen et al., 2005; Van den Hof et al., 2014).

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 una linea cellulare di fibroblasti polmonari umani (HFL1) per simulare un'esposizione per inalazione e le conseguenze che da queste ne possono scaturire.

Tossicità del cadmio

Il cadmio (numero CAS 7440-43-9) è un metallo tossico, naturalmente presente sulla crosta terrestre, dove si trova associato a minerali di zinco, piombo e rame (Sarkar et al., 2013). È proprio l'estrazione e la lavorazione di questi materiali a determinare il rilascio di grosse quantità di cadmio nell'aria e nel suolo, contaminando l'ambiente umano. Inoltre, trova largo impiego per la produzione di batterie, di pannelli fotovoltaici, di pitture fluorescenti e come stabilizzante per alcune tipologie di plastiche; l'esposizione occupazionale a questo metallo è, quindi, molto elevata. Il cadmio, inoltre, è facilmente assorbito dalle piante dal suolo; per tale motivo la seconda principale via di esposizione a questo metallo è data dalla dieta.

L'esposizione occupazionale al cadmio è correlata con l'insorgenza di tumori ai polmoni, ai reni, al fegato, alla prostata, al sistema emopoietico, al pancreas, ai testicoli e allo stomaco; per tale motivo è stato classificato come cancerogeno di classe I dall'IARC (IARC, 1993). Tuttavia il cadmio, solitamente, non ha direttamente un effetto genotossico: non presenta, infatti, un elevato potere mutagenico né forma addotti con il DNA (Cartularo et al., 2015). La carcinogenesi è indotta indirettamente dal cadmio, in seguito all'induzione di stress ossidativo, mediante deplezione del glutatione e conseguente aumento delle ROS (Kawata et al., 2009; Valko et al., 2006), e alterazione dei livelli di espressione di specifici geni (Wang, 2012).

Una volta assorbito, il cadmio è rapidamente trasportato dal sangue ai diversi organi, ma si accumula principalmente nel fegato e nei reni, dove forma dei complessi stabili con le metallotioneine presenti (Sarkar et al., 2013). L'uptake di questo metallo determina induzione soprattutto di tre categorie di geni (Fig. 1.20) (Beyersmann and Hechtenberg, 1997;

Beyersmann, 2002):

◊ geni codificanti per proteine con azione detossificante e citoprotettiva, come metallotioneine, enzimi per la sintesi del glutatione, proteine di trasporto per lo zinco, proteine heat shock (chaperone mitocondriale HSP 60).

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cellula. Il glutatione e gli altri enzimi indotti dalla presenza di stress ossidativo riducono, invece, le ROS formatesi in seguito all'esposizione al cadmio.

Essendo noto il ruolo nella cancerogenesi delle ROS, questo sistema di detossificazione protegge la cellula. Tuttavia, un'esposizione prolungata al cadmio satura i sistemi di detossificazione attivati dalla cellula con conseguente avvio del processo di cancerogenesi.

◊ geni codificanti per fattori di trascrizione. Diversi studi hanno messo in evidenza che cellule esposte al cadmio aumentano i livelli di espressione di alcuni fattori di trascrizione, come AP-1 (activator protein 1), MTF1 (metal regulatory transcription factor 1), USF (upstream stimulator factor), NFkB (nuclear factor kB), NRF2 (NF-E2-related fator 2).

◊ geni proto-oncogeni coinvolti nel controllo della proliferazione cellulare, come c-FOS, c-JUN, c-MYC, EGR-1. L'induzione di questi geni da parte del cadmio è mediata dall'alterazione che gli ioni di questo metallo causano ai meccanismi di trasduzione del segnale basati sul calcio. È stato, infatti, osservato che il cadmio interagisce con l'omeostasi cellulare del calcio (Choong et al., 2014).

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33 Figura 1.20 Rappresentazione schematica degli effetti intracellulari del cadmio. L'uptake del Cd2+ può avvenire attraverso i canali Ca2+. Una volta all'interno della cellula il cadmio può: (1) legare le metalloproteine, allontanando gli ioni (Zn, Cu, Fe, Mn, ecc.) ad esse legate alterandone il corretto folding e causando danno ossidativo con conseguente morte cellulare; (2) legare le metallotioneine presenti con conseguente attivazione della trascrizione dei geni regolati dal fattore di trascrizione MTF1, che in seguito al legame con le metallotioneine sarà traslocato nel nucleo; (3) legare specifici recettori sulla membrana del reticolo endoplasmatico (ER) portando a rilascio di Ca2+, determinando l'attivazione delle caspasi e portando la cellula verso l'apoptosi, o all'attivazione di specifiche chinasi/fosfatasi che determineranno l'attivazione della trascrizione di geni coinvolti nel ciclo cellulare o codificanti proteine per la riduzione degli ioni calcio rilasciati; (4) indurre il processo apoptotico intrinseco. Tratto e modificato da Sarkar et al. (2013).

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2. Scopo del lavoro

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Nonostante il mercato dei prodotti derivanti dalle nanotecnologie sia in continua crescita, ancora poco è noto sugli effetti che i nanomateriali potrebbero avere sulla salute umana. Le peculiari proprietà fisico-chimiche che contraddistinguono questi materiali, così diversi dai corrispondenti di dimensioni macroscopiche, rendono ciò molto complesso.

Nonostante numerosi studi siano stati condotti per raggiungere tale obbiettivo, ad oggi si hanno, ancora, informazioni frammentarie a riguardo; questo, quindi, non ha permesso la creazione di linee guida, indicanti saggi standardizzati, per la valutazione del rischio correlato ai diversi nanomateriali. Tuttavia, la comunità scientifica è riuscita ad individuare le caratteristiche principali da prendere in considerazione per la formulazione di nanomateriali safe e le possibili interazioni nanomateriale-sistema biologico. In particolare, per i QD è stato evidenziato che gli effetti citotossici osservati siano da imputare principalmente al rilascio, da parte del nanomateriale stesso, dello ione metallo di cui è costituito.

Poiché studi recenti condotti dal nostro gruppo di ricerca su organismi modello, come Arabidopsis thaliana e Saccharomyces cerevisiae, hanno evidenziato che CdS QD non sembrano rilasciare ioni cadmio, lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare il potenziale citotossico e genotossico di questi QD in linee cellulari umane e definirne il meccanismo implicato. A questo scopo, essendo il fegato uno dei principali organi di accumulo del cadmio e dei QD a base di cadmio, è stata utilizzata la linea cellulare HepG2, derivante da un epatocarcinoma umano. Inoltre, poiché una delle principali vie di esposizione ai CdS QD è quella inalatoria, verrà valutata la risposta cellulare all'esposizione a questi nanomateriali in una linea cellulare di fibroblasti polmonari, HFL1.

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3. Materiali e metodi

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Quantum dot di cadmio solfuro

I nanomateriali utilizzati in questo lavoro sono CdS QD, forniteci da IMEM-CRN (Parma). Sono stati sintetizzati in accordo con il metodo descritto in Villani et al. (2012) e il grado di purezza della miscela di nanomateriali ottenuta è stata definita con un'analisi di spettrometria a diffrazione a raggi X. I CdS QD utilizzati non presentano alcun rivestimento esterno, hanno un diametro medio di 5 nm, una densità di 4.82 g/cm3 e un picco massimo di emissione a 380 nm (Fig. 3.1).

Figura 3.1 Spettro di emissione dei CdS QD.

I nanomateriali sono stati forniti come sospensione acquosa, ad una concentrazione di 5 mg/ml e sono stati conservati a temperatura ambiente, al riparo da fonti di luce. Prima dell'uso, tale sospensione è sonicata per 2 minuti e diluita con terreno di coltura, a seconda delle dosi richieste per l'esposizione cellulare.

Coltura cellulare

Le linee cellulari utilizzate in questo lavoro di dottorato sono state:

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Entrambe le linee cellulari sono state coltivate in adesione, in condizioni permissive di 37°C + 5% di CO2, in terreno completo costituito da:

DMEM (Dulbecco Modified Eagles’s Medium);

10% FBS (Fetal Bovine Serum);

◊ 2 mmol/l L-Glutammina;

◊ 100 U/ml penicillina;

◊ 100 mg/ml streptomicina.

La coltura cellulare è solitamente rinfrescata due volte a settimana e, una volta raggiunto circa l'80% di confluenza, suddivisa in due sottocolture, portando le cellule in sospensione con 0.025 % di Tripsina - EDTA (37°C per 7 min).

Per gli esperimenti, le cellule sono state seminate in piastre multi-pozzetto o fiasche, a seconda della necessità, e lasciate aderire per 24 h.

Internalizzazione di CdS QD

L'assorbimento a livello cellulare dei CdS QD è stato valutato mediante analisi al citofluorimetro.

Le cellule di HepG2 sono state seminate in fiasche di 25 cm2 (T25) ad una densità di 5 x 105 cell/fiasca. Dopo 24 h, una coltura cellulare è stata esposta a 100 µg/ml di CdS QD per tempi diversi, 0 - 30 - 60 e 240 minuti. Terminato il tempo di trattamento, le cellule sono state lavate con PBS (Phosphate Buffered Saline) e portate in sospensione, mediante trattamento con tripsina. Una volta centrifugate, 3500 rpm per 90'', sono state risospese in PBS contenente 1% FBS. Come campione di riferimento è stata utilizzata una coltura cellulare non esposta ai nanomateriali.

I campioni così ottenuti sono stati analizzati al citofluorimetro FC500 (Beckman Coulter). I citogrammi sono stati ottenuti con il software Expo ADC (Beckman Coulter).

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Citotossicità

La citotossità dei CdS QD è stata valutata mediante saggio colorimetrico Cell-Titer 96® AQueous One Solution Cell Proliferation Assay (MTS) kit (Promega).

Le cellule HepG2 sono state seminate in piastre a 96 pozzetti ad una densità di 5 x 103 cell/pozzetto. Dopo 24 h, sono state trattate, in quadruplicato, con quantità crescenti di CdS QD per 24 h (Tab. 3.1). Alla fine del tempo di esposizione, è stato sostituito il terreno di coltura con altro terreno fresco contenente 5% di FBS e aggiunti 20 µl del reagente MTS.

Dopo un'incubazione di 4 h a 37°C e 5% di CO2, è stata misurata l'assorbanza a 450 nm mediante spettrofotometro (MULTISKAN EX; Thermo Electron Corporation).

Tabella 3.1 Elenco delle condizioni di trattamento per la valutazione della vitalità cellulare di colture cellulari HepG2.

Trattamenti (µg/ml)

CdS QD Cd2+ equivalente

1.5 1.5

3 3

5 5

10 20 50 100

Cellule non trattate con i nanomateriali sono state utilizzate per la normalizzazione dei dati. Inoltre, alcune cellule sono state trattate con concentrazioni di CdSO4 contenenti una dose di ioni Cd2+ equivalente alla quantità di cadmio presente nelle sospensioni di CdS QD utilizzate per i diversi trattamenti. In questo modo sarà possibile riverificare se l'eventuale tossicità osservata, in seguito all'esposizione ai nanomateriali, sia correlata o meno al rilascio di ioni Cd2+ dal nanomateriale stesso.

La vitalità cellulare è stata calcolata come rapporto tra la media di OD450 ottenuto per ciascuna condizione analizzata e quella del campione controllo (non trattato). I valori saranno mostrati come media ± S.E.M. (errore standard della media). La curva dose-risposta risultate è stata mostrata in un grafico, avente la concentrazione di CdS QD sull'asse delle ascisse e la percentuale della vitalità cellulare su quella delle ordinate. Inoltre, i dati ottenuti da questo

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40

Il medesimo saggio è stato condotto anche su colture cellulari di HFL1. In questo caso è stato preso in considerazione un intervallo di concentrazioni maggiori (Tab. 3.2), in modo da poter identificare il range contenente il valore di IC50, da definire con maggiore precisione in una successivo, analogo, saggio, nel quale analizzare dettagliatamente solamente l'intervallo di concentrazioni di interesse.

Tabella 3.2 Elenco delle condizioni di trattamento per la valutazione della vitalità cellulare di colture cellulari HFL1.

Trattamenti (µg/ml)

CdS QD Cd2+ equivalente

20 20

50 50

100 200 300 500

Analisi di espressione genica

Estrazione RNA

Le cellule HepG2 sono state seminate in tre o quattro (a seconda del numero delle dosi di trattamento prese in considerazione) fiasche da 75 cm2 (T75), in 12 ml di terreno di coltura, ad una densità di 1 x 105 cell/ml. Una coltura cellulare è stata utilizzata come condizione di riferimento e, quindi, non è stata esposta ai nanomateriali. Le restanti, invece, sono state trattate per 24 h con due o tre dosi di CdS QD: 3, 7 e 14 µg/ml. Le cellule sono state allora portate in sospensione mediante trattamento con tripsina e contate con l'ausilio della camera di Burker. A partire da 5 x 106 cellule, per ogni condizione in studio, è stato estratto l'RNA totale, tramite RNeasy Mini kit (Qiagen), secondo le indicazioni fornite dal produttore.

La quantità e la purezza dell'RNA estratto sono stati determinati allo spettrofotometro (Varian Cary 50, Agilent Tecnologies) misurando il valore di A260 e i rapporti A260/A280 (indice di contaminazione proteica) e A260/A230 (indice di contaminazione da carboidrati o

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