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L’anca e soprattutto l’orientamento del collo, rispetto alla diafisi femorale, sembrano giocare un ruolo cruciale nel corretto sviluppo muscolo-scheletrico dell’arto posteriore e nella funzionalità del meccanismo estensore del quadricipite.

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2 Introduzione

L’incompetenza del legamento crociato craniale (LCCr) è una delle patologie più frequenti che provocano zoppia dell’arto posteriore del cane. Tra le cause predisponenti possiamo individuare le deformità scheletriche di uno o più segmenti ossei dell’arto posteriore, che esitano in una alterata distribuzione di forze statiche e dinamiche sull’articolazione femoro-tibio-rotulea.

La letteratura veterinaria individua tra le cause predisponenti l’incompetenza del LCCr le alterazioni del femore distale e della tibia prossimale; in bibliografia però non si riscontrano lavori che abbiano messo in correlazione la morfologia del femore prossimale con la patologia in questione.

E’ per questo motivo che l’interesse principale del nostro lavoro si è incentrato sulla ricerca di una eventuale correlazione tra l’angolo di anteroversione e l’incompetenza del LCCr.

L’anca e soprattutto l’orientamento del collo, rispetto alla diafisi femorale, sembrano giocare un ruolo cruciale nel corretto sviluppo muscolo-scheletrico dell’arto posteriore e nella funzionalità del meccanismo estensore del quadricipite.

L’orientamento nello spazio del collo femorale e il suo rapporto con la diafisi sono definiti, oltre che dall’angolo di inclinazione, anche dal cosiddetto angolo di anteroversione o torsione femorale: esso corrisponde all’angolo compreso fra il piano contenente l’asse diafisario, e parallelo all’asse transcondilare, ed il piano che accoglie l’asse diafisario e l’asse cervicale

La prima fase di questo studio è stata svolta ricercando la documentazione sui precedenti lavori eseguiti in letteratura, valutando i diversi metodi proposti per la misurazione dell’angolo e la loro applicabilità; dopo avere individuato nel metodo biplanare indiretto di Montanon P.M. la tecnica radiografica per noi più facilmente applicabile si è passati alla stesura del protocollo sperimentale.

Il metodo di Montavon si basa sull’utilizzo di due proiezioni radiografiche ortogonali del femore, una ventro-dorsale ed una medio laterale.

Nella prima parte dello studio si è voluto studiare l’angolo di anteroversione

femorale in una popolazione di soggetti esenti da patologie osteo-articolari del

ginocchio proponendoci come obiettivi quelli di verificare la riproducibilità e

l’affidabilità del metodo di misurazione scelto, studiare la morfologia del femore

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3 prossimale in una popolazione “sana” ed infine valutare se, nella misurazione dell’angolo di anteroversione, la proiezione postero anteriore del femore potesse essere considerata equivalente alla proiezione ventro-dorsale. Con quest’ultimo punto si è cercato di capire se fosse stato possibile ampliare il gruppo relativo ai soggetti patologici tramite uno studio di tipo retrospettivo, in quanto lo studio radiografico standard del ginocchio nei casi di incompetenza del LCCr prevede l’esclusivo utilizzo di una proiezione medio-laterale (ML) e di una postero-anteriore (PA) dell’arto posteriore.

La seconda parte dello studio ha quindi previsto una parte di tipo prospettico dove l’angolo di anteroversione è stato studiato sia con il metodo di Montavon P.M. sia con la metodica da noi proposta in soggetti affetti da incompetenza del LCCr. Inoltre è stato effettuato uno studio di tipo retrospettivo misurando l’angolo di anteroversione esclusivamente con l’utilizzo della PA.

Dopo avere raccolto i dati si è effettuato uno studio di tipo statistico andando a

valutare l’esistenza o meno della correlazione tra incompetenza del LCCr ed

ampiezza dell’angolo di anteroversione.

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PARTE GENERALE

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5 Anatomia e fisiologia del ginocchio

Il ginocchio o articolazione femoro-tibio-rotulea è una struttura complessa formata da due componenti principali; l’articolazione femoro-rotulea che mette in rapporto la rotula con la troclea femorale e l’articolazione femoro-tibiale che mette a sua volta in connessione i condili femorali con l’estremità prossimale della tibia (Barone R.,1981).

La connessione legamentosa tra rotula e tibia rende però queste due articolazioni strettamente interdipendenti in modo che ad ogni movimento dell’ articolazione femoro-tibiale comporta un movimento tra femore e rotula (Evans HE. e Christensen GC., 1996).

Tale articolazione è quindi classificabile come una diartrosi complessa che permette movimenti di flessione ed estensione, laterali ed assiali (Payne JT e Costantinescu GM.,1993). I menischi articolari, mediale e laterale, rendono la superficie altrimenti piatta dei condili tibiali una cavità glenoidea modellata sul condilo femorale (Nickel R. et al.,1984) (fig. 1 e 2).

L’epifisi distale del femore è formata da due condili leggermente obliqui, uno mediale e uno laterale, che sporgono caudalmente delimitando la fossa intercondiloidea, la quale si presenta ampia e rugosa (Barone R.,1981).

L’epifisi prossimale della tibia presenta due condili, laterale e mediale, separati dal plateau e dall’ eminenza intercondiloidea (spina tibiale), che presenta due tubercoli, uno laterale e uno mediale, questo più esteso prossimamente (Evans HE. e Christensen GC., 1996).

La cavità articolare è occupata dai menischi che hanno la funzione di ottimizzare la congruenza delle superfici articolari e assorbire le forze compressive che attraversano l’articolazione. Sono due strutture fibro-cartilaginee a forma di “C” con margine esterno spesso e convesso e margine mediale sottile e concavo. La superficie di contatto con il femore si presenta concava, mentre quella distale appare piana come la superficie articolare della tibia (Payne JT e Costantinescu GM.,1993).

La rotula, o patella, è un grosso sesamoide di forma ovalare, schiacciato cranio-

caudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine

d’inserzione distale del muscolo quadricipite femorale.

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6 Nel cane, come in tutti i carnivori, l’articolazione si completa caudalmente con due strutture sesamoidi .

I mezzi di fissità del ginocchio sono dati da: legamenti meniscali, legamenti femoro- tibiali, legamenti femoro-rotulei, legamento tibio-rotuleo o patellare e le strutture muscolari periarticolari.

La capsula articolare del ginocchio è formata da tre sacchi intercomunicanti tra loro, due dei quali sono situati lateralmente e medialmente ai condili femorali; il terzo, patellare, si stacca dalla fibrocartilagine parapatellare per inserirsi a due centimetri dalla troclea femorale e prossimamente si estende per due centimetri sotto il tendine del muscolo quadricipite femorale (Payne JT e Costantinescu GM.,1993).

Figura 1: Vista craniale del ginocchio sinistro, che mostra i legamenti e le strutture associate dopo dissezione. (modificato da Carpenter Jr, Cooper, 2000).

1. trocle femorale;

2. labbro laterale della troclea femorale;

3. tendine dell’estensore lungo delle dita;

4. tendine del popliteo;

5. legamento collaterale laterale; 6, menisco laterale;

7. tuberosità tibiale;

8. legamento patellare;

9. rotula;

10. fibrocartilagine parapatellare;

11. legamento intermeniscale;

12. menisco mediale;

13. legamento collaterale mediale;

14. legamento crociato craniale;

15. legamentocrociato caudale;

16. labbro mediale della troclea.

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7

Figura 2: Vista caudale del ginocchio destro, che mostra i legamenti e le strutture associate (modificato da Carpenter Jr, Cooper, 2000).

1. legamento crociato craniale;

2. legamento collaterale laterale;

3. menisco laterale;

4. legamento craniale della testa fibulare;

5. legamento caudale della testa fibulare;

6. fibula;

7. legamento tibiale caudale del menisco laterale;

8. legamento crociato caudale;

9. menisco mediale;

10. legamento collaterale mediale;

11. legamento meniscofemorale.

I legamenti crociati sono strutture dinamiche strettamente connesse a femore e tibia, la cui anatomia e disposizione spaziale è finalizzata a limitare un’eccessiva mobilità articolare.

Il legamento crociato craniale (LCCr) è la principale limitazione al movimento del cassetto craniale e all’iperdistensione; esso limita anche la rotazione interna della tibia ed impedisce un eccessivo movimento varo o valgo della tibia stessa nell’

articolazione del ginocchio flessa (Vasseur P.B., 2001). Il LCCr parte da una fossetta posteriore sulla faccia mediale del condilo laterale del femore e, dopo aver attraversato obliquamente la fossa intercondiloidea, in senso mediolaterale e prossimo distale, termina sull’area intercondiloidea craniale della tibia. Lungo il suo percorso esso descrive una spirale laterale esterna in direzione prossimo distale di circa 90°. Durante la flessione del ginocchio il legamento si curva e si torce su se stesso.

Il legamento crociato caudale (LCCd) impedisce la traslazione caudale della tibia

relativa al femore (movimento del cassetto caudale) ed aiuta a limitare la rotazione

interna della tibia torcendosi assieme al LCCr (Vasseur P.B.,2001). Esso parte da

una fossetta della faccia ventro-laterale del condilo mediale del femore e raggiunge

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8 la porzione mediale dell’incisura poplitea della tibia. Lungo il suo percorso forma una spirale con lieve intrarotazione e durante la flessione del ginocchio anch’esso si torce leggermente su se stesso. Il LCCd, leggermente più lungo e largo del craniale, si trova rispetto a quest’ultimo in posizione mediale e si incrocia con esso (Arnoczky SP. e Marshall J.,1977; Arnoczky SP., 2001).

I legamenti crociati sono costituiti da fascicoli multipli, la cui unità di base è il collagene. Reti interconnesse, non parallele, di queste fibrille di collagene si raggruppano in fibre (diametro da 1 a 20 μm) che in gruppi compongono un’unità sottofascicolare (100-250 μm di diametro) . Le unità sottofascicolari sono circondate da una lassa banda di tessuto connettivo nota come endotelio. I sottofascicoli, da 3 a 20, si legano tra loro per formare un fascicolo che può avere una misura da 250 μm a diversi millimetri di diametro e sono circondate da epitelio. Ogni fascicolo è orientato a spirale attorno l’asse maggiore del legamento oppure passa direttamente dal femore all’inserzione tibiale. L’insieme dei fascicoli che formano il legamento è circondato dal paratenio, un tessuto connettivo di copertura simile all’epitenio, ma con uno spessore maggiore (Heffron LE and Campbell JR., 1978).

I legamenti crociati sono ricoperti da una membrana sinoviale, dalla quale deriva la maggior parte della loro vascolarizzazione. Essi sono raggiunti da rami delle arterie genicolari mediale e laterale, dall’arteria poplitea e dal ramo terminale dell’arteria genicolare discendente, che penetra direttamente sull’inserzione femorale del legamento crociato caudale. Sono inoltre vascolarizzati da vasi che scorrono nella membrana sinoviale; da questi vasi sinoviali o paralegamentosi hanno origine i vasi più piccoli che, penetrando nel legamento trasversalmente, formano delle anastomosi con i vasi longitudinali endolegamentosi (Arnoczky SP., 2001; Hayashi K. et al., 2004).

L’articolazione del ginocchio è un’articolazione molto complessa che prevede i suoi movimenti principali su due piani: la flessione e l’estensione avvengono su un’asse trasversale mentre i movimenti rotatori della tibia sul femore (movimento della vite domestica) si hanno sull’asse longitudinale. Quest’ultimo movimento è controllato dalla geometria dei condili e dall’ azione limitante delle strutture legamentose.

Durante la flessione il legamento collaterale laterale si rilassa permettendo al

condilo femorale laterale di dislocarsi caudalmente, determinando una rotazione

interna della tibia; contrariamente durante l’estensione il legamento collaterale

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9 laterale si tende determinando una rotazione esterna della tibia (fig. 3). Sul piano sagittale si verifica anche una piccola quantità di movimento cranio-caudale: rispetto al piatto tibiale i condili femorali roteano caudalmente, con la flessione e cranialmente con l’estensione (Vasseur P.B., 2001).

Figura 3: Aspetto craniale e caudale del ginocchio durante la flessione e durante l'estensione (da Bojrab MG, 2001)

I legamenti crociati funzionano come regolatori del movimento articolare; questo è dovuto principalmente alla struttura anatomica dei legamenti. Infatti ogni legamento crociato è diviso in due componenti che funzionano in maniera indipendente l’uno dall’altro durante i movimenti di flessione ed estensione. Il LCCr è costituito da una banda cranio-mediale (CMB) e da una parte caudo-laterale (CLP). La CMB rimane in tensione durante l’estensione sia durante la flessione, mentre la CLP è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione (fig. 4).

Il legamento crociato caudale è anch’esso formato da una porzione craniale e da una caudale; la prima è tesa durante la flessione , mentre la seconda è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione.

In flessione quindi, avremo la banda caudo-laterale dell’LCCr con le estremità più

vicine fra loro e questo causa un rilassamento di tale porzione, mentre solo la banda

cranio-mediale rimarrà tesa. Sempre in flessione avremo la tensione della parte

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principalmente contenuti dai legamenti collaterali: dal collaterale mediale nei

movimenti in valgo della tibia e dal collaterale laterale in varo (Arnoczky SP. e

Marshall J.,1977).

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12 La biomeccanica del ginocchio: “il modello tradizionale”

L’anatomia e la fisiologia descritte in precedenza hanno portato a valutare quello che è il meccanismo che sta alla base del movimento di una articolazione così complessa come quella del ginocchio.

Il modello “tradizionale”, detto anche modello “passivo”, considera esclusivamente le strutture interne del ginocchio, quali i legamenti crociati, quelle periarticolari e la conformazione stessa del ginocchio, come responsabili della stabilità articolare durante il movimento.

L’articolazione del ginocchio è dunque rappresentata come una struttura bidimensionale, con un singolo grado di libertà, priva di attrito e che si muove su un singolo piano.

Secondo il modello tradizionale, vanno presi in considerazione quattro punti di riferimento: il legamento crociato anteriore, quello posteriore, la porzione di femore compresa tra le inserzioni prossimali dei legamenti e la porzione di tibia compresa fra le inserzioni distali dei legamenti (Rooster H. et al., 1998) (fig 5).

Figura 5: Modello dei quattro punti di riferimento:

legamento crociato anteriore, posteriore, porzione del femore tra le inserzioni prossimali dei legamenti (A) e porzione di tibia tra le inserzioni distali (B) (da Slocum, 1993)

Questo modello attribuisce la stabilità tra femore e tibia esclusivamente ai legamenti crociati, i quali limitano in modo passivo i movimenti che superano la loro tensione.

La dinamica dei legamenti può essere compresa attraverso l’osservazione del

cambiamento di posizione dei punti di inserzione dei legamenti stessi durante la

flessione e l’estensione del ginocchio.

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13 A livello femorale entrambe le inserzioni legamentose si trovano dietro l’asse di flessione, mentre a livello tibiale l’inserzione del legamento crociato anteriore si trova cranialmente ad esso.

Durante il movimento di flessione dell’articolazione in questione, l’orientamento verticale dell’inserzione sul femore del legamento crociato anteriore diviene orizzontale; modo che l’origine femorale della CMB si avvicini all’inserzione tibiale, rilassando le fibre; allo stesso tempo le fibre della branca cranio-mediale rimangono tese. Questo è dovuto al fatto che la porzione dorso-craniale dell’inserzione femorale si muove in direzione caudo-ventrale.

Durante l’estensione, invece, entrambe le porzioni di legamento crociato anteriore si tendono, in quanto si verifica un allontanamento delle inserzioni femorali dal piatto tibiale ostacolando l’iperestensione dell’articolazione.

Come già accennato nel paragrafo riguardante l’anatomia, anche il legamento crociato posteriore cambia il suo orientamento durante la flessione: da orizzontale assume una posizione verticale; in questo modo la porzione craniale si sposta in avanti e si ha un allontanamento dall’inserzione tibiale, facendo tendere le fibre.

Durante l’estensione, invece, entrambe le porzioni di legamento crociato anteriore si tendono, in quanto si verifica un allontanamento delle inserzioni femorali dal piatto tibiale (Arnoczky SP., 2001).

Nel caso in cui si verifichi la rottura del legamento crociato posteriore, si ha uno spostamento in senso caudale della tibia rispetto al femore (movimento del cassetto posteriore).

E’ importante menzionare il fatto che quando il ginocchio si flette, si verifica anche una lieve intra-rotazione della tibia, in quanto le inserzioni del legamento collaterale laterale a livello del femore e della fibula si avvicinano e il legamento si rilassa, permettendo al condilo femorale laterale di spostarsi in senso caudale sul piatto tibiale.

Questo movimento di intra-rotazione tibiale è limitato dalla torsione dei legamenti crociati l’uno sull’altro durante la flessione; se si verifica la rottura di entrambi i legamenti, si determina un’eccessiva intra-rotazione.

Il movimento inverso, cioè l’extra-rotazione, si verifica durante l’estensione del

ginocchio, poiché il legamento collaterale laterale si tende e il condilo femorale

ipsilaterale si sposta cranialmente sul piatto tibiale.

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14 Quando l’articolazione si estende, i legamenti crociati si detorcono e non oppongono nessuna resistenza all’extra-rotazione della tibia.

Un’eccessiva extra-rotazione si osserva solamente con la concomitante rottura del legamento crociato anteriore e del legamento collaterale mediale.

Oltre alle funzioni precedentemente descritte, i legamenti crociati, sia anteriore che posteriore, sono responsabili della stabilità cranio-caudale del ginocchio; quello craniale impedisce lo spostamento in senso craniale della tibia rispetto al femore (movimento del cassetto anteriore), mentre quello caudale impedisce il movimento opposto (movimento del cassetto caudale). Il primo di questi due movimenti è molto utile nella diagnostica clinica della rottura del legamento crociato anteriore.

La rottura della banda caudo-laterale non porta all’instabilità del ginocchio fintanto che la banda cranio-mediale rimane integra. Se questa è danneggiata, si avrà stabilità solamente in estensione: la parte caudo-laterale è tesa, ostacolando lo scivolamento in senso craniale. In flessione, invece, la banda caudo-laterale è rilassata, permettendo il movimento del cassetto anteriore (Brinker W et al., 1999).

Da tutte queste considerazioni si può evincere che il modello tradizionale attribuisce la stabilità dell’articolazione quasi esclusivamente alle strutture legamentose e di conseguenza, secondo tale teoria, la loro rottura causa l’instabilità del ginocchio.

Secondo il metodo tradizionale la flessione è limitata dal contatto tra coscia e tarso, non dai legamenti crociati, mentre in realtà l’estensione è limitata dal contatto del legamento crociato anteriore e la porzione craniale dell’incisura intercondiloidea.

Questo può spiegare la rottura del legamento successiva all’iperestensione fisiologica nei soggetti ad arti dritti, ma il modello passivo non giustifica comunque la rottura totale o parziale che si può avere in assenza di iperestensione, se non nel caso di rottura dovuta ad un trauma diretto, ad un’improvvisa intrarotazione od ancora ad una degenerazione articolare di origine sconosciuta.

Oltretutto con il modello passivo non viene data una spiegazione allo

schiacciamento del menisco mediale in seguito ad una lesione del legamento

crociato anteriore ( Slocum B. e Slocum TD.,1993).

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15 La biomeccanica del ginocchio: “il modello attivo”

Nel 1978 Henderson e Milton misero in evidenza l’importanza dell’inclinazione del plateau tibiale nella biomeccanica del ginocchio descrivendo il test di compressione tibiale, ampliando così la concezione del modello tradizionale. Tale concetto, chiamato modello attivo, prende in considerazione, oltre a quelli classici, anche altri parametri, quali la forza peso e la forza muscolare.

Attraverso il test di compressione tibiale, si osserva come la flessione del garretto determini lo scivolamento in senso craniale della tibia rispetto al femore (Slocum B.

e Slocum TD.,1983 e 1993). Tale effetto si determina anche nella stazione quadrupedale; durante la fase di appoggio si genera una forza tra piede e terreno che determina una compressione tibiale che prende il nome di spinta tibiale craniale.

A differenza di quanto avviene nel test della compressione tibiale, che viene effettuata manualmente sull’articolazione sollecitandola passivamente, la spinta tibiale craniale è una forza attiva, poiché è causata anche dalla compressione dei muscoli a livello del plateau tibiale sui condili femorali oltre che dal carico ponderale e dai muscoli estensori del ginocchio, che attraverso il tendine tibio-rotuleo esercitano una trazione in senso craniale della tibia (Tepic S. e Montavon P.M., 2004).

Inoltre tale spinta è influenzata dall’inclinazione del piatto tibiale; Slocum infatti, grazie ai suoi studi sulla biomeccanica del ginocchio ha dimostrato che il plateau tibiale nel cane ha un’inclinazione compresa tra i 18° e i 60°, con una media di 24°;

tanto più questa è elevata, tanto maggiore è la spinta tibiale craniale che può essere controllata solo modificando l’inclinazione tibiale (Slocum B. e Slocum TD., 1993).

La forza peso agisce sul piano inclinato del piatto tibiale e qui si scompone in due

forze: la componente di compressione, diretta a terra e passante per il garretto e la

componente di scivolamento, diretta cranialmente; come detto in precedenza la

spinta tibiale craniale è tanto maggiore quanto più il piatto tibiale è inclinato (

Slocum B e Slocum TD., 1993) (fig 6) .

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Figura 6: Scomposizione della forza peso che grava sul piatto tibiale

Il ginocchio fermo, sottoposto alla forza peso, è quindi un modello statico, alla cui stabilità concorrono sia delle forze attive, muscolari, sia delle restrizioni passive, i legamenti, la conformazione dell’osso e la capsula articolare.

Durante il movimento il peso deve essere bilanciato a livello del centro di rotazione del ginocchio dai muscoli deputati alla flessione ed all’estensione che cooperano con il legamento crociato anteriore per la stabilità dell’articolazione evitandone il collasso.

In condizioni fisiologiche, il LCCr , assieme al corno caudale del menisco mediale, provvede a neutralizzare in maniera passiva la spinta tibiale craniale, mentre i muscoli posteriori della coscia, in particolare il bicipite femorale e il gruppo del pes anserinus, si oppongono alla spinta tibiale craniale in maniera attiva (Romeo T. et al., 2005) (fig 7).

Secondo gli studi effettuati da Slocum, durante la fase di appoggio dell’andatura,

affinché il ginocchio mantenga costante l’angolo di flessione, la risultante tra i

momenti della forza di estensione e flessione deve essere uguale a 0 (Slocum B e

Slocum TD.,1993) dove per momento di una forza muscolare si intende la distanza

perpendicolare tra la linea di trazione muscolare ed il centro di movimento di

rotazione moltiplicato per la grandezza della forza.

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17 Quando le sole forze muscolari non sono in grado di annullare il momento in fase di appoggio la spinta craniale della tibia è unicamente contrastata dal LCCr che, sottoposto a continuo stress, risulta essere maggiormente vulnerabile, per cui si può verificare la rottura di tale legamento in assenza di trauma diretto; pensiamo ad esempio a soggetti particolarmente pesanti rispetto alla loro struttura scheletrica o soggetti con scarso sviluppo muscolare o eccessiva inclinazione del plateau tibiale (Vezzoni A., 1998).

Questi principi sono la base teorica per l’intervento chirurgico dell’osteotomia livellante del piatto tibiale (TPLO), procedura chirurgica finalizzata ad eliminare l’inclinazione del piatto tibiale tenendo come punto di riferimento la perpendicolare all’asse tibiale.

Slocum però, nel suo modello biomeccanico, considera arbitrariamente il carico delle forze sul ginocchio come un momento puro e non come una vera forza risultante dall’interazione dell’azione operata dai diversi gruppi muscolari e dalla forza peso che può essere considerata solo approssimativamente parallela al legamento patellare (Tepic S. e Montavon P.M., 2004).

Su tali considerazioni la scuola di Zurigo ha effettuato altri studi sulla biomeccanica del ginocchio che mettono in correlazione la variazione delle forze che sollecitano il LCCr e all’ampiezza dell’angolo α compreso tra il piano su cui poggia il plateaux tibiale e il legamento tibio-rotuleo (fig. 8). Tale studio è alla base dell’intervento di

“avanzamento della tuberosità tibiale” (TTA) proposto da Montavon e al. nel 2002.

Quando l’angolo (α) compreso tra il tendine tibio-rotuleo ed il plateau tibiale è 90°

(ginocchio flesso), la forza tangente è neutralizzata ed il LCCr non è sottoposto a carico.

Figura 7: Risultante dei momenti delle forze

generate dal muscolo quadricipite (A) ed

estensore lungo delle dita (E), in equilibrio

con il movimento generato dal muscolo

bicipite femorale (B), dal gruppo del pes

anserinus con la porzione craniale del

semimembranoso (C), dal gastrocnemio con

il flessore superficiale delle dita (D).

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18 Nell’articolazione femoro-tibio-rotulea del cane, tuttavia, α assume un valore di 90°

solo quando il ginocchio si trova in posizione di flessione a 90°, definita punto limite di flessione; con l’articolazione in estensione completa, invece, α misura 105° circa, mentre in flessione completa raggiunge approssimativamente i 70°. (Tepic S. e Montavon P.M., 2002). In caso di incompetenza del LCCr, durante le fasi attive di sostegno e di propulsione, questo non è più efficace nella neutralizzazione della forza tangente, esitando in una sublussazione anteriore della tibia durante la deambulazione.

A B

Figura 8: (A) Rappresentazione grafica delle forze agenti sul ginocchio- Flp rappresenta la forza esercitata sul legamento patellare; Fa la forza risultante agente sul ginocchio; Fb la componente di Fa perpendicolare al plateau tibiale; SF la forza di spinta tibiale craniale.

(B) Rappresentazione grafica dell’angolo teorico α. Questo angolo è formato dall’intersezione del piano

su cui poggia il plateaux tibiale ed il legamento tibio-rotuleo..

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19 Incompetenza del legamento crociato craniale: l’eziologia

Le patologie articolari del ginocchio sono la causa più frequente di zoppia dell’arto posteriore del cane e le lesioni a carico del legamento crociato craniale ne sono la causa più comune.

La patogenesi della rottura dell’LCCr non è spiegabile con un'unica teoria o una particolare serie di eventi prestabiliti; sono infatti molteplici i fattori che causano le lesioni e che portano allo sviluppo di alterazioni degenerative secondarie a carico dell’articolazione (Johnson JM. e Johnson Al.,1993).

Le cause predisponenti si possono dividere in cause di natura traumatica e cause di natura non traumatica.

La rottura del crociato dovuta a trauma diretto nel cane rappresenta solo un 20%

della totalità dei casi di insulto all’LCCr, al contrario di quanto avviene nell’uomo in cui si registra una percentuale vicino all’80%. La rottura traumatica acuta del legamento consegue ad una ben precisa conformazione scheletrica dell’arto o a traumi ad alto impatto che causano la lacerazione totale. Il più delle volte questo si verifica nei cani in cui lo stress meccanico supera il limite massimo di resistenza del legamento stesso.

Un’ iperestensione ed una intrarotazione dell’arto con il ginocchio parzialmente flesso, da 20° a 50° , sono la causa più frequente che porta alla lesione del LCCr; in questa posizione, i legamenti iniziano a torcersi l’uno sull’altro proprio per limitare la rotazione della tibia sul femore. Se la tibia ruota eccessivamente l’LCCr è soggetto ad azione traumatica da parte del condilo laterale del femore quando questo ruota medialmente verso il legamento. L’evento causale più comune si ha quando il cane cambia direzione improvvisamente tenendo la zampa fissa a terra, oppure quando se l’arto rimane imprigionato distalmente, impedendo così la flessione del ginocchio e determinandone l’iperestensione con conseguente rottura del LCCr (Arnoczky SP.,2001; Moore KW. e Read RA.,1996).

Il meccanismo di rottura è sempre legato ad un evento traumatico, ma esistono

diversi fattori predisponenti e determinanti l’evoluzione della lesione dell’LCCr :

cambiamenti ultrastrutturali legati all’età e al disuso, aumento del peso ponderale,

mal allineamento dell’arto (varismo e valgismo del ginocchio) che può alterare la

(19)

20 direzione della forze in gioco sull’articolazione, predisposizioni di razza, cause legate a processi artritici immunomediati.

Uno dei fattori primari che determinano la lesione è legato a cambiamenti strutturali del legamento che si instaurano con l’età del soggetto e il disuso dell’arto. Vasseur, già nel 1985, ha dimostrato che nei cani anziani e nei soggetti di peso superiore ai 15 Kg si evidenzia una perdita della normale conformazione istologica del legamento. Il disuso degli arti porta alla diminuzione della resistenza in trazione del legamento; inoltre la sedentarietà porta ad una deficienza della muscolatura, delle strutture desmiche e di quelle legamentose di supporto all’articolazione in modo che la sola compressione tibiale può indurre alla rottura del legamento crociato (Johnson JM. e Johnson AL.,1993).

Tale degenerazione legata all’età e alla sedentarietà può essere aggravata dall’obesità; un aumento del carico ponderale aumenta le forze di compressione tibiale che se eccessive possono portare a rottura. Questa è la causa predisponente più frequente in quelle razze come Pastore Tedesco e Labrador che, in realtà, presentano un angolo di apertura del ginocchio più vicina all’angolo fisiologico e che pertanto presenterebbero un incidenza più bassa di rotture non traumatiche (Vezzoni A., 2004). A causa dell’aumento di peso, il soggetto tende a mantenere un angolo tibiale più ampio, forse perché mantenere l’arto maggiormente flesso affatica la muscolatura che deve sopportare un peso maggiore di quello fisiologico. Una posizione di iperestensione del ginocchio favorisce il contatto verticale tra femore e tibia in modo che il peso si carichi maggiormente sulla struttura scheletrica a sgravio della muscolatura. In questa situazione la spinta craniale della tibia aumenta a discapito del LCCr (Vezzoni A., 2004).

La predisposizione legata alla razza è invece evidente in quelle razze come i Boxer, Bulldog Inglese, Dogue de Bordeaux, Alano, Dobermann, Cane Corso e Rottweiler, che presentano un’alta incidenza di rottura non traumatica di LCCr; questo perché il loro angolo di apertura del ginocchio si presenta maggiore rispetto all’angolo fisiologico (Vezzoni A., 2004).

Altre anomalie della struttura scheletrica, oltre a quella descritta in precedenza, si

possono annoverare tra i fattori che contribuiscono alla rottura del legamento

crociato anteriore; qualsiasi conformazione che causa una maggiore intrarotazione

(20)

21 della tibia rispetto al femore o che causa una iperestensione del ginocchio predispongono alla patologia in questione.

La maggior parte delle anomalie conformazionali sono ovviamente bilaterali, perciò si può riscontrare spesso una lesione anche del legamento contro laterale. Secondo uno studio di Doverspike et al del 1993, se la lesione è secondaria ad una malattia cronica degenerativa dell’articolazione, l’incidenza di rottura bilaterale è da ritenersi maggiore. Soggetti che presentano “genu varum” bilaterale e razze “bow-legged”, sembrano avere uno stress maggiore a livello del LCCr in quanto la tibia è sottoposta ad una intrarotazione eccessiva.

Slocum B. e Slocum TD. nel 2000 hanno individuato quattro principali cause di deformità dell’arto posteriore del cane, che si ripercuotono in modo più o meno marcato sulla funzionalità del ginocchio:

1) l’abnorme posizionamento delle articolazioni, ad esempio nel malorientamento dell’acetabolo nella displasia d’anca;

2) la torsione interna di un segmento osseo, che è piuttosto frequente nella lussazione mediale di rotula;

3) la presenza di patologie articolari, spesso associate a forme di varismo o valgismo dell’osso, come nell’osteocondrosi del condilo laterale del femore o del margine mediale dell’astragalo;

4) la curvatura craniale o caudale dell’osso, alterazione meno comune, fatta eccezione per l’eccessiva inclinazione del piatto tibiale, e spesso compensata nel cane dalle normali possibilità di escursione articolare (Slocum B. e Slocum T.D., 2000).

Dall’analisi di circa 700 casi, gli autori individuano nel “bow-legged appearance”, o aspetto a “gambe arcuate”, la distorsione scheletrica più facilmente riscontrabile nei pazienti revisionati; si parla in genere di “ginocchio varo” ed è una problematica diffusa in molte razze.

Tale difetto è osservabile nei Labrador e Golden Retriever, ed è caratterizzato da un

varismo più o meno pronunciato del femore distale, spesso associato a lussazione

rotulea mediale; in questi casi l’incompetenza del legamento crociato anteriore è

determinato dalla progressiva rotazione interna del ginocchio. In razze come i

Rottweiler, i Bullmastiff o i Pittbull, la conformazione “bowlegged” è associata

spesso ad alterazioni a carico sia del femore che della tibia: il varismo femorale è

(21)

22 sempre accompagnato da una torsione tibiale interna, mentre solo in pochi casi si osserva una torsione interna del femore con varismo della porzione prossimale della tibia. In entrambi i casi, comunque, si verifica uno stress cronico sul legamento crociato anteriore, che si oppone all’intrarotazione del ginocchio, che può esitare nella sua precoce rottura (Slocum B.e Slocum T.D, 2000, Lozier S.M, 2006).

Come trattato nei capitoli relativi alla biomeccanica del ginocchio, l’aumento dell’inclinazione del piatto tibiale oltre i 30° è stato considerato un fattore favorente la rottura del legamento crociato anteriore, in quanto altera l’azione delle componenti attive (pes anserinus e muscoli posteriori della coscia) e delle componenti passive (legamento crociato craniale e corno caudale del menisco mediale), che si oppongono alla spinta tibiale craniale. In alcuni casi, l’eccessiva inclinazione del plateau tibiale, la rottura del legamento crociato craniale e l’eccessiva intrarotazione tibiale possono favorire la lussazione mediale di rotula. In condizioni normali, il profilo craniale dell’arto posteriore è caratterizzato dal rilievo derivante dalla presenza della rotula e della tuberosità tibiale. Nei pazienti con grave inclinazione del plateau tibiale, da 35° a 60°, si osserva lo spostamento craniale della tibia e la scomparsa del normale profilo della rotula.

Anche la lussazione mediale della rotula predispone ad una secondaria rottura del legamento crociato anteriore dovuta principalmente al fatto che il tendine tibio- rotuleo, che normalmente appare in posizione craniale al femore ed alla tibia, qui risulta spostato medialmente limitando la stabilità craniale dell’articolazione che quindi si scarica sul LCCr. In questa condizione la direzione della forza contrattile del quadricipite femorale si presenta in posizione mediale rispetto all’asse longitudinale di tibia e femore cosicché, al momento dell’estensione del ginocchio la tibia sarà portata ad intraruotare con conseguente aumento di stress a carico dl LCCr (Moore KW. e Read RA., 1996).

Bennet D. e collaboratori nel 1998 hanno riportato l’incremento di rotture di LCCr in

soggetti giovani di razza gigante; in soggetti con età inferiore ai 4 anni è stata

descritta una patogenesi di rottura legata ad un iniziale insulto parziale della

struttura legamentosa esitata poi in una rottura totale. Le cause non sono state

chiarite, ma gli autori hanno correlato la patologia ad un inadeguato esercizio dei

soggetti quando erano cuccioli

(22)

23

Infine artriti immunomediate o settiche possono predisporre ad una degenerazione

di legamenti, cartilagine ed osso per la liberazione di proteasi da parte di macrofagi

sinoviali o di condrociti attivati che degradano proteoglicani e collagene (Johnson

JM. e Johnson Al.,1993).

(23)

24 Considerazioni sulla morfologia femorale prossimale

L’allineamento dell’arto posteriore ha un ruolo importante nella biomeccanica del ginocchio e nella patogenesi di rottura del legamento crociato anteriore, come ricordato nel capitolo precedente, soggetti che presentano “genu varum” bilaterale, razze “bow-legged” e pazienti con lussazione rotulea mediale sembrano avere uno stress maggiore a livello del LCCr in quanto la tibia è sottoposta ad una intrarotazione eccessiva.

L’arto posteriore, oltre alla funzione di sostegno, ha un ruolo fondamentale nella deambulazione in quanto costituisce un vero apparato di leve responsabile dei movimenti di avanzamento del corpo.

Per la sua ottimale funzionalità è fondamentale il corretto allineamento di tutte le strutture anatomiche che contribuiscono allo svolgimento delle funzioni motorie, quali segmenti scheletrici, articolazioni ed inserzioni muscolari. In primo luogo, è importante che anca, ginocchio, garretto e piede giacciano sul medesimo piano sagittale: i muscoli flessori possono così contrastare in maniera ottimale i muscoli estensori dell’arto, ottenendo la massima spinta propulsiva. E’ poi fondamentale che origine, corpo ed inserzione delle singole masse muscolari siano allineate in quanto, durante la contrazione, i muscoli tendono ad avvicinare la propria inserzione all’origine, influenzando in modo diretto sia l’orientamento del vettore di forza espresso dal muscolo stesso durante l’attività, sia l’equilibrio delle forze che agiscono sull’osso (Slocum B. e Slocum T.D., 2000; Olmstead ML., 2001,)

Considerando questi aspetti della biomeccanica dell’arto pelvico, è evidente come funzionalità e stabilità delle singole strutture articolari non possano essere garantite soltanto dall’integrità delle diverse componenti ossee, muscolari e legamentose periarticolari, ma siano strettamente associate anche all’equilibrio esistente fra componente scheletrica e muscolare. Infatti, in caso di alterazioni di uno o più parametri, si assiste ad una progressiva ridistribuzione dei carichi ponderali, con modificazione della direzione del vettore delle forze di contrazione muscolare;

questo si traduce in eccessive sollecitazioni su strutture non fisiologicamente

predisposte a supportare tali carichi, e conseguenti modificazioni muscolo-

scheletriche e posturali, volte a mantenere l’appiombo corretto.

(24)

25 Molte patologie che provocano zoppia agli arti posteriori del cane, quali la displasia d’anca, la lussazione rotulea o la rottura del legamento crociato anteriore, sono state rivalutate negli ultimi decenni sulla base dei nuovi concetti di biomeccanica attiva e sembrano, in molti casi, affondare le proprie basi eziopatogenetiche in quel complesso meccanismo di forze dinamiche che agiscono costantemente sull’arto durante la stazione e la deambulazione.

L’anca, e soprattutto l’orientamento del collo rispetto alla diafisi femorale, sembrano giocare un ruolo cruciale nel corretto sviluppo muscolo-scheletrico dell’arto posteriore e nella funzionalità del meccanismo estensore del quadricipite.

L’orientamento del collo femorale rispetto alla diafisi femorale è valutabile radiograficamente tramite la misurazione di due grandezze: l’angolo di inclinazione e l’angolo di anteroversione.

L’asse cervicale forma con quello diafisario un angolo detto angolo di inclinazione o angolo cervicofemorale, uno degli indici di deviazione vara o valga dell’anca, i cui valori sono compresi fra i 140 e i 150 gradi (Schulz K.S., Dejardin L.M, 2005). Un’

alterazione dell’ampiezza dell’angolo di inclinazione è in grado di innescare una cascata di modificazioni morfo-funzionali di entità variabile che si ripercuotono sulle articolazioni distali.

Un aumento dell’angolo cervico-diafisario determina una condizione specifica definita “coxa valga”. In questo caso l’abduzione ruota la testa femorale più profondamente nell’acetabolo, per cui i muscoli abduttori devono esercitare una forza maggiore per produrre lo stesso momento che si ha nell’anca normale. Ciò si traduce in una maggior forza impressa sulla testa femorale, che altera lo stato di equilibrio dell’articolazione. Questo, associato allo spostamento di direzione della forza sulla testa femorale, carica eccentricamente le trabecole ossee della parte prossimale del femore, producendo il piegamento e la deformazione dell’osso (Weigel J.P. e Wassermann J. F., 1992).

Una diminuzione dell’angolo cervico-diafisario è definito “coxa vara” e determina effetti contrari a quelli descritti per la “coxa valga”; questa deformazione è spesso associata alla diminuzione dell’angolo di anteroversione ed esse sono tra le cause predisponesti la lussazione rotulea mediale.

L’orientamento nello spazio del collo femorale e il suo rapporto con la diafisi sono

definiti, oltre che dall’angolo di inclinazione, anche dal cosiddetto angolo di

(25)

26 anteroversione o torsione femorale: esso corrisponde all’angolo compreso fra il piano contenente l’asse diafisario e parallelo all’asse transcondilare, ed il piano che accoglie l’asse diafisario e l’asse cervicale (Montavon P.M. et al., 1985).

Questo parametro ha notevole importanza soprattutto se si considera che il collo non giace sul solito piano sagittale della diafisi femorale, ma si trova cranialmente e medialmente rispetto ad esso; una proiezione bidimensionale frontale del femore, come quella radiografica, non può essere in grado di definire la struttura nella sua tridimensionalità non fornendo informazioni sulla reale inclinazione del collo rispetto alla diafisi in senso cranio-caudale.

Secondo alcuni autori, l’angolo di versione non può essere separato dal concetto di torsione femorale, ma è proprio espressione della torsione della parte prossimale del femore rispetto a quella distale; altri, invece, considerano come reale anteversione la sola dislocazione del collo rispetto alla diafisi femorale (Bardet J.F., et al., 1983) (fig 9).

Figura 9: (sopra): piani di riferimento per la valutazione dell’

anteroversione: A-B asse del collo femorale; C-D asse transcondilare;

(sinistra): disegno che mostra la relazione tra l’asse del collo femorale e l’asse transcondilare: anteroversione aumentata (A);

anteroversione normale (B); retroversione (C).

Nel cucciolo l’angolo di anteroversione è prossimo allo 0°, ma con lo sviluppo dello scheletro aumenta progressivamente fino a raggiungere l’anteroversione fisiologica

B A

C

(26)

27 del soggetto adulto che è di circa 27° (26,97°) (Nunamaker D.M.et al., 1973, Hulse DA., 2005); il range di riferimento però appare molto ampio ed è compreso tra i 12°

ed i 40°. Tutt’oggi non sono ancora stati stabiliti quelli che si possono considerare limiti normali e patologici precisi, ma valori di anteroversione superiori ai 45° sono associati a modificazioni osteoartritiche dell’anca (Montavon P.M., et al., 1985) (tab.

1).

Autore Razza e età

femori

Angolo di AT

Riser e Shirer (1966) P.T., Cuccioli 220 0°-10°

Nunamaker et al. (1973) Varie razze, Adulti 34 12°-40°

Schawalder e Sterchi (1981)

P.T., Varie età Bernese, Varie età

100 54

30,1°

38,6°

Bardet et al. (1983) Varie razze, Adulti (15-35 Kg) 30 30,8°

Montavon et al. (1985) Varie razze, Adulti (14-33 Kg) 60 31,3°

Hauptmann et al. (1985) Varie razze di grossa taglia, Varie età

150 15,2°

Weber (1992) Papillon, Varie età 200 18,6°

Madsen (1994) Varie razze (15-70 Kg) 82 30°-43°

Pelierne et al. (2005) Varie razze, Varie età 82 30°

Tabella1: Riferimenti agli articoli in letteratura riguardanti la misurazione radiologica dell’angolo di anteroversione (AT).

L’aumento dell’angolo di anteroversione femorale, spesso associato ad un maggior angolo di inclinazione del collo femorale, determinano un incremento della tensione delle forze intra-articolari a livello dell’anca, con conseguente riduzione, nel piano frontale, del braccio di momento che agisce sull’articolazione coxo-femorale ed è questo il motivo per cui l’aumento tale paramentro è considerato presedisponete per la displasia d’anca.

L’eccessiva anteroversione femorale crea un’abnorme intensità e direzione della forza risultante sulla testa femorale, che tende a spingerla fuori dall’acetabolo.

Questo determina la perdita della normale distribuzione delle forze a carico delle

superfici articolari dell’anca e la concentrazione di tali forze solo su una piccola area

di contatto. Questo significa uno stress eccessivamente alto che porta alla

(27)

28 prematura erosione ed alla perdita della cartilagine articolare (Weigel JP. e Wassermann JF., 1992).

In caso di eccessiva anteroversione femorale, inoltre, si assiste ad una rotazione esterna della porzione prossimale del femore rispetto a quella distale; per mantenere una posizione neutra, si osserva una intrarotazione della coscia, mentre la tibia, per mantenere il piede allineato sul piano sagittale, ruota esternamente.

Tale condizione esita in un progressivo spostamento laterale del complesso muscolare del quadricipite con possibili ripercussioni sulla stabilità dell’articolazione femoro-tibio-rotulea predisponendo, anche in presenza di coxa vara, alla lussazione rotulea laterale.

Nei pazienti che presentano la diminuzione dell’angolo di versione femorale, si verifica la rotazione esterna dell’anca per mantenere l’articolazione in posizione neutra mentre, per mantenere il piede allineato nel piano sagittale, il ginocchio e la tibia ruotano internamente. In questo modo si creano forze torsionali spostate soprattutto sul versante laterale della porzione distale del femore. In un animale giovane con le fisi ancora aperte, il femore, sottoposto a squilibri di forze, andrà incontro a curvatura e torsione laterale con deviazione laterale della troclea ed instabilità articolare (Slocum B. e Slocum T.D., 2000; Olmstead ML., 2001,).

Le deformità angolari e torsionali a carico del femore inducono progressive alterazioni anche sulla tibia, in particolare la dislocazione mediale della cresta, la curvatura mediale (deformità vara) del tratto prossimale e la torsione laterale del tratto distale.

La dislocazione mediale della tuberosità tibiale è il risultato di due meccanismi

patogenetici: la rotazione interna compensativa dell’arto pelvico per contrastare le

anomalie di versione a carico del collo femorale e la trazione esercitata dal muscolo

quadricipite, dislocato medialmente, sulla sua inserzione tibiale (Ballatori C., 2006).

(28)

29 L’ angolo di anteroversione e la sua misurazione

Come ricordato nei paragrafi precedenti, la misurazione dell’angolo di anteroversione, è una grandezza che, assieme all’angolo di inclinazione, permette la valutazione tridimensionale indiretta del collo femorale.

Tale angolo non può essere misurato da un'unica proiezione radiografica frontale perché non in grado di fornire informazioni complete sulla tridimensionalità del femore non permettendo di capire quale sia l’inclinazione del collo rispetto alla diafisi in senso cranio caudale.

L’angolo di anteroversione può essere misurato secondo il metodo proposto nel 1973 da Nunamaker: questo è un metodo di misurazione diretto che sfrutta una proiezione radiografica longitudinale, detta anche assiale, del femore. Tale proiezione è ottenuta tramite l’ausilio del fluoroscopio che permette di posizionare la cassetta radiografica perfettamente perpendicolare all’asse femorale; quando il fluoroscopio ci permette di vedere la cavità midollare nella sua sezione trasversale significa che l’arto è nella posizione corretta.

Sul radiogramma si individua l’asse cervicale passante per il centro della testa femorale; tale retta può o meno attraversare il centro del canale midollare a seconda del grado di curvatura dorsale del femore. Questa retta rappresenta il piano su cui giace il collo femorale; l’angolo si forma dall’intersezione della retta in questione con la retta tangente al margine caudale dei condili femorali. La proiezione radiografica necessaria per tale misurazione risulta difficile da ottenersi in quanto è necessario rispettare rigorosamente la posizione in asse del femore rispetto al fascio radiogeno (Nunamaker D.M.,et al 1973) (fig 10).

Per ovviare alle problematiche legate alle laboriose manualità del metodo proposto

da Nunamaker, nel 1983 è stato proposto da Bardett JF. e in tempi successivi da

Montavon P.M., un sistema alternativo di calcolo indiretto dell’angolo di

anteroversione basato principalmente sulla trigonometria e che fornisse dati

attendibili e con differenze non significative rispetto al sistema diretto proposto da

Nunamaker DM. stesso.

(29)

30 Il metodo di Montavon detto indiretto o biplanare si basa su due proiezioni radiografiche ortogonali del femore, una cranio caudale ed una medio laterale.

In primo luogo si individua sui radiogrammi l’asse anatomico femorale sia nella proiezione medio laterale che in quella ventro dorsale secondo il metodo indicato da Montavon P.M.

che prevede di tracciare un segmento, perpendicolare all’asse lungo femorale, nel punto di maggiore restringimento della diafisi;

quindi, si tracciano altri due segmenti prossimamente e distalmente, paralleli al primo, a distanza di 20 mm da esso, al fine di compensare, almeno in parte, la fisiologica curvatura della diafisi femorale.

L’unione del punto centrale dei tre segmenti delinea l’asse anatomico del femore.

In una costruzione geometrica tridimensionale, le due distanze tra i centri della testa femorale e l’asse femorale sono riferibili ai cateti di un triangolo rettangolo, in cui l’ipotenusa giace sull’asse del collo femorale; l’angolo tra ipotenusa e cateto equivalente alla distanza misurata sulla proiezione ventro dorsale è l’angolo di anteroversione. Per il calcolo di tale angolo è quindi sufficiente rifarsi alla trigonometria: calcolando il rapporto fra il cateto opposto all’angolo di anteroversione (X), cioè la distanza sulla proiezione mediolaterale, e quello adiacente (Y) si ottiene un valore equivalente alla tangente dell’angolo in questione.

Tramite funzione inversa si può ricavare la misura dell’angolo di anteroversione (α = tan

–1

x/y). (Bardet J.F., et al., 1983; Montavon P.M.et al., 1985; Palierne S. et al., 2006) (fig 11).

Il metodo biplanare è considerato un metodo valido per la misurazone dell’ angolo di anteroversione sia per la riproducibilità che per le dosi di radiazioni.

I riferimenti radiografici usati in questa metodica non possono essere utilizzati in soggetti che presentano elevato rimodellamento della testa femorale responsabile di una traslazione mediale del centro della testa femorale o in caso di rimodellamento delle corticali diafisarie che non consente di avere un riferimento preciso per la misurazione dell’asse femorale (Montavon P.M. et al.,1985).

Figura 10: Angolo di versione calcolato

direttamente su proiezione radiografica

assiale.

(30)

31

Figura 11: Sistema biplanare Trigonometrico di P.M. Montavon. L'angolo di versione è rappresentato con il simbolo α, mentre le distanze fra il centro della testa e l’asse diafisario femorale nelle proiezioni medio-laterale e cranio-caudale sono indicate, rispettivamente, come X e Y

.

Con le apparecchiature di diagnostica recentemente presenti anche nel campo veterinario (TC e RMN), la metodica di misurazione dell’ angolo di anteroversione diretta ha assunto nuovamente importanza. Recentemente, diversi autori, hanno effettuato studi sulla la determinazione di diverse grandezze femorali, tra cui l’angolo femorale di anteroversione, con l’utilizzo della TC (Dudley RM. et al., 2006;

Ginja MMD. et al., 2006). Altri autori hanno invece utilizzato la RMN per lo studio dell’angolo di anteroversione in correlazione alla lussazione rotulea (Kaiser S.

2001).

α= tan –1 x/y

(31)

32 Valutazione radiologica del ginocchio nella rottura del legamento crociato craniale

In Medicina Veterinaria la Radiologia è stata la prima tecnica di Diagnostica per Immagini utilizzata come supporto dell’esame clinico in caso di rottura del LCCr.

Ancora oggi l’esame radiografico rappresenta l’esame strumentale di primo livello per la valutazione di questa patologia, eventualmente integrato da altre tecniche di diagnostica per immagini come TC o RMN.

Generalmente l’esame radiografico del ginocchio si esegue per precisare la prognosi e per programmare la terapia, in quanto la diagnosi di rottura del LCCr nel cane è prevalentemente clinica; infatti l’immagine radiografica, essendo un’ombra determinata dal differente assorbimento dei raggi X da parte dei tessuti, non permette la visualizzazione delle strutture legamentose che appaiono radiotrasparenti.

L’esame radiografico consente di documentare l’instabilità articolare e di valutare, entro certi limiti, non solo i segni di lesione inveterata a carico dei tessuti ossei, ma anche quelli a carico di alcuni tessuti molli nelle fasi acute.

Lo studio dell’arto posteriore si effettua sul soggetto in sedazione in modo da ottenere un posizionamento corretto ed un adeguato rilassamento della muscolatura fondamentale per effettuare le manualità necessarie per le proiezioni sotto stress.

Per ottenere un’immagine la più reale possibile, e quindi clinicamente utile, si deve cercare di avvicinare il più possibile le zone oggetto di studio alla pellicola radiografica, perciò in genere si posizionano gli arti direttamente a contatto con la cassetta; inoltre, i segmenti da analizzare dovrebbero essere paralleli alla cassetta radiografica, dato che una differente distanza delle diverse porzioni avrebbe l’effetto di deformare l’immagine, ingrandendo ciò che si trova ad una distanza maggiore rispetto al resto.

Lo studio radiografico del ginocchio si esegue con tecnica diretta, senza l’uso della

griglia antidiffusione. Talvolta può essere necessario effettuare l’esame RX anche

dell’arto controlaterale per identificare più facilmente, tramite confronto, lesioni di

piccola entità sull’arto interessato. L’articolazione del ginocchio può essere studiata

radiograficamente tramite l’utilizzo di proiezioni ortogonali medio-laterali (ML) e

craniocaudale (CrCd) o caudocraniale (CdCr) e tramite la proiezione tangenziale;

(32)

33 nel caso di patologie legamentose è possibile effettuare tali proiezioni sotto stress (Crovace et al., 2005).

La proiezione ML si ottiene posizionando il paziente sul tavolo radiologico in posizione laterale sul lato interessato; il ginocchio viene mantenuto a contatto con il tavolo o la cassetta. Per la corretta valutazione dei rapporti articolari, è importante che il ginocchio venga mantenuto in posizione neutra (135° circa) e che il fascio radiogeno sia puntato sulla parte centrale della faccia mediale del ginocchio (Crovace et al., 2005) (fig 12).

Figura 12 (a sinistra): posizionamento per la proiezione medio-laterale dell’arto; (a destra): radiografia in proiezione medio laterale eseguita correttamente.

La proiezione CdCr si ottiene con il soggetto in decubito sternale, il tronco viene

leggermente ruotato dal lato del ginocchio in esame, l’arto viene estesa

caudalmente con la faccia craniale aderente al tavolo radiologico o alla cassetta. Il

fascio radiogeno viene centrato sul fascio popliteo (fig 13).

(33)

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o.

o: ossa ses mediale e olo popliteo condiloidea

dea femor mediali e a tibia, t

34 samoidee e laterale

o, testa e a craniale

rale, ossa

laterali di

uberosità

(34)

35

A B

Figura 14 - Anatomia Radiografica ginocchio. A: proiezione ML. B: proiezione Caudo Craniale. 1: diafisi distale del femore; 2: diafisi prossimale della tibia; 3: diafisi prossimale del perone; 4: rotula; 5: fabelle ; 6:

leg. patellare; 7: incisura estensoria; 8: sesamoide del muscolo popliteo; 9: condili femorali; 10: cuscinetto adiposo; 11: tubercoli tibiali; 12: gola intercondiloidea; 13: condili tibiali: 14: tuberosità tibiale; 15: cresta tibiale.

All’esame RX, in seguito ad una rottura recente del LCCr, è possibile osservare differenti alterazioni in base al tipo di lesione legamentosa che può essere parziale o totale oppure in relazione al periodo trascorso dall’insorgenza delle manifestazioni cliniche.

Durante la fase acuta della patologia è riscontrabile un incremento dell’effusione dei

tessuti molli periarticolari, con distensione della capsula articolare con parziale

obliterazione del cuscinetto adiposo infrarotuleo e del recesso caudale del ginocchio

senza evidenti proliferazioni osteofitiche. L’aumento del liquido articolare, dovuto al

versamento, distende la capsula spingendo in senso cranio-caudale il grasso

infrapatellare diminuendone l’estensione nell’immagine (Vezzoni A.,2004; Crovace

et al., 2005) (fig 15).

(35)

36 Nel caso di patologia con insorgenza cronica, come nel caso di lenta evoluzione di una lesione parziale, l’immagine radiografica evidenzierà quadri di artropatia degenerativa di gravità variabile, come la presenza di osteofiti sui margini della troclea femorale, alla base della rotula, sul plateau tibiale ed anche in questo caso infiltrazione dei tessuti periarticolari e diminuzione del grasso infrapatellare (fig 16).

A B

Figura 15– A: proiezione ML ginocchio sinistro sano. B: proiezione ML ginocchio destro patologico.

È possibile osservare lievi irregolarità del profilo della corticale in corrispondenza dei recessi

prossimali craniali (1) e caudali (2), aree di osteorarefazione sugli apici prossimale (3) e distale (4)

della rotula, obliterazione del cuscinetto adiposo craniale (5) e del recesso caudale (6) causato dalla

distensione sinoviale articolare (Modificato da Crovace et al., 2005).

(36)

37

A B

Fig 16 – Quadro di artropatia secondaria grave. A: proiezione ML. B: proiezione CrCd (modificato da Crovace et al., 2005).

L’alterazione più eclatante riscontrabile in entrambi i casi e di maggiore rilevanza clinica è la sublussazione anteriore della tibia osservabile in proiezione medio- laterale; nel qual caso non fosse particolarmente evidente è possibile effettuare proiezioni ML sotto stress sottoponendo l’articolazione a compressione tibiale (fig 17).

A B

Fig. 17 – A: proiezione ML neutra. B: proiezione ML sotto stress. Difficilmente lo slittamento craniale della

tibia è visibile nella proiezione ML neutra. Pertanto è necessario eseguire una proiezione ML sotto stress,

cioè mentre si esegue una manovra di compressione tibiale. Si noti, inoltre, il distanziamento caudale del

sesamoide del popliteo (freccia) (Modificato da Crovace et al., 2005).

(37)

38 Valutazione radiografica del femore

Per la preparazione del soggetto e le manualità generiche si procede come descritto nel paragrafo precedente.

Per la valutazione di pelvi, articolazioni delle anche e femori, la proiezione più frequentemente utilizzata è quella ventro-dorsale standard, che si ottiene ponendo il soggetto in decubito dorsale, con colonna vertebrale perfettamente dritta e piano sagittale mediano perpendicolare al tavolo radiologico; gli arti sono estesi caudalmente da un operatore che contemporaneamente intraruota le gambe del soggetto in modo sufficiente ad allineare gli epicondili di ciascun femore con il piano orizzontale (fig 18).

Figura 18 : Corretto posizionamento per l’esecuzione di una radiografia in proiezione VD standard.

Se il soggetto sarà adeguatamente posizionato, si avrà un’immagine comprendente

interamente la pelvi, il femore, l’articolazione del ginocchio e parte dell’epifisi

prossimale della tibia, con i fori otturati simmetrici, sia per forma che per dimensioni,

con la possibilità di osservare sul margine mediale di ciascun femore il piccolo

trocantere, con i condili femorali verticali e paralleli fra loro, i sesamoidi dei

gastrocnemi divisi dalle corticali mediale e laterale del femore, e le rotule al centro

dei solchi trocleari; i parametri sopra elencati sono quelli che vengono utilizzati per

indicare il posizionamento ideale dell’anca; tuttavia nella pratica è difficile ottenere

una radiografia che li soddisfi tutti appieno, e che ci dia informazioni ottimali sul

femore (fig 19).

(38)

39

Figura 19: Proiezione VD standard eseguita correttamente.

Per effettuare uno studio completo del femore si deve effettuare anche una proiezione medio-laterale dello stesso, per la quale si procede ponendo l’animale in decubito laterale sul lato dell’arto da studiare, con l’arto controlaterale iperesteso cranialmente o caudalmente; la cassetta viene posta direttamente fra il tavolo dell’apparecchio radiologico ed il paziente, con questi che poggia su di essa il trocantere, il ginocchio (che dovrà essere flesso a 90°) ed il garretto, così da garantire la rappresentazione radiografica di tutte queste parti, il più realisticamente possibile.

L’adeguato posizionamento sarà confermato se nell’immagine sarà possibile visualizzare i contorni dei condili femorali perfettamente sovrapposti e la proiezione della cresta intertrocanterica in corrispondenza del centro testa femorale.

La proiezione postero-anteriore si effettua con animale in decubito ventrale,

alloggiato in una culla o mantenuto con cuscini il più possibile con il suo piano

sagittale perpendicolare al terreno; l’arto posteriore da studiare è iperesteso

caudalmente e appoggiato sulla cassetta radiografica, alla quale deve stare il più

adeso possibile. Nel caso si voglia avere una maggiore estensione in lunghezza è

possibile utilizzare la cassetta in diagonale, però questo andrà a discapito della

larghezza. In questo modo la radiografia potrebbe risultare privata così di parte

(39)

40

dell’articolazione del garretto o dell’anca; soprattutto quest’ultima, non essendo

individuabile con precisione alla sola palpazione durante il posizionamento, può

apparire incompleta ( Crovace et al., 2005 ). Il corretto posizionamento è garantito

dall’iperestensione del ginocchio, che impedisce qualsiasi rotazione a livello di

questa articolazione; se non sono presenti deformità dell’arto, il radiogramma

mostrerà la rotula alloggiata fra le labbra trocleari e il margine mediale del calcaneo

si mostrerà sovrapposto al punto di maggiore profondità del solco astragalico; nel

caso di torsioni interna o esterna, tale margine sarà rispettivamente spostato

lateralmente o medialmente.

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