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311 La copia dell’autorizzazione innocentina è conservata in ASPi, Diplomatico Olivetani 514, 1353 feb

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Al termine di questa investigatio fontium, non sembri fuori luogo avviare una sintesi propositiva di quanto visto accompagnati dal testo del testamento di Giovanni,310 che, gravato da non meglio precisate infermità fisiche, il 16 febbraio 1362 detta le sue ultime volontà revocando ogni precedente dispo- sizione. Non avendo rinvenuto versioni più antiche di questa, si può facil- mente supporre che detta revoca rappresenti solo una cautela tipica delle formule, volta a prevenire eventuali lacune nel corsus actionum ricollegabi- le all’atto giuridico in fase di maturazione. Giovanni ha, in ogni caso, prov- veduto anni prima a richiedere debita autorizzazione papale alla facoltà di disporre liberamente dei suoi beni in data 24 febbraio 1353.311

La prima disposizione riguarda la sua sepoltura, per la quale contempla tre possibili opzioni. Nella prima esprime il desiderio di essere inumato nel- la cattedrale pisana sotto le scale che conducono al loggiato soprastante la navata destra, ove desidera che sia collocato un sarcofago completo della sua imago archiepiscopali. Si tratta dell’arca marmorea che gli esecutori te- stamentari hanno commissionato alla bottega di Nino Pisano, modellata sul tipo della Tomba Ammannati del 1359, ed ancora conservata nel Campo- santo Monumentale, a sua volta modello per quella del suo successore sulla cattedra pisana e nipote Francesco Moricotti. Dopo diversi rimaneggiamenti e spostamenti, il sarcofago ormai vuoto trova oggi definitiva sistemazione nella sala 9 del Museo dell’Opera del Duomo di Pisa assieme – dal 1986 – a quello del nipote.312 La facciata del sarcofago è divisa in tre scene dai moti- vi decisamente tipici per la funzione funebre della scultura. Si tratta, infatti,

310 Per il testo, Cfr. Appendice I, pp. 85-87.

311 La copia dell’autorizzazione innocentina è conservata in ASPi, Diplomatico Olivetani 514, 1353 feb. 24.

312 In merito alle vicissitudini del sarcofago di Giovanni ed al suo contesto storico-artistico, cfr. M. Burresi, Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, Milano 1983; M.L. Cristiani Te- sti, Nicola Pisano architetto scultore, Pisa 1987; A. Caleca, Il Camposanto di Pisa. Pro- blemi di storia edilizia, in Il Camposanto di Pisa, cur. M. Carmassi, Roma 1993, pp. 5-14;

W. Dolfi, Vescovi e arcivescovi di Pisa. I loro stemmi e il palazzo, I, Pisa 2000, pp. 154, 161.

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di un compianto sul Cristo deposto dalla Croce di consolidata iconografia nella pittura e nell’arte tardo medievali: Gesù defunto ed inumato, si noti la stilizzazione del sarcofago nella parte inferiore della scena, con le mani giunte al centro; la Madonna alla sua destra (sinistra dell’osservatore) e l’evangelista Giovanni alla sua sinistra (destra dell’osservatore). Ciascuna delle figure è attorniata da due angeli. Contrariamente al sarcofago del nipo- te, in quello di Giovanni non è presente alcuna iscrizione di tipo didascalico.

Collocato inizialmente in duomo sotto le scale che portano al matroneo do- ve oggi è la sacrestia dei cappellani, dopo l’incendio del 1595 è stato rima- neggiato e spostato vicino alla porta prossima all’altare dell’Incoronata. Il 6 luglio 1713 le sue ossa furono prelevate e traslate nel muro del transetto Sud (quello di San Ranieri) in corrispondenza dell’ingresso della porta piccola (entrando, a sinistra), come testimonia l’iscrizione realizzata sulle quattro lastre che coprono la nicchia che le alloggia, il cui testo recita quanto segue.

Ossa Ill(ustrissi)mi et rever(endissi)mi d(omini) d(omini) Iohannis Scherlatti

Pisarum civis et archiepis(scopi) ex eius sepulcro in sacra

rij pariete posito hic transalta, quiescunt die VI iulij MDCCXIV

Pisano

Nuovamente spostato nella cappella Aulla del Camposanto nel corso del sec. XIX, il sarcofago è oggi esposto – come già detto poc’anzi – nella sala 9 del Museo dell’Opera del Duomo, già canonica nuova.

Giovanni dispone, inoltre, 40 fiorini aurei elevabili a 50 come dote dell’altare più prossimo alla sua sepoltura, affinché ogni mattina un sacerdo- te uffici una messa in suo suffragio ed un altro, salvo diverso avviso del Ca- pitolo, faccia altrettanto all’ora terza. Qualora fosse impossibile procedere all’inumazione in cattedrale, dispone che si opti per San Paolo a Ripa d’Arno, evidente richiamo alla sua prima parrocchia di appartenenza, o per il monastero di San Girolamo di Agnano. In entrambi i casi richiede espres- samente che si provveda all’ufficiatura di messe in suo suffragio secondo le stesse modalità previste nel caso fosse stato sepolto in cattedrale.

La seconda delle disposizioni dettate al fedele Lupo da Marti, riguarda le modalità proprie di svolgimento dei suoi funerali, che «non fiant pompose,

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sed honeste et discrete»313 come da accordi presi preventivamente con i suoi esecutori testamentari.

Questi primi punti riassumono bene due elementi caratterizzanti specifi- catamente Giovanni Scarlatti arcivescovo. La distanza presa dalla vita pub- blica non esclude che la figura del presule sia – per lui – dotata di una supe- riorità discreta e – volendo polemizzare – onesta. Questa sua evidente con- cezione della propria dignitas archiepiscopali si rivolge non soltanto al cle- ro della cattedrale e della sua diocesi, ma tocca anche chierici ed ecclesiasti- ci ivi residenti, anche se estranei alla sua giurisdizione ecclesiastica. Il caso dei Serviti di Santa Viviana314, il divieto imposto al francescano Bernardo Rubeo vescovo della diocesi sarda di Tempio Pausania315 temporaneamente residente nel pisano di celebrare uffici divini salvo sua differente disposi- zione316 e l’insistente vigilanza sulle nuove cariche all’interno delle alte sfe- re della chiesa locale anche quando lontano dalla città, come nel caso dell’operaio del battistero solennemente insediato il 28 aprile 1360,317 son fedele specchio di quali fossero le sue convinzioni sui rapporti gerarchici tra le diverse membra componenti la chiesa ed il suo personale indirizzo eccle- siastico-pastorale.

Seguono le disposizioni causa donationis. Nella prima di queste, stabili- sce che i suoi servitori siano pagati per l’intero anno in corso al momento del suo decesso e che gli sia loro corrisposto un premio di uscita di otto fio- rini aurei per ogni anno di servizio resogli. In questo indistinto gruppo dei servitorum è possibile intravedere la composita famiglia vescovile di Gio- vanni e l’anonimo insieme dei cuochi, stallieri, valletti, ecc. che hanno in- dubbiamente completato la corte del presule.318

Dispone in seguito una donazione in denari pisani per alcuni conventi pi- sani: dieci libbre per quello dei Francescani, cinque per quello degli Eremi- tani, dei Carmelitani, per quello di Sant’Antonio e per quello di San Donni- no. Nomina, infine, la casa olivetana di San Girolamo di Agnano erede uni- versale per la rimanente parte di patrimonio.

313 Cfr. Appendice I, p. 87 r. 31.

314 Cfr. pp. 56 seg.

315 Cfr. Hierarchia catholica, p. 188.

316 AAPi, Atti straordinari 8, c. 57v (9 ago. 1361).

317 Cfr. pp. 71 n. 282.

318 Sulla famiglia vescovile dello Scarlatti e sulle famiglie ecclesiastiche in genere, cfr. pp.

46-49.

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Quanto agli Olivetani di Agnano, doppiamente eredi di Giovanni, e per la ricca donazione che accompagna l’impegno finanziario della fondazione e per quest’ultimo lascito testamentario stricto sensu, è già stato detto.319 La serie dei lasciti monetari destinati ai conventi pisani di cui sopra, mostra un’evidente disparità di trattamento persino a confronto con i servi. La mo- neta innanzitutto: denari pisani contro fiorini aurei, la valuta più ricercata e pregiata dell’Europa del tempo. Ciò ci consente di speculare che la congre- gazione di Santa Maria di Monte Oliveto non dovette entrar nelle grazie di Giovanni solo per il desiderio di trapiantare nel pisano una delle avanguar- die per eccellenza del tempo. Si tratta evidentemente di rilevare che il No- stro debba aver vissuto con particolare attenzione il desiderio di rinnova- mento della chiesa, estremamente forte nel Trecento. Non optando per ete- rodossi percorsi di rottura con la tradizione Romana, lo Scarlatti testimonia quindi in sede testamentaria un favore pressoché esclusivo al monachesimo riformato.

Seguono disposizioni – de facto per il vicario ed economo Simone dei Panicci – riguardo ai livelli concessi a due grandi affittuari dell’arcivescovato nell’area di San Piero a Grado: Piero del fu Vanni da Ca- scina e Bartolomeo del fu Bacciarello di Puccio Sacco. In queste Giovanni rinuncia a quanto non ancora riscosso pur nel mantenimento dei termini propri dell’ultimo contratto intercorso tra questi e la curia pisana.

Nomina, infine, legati ed esecutori testamentari nelle persone del vesco- vo cardinale di Tuscolo Niccolò,320 Gualterio abate di San Michele in Borgo di Pisa, Silvestro maestro dell’Ospedale Nuovo di Pisa e Francesco di ser Puccio da Pisa canonico pisano e suo nipote.321

Un ultimo sguardo ai testimoni: l’altro vicario Bartolomeo di Simone da Ferrara canonico parmense,322 il nipote Francesco, il medico e cittadino pi-

319 Cfr. pp. 68-70.

320 Si tratta del romano Niccolò Capoci, che inizia la sua carriera ecclesiastica come prepo- sto della chiesa di Sant’Omero (Audomarius) di Thérouanne, suffraganea di Reims. Dal 1348 al 1351 è vescovo di Urgel in Spagna, prete cardinale di San Vitale dal dicembre 1350 al 1361, nonché assiduo frequentatore della Curia Romana tra il 1351 ed il 1356. Successi- vamente vescovo cardinale di Tusculo, muore presso Montefiascone nel 1368. Cfr. Hierar- chia Catholica, pp. 24, 39, 48, 509.

321 Cfr. le schede di L. Carratori, Il Capitolo, pp. 52-53 e di W. Dolfi, Op. cit., I, Pisa 2000, pp. 157-162.

322 Cfr. p. 39 seg.

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sano Piero,323 maestro Simone dei Panicci,324 Francesco del fu Baldino chie- rico,325 Bartolomeo del fu Chello da Empoli e Bartolomeo del fu Giovanni da Pistoia,326 oltre naturalmente a Lupo detto Pupo del fu Spezzalasta da Marti, estensore dell’atto.

Sono pressoché assenti tutti gli altri grandi protagonisti della chiesa pisa- na (il Capitolo – con l’ovvia eccezione del nipote –, i cappellani del duomo e le opere del duomo e del battistero, ecc.) e della vita politica cittadina.

È possibile, quindi, individuare nello Scarlatti un arcivescovo che, più che per la devozione ad uno specifico indirizzo politico-ecclesiastico, per la sua personale inclinazione spirituale fu decisamente restio a restituire ai pre- suli pisani quel ruolo di “punta” nella tradizionale triangolazione politica duecentesca “Comune-Capitolo-Arcivescovo”.

Un’ultima nota. Zucchelli informa che Giovanni appartiene al novero dei beati di orgine pisana.327 Di uno dei due autori, cui egli delega la responsbi- lità di detta notizia, si conservano in ACPi alcuni quaderni di appunti. In questi, Pietro Cardosi – l’autore – pur dichiarando beato lo Scarlatti, lamen- ta la mancanza della sua Vita e non è chiaro se si riferisca alla sua inesisten- za od alla sua indisponibilità.328 Difficile, quindi, dare credito a tali infor- mazioni.

Desiderando chiudere questa prima biografia di Giovanni Scarlatti arci- vescovo di Pisa con delle parole-chiave utili per una sintesi non superficiale, si può affermare che l’allocuzione avverbiale honeste et discrete – quasi un

“motto” nel suo testamento – ha caratterizzato anche la sua azione pastorale, che si svolge lontano dai pubblici “palcoscenici” senza per questo rinunciare alle prerogative proprie della cattedra metropolitica in favore di altri grandi protagonisti della vita della chiesa pisana. Una superiorità rivendicata perlo- più sul piano ecclesiastico e spirituale. Tale atteggiamento, associato al fa- vore concesso in particolare alla congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, tradisce una personale tensione verso la riforma della

323 Presente in veste di testimone in altre carte tra quelle esaminate, è possibile si tratti – più o meno ufficialmente ed esclusivamente – del medico personale di Giovanni o di curia.

324 Cfr. pp. 40 seg.

325 Membro della famiglia vescovile, cfr. Appendice V, p. 97.

326 Idem.

327 N. Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, p. 139.

328 ACPi, Manoscritti 141, p. 355; cfr. anche l’edizione postuma Memorie Sacre delle Glo- rie di Pisa, con breve compendio delle vite dei santi e dei beati della città e suo distretto, raccolte da Pietro Cardosi, cittadino Pisano, 1675, Pisa 1844.

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chiesa e la vita contemplativa che non dovette limitarsi agli Olivetani. Para- frasando ancora una volta il probabile messaggio del suo blasone: forza e nobiltà d’animo nella contemplazione dei frutti del Mistero.

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