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Dall’altro lato, il problema della motivazione dell’atto impositivo si conetteva strettamente alla natura del processo tributario

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Academic year: 2021

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5 INTRODUZIONE

La motivazione degli atti impositivi è un istituto che ha subito nel corso del tempo notevoli modifiche per effetto dei cambiamenti normativi e degli interventi giurisprudenziali.

L’elaborato si prefigge l’obiettivo inquadrare il contenuto della motivazione dell’atto di accertamento in relazione alla disciplina tributaria vigente, alle finalità perseguite con essa, facendo particolare riferimento a quella norme e leggi che appositamente ne prescrivono il contenuto.

Da un punto di vista storico, la motivazione degli atti impositivi è stato un argomento largamente dibattuto dalla dottrina tributaria. Questo per almeno due ordini di ragioni.

Da un lato, vi era l’incapacità degli Uffici finanziari di formulare legittimamente la pretesa impositiva: molto spesso le motivazioni degli accertamenti erano prive di quei requisiti contenutistici minimi prescritti dalla normativa, tant’è che la motivazione dell’atto era molto spesso definita dalla Giurisprudenza di merito “carente”. La dottrina amministrativa tributaria era costretta, pertanto, a ribadire la necessità di una adeguata motivazione, pena la nullità dell’atto, con la finalità di ottenere la responsabilizzazione della amministrazione finanziaria.

Dall’altro lato, il problema della motivazione dell’atto impositivo si conetteva strettamente alla natura del processo tributario. Infatti, qualora la giurisdizione tributaria venisse individuata nell’annullamento dell’atto si era di fronte ad un giudizio di impugnazione-annullamento e, pertanto, l’atto impositivo doveva contenere già al momento dell’emissione interamente le ragioni della pretesa. Viceversa, qualora la giurisdizione tributaria fosse individuata nell’accertamento del rapporto, l’atto di accertamento era considerato un atto procedimentale, meramente introduttivo della lite e conseguentemente la motivazione era integrabile da parte degli Uffici nel corso del giudizio. Il contenuto minimo ed indefettibile della motivazione dipendeva dalla natura attribuita al processo tributario e all’atto impositivo.

Venendo ai giorni nostri, non si può non osservare come il tema della motivazione degli atti tributari si connetta in modo inscindibile al processo di evoluzione dell’attività amministrativa e del rapporto tra lo Stato e il cittadino. Come si vedrà, la prima non si qualifica più come esercizio di una funzione sovrana per il perseguimento degli interessi

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pubblici tramite l’esercizio di poteri autoritativi. L’attività amministrativa deve svolgersi nel perimetro tracciato dal quadro normativo, che consente di individuare gli obiettivi e gli interessi da perseguire e di poter valutare la legittimità dell’attività stessa.

Parimenti, il principio di legalità, non più concepito quale presidio del potere legislativo, postula l’attuazione dell’imparzialità della attività amministrativa e del buon andamento ex art. 97: l’imparzialità intesa come principio diretto a garantire la parità di trattamento dei cittadini da parte della pubblica amministrazione e il buon andamento, quale principio strumentale all’imparzialità, nel perseguimento della giustizia e ragionevolezza dell’operare della amministrazione.

Si comprende, dunque, come il contenuto della motivazione dell’atto di accertamento, in quanto esplicitazione della ragioni della pretesa fiscale dell’amministrazione verso il cittadino, deve essere tale da accogliere detti principi. Tale risultato si ottiene soltanto qualora l’atto amministrativo sia emanato nel pieno rispetto del quadro normativo di riferimento.

In tal senso era intervenuto l’art. 3 della l. n. 241 del 1990 che ha statuito, con riferimento ai provvedimenti amministrativi, che la motivazione deve indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria”. In particolare, la legge n.

241/1990 pone al centro dei rapporti tra amministratore e amministrato il procedimento amministrativo: l’iter del procedimento è il meccanismo concepito dal legislatore per accordare la tutela massima al cittadino. Questo si configura “da un lato, come luogo di ponderazione e di sintesi degli interessi pubblici e di quelli privati, coinvolti nell’agere amministrativo, e, dall’altro lato, come mezzo di realizzazione dei principi costituzionali di efficienza, imparzialità e buon andamento fissati dall’articolo 97 della Costituzione”.

L’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (il procedimento di accertamento di inserisce nell’alveo di detti provvedimenti) discende appunto da due principi costituzionali: il primo, già citato è quello prescritto all’art. 97 della Costituzione, l’altro è quello statuito all’art. 24 della Costituzione, in materia di diritto alla difesa. In ordine al primo principio, il contenuto della motivazione è il l’elemento di collegamento tra l’attività interna svolta dall’ufficio e la manifestazione esterna verso il destinatario dell’atto: la motivazione è la cartina di tornasole per la valutazione dell’attività amministrativa svolta dagli Uffici da parte del cittadino. Bisogna ricordare,

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7 poi, che l’avviso di accertamento incide unilateralmente sulla sfera giuridica del destinatario qualora, ancorché infondato, non sia impugnato nei termini di legge. Una adeguata motivazione è essenziale ai fini della realizzazione in sede processuale del diritto alla difesa.

L’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, sotto la rubrica “Chiarezza e motivazione degli atti”, ha introdotto a proposito dell’accertamento tributario una particolare disciplina del dovere di motivazione, che rende più rigorose le norme di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla quale fa espressamente rinvio, e conferma i precetti costituzionali. Le disposizioni dello Statuto hanno avuto un effetto dirompente nella legislazione tributaria e nell’istituto della motivazione, in quanto la legge in questione ha, da un lato, inteso incidere sulla normativa tributaria, rendendola più chiara e trasparente, dall’altro, dato pieno riconoscimento al nuovo rapporto tra amministrazione e cittadino con l’introduzione dei principi di collaborazione e buona fede. Gli obiettivi perseguiti dallo Statuto sono stati, sin dai primi progetti di legge, molto ambiziosi.

Infatti, la legislazione fiscale era, ed è ancora, sfortunatamente, affetta da patologie di non poco momento: la ricerca affannosa di mezzi di copertura delle uscite statali aveva di fatto inciso pesantemente sulla qualità della normativa tributaria. Il legislatore tributario aveva da sempre utilizzato lo strumento del decreto legge anche in assenza dei requisiti costituzionali della necessità e dell’urgenza. In più, la disciplina, emanata per far fronte in modo immediato alle esigenze del deficit e del debito pubblico, mancava di chiarezza, era instabile, non era unitaria e raramente faceva ricorso a dei principi generali. Per dirla con le parole di un illustre studioso, il legislatore rinunciava “a fare emergere chiaramente dalla legge l’oggetto del tributo, il suo fondamento economico, fornendo così l’appiglio per un’interpretazione logica che risolva meglio il problema della parità di trattamento dei cittadini di fronte al fisco”.

Infatti, un disciplina incerta, non chiara lasciava ampie maglie per l’evasione e l’elusione. In più, tra le altre conseguenze negative, particolarmente grave è stata la perdita di importanza della attività della giurisprudenza costretta, molto spesso, all’interpretazione di una norma che per effetto di continui e successivi mutamenti era, magari, già stata abrogata. Lo Statuto dei diritti del contribuente nelle sue prime norme ha come obiettivo assicurare la stabilità, la coerenza e la conoscibilità della disciplina tributaria in modo da garantire la certezza nel diritto.

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In relazione alla creazione di un nuovo rapporto tra fisco e cittadino, lo Statuto introduce nella legislazione tributaria i principi di buona fede e collaborazione. La necessità di un atto impositivo adeguatamente motivato con riferimento alla disciplina tributaria vigente, ai mezzi istruttori utilizzati e a quelli di prova, con l’indicazione delle garanzie accordate dalla legge a tutela del cittadino si aggiunge alla volontà che i rapporti tra contribuente e fisco siano improntati alla collaborazione ed alla buona fede.

Su questo sentiero, lo Statuto costituisce il primo passo mosso dalla legislazione tributaria italiana verso il raggiungimento della volontaria ottemperanza agli obblighi fiscali (cd. Compliance philosophy).

In ultima analisi, pur avendo obiettivi diversi, la legge sul procedimento amministrativo e la carta dei diritti del contribuente perseguono la finalità di rendere più vicini l’amministrazione e il cittadino ed in modo analogo, con riferimento al singolo caso concreto, la motivazione consente la comprensione dell’iter logico-giuridico che ha condotto all’emissione dell’atto, rendendo edotto il contribuente del ragionamenti e delle valutazioni dell’Ufficio e costituendo il primo punto di unione tra cittadino e fisco.

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