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1. IL QUADRO STORICO AL TERMINE DELL’ETA’ MODERNA

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INTRODUZIONE

I

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1. IL QUADRO STORICO AL TERMINE DELL’ETA’ MODERNA

• Contesto economico-sociale

Il settecento europeo è contraddistinto da alcuni rilevanti fenomeni di natura sociale ed economica: in primis la crescita della popolazione dopo la stagnazione secentesca, complice una generale diminuzione del tasso di mortalità in quasi tutti i paesi dell’area occidentale, risultante da una minore incidenza di malattie a carattere endemico, da migliorate condizioni igienico-sanitarie, diminuzione di carestie ed eventi bellici devastanti, ma complice anche un aumentato tasso di natalità dovuto alle migliorate condizioni alimentari e, soprattutto, ad una anticipata nuzialità: nel complesso assistiamo ad un incremento quantificabile nel passaggio dai circa 100-120 milioni di abitanti del 1700 ai 180-190 del 1800, con una crescita rilevante registrata nella seconda metà del secolo (a partire dai 120-140 milioni stimati nel 1750). Per quanto attiene ai singoli paesi europei, emerge una forbice notevole fra l’aumento della popolazione inglese, che quasi raddoppia i propri abitanti (dagli oltre 5 milioni del 1701 agli oltre 8.8 del 1801), e il ritmo più misurato di sviluppo di quella francese (20 milioni nel 1715, 26 nel 1789). In questo contesto, la penisola italiana registra un incremento interessante, dagli 11 milioni del 1700, 16 del 1760, ai 18 di fine secolo). 1

Il fatto demografico si tradurrà, complessivamente, in un parallelo intensificarsi dello sfruttamento delle risorse agricole, secondo i moduli tipici delle società preindustriali – per le quali l’agricoltura costituisce la base economica fondamentale - nella duplice direzione della coltivazione estensiva d’impronta signorile - feudale (caratteristica, anche se in maniera non esclusiva, delle aree orientali meno sviluppate come la Russia) e di quella intensiva di stampo capitalistico in aree più ristrette del continente europeo (come l’Inghilterra, l’Olanda e l’area padana); ma l’agricoltura saprà far fronte all’accresciuta pressione demografica grazie anche all’introduzione della coltivazione di prodotti ad alto contenuto calorico come il mais e la patata, importati, com’è noto, dal continente americano.

In ogni caso la coltivazione della terra resterà per tutto il settecento l’attività economica primaria, sia per reddito prodotto sia per numero degli addetti; soltanto nel corso dell’ottocento le diverse strutture produttive nazionali inizieranno a modificarsi — anche profondamente secondo proprie direttrici di sviluppo — in quanto investite in diversa misura, a partire dalla società inglese, dal processo di industrializzazione. In questo paese, a partire dagli ultimi decenni del settecento, sulla cosiddetta “rivoluzione agricola” si innesterà infatti una ben più consistente “rivoluzione industriale”; tale fenomenologia nel secolo successivo coinvolgerà non solo altre nazioni europee, ma farà sentire i suoi effetti a livello mondiale. L’Italia, in particolare, conserverà la propria struttura preindustriale almeno sin verso la fine dell’ottocento, quando conoscerà essa stessa un consistente sviluppo manifatturiero, con conseguente «passaggio da un’economia organica avanzata ad un’economia a base minerale» 2 nelle aree più avanzate del centro nord.

I menzionati fenomeni demografici non furono estranei alla diversa distribuzione sul territorio della popolazione rispetto ai fenomeni di antropizzazione osservati nel secolo

1

Salvadori-Comba-Recuperati, Corso di storia, II, Torino, Loescher, 1989, pag. 262; cfr. anche i dati complessivi del Biraben e del Bairoch: 125 milioni nel 1700 e 195 nel 1800 in Paolo Malanima, Economia preindustriale, Milano, Bruno Mondadori Editore, 2000, p.11. I paragrafi n.1 e n. 2 riprendono in buona sostanza le argomentazioni contenute nella tesi di laurea magistrale dal titolo Ultime lettere di Jacopo Ortis.

Un caso editoriale allo scorcio del secolo XVIII, discussa a Siena - Facoltà di Lettere e Filosofia - il 14 dicembre 2011, candidato Carlo Raggi, relatore il Prof. Stefano Carrai.

2

Edward A. Wrigley, La rivoluzione industriale in Inghilterra, Bologna, Il Mulino, 1992, pag. 127.

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precedente: il settecento vede infatti un nuovo incremento degli abitati urbani, con aumento significativo del numero delle città con popolazione superiore alle 100 mila unità, quasi raddoppiate nel corso del secolo. In particolare, va segnalata la crescita demografica delle capitali europee, crescita che investe anche quelle ubicate al di là dell’Elba, sebbene in questi paesi dell’Europa orientale siano da segnalare contemporanei e cospicui fenomeni di polarizzazione, e. g. in Polonia, dove Varsavia crescerà a spese delle altre città. Tassi di crescita della popolazione e dell’urbanizzazione che, però, non mancheranno di costituire una sfida per gli Stati a causa dell’inevitabile impatto sociale delle trasformazioni demografiche, non solo nelle campagne, ma anche e soprattutto nei centri urbani, dove emergeranno problemi legati all’approvvigionamento alimentare, alla sanità, alla presenza di un consistente ceto subalterno composto da poveri, servi, disoccupati che andrà ad occupare le fasce più periferiche delle cinture cittadine; 3 un ceto, quest’ultimo, che in prospettiva si rivelerà decisivo al momento del decollo dell’economia di stampo capitalistico — industriale, in quanto da esso sarà tratta quella manodopera di scarsa specializzazione e a basso costo che sarà impiegata negli opifici attrezzati con le moderne macchine a vapore. E’ questo anche il periodo in cui più prepotentemente vengono alla ribalta i luoghi dell’emarginazione sociale: dagli ospedali, sanatori, orfanotrofi sino ai luoghi di reclusione e carcerazione, secondo una direttrice che coinvolgerà nel corso del tempo altri soggetti sociali, come gli eserciti e le forze di polizia con le loro ottocentesche caserme.

Dal punto di vista prettamente sociale, quella settecentesca è una società di ordini e lo sarà sino alla Rivoluzione francese; una società dove, secondo l’assunto di Adalberone, Vescovo di Laon, esplicitato nel suo Carme per il Re Roberto (1027/31), «certuni pregano, altri combattono, e gli altri lavorano», 4 in altre parole costituita dai corrispondenti ceti del clero, nobiltà e popolo (il Terzo Stato della nomenclatura rivoluzionaria) pur nella complessa stratificazione generatasi all’interno di ciascuno di essi nel corso dei secoli.

Una classificazione cui corrispondono, in senso crescente a partire dal livello più basso interno a ciascuno dei primi due ordini, una serie sempre maggiore di privilegi, fra i quali si può far ricomprendere il “particolarismo giuridico”, ovvero «la mancanza di unitarietà e di coerenza dell’insieme delle leggi vigenti in una data sfera spazio temporale», 5 tra le cui conseguenze, in particolare, va ascritta anche l’esistenza di regimi giuridici diversi per le diverse classi di appartenenza dei soggetti. Alla vigilia della rivoluzione del 1789, la stratificazione sociale si era fatta molto più complessa rispetto ai tempi della sua teorizzazione nel secolo XI; in particolare il popolo, ovverosia la classe sociale cui apparterrà anche il Foscolo, nel corso dei secoli si era grandemente differenziato per livelli di ricchezza ed influenza, comprendendo difatti sia la grande borghesia imprenditoriale, sia il ceto contadino e la popolazione più povera delle città e delle campagne, a fronte di un generale ridimensionamento dell’influenza del ceto nobiliare, fenomeno avvertito e maggiormente determinatosi nel corso del settecento. Una società

— a seguito degli avvenimenti rivoluzionari post 1798 definita di ancien régime — caratterizzata comunque da una spiccata fissità, in cui la classe dirigente continuava ad essere tratta quasi esclusivamente dai primi due ordini, con rare possibilità di ascesa sociale per quanti non ne facessero parte, essendo la nascita l’elemento chiave sia per l’

3

«[…] e la notte vo baloccone per città come una larva e mi sento sbranare l’anima da tanti indigenti che giacciono per le strade, e gridano pane […]» Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis ( Edizione 1802), Lettera da Bologna del 12 agosto, (“Edizione Nazionale delle Opere”, IV ), Firenze, Le Monnier, 1970, pagg. 226-7.

4

Gabriella Piccinni, I mille anni del medioevo, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pag. 116.

5

Giovanni Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, Il Mulino, 2003, pag. 29.

III

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appartenenza alla classe nobiliare, detentrice dei poteri politici e militari ai più alti livelli, sia per l’accesso alla carriera apicale della gerarchia cattolica.

• Contesto culturale europeo

Il settecento è innanzitutto il secolo des lumières, che coinciderà con quella profonda trasformazione dei modelli culturali che investirà ogni aspetto della società di ancien régime. Un fenomeno troppo spesso identificato nei termini di “ragione” e “progresso”, che non rendono appieno tutta la sua multiforme ricchezza. Ripercorrere le tappe della sua nascita e fioritura significa evidenziare innanzitutto il legame intercorrente con Umanesimo e Rinascimento, per la ripresa di speculazioni già emerse in tali periodi, quali la centralità dell’uomo nell’universo nonché l’autonomia della politica ( Niccolò Machiavelli [1469-1527] 6 ) e della scienza (Galileo Galilei [1564-1642] 7 ) dalla religione. Il passo successivo, affermatosi durante e grazie alla temperie culturale illuminista, sarà la rivendicazione dell’autonomia della morale dalla religione ( Baruch Spinoza [1632- 1677] 8 , Pierre Bayle [1647-1706] 9 ), con la teorizzazione di un’organizzazione statale totalmente virtuosa seppure composta in via esclusiva da una comunità di cittadini atei.

Altro legame molto forte sarà quello con la cultura libertina, fenomeno secentesco sviluppatosi particolarmente in Francia, affermante la libertà di pensiero nei più vari settori della speculazione intellettuale, in particolare in quello religioso, nell’ambito del quale non esitava a proclamare la falsità dei pilastri fondanti delle fedi tradizionali, dall’immortalità dell’anima alla necessità e possibilità del sacrificio di redenzione, quest’ultima vanificata da una visione dell’universo in sintonia con le speculazioni di Giordano Bruno (1548-1600) sull’esistenza di una pluralità di mondi. 10 Mentre però il libertinismo era rimasto un movimento confinato all’interno di ristrette elite nobiliari, con peculiarità di diffusione del tutto simili a quelle precipue di una religione di tipo misterico, le cui verità devono essere celate ai non iniziati per non creare turbative alla struttura sociale esistente, secondo il principio della “doppia verità” di antica ed illustre ascendenza storica (Marco Tullio Cicerone, 11 Gnosi cristiana), l’illuminismo fu, al contrario, teso alla massima diffusione delle proprie idee, dirette alla formazione della pubblica opinione, concetto all’epoca ancora in nuce nella direzione di un’ accezione da negativa a positiva: sebbene fenomeno propriamente già secentesco, è proprio in questo periodo che si moltiplicano le iniziative editoriali, con la pubblicazione di giornali e gazzette, libri e periodici, la cui diffusione sarà agevolata dai luoghi della socializzazione borghese, allora emergenti (salotti, clubs).

Ampia matrice nella genesi illuministica ebbe anche il deismo, una religione di tipo razionalistico che riduceva la complessità dogmatica delle religioni rivelate all’esistenza di un Dio creatore dell’universo, posizione teorica espressa principalmente da pensatori inglesi (Locke, 12 Toland 13 ). L’opera del Toland (John, 1670-1722), in particolare, conduceva la polemica deistica in quella direzione fortemente atea e materialistica che costituirà poi uno dei principali indirizzi di pensiero antireligioso nella Parigi di Denis Diderot (1713-1784) e Jean Le Rond D’Alembert (1717-1783), curatori e coautori

6

Il Principe (1513);

7

Il Saggiatore (1623), Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632);

8

Tractatus teologico-politicus (1670), Ethica (1677);

9

Dictionnaire historique et critique (1695-97);

10

De l’infinito, l’universo e mondi (1584); La cena de le Ceneri (1584);

11

De Divinatione (libro II);

12

The Reasonableness of Christianity (1695);

13

Christianity not misterious (1691).

IV

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dell’opera destinata ad assurgere a simbolo dell’intero movimento dei lumi e sua sintesi esemplare: l’Enciclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des art et des métiers , trasformazione di un progetto iniziale che prevedeva la realizzazione di un più modesto Dizionario delle scienze ed arti, sul modello di un’analoga iniziativa apparsa in Inghilterra nel 1728.

L’opera, in 17 volumi di testo e 11 di tavole, pubblicata a Parigi dal 1751 al 1772 dopo complesse vicende editoriali dovute a problemi censori e contrasti ideologici intercorsi fra i due curatori (il d’Alembert sarà sostituito nella conduzione del progetto col Barone Paul-Henri Dietrich d’Holbach [1723-1789] alla fine degli anni ‘50), rappresenterà non soltanto una lucida critica al sistema culturale e religioso tradizionale ma anche un momento propositivo nell’ambito della scienza, della società, dell’arte, realizzato attraverso la compilazioni delle singole voci, la cui realizzazione sarà demandata ai migliori intellettuali del tempo, da Voltaire a Rousseau, e sarà destinata a diventare un punto di riferimento ineludibile per i circoli illuministici di tutta l’Europa.

Importante momento di riflessione a causa non solo dei contenuti scientifici bensì anche per i risvolti filosofici della proposta, i Principia matematica naturalis philosophiae (1687) del matematico inglese Isaac Newton (1643-1727), professore universitario a Cambridge, rappresenteranno uno straordinario avanzamento della scienza astronomica ormai fedele al sistema eliocentrico copernicano, postulando un complesso sistema planetario di tipo gravitazionale, regolato da leggi matematiche puntualmente calcolate e dimostrate attraverso speculazioni di tipo geometrico. Sebbene deista, Newton assegnava però a Dio non solo l’atto creativo originario ma anche il compito di conservazione dell’universo, attuato con l’intermediazione delle comete, apportatici dello spirito vitale necessario a questo scopo:

[…]sospetto inoltre che quello spirito che costituisce una parte minima, ma sottilissima e ottima, della nostra aria, ed è richiesto per la vita di tutte le cose, venga principalmente dalle comete. 14

Dal punto di vista più specificatamente politico, l’illuminismo elaborerà una serie di riflessioni tendenti ad una complessiva riforma dell’architettura statale, dei corpi politici, della legislazione e, in generale, delle istituzioni di diritto pubblico e privato nella direzione del duplice superamento dell’assolutismo e della concezione patrimoniale dello Stato.

A partire dalle posizioni giusnaturalistiche secentesche, ovvero dalla teorizzazione dell’esistenza di diritti naturali inalienabili che postulano, come fondamento dell’entità statale, l’esistenza di un contratto sociale stipulato fra governati e governanti, affiora e si consolida progressivamente l’idea moderna del diritto pubblico quale regolatore del funzionamento degli organi dello Stato anche per quanto riguarda la disciplina dei rapporti intercorrenti fra di essi, con finalità di «immediata soddisfazione degli interessi comuni a tutta la collettività». 15

In questo ambito l’azione dei governanti dovrebbe essere tesa al conseguimento della pubblica felicità, obbiettivo comune al pensiero giuridico illuminista, pur nella diversità delle soluzioni proposte. John Locke (1632- 1704), nella sua riflessione sulla collettività inglese, già alla fine del seicento aveva proposto la teoria della divisione dei poteri per la realizzazione di una società in cui l’individuo si realizzava essenzialmente attraverso il

14

Isaac Newton, Principi Matematici della Filosofia Naturale, a cura di Alberto Pala, Torino, U.T.E.T., 1997, pag. 777. (il grassetto è mio)

15

Costantino Mortati (1891-1985) in Paolo Barile, Istituzioni di diritto pubblico, , Padova, Cedam, 1984, pag. 42.

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lavoro e la tutela del diritto di proprietà. 16 Com’è noto sarà Charles de Secondat, Barone di Montesquieu (1689-1755) ad approfondire l’aspetto istituzionale del pensiero lockiano, approdando al costituzionalismo, cioè alla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario e allo sviluppo delle rappresentanze: 17 il regime politico in cui concretizzare tali principi era individuato dal Montesquieu nella monarchia costituzionale. All’interno di questa temperie culturale volta a delineare nuovi assetti politico-istituzionali, Jean- Jacques Rousseau (1728-1778), intellettuale ginevrino, appunterà le sue speculazioni sull’ineguaglianza nella vita degli uomini, 18 ripercorrendo in modo diacronico l’allontanamento progressivo dallo stato (primordiale) di natura, per approdare alla definizione del contratto sociale come alienazione dei diritti individuali a favore della comunità, a sua volta governata dalla volontà generale, attraverso gli strumenti della democrazia diretta: 19 la sua riflessione indirizzava quindi il pensiero riformatore verso la formazione di uno Stato repubblicano, a democrazia diretta e fortemente egualitario.

La riflessione illuministica prenderà in considerazione anche l’ipotesi alternativa di un’azione politica riformatrice guidata da un monarca illuminato dalla philosophie, detta despotisme éclairé, rintracciabile nella speculazione del filosofo francese François Marie Arouet (1694-1778), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire, il cui pensiero può ben essere considerato «rivoluzionario solo nel senso in cui ancora alla metà del secolo XVIII era rivoluzionario un assolutismo monarchico antifeudale, giurisdizionalista, tollerante e illuminato». 20

Un altro settore privilegiato della speculazione illuministica è rappresentato dalle dottrine economiche, che porterà al superamento del mercantilismo cinque — secentesco, teso alla difesa protezionistica statale dei commerci e delle manifatture. Questa linea di sviluppo sarà aperta dalla physiocratie, movimento inaugurato da Françoise Quesnay (1694-1774), che collaborerà anche alla redazione di alcune voci dell’Enciclopédie. 21 I fisiocratici, ritenendo che la base produttiva fondamentale di un’economia fosse quella agricola, la sola in grado di realizzare un effettivo prodotto netto, assegnavano un ruolo subordinato a manifattura e commercio in quanto, rispettivamente, trasformatrice e distributore dei prodotti primari. Tale principio individuava quindi due categorie distinte date dal lavoro produttivo (quello primario, in grado di realizzare un bilancio attivo al termine del processo di produzione) e da quello improduttivo (in cui lo stesso bilancio risultava a saldo negativo). Questa posizione era connessa all’aperto sostegno ad

«un’agricoltura moderna, intensiva, praticata da grandi affittuari o comunque da proprietari di aziende con larga disponibilità finanziaria» 22 e basata sulla libertà di commercio delle derrate agricole. Da quest’ultima analisi derivava la richiesta di abolizione di tutti quegli ostacoli che impedivano la libera circolazione, quali le barriere doganali e daziarie, benché i fisiocratici ritenessero invece necessaria la tassazione delle sole proprietà agricole, in conformità con l’importanza data all’agricoltura sul piano economico e sociale. Esperimenti riformistici in tal senso furono tentati in particolare in Francia con Anne-Robert-Jacques Turgot ( 1727-1781), Controllore delle finanze del Re Luigi XVI dal 1774 al 1776, dopodiché la fisiocrazia, anche per i risvolti sociali connessi alla liberalizzazione dei commerci dei grani, inizierà ad esaurire il suo potenziale innovativo. Altra posizione economica contraria al mercantilismo degli Stati sarà

16

Two treatises on Government (1690).

17

Esprit des lois (1748).

18

Discours de l’inégalité parmi les hommes (1755).

19

Du contrat social (1762).

20

Tarello, cit., pag. 303.

21

Tableau économique (1757).

22

Salvadori, cit., pag. 303.

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espressa dall’utilitarismo inglese, già presente nella speculazione di Locke, ma significativamente delineato da David Hume (1711- 1776) nella direzione del liberismo, cioè della libertà di commercio internazionale individuata, al pari della crescita produttiva interna agli Stati, come fattore di crescita economica e quindi di benessere per i singoli abitanti di ciascun paese.

Da queste premesse nascerà l’economia classica, il cui atto fondante è rappresentato dall’opera a stampa dell’economista scozzese Adam Smith (1723-1790), 23 incentrata su di un’idea di sviluppo economico calcolato come prodotto interno lordo di tutti i settori produttivi (non del solo agricolo come sostenevano i fisiocratici) in quanto, secondo il suo pensiero, concorrono tutti insieme e in pari misura alla crescita economica. Nella dinamica della crescita, Smith eleverà a perno del sistema il capitale, individuato nel surplus derivante dal reddito, da destinarsi agli investimenti produttivi, soprattutto al particolare ambito della divisione del lavoro, in grado di elevare la produttività per unità lavorativa: in questo modo, secondo il pensiero dell’economista scozzese, il sistema economico sarebbe stato in grado di autoalimentarsi nella direzione di una crescita progressiva del prodotto interno lordo, a sua volta in grado di sostenere la crescita dei redditi da lavoro dipendente. Nel quadro economico delineato da Smith sarà definito produttivo il lavoro in grado di generare il surplus di capitale da destinare agli investimenti, indipendentemente dal tipo di settore economico in cui esso è stato generato.

• Illuminismo e cultura nell’area italiana

Nella penisola il pensiero illuministico raggiunse momenti di alta elaborazione intellettuale soprattutto nelle città di Milano e Napoli. Nella prima sarà l’Accademia dei Pugni e, quale suo strumento operativo, la rivista “il Caffè” ( edita nel biennio 1764-65), a coagulare attorno ad un programma riformistico, politico-economico e giuridico, intellettuali come i fratelli Alessandro e Pietro Verri e Cesare Beccaria. L’azione intrapresa dal gruppo, mirava a sollecitare e sostenere il governo illuminato austriaco di Maria Teresa nella realizzazione di una stagione di riforme nel campo politico — istituzionale ed economico. Tuttavia, a parte il rilevante contributo apportato all’avanzamento della cultura giuridica penalistica dall’opera di Cesare Beccaria (1738- 1794), 24 si può affermare, con Giovanni Tarello, che «[…]nell’etichetta “illuminismo giuspolitico italiano”, se si pone l’accento sull’aggettivo “italiano” si rischia di depotenziare il sostantivo “illuminismo”, e se si guarda all’illuminismo, quello italiano appare una variante poco significativa. Tranne che in un campo: quello penalistico.», appunto grazie all’opera del Beccaria, come è specificato subito dopo. 25 In ambito economico si distinguerà l’opera di Pietro Verri (1728-1797), autore delle Meditazioni sull’economia politica (1770), nella quale sosterrà la necessità della libertà dei commerci.

A Napoli un ruolo di primo piano ebbe Gaetano Filangieri (1752-1788), che nella sua Scienza della legislazione (1780-85) «ripercorreva tutti gli istituti giuridici, affrontava i temi della proprietà e della diseguaglianza, dell’istruzione e della libertà di stampa, del diritto di famiglia e della patria potestà, nonché l’irrisolto problema degli abusi feudali» 26 in una prospettiva utopica tesa al miglioramento delle condizioni di vita di tutte le classi sociali; il tema economico, invece, sarà il settore d’intervento di Antonio Genovesi (1712-1769), sostenitore della libertà di commercio quale fattore di sviluppo

23

An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations (1776).

24

Dei delitti e delle pene (1764).

25

Tarello, cit., pag. 370.

26

Renato Pasta in AA.VV., Storia Moderna, Bologna, Donzelli, 1999, pagg. 521-522.

VII

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dell’economia meridionale. 27 Ma, nella prima metà del secolo (segnatamente nell’età dell’Arcadia), avevano operato altri due intellettuali napoletani che devono essere ascritti a pieno titolo all’ambito del dibattito culturale settecentesco: l’uno, Giambattista Vico (1668-1744), di cui parleremo più diffusamente in seguito, individuerà nella storia l’unico effettivo ambito d’indagine scientifica di pertinenza dell’uomo, 28 dando vita ad un filone di pensiero che approderà nello storicismo del XIX secolo; l’altro, Pietro Giannone (1676-1748), il maggiore esponente del giurisdizionalismo italiano, esprimerà la sua opposizione alle frequenti ingerenze dei Pontefici romani nella politica del Regno di Napoli soprattutto nell’ Istoria Civile del Regno di Napoli (1723). A Modena invece, ancora nella prima metà del secolo, opererà Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), il grande erudito del Medio Evo italiano, che nella sua Della pubblica felicità oggetto dei buoni principi (1749), proporrà un ampio ventaglio di proposte di riforma, sia in ambito culturale, per sostenere uno stretto legame fra produzione intellettuale e pubblica utilità, sia in ambito politico, a fondamento del quale poneva la ricerca del benessere dei sudditi:

tutte questioni che, negli anni successivi, saranno ampiamente dibattute dai philosophes.

Nel complesso però, la ricezione e la rielaborazione delle istanze riformatrici illuministiche nell’area italiana, sarà, con poche eccezioni, non soltanto limitata a pochi esponenti delle classi dirigenti nobiliare ed ecclesiastica, ma anche carente di originalità speculativa.

• Contesto politico-istituzionale europeo

Con la pace di Aquisgrana del 1748, siglata al termine della guerra di successione austriaca, salvo i mutamenti dinastico — territoriali introdotti in quegli accordi diplomatici, non muterà l’aspetto generale del quadro geopolitico italiano, da tempo fissato nel segno della frantumazione territoriale e dell’ingerenza politica delle potenze europee sia attraverso gli strumenti della dominazione diretta, sia attraverso quelli della dipendenza diplomatica ed economica. Fotografando la situazione esistente a quella data, nel settentrione incontriamo innanzitutto il Regno di Sardegna (Ducato di Piemonte e Savoia sino al 1720), saldamente nelle mani della dinastia Sabauda; poi, procedendo verso est, troviamo prima il Ducato di Milano, possedimento austriaco, quindi la Repubblica di Venezia, dominante il retroterra veneto e vari territori sparsi nell’Adriatico e nello Ionio (ivi compresa l’isola di Zacinto); discendendo la penisola, è la volta della Repubblica di Genova, distesa lungo il mar Ligure, e di tre entità statali di modesta estensione territoriale: la Repubblica di Lucca; il Ducato di Modena, in possesso della casata degli Este; il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla governato dai Borbone di Spagna; al centro il Granducato di Toscana, assegnato ai Lorena dopo la morte di Gian Gastone (1737), ultimo discendente della casata Medici, lo Stato (spagnolo) dei Presidi e lo Stato della Chiesa, possedimento papale; infine, nel meridione, i Regni di Napoli e Sicilia retti dai Borbone di Spagna .

Una configurazione, questa testé delineata, che resterà tale sino alla fine del secolo, allorquando gli eventi bellici successivi alla rivoluzione francese (1789) non introdurranno significative novità di tipo politico-istituzionale in tutta la penisola.

Possiamo di conseguenza osservare che, per tutto il XVIII secolo, manterranno la loro indipendenza le più vecchie repubbliche di Venezia, Genova e Lucca mentre «l’unica vera uscita di scena di una certa rilevanza fu quella segnata dalla fine dell’autonomia del ducato dei Gonzaga di Mantova, assorbito dalla Lombardia austriaca» 29 (nel 1745).

Saranno infatti le armate francesi, nel corso della prima campagna d’Italia(1796-99) e col

27

Lezioni di commercio (1766-67).

28

Scienza Nuova (1725).

29

Gaetano Greco, Cronologia dell’Italia moderna, Bologna, Carocci, 2003, pag.39.

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comando del generale Napoleone Bonaparte (1769-1821), a mutare profondamente il quadro politico sopra descritto. A seguito delle vittorie conseguite a Montenotte, Millesimo, Dego e Mondovì, il Bonaparte costringerà il Re di Sardegna all’armistizio di Cherasco (28 aprile 1796), preludio della pace firmata a Parigi (15 maggio 1796), che prevedeva la cessione alla Francia della Savoia e della città di Nizza. Il successo riportato a Lodi il 10 maggio 1796 sugli austriaci, consentiva poi l’ingresso a Milano alle armate francesi; il prosieguo delle operazioni militari permetterà quindi al medesimo generale di occupare gran parte dei territori dell’Italia centro settentrionale, fatto propedeutico alla proclamazione della Repubblica Cispadana (30 dicembre 1796), sorta dall’unione di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, poi ampliata con i territori di Massa, Carrara e Imola.

Successivamente però la formazione della Repubblica Cisalpina, proclamata il 29 giugno 1797, porterà alla fusione della Cispadana con i territori della ex Lombardia austriaca.

Travagliata sarà la sorte della Repubblica di Venezia: a seguito dell’occupazione francese sarà abolito il reggimento oligarchico (12 maggio 1797), ma con il successivo trattato di Campofòrmio (17 ottobre 1797), Venezia e la parte orientale dei territori della Serenissima saranno ceduti all’Austria. Al 15 febbraio 1798 risalirà la proclamazione della Repubblica Romana, mentre il 22 gennaio 1799 sarà la volta di quella Napoletana.

Esaminando la configurazione geopolitica della penisola italiana al marzo 1799, momento di massima estensione dell’occupazione francese, osserviamo innanzitutto l’esistenza di cinque repubbliche democratiche, costituzionalizzate e formalmente autonome (Cisalpina, Ligure, Lucca, Romana e Partenopea); del Ducato di Parma e Piacenza, anch’esso formalmente autonomo; di due entità statali amministrate direttamente dai francesi (Piemonte e Toscana); di parte del Veneto, con Venezia e i suoi ex territori orientali, all’Austria; della Sicilia e della Sardegna rimaste nella disponibilità dei precedenti regimi (rispettivamente Savoia e Borbone di Spagna).

Un assetto, questo, di breve durata, poiché inizierà a sfaldarsi nei mesi successivi sino a essere quasi del tutto annullato dalla controffensiva austro-russa e dalle insorgenze antifrancesi (armate dei Viva Maria e della Santafede), tanto che nel mese di dicembre 1799 l’ultima presenza armata transalpina nella penisola si ritroverà assediata nella città di Genova: atto finale dell’esperienza politica del cosiddetto “triennio repubblicano (1796-99)”, «momento in cui si posero le fondamenta dei princìpi ideali che animarono l’esperienza risorgimentale». 30

Un’esperienza che significò, innanzitutto, sperimentazione istituzionale per le nuove formazioni repubblicane, cui saranno assegnate dalle autorità francesi o da comitati espressione dei governi provvisori (salvo l’esperienza costituente della Cispadana), carte costituzionali esemplate su quella francese dell’anno III; ma che costituirà anche un momento importante di riflessione per i patrioti italiani, nella misura in cui essi vollero analizzare i motivi che portarono al suo fallimento conclusivo. Il momento più alto di quest’opera di approfondimento lo si dovrà all’intellettuale napoletano Vincenzo Cuoco (1770-1823), 31 per il quale la carta fondante della repubblica partenopea — le cui vicende erano collocate al centro del suo ragionamento — recava con sé un vizio di origine, determinato dell’essere stata sia imposta dalle armi francesi, sia lontana dallo spirito e dalle tradizioni del popolo napoletano, in quanto, appunto, derivata dai modelli d’oltralpe. Sarà la seconda campagna d’Italia, ancora una volta comandata dal Bonaparte — nel frattempo proclamato Primo Console, in seguito al colpo di stato del 18 brumaio anno VII (9 novembre 1799) che aveva rovesciato il regime precedente, quel

30

Alberto Mario Banti, Il Risorgimento italiano, Roma-Bari, Laterza, 2008, pag.XII.

31

Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Milano, 1801.

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Direttorio a sua volta introdotto nella Repubblica francese (dopo la reazione termidoriana del 28 luglio 1794) con la Costituzione dell’anno III (22 agosto 1795) — a sconvolgere nuovamente la geografia politica italiana: dal 14 giugno 1800 (vittoria di Marengo) al 9 febbraio 1801 (pace di Lunéville con l’Austria), l’egemonia francese sarà ripristinata con la ricostituzione della Repubblica Cisalpina, ampliata di alcuni territori veneti; la Toscana (denominata Regno d’Etruria) affidata alla sovranità dei Borbone di Parma; il Piemonte annesso alla Francia (esclusa la Sardegna). Significativa la convocazione a Lione della Consulta Cisalpina, nell’autunno del 1801 e per volere del Bonaparte, allo scopo di decidere in merito al definitivo assetto istituzionale dell’omonima Repubblica. In questo frangente il Foscolo, approfondendo la riflessione del Cuoco in direzione della mancanza di vera libertà delle repubbliche sorte nel triennio rivoluzionario, non solo riterrà necessario alla nuova Cisalpina «non avere (tranne Bonaparte) niun magistrato che italiano non sia, niun capitano che non sia cittadino […]» perché «No; non v’è libertà […] dove la nazionale indipendenza è in catene», ma sosterrà a sua volta che «quella è inutile e perniciosa costituzione che fondata non sia su la natura, le arti, le forze e gli usi del popolo costituito». 32 Invece, ancora una volta le speranze dei patrioti italiani furono ampiamente deluse: perché non sarà soltanto la Cisalpina a risultare fortemente soggetta all’autorità francese, pur nella formale autonomia delle sue istituzioni, bensì a questo destino non potranno sottrarsi le rimanenti entità statali indipendenti, altrettanto subordinate alle esigenze e alle strategie politiche, economiche, diplomatiche e militari dei nuovi dominatori, tanto che nella penisola si assisterà di fatto e di diritto, a partire dal 1796 e per tutta l’epoca napoleonica, al passaggio dalla tutela austriaca a quella francese, laddove quest’ultima si rivelerà, nel corso del tempo, ben più pervasiva della prima. La carta politica del 1810 cristallizza un frazionamento politico ridotto ma estremamente favorevole all’Impero di Napoleone I° — proclamato il 18 maggio 1804, con la promulgazione della Costituzione dell’anno XII, poi ratificata da un plebiscito popolare — che resterà tale sino alla fine del regime napoleonico : Piemonte, Liguria, Toscana, Parma, ex Stato Pontificio sono ora annessi alla Francia; La Repubblica Cisalpina, ampliata, trasformata prima in Repubblica italiana (Presidente Napoleone Bonaparte, Vice Presidente il «Principe dello Stato» 33 Francesco Melzi d’Erìl [1753-1816]), poi in Regno d’Italia, con Napoleone sovrano ed Eugenio de Beauharnais (1781-1824) viceré; il Regno di Napoli affidato al governo del francese Gioacchino Murat (1767-1815); La Repubblica di Lucca, trasformata in Principato e assegnata a Felice Baciocchi (1762-1841), marito di Elisa Bonaparte (1777-1820), sorella dell’Imperatore; solo Sicilia e Sardegna, casi unici in questa rivoluzione politico—istituzionale, continueranno a restare nella disponibilità dei vecchi despoti , rispettivamente i Borbone e i Savoia. Questa configurazione si sfalderà dopo la sfortunata campagna di Russia, culminata con una disastrosa ritirata (1812) e la successiva sconfitta di Lipsia (16-19 ottobre 1813) contro le forze della VII coalizione antifrancese, che determinarono il crollo dell’egemonia napoleonica a livello continentale, nonostante i tentativi di rivalsa messi in campo durante i cosiddetti cento giorni, chiusi dalla sconfitta francese contro le forze anglo-prussiane comandate dal britannico Arthur Wellesley, Duca di Wellington (1769-1852), avvenuta nel corso della battaglia di Waterloo (18 giugno 1815), scena finale di un’intera epoca storica. Nella penisola, non diversamente dal resto d’Europa, il Congresso di Vienna (1815), assise delle potenze vincitrici, ne ridefinirà l’assetto geopolitico, sia nel segno della restaurazione sui rispettivi troni degli antichi sovrani (principio di legittimità), sia nella ricostituzione delle

32

Ugo Foscolo, Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione, Milano, 1802, in Banti, cit., pagg. 21-22.

33

Ugo Foscolo, Epistolario, lettera al Vice Presidente Francesco Melzi datata Milano, Gennaio 1802, in Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), Roma, Gruppo editoriale l’Espresso, 2004, pag.213.

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territorialità spazzate via dalle armate rivoluzionarie e napoleoniche. Principi, questi, di natura generale, che saranno sacrificati nel nome dell’equilibrio, per cui l’opera di ricostruzione dell’antica carta politica europea conoscerà significative eccezioni: nell’area italiana si tradurrà innanzitutto nella costituzione di una preponderante egemonia austriaca sul Regno Lombardo — Veneto (posto sotto diretta sovranità), il Granducato di Toscana (a Ferdinando III di Lorena [1769-1824]) e i Ducati di Parma (a Maria Luisa d’Austria [1791-1847]) Modena (a Francesco IV di Austria — Este [1779-1846]) e di Massa (alla madre di Francesco IV d’Austria — Este); nella trasformazione dell’antica Repubblica in Ducato di Lucca (a Maria Luisa di Borbone — Parma [1782-1824]) ; nella ricostituzione dello Stato della Chiesa (a Pio VII [1740-1823]) e del Regno di Sardegna (a Vittorio Emanuele I [1759-1824]), e nella creazione del Regno delle due Sicilie (a Ferdinando I di Borbone [1751-1825]), fusione dei preesistenti Regni di Napoli e di Sicilia. 34 Dal punto di vista normativo ed istituzionale, la strada del ripristino degli assetti e della legislazione previgente, con totale abrogazione delle novità introdotte dalle riforme napoleoniche, non sarà integralmente perseguita neppure negli Stati più retrivi, eccettuata la totale cancellazione delle carte costituzionali e delle assemblee rappresentative eleggibili: sia perché alcuni istituti erano ormai così profondamente radicati da non consentire il ritorno allo status quo ante, sia perché alcuni di essi erano oggettivamente confacenti all’azione di governo dei risorti regimi, nel quadro del ripristinato assolutismo monarchico (e. g. la riduzione dei privilegi particolaristici e cetuali; la presenza di funzionari periferici sul modello dei prefetti napoleonici).

Ma se in Francia (col ritorno dei Borbone e la promulgazione di una carta octroyée il 4.6.1814) e Inghilterra i regimi costituzionali consentivano, pur con pesanti limitazioni al suo effettivo esercizio, una partecipazione al dibattito politico, nell’Italia della restaurazione questa aspirazione, impedita dall’illiberalità delle forme di governo ivi ricostituite, dovette prendere la via delle associazioni segrete. Fra di esse ebbe particolare importanza e diffusione la Carboneria, sorta già al tempo delle amministrazioni napoleoniche, in particolare negli ultimi anni del regno di Murat. Ad essa aderiranno non solo ufficiali e soldati, molti dei quali provenienti dai ranghi dei disciolti eserciti napoleonici, ma anche elementi provenienti dalla piccola e media borghesia delle campagne e delle città: possidenti, liberi professionisti, artigiani, studenti, sostenuti da uno spirito democratico mirante alla realizzazione di una società in grado di premiare le capacità e il talento; in altre parole in grado di liberalizzare l’accesso alle carriere burocratiche, militari, professionali, attraverso l’eliminazione di quei privilegi — tipici delle società di antico regime — che erano stati spazzati via dalla rivoluzione francese e che erano riemersi con la restaurazione. Questo programma sociale era per i carbonari realizzabile politicamente attraverso una sollevazione di tipo rivoluzionario mirante alla formazione di un’Italia libera, indipendente e dotata di una forma di governo di tipo costituzionale.

Prima della sollevazione delle truppe spagnole a Cadice, il 1° gennaio del 1820, i settari italiani avevano compiuto alcuni tentativi insurrezionali poi falliti; ma in quell’anno, sulla scia degli avvenimenti spagnoli, culminati con la concessione della costituzione da parte del re ispanico Ferdinando VII [1784-1833], i carbonari meridionali (capeggiati inizialmente dal prete Luigi Menichini [1783-1822] e dai tenenti Michele Morelli [1790- 1822] e Giuseppe Silvati [1791-1822]) decisero di passare all’azione, riuscendo a strappare a Ferdinando I° una carta costituzionale esemplata su quella spagnola di Cadice.

Un’esperienza, questa del regno delle Due Sicilie, che fra alterne vicende (tra le quali il tentativo separatista siciliano) durerà sino al 7 marzo 1821, allorquando un corpo di

34

cfr. Tommaso Detti, Storia contemporanea, I, Milano, Bruno Mondadori, 2000.

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spedizione austriaco sconfiggerà a Rieti le truppe meridionali guidate dal generale Guglielmo Pepe (1783-1855), mettendo fine al «nonimestre costituzionale» 35 napoletano.

Proprio mentre si stava consumando questo tentativo insurrezionale, la miccia si accenderà nel Piemonte di Vittorio Emanuele I°( 1759-1824), dove i congiurati avevano formulato un programma che, attraverso un moto di rivolta e la guerra all’Austria, prevedeva la formazione di un regno dell’alta Italia, comprensivo dei territori del Piemonte e del Lombardo — Veneto, guidato da Casa Savoia e costituzionalizzato.

Anche in questo caso saranno i soldati a muoversi per primi — ritenendo favorevole la congiuntura politica e militare — con la sollevazione della guarnigione di Alessandria (9- 10 marzo 1821), donde il moto si propagherà ad altre città, costringendo il Re ad abdicare a favore di Carlo Felice (1765-1831) e a nominare nel contempo reggente, a causa della temporanea lontananza dell’erede designato al trono, Carlo Alberto di Savoia

— Carignano (1798-1849). La concessione della costituzione (13 marzo) da parte di quest’ultimo e la successiva formazione di una Giunta Provvisoria di Governo (nella quale il nobile Santorre di Santaròsa [1783-1825], uno dei capi torinesi della cospirazione, ricoprirà, su nomina di Carlo Alberto, il Ministero della Guerra) saranno però poi sconfessate da Carlo Felice, postosi a capo dell’azione controrivoluzionaria, appoggiata da consistenti rinforzi di truppe austriache, sino alla sconfitta definitiva dei liberali a Novara (9 aprile), con la quale ebbe termine l’esperienza insurrezionale degli agitatori piemontesi. In questo stesso periodo storico, il resto della penisola non sarà immune da sussulti liberali e patriottici che, seppur minori nell’azione politico — militare, costeranno comunque ai partecipanti arresti, condanne e fughe: da Napoli (dove saranno condannati a morte Morelli e Silvati) al Lombardo — Veneto (condanne alla carcerazione di Silvio Pellico [1789-1854], Piero Maroncelli [1795-1846] e Federico Confalonieri [1785-1846] ), passando per il Piemonte (condanne a morte di Giacomo Garelli [1780-1821] e Giambattista Laneri [1777-1821]) e per Modena (condanna a morte di Giuseppe Andreoli [1791-1822]), l’azione di repressione dei governi sommergerà quasi completamente la rete settaria senza eliminarla tuttavia completamente, anche perché molti congiurati trovarono scampo alle persecuzioni nell’esilio raggiungendo, ciascuno secondo tempi e peregrinazioni diverse, anche l’Inghilterra costituzionale di Giorgio IV (1762-1830) ove già aveva trovato rifugio, dal settembre 1816, Ugo Foscolo: tra gli altri Giovanni Berchet (1783-1851), Santorre di Santarosa, Luigi Porro Lambertenghi (1780- 1860), Giovìta Scalvìni (1791-1843) e Camillo Ugoni (1784-1855).

Ma riflettendo sul fallimento dei moti piemontesi del 1821, Santorre di Santarosa, con spirito profetico, affermerà che «[…] L’emancipazione dell’Italia sarà un evento del diciannovesimo secolo; lo slancio è dato. […] I nostri avi ci hanno dato grandi esempi che non andranno perduti; e quando, alla prima guerra europea, l’Austria chiederà agli italiani i loro figli e il loro denaro per sostenere i propri interessi, gli italiani sapranno usarli meglio. […]». 36

• L’ambiente artistico – letterario europeo

Il settecento, o più precisamente il periodo che va dalla fine del XVII alla fine del secolo successivo, coincide con il ritorno ad un orientamento di stampo classicista alimentato, anche e specialmente in Italia, dal rifiuto degli eccessi barocchi, tipici della fase precedente.

35

Pasquale Villani, Corso di Storia, III, Milano, Principato, 1985, pag. 34.

36

Santorre di Santarosa, in Lucio Villari, Il Risorgimento, II, Roma, , Gruppo editoriale L’Espresso, 2007, pagg. 294, 295; anche in Giosuè Carducci, Letture del Risorgimento Italiano [ 1749-1830], Bologna,

Zanichelli , 1896, pagg. 396,397.

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Sino alla metà del secolo prevarrà un modello di recupero del classicismo attraverso coordinate dettate dal buon gusto, ovvero basate sul recupero di quel senso della misura che era andato perduto, propugnando il ritorno sia ai grandi esempi della classicità romana e greca, sia ad autori del passato prossimo come Petrarca (1304-1374), del quale sarà riconosciuta la classicità: sono questi gli indirizzi che saranno assunti dall’Arcadia, la più nota accademia letteraria dell’epoca, che fungerà da tramite culturale — sul piano letterario — dei nuovi orientamenti del sapere europeo, specialmente del razionalismo cartesiano, finendo per raccogliere una buona parte dei letterati del tempo, e che avrà significativo sviluppo nella penisola italiana all’insegna di una poesia pastorale leggera ed elegante. Il sodalizio culturale nasce nel 1690 a Roma per iniziativa di un gruppo di 14 letterati, già appartenenti al circolo dell’ex regina Cristina di Svezia (1628-1689) che, dal 1655 all’anno della morte, aveva ricostituito nella capitale della cristianità quell’Accademia Reale da lei fondata precedentemente a Stoccolma prima della sua conversione al cattolicesimo romano, la rinuncia al trono e il conseguente trasferimento nella penisola. Il nome dell’accademia deriva da quello della omonima, mitica regione introdotta nella poesia pastorale dal più rappresentativo e originale poeta dell’età augustea Publio Virgilio Marone (70 -19 a.C.), che ne fece esplicita menzione nell’ecloga VII; 37 e al mondo della poesia pastorale gli arcadi fecero riferimento non solo nel contesto della produzione poetica, ma anche nell’organizzazione interna dell’accademia:

cosicché i suoi membri assunsero nomi di pastori della tradizione classica, il capo era chiamato custode, il luogo delle riunioni Bosco Parrasio, il Bambin Gesù, adorato dai pastori quando nacque, protettore, la siringa del dio Pan, re dell’Arcadia mitica, simbolo del sodalizio.

Il primo a ricoprire la carica di custode sarà Giovan Maria Crescimbeni (1663-1728), che la terrà sino alla morte, ma tra i fondatori troviamo anche Gian Vincenzo Gravina (1664- 1718) e Giovan Battista Felice Zappi (1667-1719). Nel corso del settecento numerose colonie arcadiche fioriranno in tutta la penisola italiana dando vita, per la prima volta, ad un organismo unificante dal punto di vista della politica culturale, anche se nel 1711 un gruppo scissionista, capeggiato dal Gravina e sostenitore di un classicismo rigoroso, darà vita a Roma all’Accademia dei Quirini.

L’Arcadia invece, sotto la guida del Crescimbeni, intraprenderà più decisamente un percorso di poesia idillica ed elegante, composta secondo le regole del buon gusto, con un indirizzo più convenzionale che non potrà non risultare gradito all’autorità ecclesiastica.

La dichiarazione programmatica dell’accademia, fortemente polemica nei confronti della tradizione precedente e tesa al ripristino del buon gusto, della tradizione classica, della semplicità di espressione e del sentimento, del ritorno alla verità, «restò nei primi arcadi un’esigenza meramente enunciata: il gusto che essi presero alla loro mascherata, la continua allusione simbolica alla quale si adeguarono, più che rappresentare una volontà chiarificatrice denuncia soltanto la necessità esteriore che essi avevano di evadere dalle grettezze quotidiane della loro vita». 38 La loro sarà soprattutto una poesia di occasione e di intrattenimento, una lirica di cerchia da relazionare a momenti della vita sociale e individuale dei suoi membri, recitata nel corso delle riunioni con accompagnamento musicale e vocale. Un rinnovamento della poesia bucolica che avverrà nel quadro della tradizionale ambientazione agreste — costituita da pastori e pastorelle intenti a declinare i propri sentimenti, sullo sfondo di un paesaggio naturale campestre e boschereccio — e per il tramite di un uso variegato della forma metrica. Questa prima fase poetica sarà segnata dalla personalità del Crescimbeni e da autori di valore come il

37

Virgilio, Bucoliche ( a cura di Mario Geymonat), Milano, Garzanti, 2007, egloga VII, v. 4, pag. 88.

38

Carlo Salinari, Profilo storico della letteratura italiana, II, Roma, Editori Riuniti, 1972, pagg. 197,198.

XIII

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Zappi, anche se il loro sguardo sarà rivolto ancora ai temi della stagione letteraria precedente.

Sarà con gli arcadi della generazione successiva, in primo luogo Pietro Metastasio nato Trapassi (1698-1782) e Paolo Rolli (1687- 1765), che il movimento porrà più decisamente

«le premesse di un gusto nuovo, il gusto neoclassico, e di nuovi orientamenti di pensiero che matureranno nei secoli successivi»; 39 un gusto, quello neoclassico, cui gli arcadi dovranno confrontarsi direttamente a partire dagli anni settanta fino alla fine del settecento, tentando anche di riformulare la produzione accademica nella direzione di una sensibilità giacobina e patriottica, come fece l’arcade Giovanni Fantoni (1755-1807) di Fivizzano, che finì per aderire al Neoclassicismo. In una visione d’insieme e riflettendo sulla collocazione del movimento all’interno della cultura letteraria sei—settecentesca, possiamo dire con Carlo Salinari che «L’Arcadia, insomma […] deve essere considerata un ponte di passaggio fra la letteratura seicentesca e quella illuministica.» 40 L’Illuminismo da parte sua, sorto negli anni trenta e sviluppatosi più ampiamente nei decenni successivi, dal punto squisitamente artistico favorirà la nascita dell’estetica, il cui campo d’azione è il Bello, mentre dal punto di vista artistico — letterario, legandosi ad una interpretazione razionalistica della classicità, postulerà l’impossibilità di ricostruzione integrale di quel mondo ormai lontano nel tempo, ritenendo al contempo possibile la costruzione di una classicità nuova: siamo all’atto di nascita del Neoclassicismo — la corrente artistico–letteraria predominante nella seconda metà del XVIII — e dei suoi ideali di perfezione ed armonia.

Un movimento, quello neoclassico, che sarà indubbiamente favorito dalle scoperte e dagli scavi archeologici intrapresi in quel periodo, a partire da quelli delle due città di Pompei ed Ercolano, sommerse dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., benché sarà l’antica Grecia a fornire un modello di civiltà libera e armoniosa, la cui produzione letteraria sarà esaltata quale campione di originalità rispetto a quella romana, considerata semplice imitazione di quella ellenica: una riflessione di stampo ideologico che farà passare in secondo piano la ricchezza letteraria del mondo romano. Padri del movimento neoclassico saranno due tedeschi, l’archeologo Johann Joachim Winckelmann (1717- 1768) 41 e lo scrittore, critico e filosofo Gotthold Ephraim Lessing (1729 – 1781), 42 anche se nel corso del tempo sorgeranno produzioni differenziate nello stile e persino contrastanti fra loro, comunque tutte riconducibili al Neoclassicismo, che diverrà quindi omnicomprensivo di autori pure molto diversi e diverrà prevalente nell’ambito della poesia a partire dagli anni sessanta. Gettiamo ora uno sguardo alle dinamiche della produzione lirica e narrativa dei singoli paesi europei. In Inghilterra, dopo l’esperienza poetica di Alexander Pope (1688 – 1744), 43 dispiegatasi nel corso della prima metà del secolo, si diffonderà, nella seconda metà, un gusto per il primitivo ben esemplato dall’opera dello scrittore scozzese James Macpherson (1736 – 1796), le cui opere, Fingal (1761) e Temora (1762), poi raccolte nei Poemi di Ossian (1765) conosceranno una vasta diffusione e fortuna: in Italia saranno tradotti in endecasillabi sciolti da Melchiorre Cesarotti (1730 – 1808), 44 letterato, docente di greco ed ebraico, traduttore di Omero.

39

Salinari, cit., pag. 199.

40

ibidem

41

Storia dell’arte nell’antichità (1764).

42

Lacoonte (1766), Drammaturgia amburghese (1767-69).

43

The Rape of the Lock [Il riccio rapito] (1712).

44

Poesie di Ossian antico poeta celtico (prima edizione 1763).

XIV

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Ancora ai poeti inglesi si deve la poesia sepolcrale, di ambientazione notturna e cimiteriale, espressa ai suoi massimi livelli da Edward Young (1683 – 1765) 45 e Thomas Gray (1716-1771); 46 si tratta di una lirica che vuole dare spazio ai sentimenti evocati dalla contemplazione della natura e della morte e che avrà grande influenza anche in Italia, per esempio nella produzione di Ippolito Pindemonte (1753-1828), autore dell’incompiuto poemetto I cimiteri, della lettera al Foscolo Sui sepolcri (1807), e della traduzione dell’Odissea (1822), oltre che delle celebri raccolte poetiche Poesie campestri (1788) e Prose campestri (1817); un genere poetico che influenzerà anche l’attività letteraria dello stesso Foscolo. In ambito tedesco la poesia sarà sviluppata particolarmente nell’ambiente dello Sturm und Drang , soprattutto dai suoi maggiori esponenti: Friedrich Shiller (1759 – 1805) e Johann Wolfgang Goethe (1749 – 1832); i personaggi protagonisti delle opere, elaborate da questa corrente letteraria non solo nell’ambito lirico ma anche in quello narrativo, assumono caratteri eroici che li portano a confrontarsi alternativamente o contemporaneamente, quasi mai con prospettive di vittoria, con i rappresentanti del potere, della burocrazia, delle strutture militari e della mediocrità borghese. Più tardi, alla corte di Weimar, tale frattura fra io e mondo contemporaneo sarà ricomposta, a cura degli stessi scrittori sopra citati, in direzione di un diverso classicismo, che individua nell’educazione estetica l’unica strada possibile verso la libertà degli individui. Per quanto attiene alla narrativa, sarà ancora l’Inghilterra a fare da battistrada, questa volta in direzione di un romanzo più adatto a rappresentare la moderna società borghese in via di formazione, attraverso uno sguardo puntato con più attenzione verso il reale e il vissuto nella sua quotidianità. In una prima fase il romanzo sarà influenzato da quello d’avventura, cui appartiene il lavoro di Daniel Defoe (1660-1731), Robinson Crusoe (1719), il cui protagonista mostra tutte le qualità di cui è, o dovrebbe essere fornito, l’esponente ideale della classe media proto borghese.

D’avventura è anche Gulliver’s Travels [I viaggi di Gulliver] (1725) di Jonathan Swift (1667-1745), in cui le avventure della figura di spicco segnano la sua formazione all’insegna del «disgusto per i propri simili, un solido relativismo e un sostanziale scetticismo». 47

Entrambi i romanzi, per il loro carattere pedagogico, diventeranno dei classici della letteratura per l’infanzia. All’origine della fortuna del romanzo epistolare europeo troviamo invece l’opera di Samuel Richardson (1689 – 1761), nella cui Pamela (1741) appare in che modo uno dei valori cardine dell’ideologia borghese, la logica dello scambio, possa essere applicato ai valori morali dalla protagonista, abile amministratrice della propria virtù; mentre nella Clarissa (1748), anch’esso in forma epistolare, Richardson metterà in prosa un conflitto morale più complesso rispetto al romanzo precedente. A Henry Fielding (1707 – 1754) dobbiamo, con il suo capolavoro The History of Tom Jones, a Foundling [ Storia di Tom Jones, un trovatello] (1749), un vasto affresco realistico nel quale l’autore amalgama sapientemente vari temi, da quello del trovatello che si rileva alla fine nobile, alla polemica contro l’educazione del tempo e alla volontà di condannare le ipocrisie. Del tutto atipica sarà l’attività romanzesca dello scrittore Laurence Sterne (1713 – 1768), un ecclesiastico formatosi a Cambridge; nel 1760 appariranno i primi due volumi del romanzo The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo), cui tra il 1761 e il 1767 ne seguiranno altri sette: incompreso dalla critica per il suo ardito sperimentalismo grafico e

45

Night Thoughts on Life, Death and Immortality [Pensieri notturni sulla vita, la morte e l’immortalità] (1742- 45);

46

Elegy written in a Country Churchyard [Elegia scritta in un cimitero di campagna] (1750).

47

Romano Luperini et alii, La scrittura e l’interpretazione, III, Palermo, Palumbo, 1997, pag. 977.

XV

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stilistico (procedimento narrativo per associazioni di idee e uso insolito della punteggiatura), l’opera otterrà un ottimo successo di pubblico.

Successivamente Sterne elaborerà un nuovo romanzo, puntando sul tema moderno dell’incomunicabilità fra gli individui, dal titolo Sentimental Journey through France and Italy (1768), pubblicato con lo pseudonimo di shakespeariano di Yorick, poi diffuso in Italia grazie alla traduzione del Foscolo: Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l’Italia (1813).

Nella Francia della prima metà del secolo, il più grande romanziere francese di quel periodo, l’ abate Antoine – Françoise Prévost (1697 – 1763) scriverà l’ Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut [La storia del cavaliere des Grieux e di Manon Lescaut] (1731), già facente parte di un’opera più vasta ma che sarà invece pubblicato a parte, a cura dell’autore, nel 1753. Nel suo lavoro, Prévost tratta l’amore nelle sue sfumature psicologiche e nella sua capacità di coinvolgere l’individuo nel suo complesso, conducendolo sino alle estreme conseguenze, rappresentate dall’exitus della protagonista femminile. La giovane Manon, destinata dai genitori al convento perché troppo incline ai piaceri, fugge con il giovane des Grieux, andando a vivere con lui a Parigi, dove però lo tradisce; l’uomo allora si ritira in seminario, diventando noto per aver recitato un sermone al pubblico della Sorbona, occasione in cui Manon lo ritrova e lo riconquista; per soddisfare il bisogno di denaro dell’amata, il giovane accetta tanto di darsi al gioco d’azzardo quanto che lei diventi amante di un anziano signore con lo scopo di derubarlo;

entrambi scoperti e arrestati, riescono a fuggire dal carcere; successivamente, in seguito a nuove vicende, sono nuovamente arrestati: Manon è condannata alla deportazione in Louisiana, dove è raggiunta dal des Grieux; quando il governatore della regione assegna la donna a suo nipote che se ne è invaghito, il cavaliere des Grieux prima sfida quest’ultimo a duello, poi fugge con Manon attraverso il deserto, dove quest’ultima muore per la fatica e gli stenti, dopo aver ammesso le proprie colpe. L’ hexagone français parteciperà tuttavia alla narrativa in primo luogo con i romanzi filosofici, nati nell’ambito del pensiero illuminista, segnatamente con l’opera di Montesquieu, le Lettres Persanes [Lettere persiane] (1721), poi ripresi e canonizzati da Voltaire con racconti al cui centro è posto un problema di natura sociale e morale, sviluppato con ironia: da Zadig (1748) al Candide [Candido] (1759). Sarà però Jean-Jacques Rousseau a ottenere grande successo in Europa con Julie ou la novelle Eloïse [ Giulia o la nuova Eloisa](1760), romanzo epistolare incentrato su di una storia d’amore in cui il protagonista, il giovane Saint- Preux, si innamora di Giulia, una giovane di cui è precettore e che non può sposarlo a causa delle barriere sociali. Emerge allora la conflittualità fra i sentimenti, appartenenti alla natura, e la civiltà, con le sue leggi e convenzioni sociali: l’unione fra i due giovani avverrà in modo clandestino con la complicità di una cugina di lei e di un amico di lui, Edoardo, ma Giulia rifiuterà di abbandonare la famiglia per l’amante, che sarà costretto a lasciarla per intraprendere una serie di viaggi che finiranno per causare anche l’interruzione degli scambi epistolari fra i due protagonisti; così Giulia sposerà Wolmar, un uomo serio, onesto e ateo, dal quale avrà due figli; al suo ritorno Saint- Preux si vedrà affidare proprio da Wolmar, sebbene a conoscenza dei trascorsi del giovane con la moglie, l’educazione dei due figli; ma la passione del protagonista non si era affievolita e anche Giulia oscillerà ben presto tra l’amicizia e la risorgenza della passione; sarà la fortuita morte di Giulia, provocata da un tentativo di salvataggio di uno dei figli caduto nelle acque di un lago, a risolvere la situazione: prima di morire scriverà una lettera in cui paleserà il sentimento d’amore per il Saint-Preux e le tensioni irrisolte fra sentimento e costrizione della volontà, che è peraltro uno dei grandi temi del romanzo.

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Rousseau è l’autore che darà «un contributo decisivo all’affermazione sia del romanzo epistolare di tipo sentimentale e preromantico con Julie ou la nouvelle Heloïse, sia dell’autobiografia moderna e del romanzo come confessione interiore con Les confessions»: 48 dove è preromantico il motivo del paesaggio-stato d’animo, destinato a grande fortuna con l’Alfieri (Vita), Goethe (Dolori del giovane Werther) e Foscolo (Ultime lettere di Jacopo Ortis).

Nell’area germanica la narrativa espressa nell’ambito dello Sturm und Drang produrrà, con l’opera sopra citata del Goethe, titolo originale Die Leiden des jungen Werther (1774) , un capolavoro assoluto, diviso in due libri. Conosciuto in tutta Europa, dove non mancheranno casi di suicidio suggeriti dalla vicenda del romanzo, esso «ispirò il personaggio di René creato da Chateaubriand nel 1802 e contemporaneamente quello di Ortis nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo». 49 La storia si svolge negli anni 1771—72, quando un giovane appartenente alla borghesia, Werther, si trasferisce in campagna portando con sé unicamente i testi di Omero; qui conosce una giovane, Charlotte, che funge da madre per i di lei fratelli, e della quale si innamora nel segreto della propria anima, iniziando a frequentarla in assenza del fidanzato della donna, Alberto; quest’ultimo, una volta rientrato, entra in amicizia ma anche in conflitto con Werther a causa di divergenti valutazioni sulla tematica del suicidio; Werther decide allora di fare rientro in città per entrare al servizio di un ambasciatore. Il secondo libro prende le mosse da un’umiliazione subita dal giovane, che non viene ammesso, a causa della classe sociale di appartenenza, ad un ricevimento; per questo motivo si dimette dall’incarico decidendo di ritornare in campagna, dove apprende che Charlotte e Alberto hanno contratto matrimonio e dove, significativamente, la natura stessa non appare più benigna nei suoi riguardi: a Omero ora egli preferirà Ossian; l’epilogo della vicenda si avvicinerà quando, una sera, Charlotte lo abbraccia essendosi innamorata di lui, ma poi lo respinge chiedendogli di allontanarsi; allora Werther, dopo essersi fatto inviare le pistole di Alberto da una Charlotte oscillante fra il consapevole e l’inconsapevole, si uccide con un colpo alla testa, lasciando aperto sulla scrivania il dramma di Lessing Emilia Galotti. Dal punto di vista formale l’opera del Goethe presenta la veste di un romanzo epistolare in cui il ruolo di editore è assunto da Wilhelm, l’amico che pubblica le lettere ricevute da Werther, ma è l’autore reale che si fa carico del compito di ricostruire gli ultimi episodi della vita del giovane suicida. Dal punto di vista sostanziale, il perno della vicenda è rappresentato da un clima di passionalità incontrollata, in cui l’animo di Werther sarà spinto all’autodistruzione dal confronto con le meschinità dei conformismi borghese e nobiliare.

• L’area letteraria italiana

E’ stato già detto che la fondazione dell’Accademia dell’Arcadia avrà nella nostra penisola, nel corso della prima metà del settecento, una enorme importanza , non solo dal punto di vista intimamente letterario, bensì anche come momento unificante degli intellettuali italiani, grazie alla nascita di numerose colonie sparse nei diversi centri urbani; va aggiunto che molti suoi aderenti saranno valorizzati anche nelle capitali europee, primo fra tutti il Metastasio, poeta cesareo alla corte di Vienna a partire dal 1729 e autore di libretti per melodramma musicati dai maggiori compositori del tempo.

Egli attuerà una profonda riforma del genere teatrale, ponendo in primo piano l’elemento poetico, attraverso l’uso di un solo metro, generalmente settenario od

48

Romano Luperini et alii, La scrittura e l’interpretazione, IV,tomo I, Palermo, Palumbo, 1997, pag. 578.

49

Luperini, cit., pag. 587;

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ottonario, rispetto a quello musicale e scenografico, e reagendo così agli eccessi e alle sregolatezze del teatro barocco. Abbiamo visto però come la poesia arcadica sia stata principalmente d’occasione, una poesia di cerchia piuttosto lontana da quei temi di risonanza civile e sociale che si erano diffusi con l’illuminismo, che stimolerà invece gli intellettuali ad una produzione letteraria non disgiunta da una volontà di intervento nella realtà civile del loro tempo.

E’ questo il caso di Giuseppe Parini (1729 – 1799), nato «in questi tempi di nuove idee e vecchi uomini», 50 la cui prima opera poetica, Alcune poesie di Ripano Eupilino (1752), composta ancora in ambito arcadico, gli varrà l’ammissione all’Accademia dei Trasformati di Milano.

Diventato precettore in casa Serbelloni, a seguito dell’incarico entrerà in contatto con la cultura illuministica; nel 1763 e nel 1765 pubblicherà in endecasillabi sciolti, rispettivamente, Il Mattino e Il Mezzogiorno, nell’ambito di un progetto originario che prevedeva un terzo poemetto, La Sera; poi però il poeta cambiò idea, progettando un’opera complessiva, Il Giorno, divisa in quattro parti: Mattino, Meriggio, Vespro e Notte e che resterà incompiuta nei testi del Vespro e della Notte. In essa Parini sottoporrà a forte critica una nobiltà ormai improduttiva e priva di qualsiasi funzione sociale, ottenendo il migliore risultato nella compenetrazione fra classicità arcadica e illuminismo. Ancor più illuminista si era manifestato nel Dialogo sopra la nobiltà (1757), concluso con l’affermazione della sostanziale uguaglianza fra gli uomini, e nel Discorso sopra la poesia (1761), in cui è celebrato il nuovo spirito filosofico, apportatore nella poesia di quei “nuovi lumi” che avevano dissolto le nebbie del passato. Ma il Parini, già dal tempo De’ principi fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti (1773-75), raccolta delle lezioni tenute all’Accademia di Brera, aveva inserito la poesia nel sistema delle belle arti, dimostrando una sensibilità neoclassica che si espliciterà nelle ultime Odi, 51 nella Notte e nella collaborazione con artisti aderenti a quella corrente culturale. Per quanto riguarda le Odi, (diciannove in tutto, composte durante l’intero arco della sua vita), va segnalato che quelle composte nel periodo 1758-66 affronteranno soprattutto temi di natura civile, mentre quelle composte a partire dagli anni ottanta si soffermeranno su «temi sentimentali e morali legati alla riflessione sul ruolo del poeta». 52 Dal punto di vista sociale e umano, l’adesione alle idee illuministiche e la qualità dei suoi primi lavori gli consentiranno di ottenere importanti incarichi dai rappresentati milanesi del governo illuminato di Maria Teresa d’Austria (1717-1780); benevolo inizialmente verso la rivoluzione francese, ne condannerà la radicalizzazione e gli eccessi, accettando tuttavia di collaborare, nel 1796, con la nuova municipalità, da cui sarà ben presto allontanato per aver difeso i diritti dei cittadini milanesi contro i nuovi conquistatori francesi. Così che, ben prima della sua morte, il «generoso Italiano» 53 non solo «era già divenuto per i giovani (si pensi al Foscolo) simbolo della nuova letteratura, colui che nelle vecchie forme aveva saputo innestare gli ideali morali del popolo italiano», 54 ma anche simbolo di un magistero di «severa coscienza morale, alta idealità civile […]

intrecciata con una considerazione dolorosa e virile della condizione umana». 55

Per quanto attiene propriamente al Neoclassicismo, diffusosi a partire dall’ultimo trentennio del secolo, un posto importante occupa Vincenzo Monti (1754-1828), aderente

50

Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura italiana, Newton Compton, 1991, pag. 552.

51

1^ edizione: Gambarelli, 1791.

52

Marco Santagata, Manuale di letteratura italiana medievale e moderna, Roma-Bari, Laterza, 2008, pag.

326.

53

Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (1817) in E.N, cit., pag. 415.

54

Salinari, cit. , pagg. 246, 247.

55

Salinari, cit. , pagg. 252, 253.

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