1 INTRODUZIONE
1.1 Polimeri in dispersione acquosa
1.1.1 Proprietà
I polimeri in dispersione acquosa, indicati anche con il termine “lattice”, sono dispersioni colloidali in un mezzo acquoso di particelle di polimero di dimensioni comprese in genere tra 10 e 1000 nm.
La preparazione dei lattici viene generalmente effettuata attraverso un processo di polimerizzazione in emulsione nel corso del quale un’emulsione più o meno stabile del monomero in acqua viene polimerizzata in presenza di tensioattivi e iniziatori radicalici.
L’impiego dell’acqua come mezzo di reazione consente non solo l’efficace smaltimento del calore di reazione ma anche l’eliminazione o la drastica riduzione delle sostanze organiche volatili presenti nel prodotto finale, con ovvi vantaggi per l’ambiente e la salute.
D’altra parte, i tensioattivi presenti in soluzione svolgono il duplice ruolo di stabilizzare l’emulsione dei monomeri prima e la dispersione colloidale delle particelle polimeriche poi, oltre a svolgere un ruolo nella fase di nucleazione ed accrescimento delle particelle stesse. Il prodotto finale di questo processo, se portato a secco, produce un film o una polvere del polimero, a seconda delle sue caratteristiche, delle condizioni di essiccamento e della eventuale presenza di additivi (coalescenti, plastificanti).
Dispersioni acquose di particelle polimeriche possono essere ottenute anche per
polimerizzazione in sospensione o in miniemulsione; nel primo caso le piccole gocce di
monomero, in cui l’iniziatore è solubile, sono sospese in acqua grazie alla presenza di
stabilizzanti colloidali, generalmente polimerici, ed alla vigorosa agitazione. Il polimero
risultante è colloidalmente instabile e viene isolato dal mezzo per filtrazione o
centrifugazione. Con tale processo si ottengono generalmente sfere rigide (ossia costituite
da polimero amorfo con elevata temperatura di transizione vetrosa T
g) di 0,1-2 ? m di
diametro, la cui composizione può essere variata in modo limitato. Materiali di questo tipo
sono, quindi, utilizzati solo per un numero ristretto di applicazioni. Anche nella
polimerizzazione in miniemulsione il processo si svolge interamente all’interno di
stabilizzate temporaneamente da tensioattivi e cotensioattivi o coagenti idrofobi, dopo che le goccioline di monomero sono state emulsionate per effetto di intensi sforzi di taglio applicati per sonicazione o altra potenza.
Con il processo di polimerizzazione in emulsione si possono invece ottenere polimeri di composizione desiderata e con bassa T
g, in grado quindi di produrre film per semplice deposizione su un substrato ed allontanamento dell’acqua per evaporazione. E’ necessario però ricordare che l’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile; per tale motivo è indispensabile tenere sotto controllo tutta una serie di parametri (composizione della miscela monomerica, temperatura, pH, tipo e concentrazione del tensioattivo, metodo di preparazione) capaci di influire sulle caratteristiche e sulla stabilità colloidale del prodotto finale, che in ultima analisi è determinata da fattori cinetici.
1.1.2 Caratteristiche applicative
La grande versatilità della polimerizzazione in emulsione acquosa consente di variare la composizione del polimero in funzione della specifica applicazione cui esso è destina to.
Dal punto di vista quantitativo, le principali applicazioni dei lattici polimerici sono relative alla formulazione di vernici
1, impregnanti e rivestimenti per substrati porosi
2, adesivi
1,3e sigillanti
4. Tra i più diffusi vi sono i lattici a base di copolimeri acrilici i quali, oltre ad essere caratterizzati da un basso costo, buone proprietà meccaniche, di adesione e di filmabilità, rendono agevole l’introduzione in catena laterale di gruppi reattivi per semplice copolimerizzazione di comonomeri funzionalizzati. Questi ultimi, reagendo con le funzionalità chimiche del substrato o con altri componenti della formulazione stessa, possono conferire particolari proprietà meccaniche, di adesività o di altro tipo al film polimerico risultante. Un esempio particolarmente interessante è costituito dall’inserimento di funzionalità alcossisilaniche (-SiOR) in lattici impiegati nella formulazione di vernici
1, nell’ambito della cosmesi
5, come rivestimenti decorativi e protettivi su carta
1, legno, superfici metalliche e ceramiche
3.
Nei casi in cui la dispersione acquosa polimerica debba costituire un rivestimento
superficiale o in profondità di substrati porosi, diventano critici parametri quali il diametro
delle particelle e la capacità di queste ultime di dar luogo alla formazione del film in modo
rapido ed uniforme. Il processo che porta alla formazione di un film continuo a partire da
un lattice polimerico è assai complesso e consiste di diverse fasi, nella prima delle quali le
particelle devono entrare in contatto, superando le forze repulsive che tendono a separarle.
Man mano che l’acqua viene allontanata per evaporazione esse devono essere in grado di unirsi formando una fase continua, in un processo che prende il nome di coalescenza ed è favorito dall’addizione di plastificanti, dall’uso di polimeri a più basso peso molecolare, ma soprattutto da un basso valore della T
g, al di sotto della quale non si ha generalmente la formazione del film.
Un’importante applicazione, soprattutto nell’industria tessile
6, cartaria
7, elettronica
8e nel campo dei beni culturali come protettivi, riguarda i lattici acrilici contenenti gruppi perfluorurati. Questi ultimi consentono di ottenere film che, oltre a possedere proprietà di adesività, filmabilità ed elasticità caratteristiche dei copolimeri acrilici, sono caratterizzati da elevata oleo- ed idrorepellenza
9, resistenza alle radiazioni UV, e alle sollecitazioni termiche e chimiche
10.
Recentemente hanno acquisito importanza lattici ibridi costituiti da polimeri immiscibili (es. poliacrilati-poliuretani) o da veri e propri compositi organici- inorganic i, nei quali polimeri di diversa natura e proprietà (es. sistemi poliacrilati-polisilossani) sono intimamente miscelati a livello delle singole particelle. Particolarmente interessanti sono i lattici costituiti da particelle strutturate tipo “core-shell”, le quali sono formate da un nucleo interno (core) ed un guscio esterno (shell), aventi natura polimerica diversa. Questi lattici compositi permettono di ottenere composti finali con ottime proprietà fisiche e meccaniche, applicabili in rivestimenti per l’elettronica
11, per l’industria automobilistica
11e come sigillanti
4. Anche i sistemi poliacrilati-polisilossani non strutturati trovano applicazione come rivestimenti su materiali da costruzione
12e altre superfici (carta, plastiche, ceramiche)
13.
1.2 Polimerizzazione in emulsione di monomeri vinilici
1.2.1 Generalità
La polimerizzazione di monomeri vinilici, con struttura generale CH
2=CHX, può
procedere tramite processo di tipo radicalico o, meno comunemente, di tipo ionico. A
livello applicativo i processi di tipo radicalico rappresentano la grande maggioranza. Il
meccanismo di polimerizzazione radicalica coinvolge tre stadi principali: inizio,
propagazione e termine. Nel primo stadio si ha la formazione di radicali primari da un
possono essere generati attraverso iniziatori termici (ad es. perossidi e azocomposti), fotosensibili o “redox”.
Nello stadio di propagazione la catena polimerica si accresce per reazione con le molecole di monomero ed infine, nello stadio di termine, la crescita delle catene viene bloccata attraverso reazioni di combinazione e di disproporzionamento. La polimerizzazione radicalica in emulsione, pur non discostandosi da questo schema generale, presenta delle peculiarità che derivano dalla natura eterogenea del sistema reattivo, costituito essenzialmente da monomeri caratterizzati da scarsa o trascurabile solubilità in acqua, dal tensioattivo che si dispone all’interfaccia tra fase oleosa e fase acquosa e dall’iniziatore, generalmente idrosolubile.
La natura eterogenea del sistema conduce alla ripartizione dei vari componenti nelle diverse fasi che possono essere anche presenti tutte contemporaneamente: la fase micellare, quella acquosa, le gocce di monomero e, a polimerizzazione avviata, le particelle di polimero. Questa partizione comporta la possibilità che la polimerizzazione avvenga in tutte le fasi presenti. In particolare i meccanismi principali proposti per la formazione delle particelle si basano su processi di nucleazione micellare, di nucleazione omogenea o di nucleazione nelle gocce di monomero.
Nucleazione omogenea
14-18Questo meccanismo prevede la formazione di oligoradicali in fase acquosa i quali, raggiunto il loro limite di solubilità in acqua, precipitano formando particelle primarie.
Queste ultime si stabilizzano adsorbendo molecole di tensioattivo e crescono assorbendo molecole di monomero. In questo tipo di nucleazione il diametro e il numero delle particelle formate dipendono dalla quantità di tensioattivo e dalla sua capacità di stabilizzare le particelle primarie e quelle in crescita.
Nucleazione micellare
19-22Nel caso in cui la concentrazione iniziale del tensioattivo sia superiore alla concentrazione
critica micellare (cmc ) i radicali primari generati in fase acquosa possono penetrare nelle
micelle del tensioattivo rigonfiate dal monomero come radicali primari o oligoradicali. Lo
stadio di propagazione prende avvio quindi all’interno delle micelle determinando così la
forma zione dei nuclei che si accresceranno poi a formare particelle di polimero. Si stima
che soltanto una su 100-1000 micelle catturi un radicale e diventi una particella di
polimero, mentre le altre micelle cedono il tensioattivo e le molecole di monomero alle particelle in via di accrescimento.
Nucleazione nelle gocce di monomero
23-28In questo caso i radicali generati in fase acquosa entrano nelle gocce di monomero emulsionate come radicali primari o oligoradicali e propagano per formare le particelle di polimero. In particolare è stato osservato che il processo di nucleazione nelle gocce avviene principalmente nelle miniemulsioni
24-26in cui, oltre al tensioattivo principale, viene aggiunto un cotensioattivo di carattere non ionico, normalmente una molecola lipofila la cui funzione prevalente è quella di rallentare la coalescenza delle goccioline oleose per effetto osmotico. Nelle miniemulsioni le gocce di monomero sono caratterizzate da piccole dimensioni e tutte partecipano alla polimerizzazione, generalmente avviata da un iniziatore oleosolubile, per cui il numero finale di particelle di polimero è uguale al numero di gocce iniziale
29.
Il meccanismo dominante nella formazione delle particelle è determinato dalla concentrazione del tensioattivo, dalla solubilità dei monomeri e dell’iniziatore in fase acquosa e dal livello di suddivisione delle gocce di monomero.
La nucleazione omogenea avviene per monomeri con alta solubilità in acqua ([M]
aq>170 mmol dm
-3) e per una concentrazione del tensioattivo al di sotto della sua cmc.
La nucleazione micellare prevale per monomeri con solubilità in acqua relativamente bassa ([M]
aq< 15 mmol dm
-3) e per una concentrazione di tensioattivo maggiore di quella critica micellare (concentrazione del tensioattivo di sopra della quale si ha la presenza delle micelle in fase acquosa). La nucleazione nelle gocce prevale quando la solubilità dei monomeri è estremamente bassa ([M]
aq<1 mmol dm
-3).
Secondo le teorie più consolidate, e tuttavia ancora oggetto di discussione, il caso più
comune riguarda sistemi in cui si hanno concentrazioni relativamente elevate di
tensioattivo (conc. > cmc ). In tali sistemi il meccanismo primario è quello della
nucleazione micellare
30. Il tensioattivo
31ha quindi la doppia funzione di formare i siti di
nucleazione delle particelle, cioè micelle rigonfiate di monomero, e di stabilizzare in
dispersione acquosa le particelle di polimero in crescita. La stabilizzazione si ha tramite
l’adsorbimento delle molecole di tensioattivo all’interfaccia particella-acqua e si basa sulla
contrapposizione alle forze attrattive tra le particelle ad opera di forze repulsive di natura elettrostatica (tensioattivi ionici) o sterica (tensioattivi non ionici) (figura 1.1).
Figura 1.1. Meccanismo di azione dei tensioattivi
Questo meccanismo prevede un aumento del peso molecolare del polimero proporzionale alla velocità di polimerizzazione. Ciò la distingue dalle polimerizzazioni in massa, in soluzione e in sospensione, nelle quali un aumento della velocità di polimerizzazione causa una diminuzione del peso molecolare. In particolare la relazione tra i due parametri è espressa, per la polimerizzazione in emulsione, dalle seguenti equazioni:
Velocità di polimerizzazione R
p= K
p[M] n N / N
a(eq. 1.1)
Peso molecolare polimero X
n= K
p[M] n N / R
i(eq. 1.2)
dove K
pè il coefficiente di propagazione, [M] è la concentrazione del monomero nelle
particelle, n è il numero medio di radicali nelle particelle, N è il numero di particelle di
lattice per unità di volume, R
ila velocità di generazione dei radicali e N
aè la costante di
Avogadro.
Si osservi che il valore di R
p(il quale è proporzionale ad X
n) cresce all’aumentare del numero di particelle per unità di volume N; di conseguenza X
npuò essere incrementato aumentando la concentrazione di tensioattivo utilizzato. Per le polimerizzazioni in massa, soluzione e sospensione si ha invece:
R
p= K
p[M] ( R
i/ 2 K
t)
1/2(eq. 1.3)
X
n= K
p[M] ( 2 / R
iK
t)
1/2(eq. 1.4)
dove K
tè il coefficiente di terminazione. In questo caso un aumento del fattore R
i(radicali primari), aumenta la velocità di polimerizzazione, ma riduce il peso molecolare.
1.2.2 controllo delle caratteristiche microscopiche dei lattici polimerici
I parametri fondamentali che caratterizzano un lattice polimerico sono: contenuto in solido (g polimero/g totali di lattice), composizione e peso molecolare del copolimero, morfologia e numero delle particelle, diametro delle particelle e distribuzione dei diametri espressa come polidispersità del lattice. Tali caratteristiche sono determinate dal meccanismo e dalla cinetica della polimerizzazione in emulsione. Queste ultime a loro volta sono influenzate dalla procedura adottata (processo discontinuo, semicontinuo o continuo), dal metodo di aggiunta dei monomeri, dal tipo e dalla concentrazione dei monomeri, del tensioattivo e dell’iniziatore, dalla temperatura e dal pH.
Nella polimerizzazione con processo discontinuo (in batch), tutti i componenti sono aggiunti nel reattore prima di dare inizio alla polimerizzazione. Il solo iniziatore viene in genere aggiunto solo quando la miscela di polimerizzazione ha raggiunto la temperatura programmata. Questo metodo non permette di esercitare un controllo ottimale sulla reattività e quindi anche sul calore sviluppato nel corso della reazione; inoltre monomeri caratterizzati da diversa reattività e/o solubilità possono dar luogo alla formazione di copolimeri di composizione eterogenea e con una distribuzione irregolare delle dimensioni delle particelle (elevata polidispersità). Il metodo è infine caratterizzato da scarsa riproducibilità.
Il processo in continuo consiste nel mantenere costante il rapporto dei componenti tenuti in
agitazione continua nel reattore alimentando in continuo una miscela corrispondente alla
composizione della formulazione presente nel reattore e prelevando contemporaneamente quantità equivalenti del lattice ottenuto. Questo metodo è impiegato prettamente nell’industria in quanto consente di ottenere elevata produttività ed omogeneità di prodotto.
Tuttavia richiede un’accurata ottimizzazione dei parametri operativi per ogni specifica formulazione.
Infine il processo semi- continuo (o semi-batch) comporta l’aggiunta controllata dei monomeri, sotto forma di miscela o di emulsione, alla soluzione acquosa contene nte la totalità o parte dell’iniziatore e dei tensioattivi. Questo processo permette un migliore controllo della velocità di polimerizzazione e, di conseguenza, del calore di reazione, del numero delle particelle e della loro polidispersità e morfologia e, nel caso di un copolimero, della sua composizione. Il processo in semi-continuo fornisce quindi risultati più riproducibili e maggiore flessibilità sintetica e formulativa; per tali motivi è quello più largamente impiegato sia in ambito ind ustriale che nella ricerca.
Il tipo e la quantità di tensioattivo, oltre alla eventuale presenza di gruppi funzionali sul polimero che possano conferirgli caratteristiche anfifiliche, influenzano la stabilità del lattice finale, il diametro delle particelle, il processo di formazione del film a partire dal lattice e le caratteristiche di superficie del film ottenuto. I tensioattivi sono generalmente suddivisi in tre classi principali
32: anionici (solfati, solfonati, fosfati), cationici (sali di ammonio quaternario) e non ionici (esteri ed eteri polietossilati). In particolare i tensioattivi anionici e non ionici sono i più impiegati perché meglio compatibili sia con altri componenti impiegati nella formulazione di prodotti “finiti”, sia con la carica negativa solitamente presente sulla superficie delle particelle di lattice. Tale carica deriva dai gruppi solfato costituenti l’inizio di catena qualora la polimerizzazione, come spesso accade, sia iniziata da persolfato
33(figura 1.2).
Oltre alla struttura chimica, un importante parametro che caratterizza i tensioattivi è il bilancio tra la parte idrofila e lipofila presenti nella struttura molecolare del tensioattivo stesso, detto anche HLB
34(hydrophilic- lipophilic balance). Tensioattivi con basso HLB (<
6-7) sono in generale efficaci stabilizzanti di emulsioni water-in-oil, ossia dispersioni di microgoccioline acquose in una fase continua oleosa, mentre quelli con alti valori di HLB (>8) sono utilizzati per emulsioni oil-in-water (es. polimerizzazioni in emulsione).
Nelle polimerizzazioni in emulsione è frequente anche l’impiego di tensioattivi ionici e
non ionici in miscela, in grado di coadiuvare la stabilizzazione del lattice grazie a
contributi di tipo rispettivamente elettrostatico e sterico. Il diverso meccanismo di
stabilizzazione delle particelle o goccioline disperse nel mezzo acquoso determina una diversa efficacia nella fase di nucleazione delle particelle e di accrescimento delle stesse, e quindi influisce sulle dimensioni e sul numero di particelle nel lattice finale. Inoltre stabilizzanti colloidali non ionici rendono il lattice più resistente a variazioni di temperatura e forza ionica, pur essendo in genere necessario l’impiego di una quantità maggiore di tensioattivo che, tra l’altro, ha spesso un costo maggiore di quelli ionici.
Figura 1.2. Illustrazione schematica dell’adsorbimento di tensioattivi anionici e cationici sulla superficie di particelle di lattice
Studi condotti variando la composizione dei tensioattivi in polimerizzazioni in emulsione
di monomeri acrilici hanno evidenziato come il tensioattivo anionico sia più efficace nel
determinare un controllo della fase di nucleazione e, quindi, del diametro delle
particelle
35,36. In tali studi l’impiego di miscele di tensioattivi ionici e non ionici di diversa
composizione ha mostrato come, aumentando la concentrazione di tensioattivo anionico a
parità di tensioattivo totale, si ottengano particelle di dimensioni progressivamente minori,
anche se con polidispersità maggiore a causa del prolungamento dello stadio di
nucleazione dovuto alla maggior concentrazione iniziale delle micelle stesse. La velocità di
conversione, invece, non viene influenzata in modo determinante dalla natura e dal
quantitativo del tensioattivo.
Il problema della polidispersità e del controllo dimensionale (diametro medio) delle particelle può essere superato preparando un lattice “seme”
35a partire dal quale viene poi avviata una polimerizzazione in semi-continuo. Operando in opportune condizioni di concentrazione istantanea di monomeri liberi e di tensioattivo tramite aggiunta controllata di tali componenti alla miscela di polimerizzazione (lattice seme), si può impedire il processo di nucleazione nella successiva fase di addizione in semi-continuo della miscela di monomeri, consentendo l’accrescimento solo all’interno delle particelle (micelle nucleate) già presenti.
Questo tipo di processo in semi-continuo condotto a partire da un lattice preformato, chiamato polimerizzazione in emulsione seminata, ha il vantaggio di separare la fase di nucleazione delle particelle da quella di accrescimento e consente in genere un miglior controllo del diametro delle particelle e della polidispersità, con un conseguente miglioramento della stabilità del lattice. Se la concentrazione del tensioattivo è molto alta e/o il numero delle particelle nel lattice seme è mo lto basso, nuove particelle possono formarsi durante lo stadio semi-continuo di addizione della miscela dei monomeri, dando luogo ad una distribuzione dimensionale delle particelle molto amp ia. Questo fenomeno è noto come nucleazione secondaria. D’altra parte se il tensioattivo utilizzato è insufficiente, e quindi la densità di carica sulla superficie delle particelle o la repulsione sterica sono molto basse, esse possono in parte aggregarsi causando una diminuzione del numero di particelle e perciò un aumento del loro diametro e della loro polidispersità.
La condizione che deve essere realizzata al fine di ottenere una polimerizzazione seminata ottimale è quindi che il numero di particelle N
primanga costante durante tutto il processo di polimerizzazione; ciò implica che non solo debba essere impedita la nucleazione secondaria, ma anche che il tensioattivo sia in quantità sufficiente per stabilizzare il lattice finale e, quindi, impedirne la coalescenza. N
ppuò essere calcolato con la seguente formula:
3
6
pp
d N S
?
?
? ? ?
(eq 1.5)
dove S è il contenuto in solido del lattice seme, ? è la densità del polimero e d
pè il
diametro medio delle particelle; ovviamente il valore di N
pè tanto più accurato quanto più
il lattice sia costituito da particelle monodisperse.
L’apporto totale, con una velocità di aggiunta del tensioattivo che permetta di minimizzare la nucleazione secondaria e al tempo stesso renda stabile il lattice finale impedendo l’aggregazione delle particelle, deve essere quindi regolato in funzione della concentrazione delle particelle nel seme, della quantità di monomero aggiunta nello stadio semi-continuo, della velocità di aggiunta dello stesso e della velocità di polimerizzazione.
Anche il metodo utilizzato per introdurre i monomeri all’interno del reattore contenente la semina può avere effetti significativi sulle dimensioni delle particelle e sulla loro polidispersità nel lattice finale
37. Da quanto detto in precedenza, infatti, è chiaro come l’aggiunta di una pre-emulsione troppo ricca in tensioattivo o, nel caso di aggiunta di monomeri puri, l’eventuale introduzione di tensioattivo nel lattice seme prima del secondo stadio semi- continuo può condurre ad una nucleazione secondaria e quindi ad un aumento del numero di particelle, ad una diminuzione del diametro medio delle stesse nel lattice finale e ad un aumento della loro polidispersità; se la nucleazione secondaria viene efficacemente soppressa, il numero delle particelle finali ottenute sarà minore e perciò queste avranno, a parità di monomero alimentato e di conversione, dimensioni maggiori.
In pratica, i processi di polimerizzazione semi-continua seminata prevedono l’aggiunta separata della miscela di monomeri e di una soluzione acquosa di iniziatore e tensioattivo al lattice seme preriscaldato alla temperatura di reazione. Il tensioattivo aggiunto nella fase semicontinua può essere sia anionico che non ionico in dipendenza delle caratteristiche desiderate e delle applicazioni finali; il tensioattivo impiegato nel lattice seme invece è generalmente di tipo anionico
38al fine di ottenere un maggior controllo delle dimensioni.
Altri fattori da tenere in considerazione possono essere il contenuto in solido del lattice
finale, che nei lattici commerciali raggiunge valori superiori al 50% per ovvie ragioni
economiche (ma anche per consentire la formazione di film più uniformi), e il pH, che può
influire significativamente sulle proprietà reologiche del lattice ed acquista particolare
importanza qualora sul polimero siano presenti funzionalità reattive in grado di
promuovere la reticolazione delle catene a determinati valori di acidità o basicità del
sistema, con effetti sulla stabilità del lattice verso i processi di coagulazione e, in fase di
formazione del film, di coalescenza delle particelle.
1.2.3 Aspetti cinetici della polimerizzazione in emulsione La velocità massima di polimerizzazione, R
pmax,
si realizza in un processo in emulsione quando la concentrazione del monomero che rigonfia la particella risulta satura, [M]
pmax. A sua volta la concentrazione di monomero nelle particelle sarà una funzione della disponibilità totale e solubilità in acqua, ossia della ripartizione del monomero tra fase acquosa e particella in accrescimento.
Per un processo in semi-continuo la quantità di monomero introdotta nel reattore nell’unità di tempo, R
m, è fondamentale nel controllare la disponibilità del monomero durante la polimerizzazione e quindi la sua concentrazione, [M]
p, nelle particelle di polimero che si formano. In particolare possono essere considerati i seguenti casi:
1) R
m> R
pmax. In questa situazione il monomero è in continuo eccesso nell’ambiente di reazione ([M]
p= [M]
pmax). Ne deriva che il processo semi-continuo diventa difficilmente distinguibile dal processo in batch (R
m= R
pmax).
2) R
m< R
pmax. In questa situazione la concentrazione del monomero nelle particelle cade sotto il valore di saturazione ed è controllata direttamente dal valore R
m. Queste condizioni operative sono definite e note come monomer-starved conditions (polimerizzazione in carenza di monomero).
Nelle polimerizzazioni in semi-continuo condotte in condizioni starved la conversione del monomero risulta pressoché istantanea; ciò significa che le molecole di monomero introdotte nel reattore sono polimerizzate immediatamente favorendo il controllo sia del calore di reazione, sia della composizione del copolimero anche in presenza di monomeri a diversa reattività. In particolare, poiché il copolimero formato avrà la stessa composizione della miscela di monomeri aggiunta, questa procedura consente di minimizzare l’eventuale formazione di omopolimeri o/e di frazioni di copolimero con composizione e, di conseguenza, caratteristiche termiche e meccaniche diverse da quelle desid erate.
Quindi, per sfruttare appieno i vantaggi relativi al processo semi-continuo (almeno per
applicazioni non industriali, ossia quando i fattori tempo e produttività non siano
determinanti), è necessario determinare ed utilizzare le condizioni relative al punto 2. Un
semplice metodo per stabilire la velocità di aggiunta del monomero o della miscela di
monomeri alla quale sono realizzate le condizioni starved, si basa sulla determinazione del
valore limite di R
m(? R
pmax), ottenibile dalla curva conversione-tempo della reazione. La conversione è determinata effettuando l’analisi gravimetrica (contenuto in polimero) o gascromatografica (monomero residuo) di frazioni prelevate periodicamente dal reattore in cui avviene la polimerizzazione in batch. In queste condizioni infatti il valore (misurabile) di R
psarà R
p= R
pmax. In particolare R
pmax, espressa come percentuale di monomero che reagisce al minuto (% mon/min), è calcolata dalla pendenza della regione lineare iniziale (a bassa conversione) della curva conversione-tempo. Un esempio che illustra chiaramente le suddette caratteristiche del processo semi-continuo in condizioni starved è fornito da una serie di studi relativi alla copolimerizzazione tra vinil acetato e butil acrilato
39-41. Quando la polimerizzazione è effettuata in batch il materiale polimerico ottenuto è eterogeneo e mostra due distinte temperature di transizione vetrosa dovute alla presenza di due fasi corrispondenti a frazioni copolimeriche di composizione nettamente distinta; al contrario, utilizzando il processo in semi- continuo in condizioni starved si osserva un’unica T
gcorrispondente ad una singola fase.
La capacità di ottenere un polimero di composizione uguale a quella della miscela dei
monomeri è di particolare importanza qualora uno dei monomeri presenti delle funzionalità
reattive; in tal caso la reattività nei confronti della polimerizzazione può essere anche
notevolmente diversa e ciò potrebbe determinare la segregazione dei gruppi reattivi
all’interno della particella con conseguente perdita di funzionalità. La polimerizzazione in
condizioni starved consente inoltre di avere un certo grado di controllo sulla composizione
del polimero nelle varie regioni delle particelle (nucleo, superficie) semplicemente
variando la composizione della miscela monomerica nel corso del processo. In tal modo è
possibile arricchire la superficie delle particelle polimeriche con monomeri funzionali (in
genere di costo elevato) riducendo la dispersione di funzionalità reattive. Tale distribuzione
topologicamente disomogenea della composizione macromolecolare risulta peraltro
influenzata anche dalle caratteristiche del sistema nel suo complesso; in particolare la
mobilità diffusionale (legata alla temperatura di transizione vetrosa, T
g, ed alla eventuale
reticolazione) e le caratteristiche idrofile/idrofobe del polimero, possono determinare un
riarrangiamento spaziale di fasi immiscibili o comunque di frazioni copolimeriche a
diversa composizione all’interno della particella.
1.2.4 Determinazione del diametro delle particelle di lattice e della sua distribuzione
La conoscenza del diametro delle particelle disperse e della sua distribuzione può essere di primaria importanza per le finalità applicative di un lattice. Questi parametri infatti influiscono sulla stabilità della dispersione, sulla formazione del film, sulle proprietà meccaniche e sulle caratteristiche di opacità e lucentezza di quest’ultimo e possono quindi determinare le proprietà applicative del prodotto finale ottenuto. Soprattutto nel campo dei rivestimenti vernicianti o protettivi il film ottenuto risulta essere di spessore uniforme e di elevata lucentezza quando le particelle sono submicrometriche, la loro distribuzione è stretta e la coalescenza efficace. I metodi di determinazione delle dimensioni delle particelle si possono suddividere in metodi diretti (microscopia) e indiretti, basati in genere sulla diversa mobilità di particelle di dimensioni diverse. La microscopia include quella ottica, ma soprattutto quella elettronica a scansione ed in trasmissione, oltre alle tecniche basate sulla diffusione della luce (light scattering dinamico), quali ad esempio la spettroscopia di correlazione fotonica e la diffrazione di Fraunhofer. Lo studio del movimento delle particelle include tutti i vari metodi di mobilità delle particelle quali sedimentazione, cromatografia idrodinamica, cromatografia di esclusione liquida, frazionamento idrodinamico capillare. Ognuno di tali metodi risulta adeguato ad uno specifico intervallo dimensionale. In particolare le misure di light scattering dinamico sono particolarmente rapide ed accurate per intervalli da 50 a 5000 nm.
Con la tecnica del laser light scattering dinamico (DLLS) possono peraltro essere condotti
diversi tipi di misure che, basandosi su fenomeni fisici diversi, consentono di determinare
dei valori medi e delle distribuzioni delle dimensioni di particelle nell’intervallo tra pochi
nm e qualche ? m. In particolare la spettroscopia di correlazione fotonica analizza le
fluttuazioni temporali della radiazione laser dispersa, causate dal movimento browniano
delle particelle; dall’analisi dell’intensità delle fluttuazioni è possibile ottenere
informazioni sul diametro delle particelle e la loro curva di distribuzione. Il campione
preparato diluendo il lattice (tipicamente fino allo 0,1 % in peso di polimero in acqua
deionizzata) per evitare il fenomeno di diffusione multipla, è inserito in una cuvetta posta
all’interno di una camera termostatata alla temperatura di 25 °C. Successivamente un
raggio di luce monocromatica è focalizzato sul campione e l’intensità di dispersione in
uscita è misurata ad un angolo fisso, normalmente di 90° dal detector. Il parametro chiave
determinato è il coefficiente di diffusione, D, o diffusività delle particelle che è in rela zione
al loro diametro, d, attraverso l’equazione di Stokes-Einstein:
D = K
bT /3 ? ? d (eq. 1.6)
dove ? è la viscosità del mezzo, T la temperatura assoluta e K
bla costante di Boltzmann. In particolare il coefficiente di diffusione è misurato dall’analisi di una funzione di correlazione C(?):
C(?) = A exp (-2 D K
2? ) + B (eq. 1.7)
dove D è il coefficiente di diffusione medio, B il segnale di background, A una costante dipendente dallo schema ottico e K è una costante ottica che dipende dalla lunghezza d’onda del laser (?
0), dall’angolo di osservazione (? ) e dall’indice di rifrazione del mezzo (n):
K = (4 ? n / ?
0) sin ( ? /2) (eq. 1.8)
La funzione di correlazione, che diventa una somma di esponenziali quando il sistema delle particelle analizzato è polidisperso, viene elaborata da un correlatore che in base ad opportuni algoritmi, fornisce i valori richiesti di diametro distribuito. I vantaggi di questo metodo di misura sono: rapidità di analisi, facile preparazione dei campioni, la richiesta di conoscenza solo dell’indice di rifrazione e della viscosità del mezzo disperdente, l’assenza di calibrazione dello strumento, l’alta precisione nelle misure e la loro riproducibilità, grazie alla possibilità di mantenere costanti i parametri influenzanti il risultato, quali temperatura, indice di rifrazione e viscosità del mezzo, lunghezza d’onda del fascio laser e angolo di osservazione. Le limitazioni di questa tecnica sono la difficoltà nel trattare distribuzioni multimodali, errori dovuti al modello matematico, che non prende in considerazione il caso di particelle di forma non sferica e, non ultimo il costo relativamente elevato dello strumento.
1.2.5 Formazione del film
La constatazione degli effetti deleteri sull’ambiente dei prodotti a base di solventi organici
e le normative sempre più restrittive che ne regolano l’impiego ha condotto ad una
notevole evoluzione dei rivestimenti polimerici derivanti da dispersioni acquose polimeriche. Di conseguenza ciò ha richiesto una migliore comprensione dei processi caratteristici che governano la trasformazione del lattice polimerico da dispersione acquosa di particelle solide a film polimerico continuo
42,43. Ovviamente la formazione del film è un aspetto critico di tutte quelle applicazioni dei lattici che comportano la deposizione di un rivestimento superficiale o la formazione di una lamina. Gli studi sui processi di filmazione tendono a migliorare soprattutto le proprietà superficiali, meccaniche, di stabilità all’acqua e di permeabilità dei film stessi.
In un modello idealizzato la formazione del film deve essere concettualmente separata in tre passaggi fra quattro stati come descritto di seguito (figura 1.3). Il primo stato corrisponde allo stato bagnato (wet state) del lattice: il polimero solido è disperso in acqua come particelle sferiche, generalmente tra il 15 ed il 50% in peso. Dopo l’evaporazione della maggior parte dell’acqua, si ha la formazione del secondo stato. Esso è descritto come un ordinato impaccamento di particelle in emulsione con residui di acqua negli spazi interparticellari. In questa fase, mantenendo la temperatura sopra quella di transizione vetrosa T
g, l’evaporazione e le interazioni intermolecolari si combinano per produrre il terzo stato in cui le particelle sono deformate in seguito al processo di compattazione, ma ancora distinte tra loro. Viene indicata con MFT
44(minimum film- forming temperature) la temperatura minima alla quale si verifica la transizione tra il terzo ed il quarto stato, ossia la formazione del film; in assenza di dati sperimentali tale temperatura viene considerata di poco superiore alla T
gdel polimero. In quest’ultimo passaggio di formazione del film, l’interdiffusione delle catene polimeriche attraverso i confini interparticellari attenua la distinzione tra le particelle stesse.
Figura 1.3. Rappresentazione schematica dei processi coinvolti nella formazione dei film
Il risultato di questo processo finale di coalescenza delle particelle è, in un sistema ideale,
un film continuo, isotropo ed uniforme. In un sistema reale la situazione è spesso più
complessa anche a causa della presenza di ausiliari di polimerizzazione come i sali derivanti dai residui della decomposizione degli iniziatori, i tensioattivi, ed eventuali stabilizzanti etc. che possono influenzare in modo determinante le caratteristiche del film.
Per asciugare il lattice sono necessari da alcune ore a vari giorni in funzione, oltre che della composizione del lattice e della morfologia delle sue particelle, anche delle condizioni ambientali (temperatura
45, pressione, umidità
45etc.) e dello spessore del film che si vuole ottenere. Consideriamo ad esempio l’influenza dell’umidità e della composizione del polimero sulla MFT: nel caso di polimeri relativamente idrofobi, la MFT è generalmente prossima alla T
ge la filmazione non è influenzata dall’umidità, mentre nel caso di polimeri acrilici costituiti da monomeri a basso peso molecolare con caratteristiche idrofile l’umidità tende a diminuire la MFT anche di alcuni gradi sotto la T
ga causa dell’effetto plastificante esercitato dalle molecole di acqua che rimangono assorbite nel film. In alcuni casi, quando la T
gdel polimero disperso nel lattice è elevata rispetto alle necessità imposte dalla sua applicazione, può essere necessario aggiungere appositamente degli additivi plastificanti (in sede di polimerizzazione) o dei coalescenti (a polimerizzazione avvenuta) che hanno il compito di abbassare la MFT del sistema. In particolare, i coalescenti sono dei solventi, a volatilità inferiore o comparabile rispetto a quella dell’acqua, nei quali il polimero è solubile; essi sono aggiunti per aumentare la velocità di interdiffusione delle catene e presentano il vantaggio di non essere stabilmente trattenuti dal film polimerico e di non modificarne quindi le proprietà finali.
Nel periodo successivo all’allontanamento dell’acqua e quindi alla formazione del film, spesso si osserva un miglioramento nel tempo sia dell’aspetto che delle proprietà del film stesso
46,47. Questo fenomeno, indicato come further coalescence, è associato all’interdiffusione delle catene polimeriche attraverso la superficie delle particelle
48. Esistono prove sperimentali indirette della diffusione interparticellare. Per esempio, essa spiega il miglioramento delle proprietà meccaniche e di permeazione dei film. In molti casi è possibile osservare attraverso la microscopia elettronica a trasmissione (TEM) la scomparsa nel tempo dei contorni delle singole particelle
49.
Tuttavia, in alcuni casi, analisi TEM dimostrano chiaramente come la distinzione tra le
particelle persista anche in film invecchiati per più di un anno
50,51. Per capire quali siano i
fattori che determinano o meno la diffusione interparticellare delle catene polimeriche sono
state messe a punto diverse tecniche di osserva zione diretta di tale fenomeno. Per esempio,
l’interdiffusione in sistemi derivanti dalla miscelazione di due lattici acrilici, uno deuterato
e l’altro non deuterato, è stata analizzata mediante scattering ne utronico a basso angolo (SANS)
52. Ciò ha mostrato come sia la temperatura di formazione del film MFT, sia il grado di reticolazione del polimero ricoprano un ruolo determinante sull’estensione della diffusione interparticellare.
Più recentemente Winnik et al. hanno approfonditamente indagato il fenomeno della further coalescence attraverso misure di fluorescenza sfruttando il fenomeno del trasferimento energetico non radiativo (NRET)
53,54,55tra specie fluorescenti con caratteristiche rispettivamente di donatore ed accettore. In tali la vori sono stati sintetizzati due lattici acrilici marcati con indicatori di fluorescenza (1-2 % mol) diversi: un donatore D (generalmente un derivato fenantrenico) ed un accettore A (generalmente un derivato antracenico). I due lattici sono stati poi mescolati ed il processo di formazione del film è stato studiato mediante analisi di trasferimento energetico non radiativo dal donatore all’accettore, evidenziabile grazie a tecniche rapide di irraggiamento pulsato ed acquisizione delle curve di decadimento della fluorescenza (figura 1.4). Inizialmente, mentre il film si sta asciugando, si osserva un trasferimento energetico abbastanza piccolo, ad indicare che le particelle mantengono la loro individualità. Al trascorrere del tempo e mantenendo la temperatura sopra la T
gdel polimero, si osserva un incremento del trasferimento energetico ossia un decadimento più rapido della fluorescenza, a conferma dell’avvenuta interdiffusione delle catene polimeriche attraverso i contorni delle particelle e quindi dell’avvicinamento di D ed A.
Figura 1.4. Schematizzazione dei processi coinvolti nell’analisi NRET
La versatilità mostrata dalle tecniche di fluorescenza nello studio dei processi di coalescenza dei film ha permesso di investigare anche sistemi più complessi quali, ad
fl f l uo u or re es sc c en e nc c e e d de ec ca ay y (polymer interdiffusion Fl F l uo u or re es sc c en e n ce c e f fr ro o m m D D
du d ur ri i ng n g l l at a te ex x d dr ry y i i ng n g
A A
D
A D
A
Pa P ar rt ti i cl c le e d de ef fo or r ma m a ti t io on n
A A
D
Pa P ar rt ti i cl c l e e c co oa al l es e sc c en e nc c e e
esempio, lattici funzionalizzati aventi morfologia core-shell in cui i markers fluorescenti sono segregati in regioni specifiche delle particelle polimeriche
56.
1.2.6 Proprietà dei film
Nella maggior parte delle applicazioni i film da lattici acrilici devono essere caratterizzati da buona adesione al substrato e buone proprietà meccaniche (coesione, durezza), oltre che da proprietà barriera e di superficie tipicamente rivolte alla limitazione della permeabilità all’acqua e della bagnabilità. Tutte queste proprietà possono essere influenzate in vario modo dalla presenza di tensioattivi, presenti praticamente in tutte le formulazioni di polimeri in emulsione acquosa. Una questione che desta notevole interesse è il destino di tali tensioattivi in seguito alla formazione del film.
Essenzialmente si possono distinguere due casi: il tensioattivo può essere solubile nella fase polimerica oppure, più comunemente, può risultare insolubile e dar luogo alla formazione di domini di fase separati all’interno del film
48. Tensioattivi non ionici quali polietilenglicoli spesso sono miscibili con polimeri acrilici e metacrilici purché la catena polietossilata non sia eccessivamente lunga; tensioattivi ionici risultano invece insolubili.
La formazione di domini di fase separati all’interno del film determina un notevole peggioramento delle sue proprietà: il film diventa meccanicamente debole, più sensibile all’umidità e con un’elevata tendenza dei piani di frattura a propagarsi attraverso la fase del tensioattivo. Studi di microscopia elettronica
57, di ATR
58, di AFM
59e di altre tecniche capaci di indagare la superficie del film, hanno inoltre dimostrato che, qualora il tensioattivo sia insolubile nella fase polimerica, si può verificare una migrazione dello stesso verso l’esterno del film
60( essudazione ). Se la migrazione avviene verso il substrato su cui il film è applicato essa può determinare perdita di adesione fino al distacco del film stesso; d’altra parte se la migrazione avviene verso la superficie esterna le proprietà di idrorepellenza o comunque protezione idrofobica del film vengono irrimediabilmente compromesse
61-65. La tendenza all’essudazione risulta incrementata dall’aggiunta di plasticizzanti o dall’innalzamento della temperatura
59.
Per tali motivi negli ultimi anni si è osservato un interesse crescente, soprattutto
nell’industria, verso l’impiego di tensioattivi polimerizzabili ( surfmers ) che rimanga no
definitivamente ancorati all’interno del film senza costituire domini di fase distinti. Tali
tensioattivi presentano nella loro struttura una funzione polimerizzabile (in genere un
doppio legame vinilico o allilico) che permette loro di reagire con il polimero in crescita entrando a far parte della sua struttura. L’impiego di tensioattivi polimerizzabili oltre ad impedire il fenomeno dell’essudazione aumenta la stabilità dei lattici nei confronti di fenomeni di desorbimento derivanti da stress termici e favorisce il processo di coalescenza migliorando le proprietà del film
66,67.
1.3 Polimeri funzionali in dispersione acquosa: struttura e proprietà
1.3.1 Polimeri reattivi con funzionalità alcossisilaniche
Come accennato in precedenza, la polimerizzazione in emulsione può essere ulteriormente impiegata per la preparazione di polimeri contenenti funzionalità reattive i quali non sempre risultano di agevole applicazione se formulati come soluzioni in solventi organici.
Tra le varie classi di polimeri, quelli acrilici si prestano particolarmente alla polimerizzazione in emulsione ed alla introduzione di funzionalità reattive, tipicamente come sostituenti in catena laterale come schematizzato in figura:
CH2 C CH2 C
R R'
Y (CH2)i
n p
( ) ( )
COOR'' COO- -
R, R’ = H,CH
3; Y = gruppo funzionale
L’introduzione dei gruppi funzionali reattivi nella struttura acrilica avviene generalmente attraverso la copolimerizzazione di monomeri acrilici con monomeri funzionalizzati quali ad esempio 2- idrossietil acrilato (HEA) e 3-trimetossisililpropil metacrilato (TSPMA), aventi rispettivamente gruppi idrossilici (-OH) e alcossisilanici (-SiOR) in catena laterale:
CH2 C CH2 C
CH3 H
COO(CH2)3-Si(OCH3)3 COO(CH2)2-OH
TSPMA HEA
A seconda delle caratteristiche dei gruppi reattivi e della natura del substrato, si possono
così avere migliori caratteristiche di adesione, migliori proprietà coesive (in seguito a
processi di reticolazione del film polimerico) o, addirittura, la possibilità di una modifica funzionale successiva alla formazione del film. In letteratura sono riportati esempi di impiego di copolimeri contenenti TSPMA nella produzione di sigillanti
4, rivestimenti protettivi per automobili
68, legno, superfici metalliche e ceramiche
3,13. Le caratteristiche di reattività dei gruppi alcossisilanici
69li rendono particolarmente interessanti laddove sia richiesta una reattività ritardata. Essi subiscono una reazione di idrolisi in presenza dell’umidità atmosferica. La reazione di idrolisi avviene mediante attacco nucleofilo dell’ossigeno dell’acqua all’atomo di silicio con formazione di un silanolo (figura 1.5).
\
Si Si
OR
OR OR
OR
OR
OH ROH
H2O +
+
Figura 1.5. Reazione di idrolisi del gruppo alcossisilanico presente in catena laterale di un polimero
La reazione di idrolisi è catalizzata sia da sostanze basiche che acide. In condizioni di catalisi acida la reazione di idrolisi ha una velocità maggiore che però, a differenza di quanto avviene in presenza di basi, diminuisce notevolmente dopo che il primo gruppo alcossilico è stato idrolizzato.
Anche la natura del gruppo alchilico R influenza la velocità di idrolisi, che viene tanto più rallentata quanto maggiore è l’ingombro sterico di R. Infine anche un aumento della temperatura influenza la reazione di idrolisi, provocando un aumento della sua velocità.
Successivamente si ha la reazione di condensazione del silanolo che, in genere, risulta più lenta della reazione di idrolisi (figura 1.6).
La reazione di condensazione può, quindi, provocare la reticolazione nel tempo del materiale polimerico. Nel caso in cui materiali di questo tipo debbano essere applicati su substrati in grado di reagire con i gruppi alcossisilanici contribuendo in questo modo alla adesione, è necessario limitare le reazioni di idrolisi e condensazione prima che il polimero sia applicato.
Apparentemente tale compito sembrerebbe arduo quando tali polimeri siano in dispersione acquosa. In realtà i polimeri reattivi in tale forma risultano di più agevole applicazione rispetto, ad esempio, agli stessi polimeri applicati come soluzioni in solventi organici.
Infatti, in quest’ultimo caso, anche basse percentuali di reticolazione, dovute ad esempio
all’umidità del solvente impiegato, possono comportare la formazione di un gel inutilizzabile. Invece la compartimentazione e segregazione delle particelle nei lattici polimerici fa sì che gli eventuali gruppi reattivi, pur potendo condurre alla reticolazione all’interno di ogni singola particella, non portino necessariamente alla coagulazione del lattice durante la preparazione o alla sua destabilizzazione durante l’immagazzinamento
70,71.
Si OR
OR
OR + Si
OR
OR
HO Si
OR
OR
O Si
OR
OR
ROH +
Si OR
OR
OH + Si
OR
OR
HO Si
OR
OR
O Si
OR
OR
H2O +