• Non ci sono risultati.

I polimeri in dispersione acquosa, indicati anche con il termine “lattice”, sono dispersioni colloidali in un mezzo acquoso di particelle di polimero di dimensioni comprese in genere tra 10 e 1000 nm.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I polimeri in dispersione acquosa, indicati anche con il termine “lattice”, sono dispersioni colloidali in un mezzo acquoso di particelle di polimero di dimensioni comprese in genere tra 10 e 1000 nm. "

Copied!
37
0
0

Testo completo

(1)

1 INTRODUZIONE

1.1 Polimeri in dispersione acquosa

1.1.1 Proprietà

I polimeri in dispersione acquosa, indicati anche con il termine “lattice”, sono dispersioni colloidali in un mezzo acquoso di particelle di polimero di dimensioni comprese in genere tra 10 e 1000 nm.

La preparazione dei lattici viene generalmente effettuata attraverso un processo di polimerizzazione in emulsione nel corso del quale un’emulsione più o meno stabile del monomero in acqua viene polimerizzata in presenza di tensioattivi e iniziatori radicalici.

L’impiego dell’acqua come mezzo di reazione consente non solo l’efficace smaltimento del calore di reazione ma anche l’eliminazione o la drastica riduzione delle sostanze organiche volatili presenti nel prodotto finale, con ovvi vantaggi per l’ambiente e la salute.

D’altra parte, i tensioattivi presenti in soluzione svolgono il duplice ruolo di stabilizzare l’emulsione dei monomeri prima e la dispersione colloidale delle particelle polimeriche poi, oltre a svolgere un ruolo nella fase di nucleazione ed accrescimento delle particelle stesse. Il prodotto finale di questo processo, se portato a secco, produce un film o una polvere del polimero, a seconda delle sue caratteristiche, delle condizioni di essiccamento e della eventuale presenza di additivi (coalescenti, plastificanti).

Dispersioni acquose di particelle polimeriche possono essere ottenute anche per

polimerizzazione in sospensione o in miniemulsione; nel primo caso le piccole gocce di

monomero, in cui l’iniziatore è solubile, sono sospese in acqua grazie alla presenza di

stabilizzanti colloidali, generalmente polimerici, ed alla vigorosa agitazione. Il polimero

risultante è colloidalmente instabile e viene isolato dal mezzo per filtrazione o

centrifugazione. Con tale processo si ottengono generalmente sfere rigide (ossia costituite

da polimero amorfo con elevata temperatura di transizione vetrosa T

g

) di 0,1-2 ? m di

diametro, la cui composizione può essere variata in modo limitato. Materiali di questo tipo

sono, quindi, utilizzati solo per un numero ristretto di applicazioni. Anche nella

polimerizzazione in miniemulsione il processo si svolge interamente all’interno di

(2)

stabilizzate temporaneamente da tensioattivi e cotensioattivi o coagenti idrofobi, dopo che le goccioline di monomero sono state emulsionate per effetto di intensi sforzi di taglio applicati per sonicazione o altra potenza.

Con il processo di polimerizzazione in emulsione si possono invece ottenere polimeri di composizione desiderata e con bassa T

g

, in grado quindi di produrre film per semplice deposizione su un substrato ed allontanamento dell’acqua per evaporazione. E’ necessario però ricordare che l’emulsione è un sistema termodinamicamente instabile; per tale motivo è indispensabile tenere sotto controllo tutta una serie di parametri (composizione della miscela monomerica, temperatura, pH, tipo e concentrazione del tensioattivo, metodo di preparazione) capaci di influire sulle caratteristiche e sulla stabilità colloidale del prodotto finale, che in ultima analisi è determinata da fattori cinetici.

1.1.2 Caratteristiche applicative

La grande versatilità della polimerizzazione in emulsione acquosa consente di variare la composizione del polimero in funzione della specifica applicazione cui esso è destina to.

Dal punto di vista quantitativo, le principali applicazioni dei lattici polimerici sono relative alla formulazione di vernici

1

, impregnanti e rivestimenti per substrati porosi

2

, adesivi

1,3

e sigillanti

4

. Tra i più diffusi vi sono i lattici a base di copolimeri acrilici i quali, oltre ad essere caratterizzati da un basso costo, buone proprietà meccaniche, di adesione e di filmabilità, rendono agevole l’introduzione in catena laterale di gruppi reattivi per semplice copolimerizzazione di comonomeri funzionalizzati. Questi ultimi, reagendo con le funzionalità chimiche del substrato o con altri componenti della formulazione stessa, possono conferire particolari proprietà meccaniche, di adesività o di altro tipo al film polimerico risultante. Un esempio particolarmente interessante è costituito dall’inserimento di funzionalità alcossisilaniche (-SiOR) in lattici impiegati nella formulazione di vernici

1

, nell’ambito della cosmesi

5

, come rivestimenti decorativi e protettivi su carta

1

, legno, superfici metalliche e ceramiche

3

.

Nei casi in cui la dispersione acquosa polimerica debba costituire un rivestimento

superficiale o in profondità di substrati porosi, diventano critici parametri quali il diametro

delle particelle e la capacità di queste ultime di dar luogo alla formazione del film in modo

rapido ed uniforme. Il processo che porta alla formazione di un film continuo a partire da

un lattice polimerico è assai complesso e consiste di diverse fasi, nella prima delle quali le

(3)

particelle devono entrare in contatto, superando le forze repulsive che tendono a separarle.

Man mano che l’acqua viene allontanata per evaporazione esse devono essere in grado di unirsi formando una fase continua, in un processo che prende il nome di coalescenza ed è favorito dall’addizione di plastificanti, dall’uso di polimeri a più basso peso molecolare, ma soprattutto da un basso valore della T

g

, al di sotto della quale non si ha generalmente la formazione del film.

Un’importante applicazione, soprattutto nell’industria tessile

6

, cartaria

7

, elettronica

8

e nel campo dei beni culturali come protettivi, riguarda i lattici acrilici contenenti gruppi perfluorurati. Questi ultimi consentono di ottenere film che, oltre a possedere proprietà di adesività, filmabilità ed elasticità caratteristiche dei copolimeri acrilici, sono caratterizzati da elevata oleo- ed idrorepellenza

9

, resistenza alle radiazioni UV, e alle sollecitazioni termiche e chimiche

10

.

Recentemente hanno acquisito importanza lattici ibridi costituiti da polimeri immiscibili (es. poliacrilati-poliuretani) o da veri e propri compositi organici- inorganic i, nei quali polimeri di diversa natura e proprietà (es. sistemi poliacrilati-polisilossani) sono intimamente miscelati a livello delle singole particelle. Particolarmente interessanti sono i lattici costituiti da particelle strutturate tipo “core-shell”, le quali sono formate da un nucleo interno (core) ed un guscio esterno (shell), aventi natura polimerica diversa. Questi lattici compositi permettono di ottenere composti finali con ottime proprietà fisiche e meccaniche, applicabili in rivestimenti per l’elettronica

11

, per l’industria automobilistica

11

e come sigillanti

4

. Anche i sistemi poliacrilati-polisilossani non strutturati trovano applicazione come rivestimenti su materiali da costruzione

12

e altre superfici (carta, plastiche, ceramiche)

13

.

1.2 Polimerizzazione in emulsione di monomeri vinilici

1.2.1 Generalità

La polimerizzazione di monomeri vinilici, con struttura generale CH

2

=CHX, può

procedere tramite processo di tipo radicalico o, meno comunemente, di tipo ionico. A

livello applicativo i processi di tipo radicalico rappresentano la grande maggioranza. Il

meccanismo di polimerizzazione radicalica coinvolge tre stadi principali: inizio,

propagazione e termine. Nel primo stadio si ha la formazione di radicali primari da un

(4)

possono essere generati attraverso iniziatori termici (ad es. perossidi e azocomposti), fotosensibili o “redox”.

Nello stadio di propagazione la catena polimerica si accresce per reazione con le molecole di monomero ed infine, nello stadio di termine, la crescita delle catene viene bloccata attraverso reazioni di combinazione e di disproporzionamento. La polimerizzazione radicalica in emulsione, pur non discostandosi da questo schema generale, presenta delle peculiarità che derivano dalla natura eterogenea del sistema reattivo, costituito essenzialmente da monomeri caratterizzati da scarsa o trascurabile solubilità in acqua, dal tensioattivo che si dispone all’interfaccia tra fase oleosa e fase acquosa e dall’iniziatore, generalmente idrosolubile.

La natura eterogenea del sistema conduce alla ripartizione dei vari componenti nelle diverse fasi che possono essere anche presenti tutte contemporaneamente: la fase micellare, quella acquosa, le gocce di monomero e, a polimerizzazione avviata, le particelle di polimero. Questa partizione comporta la possibilità che la polimerizzazione avvenga in tutte le fasi presenti. In particolare i meccanismi principali proposti per la formazione delle particelle si basano su processi di nucleazione micellare, di nucleazione omogenea o di nucleazione nelle gocce di monomero.

Nucleazione omogenea

14-18

Questo meccanismo prevede la formazione di oligoradicali in fase acquosa i quali, raggiunto il loro limite di solubilità in acqua, precipitano formando particelle primarie.

Queste ultime si stabilizzano adsorbendo molecole di tensioattivo e crescono assorbendo molecole di monomero. In questo tipo di nucleazione il diametro e il numero delle particelle formate dipendono dalla quantità di tensioattivo e dalla sua capacità di stabilizzare le particelle primarie e quelle in crescita.

Nucleazione micellare

19-22

Nel caso in cui la concentrazione iniziale del tensioattivo sia superiore alla concentrazione

critica micellare (cmc ) i radicali primari generati in fase acquosa possono penetrare nelle

micelle del tensioattivo rigonfiate dal monomero come radicali primari o oligoradicali. Lo

stadio di propagazione prende avvio quindi all’interno delle micelle determinando così la

forma zione dei nuclei che si accresceranno poi a formare particelle di polimero. Si stima

che soltanto una su 100-1000 micelle catturi un radicale e diventi una particella di

(5)

polimero, mentre le altre micelle cedono il tensioattivo e le molecole di monomero alle particelle in via di accrescimento.

Nucleazione nelle gocce di monomero

23-28

In questo caso i radicali generati in fase acquosa entrano nelle gocce di monomero emulsionate come radicali primari o oligoradicali e propagano per formare le particelle di polimero. In particolare è stato osservato che il processo di nucleazione nelle gocce avviene principalmente nelle miniemulsioni

24-26

in cui, oltre al tensioattivo principale, viene aggiunto un cotensioattivo di carattere non ionico, normalmente una molecola lipofila la cui funzione prevalente è quella di rallentare la coalescenza delle goccioline oleose per effetto osmotico. Nelle miniemulsioni le gocce di monomero sono caratterizzate da piccole dimensioni e tutte partecipano alla polimerizzazione, generalmente avviata da un iniziatore oleosolubile, per cui il numero finale di particelle di polimero è uguale al numero di gocce iniziale

29

.

Il meccanismo dominante nella formazione delle particelle è determinato dalla concentrazione del tensioattivo, dalla solubilità dei monomeri e dell’iniziatore in fase acquosa e dal livello di suddivisione delle gocce di monomero.

La nucleazione omogenea avviene per monomeri con alta solubilità in acqua ([M]

aq

>170 mmol dm

-3

) e per una concentrazione del tensioattivo al di sotto della sua cmc.

La nucleazione micellare prevale per monomeri con solubilità in acqua relativamente bassa ([M]

aq

< 15 mmol dm

-3

) e per una concentrazione di tensioattivo maggiore di quella critica micellare (concentrazione del tensioattivo di sopra della quale si ha la presenza delle micelle in fase acquosa). La nucleazione nelle gocce prevale quando la solubilità dei monomeri è estremamente bassa ([M]

aq

<1 mmol dm

-3

).

Secondo le teorie più consolidate, e tuttavia ancora oggetto di discussione, il caso più

comune riguarda sistemi in cui si hanno concentrazioni relativamente elevate di

tensioattivo (conc. > cmc ). In tali sistemi il meccanismo primario è quello della

nucleazione micellare

30

. Il tensioattivo

31

ha quindi la doppia funzione di formare i siti di

nucleazione delle particelle, cioè micelle rigonfiate di monomero, e di stabilizzare in

dispersione acquosa le particelle di polimero in crescita. La stabilizzazione si ha tramite

l’adsorbimento delle molecole di tensioattivo all’interfaccia particella-acqua e si basa sulla

(6)

contrapposizione alle forze attrattive tra le particelle ad opera di forze repulsive di natura elettrostatica (tensioattivi ionici) o sterica (tensioattivi non ionici) (figura 1.1).

Figura 1.1. Meccanismo di azione dei tensioattivi

Questo meccanismo prevede un aumento del peso molecolare del polimero proporzionale alla velocità di polimerizzazione. Ciò la distingue dalle polimerizzazioni in massa, in soluzione e in sospensione, nelle quali un aumento della velocità di polimerizzazione causa una diminuzione del peso molecolare. In particolare la relazione tra i due parametri è espressa, per la polimerizzazione in emulsione, dalle seguenti equazioni:

Velocità di polimerizzazione R

p

= K

p

[M] n N / N

a

(eq. 1.1)

Peso molecolare polimero X

n

= K

p

[M] n N / R

i

(eq. 1.2)

dove K

p

è il coefficiente di propagazione, [M] è la concentrazione del monomero nelle

particelle, n è il numero medio di radicali nelle particelle, N è il numero di particelle di

lattice per unità di volume, R

i

la velocità di generazione dei radicali e N

a

è la costante di

Avogadro.

(7)

Si osservi che il valore di R

p

(il quale è proporzionale ad X

n

) cresce all’aumentare del numero di particelle per unità di volume N; di conseguenza X

n

può essere incrementato aumentando la concentrazione di tensioattivo utilizzato. Per le polimerizzazioni in massa, soluzione e sospensione si ha invece:

R

p

= K

p

[M] ( R

i

/ 2 K

t

)

1/2

(eq. 1.3)

X

n

= K

p

[M] ( 2 / R

i

K

t

)

1/2

(eq. 1.4)

dove K

t

è il coefficiente di terminazione. In questo caso un aumento del fattore R

i

(radicali primari), aumenta la velocità di polimerizzazione, ma riduce il peso molecolare.

1.2.2 controllo delle caratteristiche microscopiche dei lattici polimerici

I parametri fondamentali che caratterizzano un lattice polimerico sono: contenuto in solido (g polimero/g totali di lattice), composizione e peso molecolare del copolimero, morfologia e numero delle particelle, diametro delle particelle e distribuzione dei diametri espressa come polidispersità del lattice. Tali caratteristiche sono determinate dal meccanismo e dalla cinetica della polimerizzazione in emulsione. Queste ultime a loro volta sono influenzate dalla procedura adottata (processo discontinuo, semicontinuo o continuo), dal metodo di aggiunta dei monomeri, dal tipo e dalla concentrazione dei monomeri, del tensioattivo e dell’iniziatore, dalla temperatura e dal pH.

Nella polimerizzazione con processo discontinuo (in batch), tutti i componenti sono aggiunti nel reattore prima di dare inizio alla polimerizzazione. Il solo iniziatore viene in genere aggiunto solo quando la miscela di polimerizzazione ha raggiunto la temperatura programmata. Questo metodo non permette di esercitare un controllo ottimale sulla reattività e quindi anche sul calore sviluppato nel corso della reazione; inoltre monomeri caratterizzati da diversa reattività e/o solubilità possono dar luogo alla formazione di copolimeri di composizione eterogenea e con una distribuzione irregolare delle dimensioni delle particelle (elevata polidispersità). Il metodo è infine caratterizzato da scarsa riproducibilità.

Il processo in continuo consiste nel mantenere costante il rapporto dei componenti tenuti in

agitazione continua nel reattore alimentando in continuo una miscela corrispondente alla

(8)

composizione della formulazione presente nel reattore e prelevando contemporaneamente quantità equivalenti del lattice ottenuto. Questo metodo è impiegato prettamente nell’industria in quanto consente di ottenere elevata produttività ed omogeneità di prodotto.

Tuttavia richiede un’accurata ottimizzazione dei parametri operativi per ogni specifica formulazione.

Infine il processo semi- continuo (o semi-batch) comporta l’aggiunta controllata dei monomeri, sotto forma di miscela o di emulsione, alla soluzione acquosa contene nte la totalità o parte dell’iniziatore e dei tensioattivi. Questo processo permette un migliore controllo della velocità di polimerizzazione e, di conseguenza, del calore di reazione, del numero delle particelle e della loro polidispersità e morfologia e, nel caso di un copolimero, della sua composizione. Il processo in semi-continuo fornisce quindi risultati più riproducibili e maggiore flessibilità sintetica e formulativa; per tali motivi è quello più largamente impiegato sia in ambito ind ustriale che nella ricerca.

Il tipo e la quantità di tensioattivo, oltre alla eventuale presenza di gruppi funzionali sul polimero che possano conferirgli caratteristiche anfifiliche, influenzano la stabilità del lattice finale, il diametro delle particelle, il processo di formazione del film a partire dal lattice e le caratteristiche di superficie del film ottenuto. I tensioattivi sono generalmente suddivisi in tre classi principali

32

: anionici (solfati, solfonati, fosfati), cationici (sali di ammonio quaternario) e non ionici (esteri ed eteri polietossilati). In particolare i tensioattivi anionici e non ionici sono i più impiegati perché meglio compatibili sia con altri componenti impiegati nella formulazione di prodotti “finiti”, sia con la carica negativa solitamente presente sulla superficie delle particelle di lattice. Tale carica deriva dai gruppi solfato costituenti l’inizio di catena qualora la polimerizzazione, come spesso accade, sia iniziata da persolfato

33

(figura 1.2).

Oltre alla struttura chimica, un importante parametro che caratterizza i tensioattivi è il bilancio tra la parte idrofila e lipofila presenti nella struttura molecolare del tensioattivo stesso, detto anche HLB

34

(hydrophilic- lipophilic balance). Tensioattivi con basso HLB (<

6-7) sono in generale efficaci stabilizzanti di emulsioni water-in-oil, ossia dispersioni di microgoccioline acquose in una fase continua oleosa, mentre quelli con alti valori di HLB (>8) sono utilizzati per emulsioni oil-in-water (es. polimerizzazioni in emulsione).

Nelle polimerizzazioni in emulsione è frequente anche l’impiego di tensioattivi ionici e

non ionici in miscela, in grado di coadiuvare la stabilizzazione del lattice grazie a

contributi di tipo rispettivamente elettrostatico e sterico. Il diverso meccanismo di

(9)

stabilizzazione delle particelle o goccioline disperse nel mezzo acquoso determina una diversa efficacia nella fase di nucleazione delle particelle e di accrescimento delle stesse, e quindi influisce sulle dimensioni e sul numero di particelle nel lattice finale. Inoltre stabilizzanti colloidali non ionici rendono il lattice più resistente a variazioni di temperatura e forza ionica, pur essendo in genere necessario l’impiego di una quantità maggiore di tensioattivo che, tra l’altro, ha spesso un costo maggiore di quelli ionici.

Figura 1.2. Illustrazione schematica dell’adsorbimento di tensioattivi anionici e cationici sulla superficie di particelle di lattice

Studi condotti variando la composizione dei tensioattivi in polimerizzazioni in emulsione

di monomeri acrilici hanno evidenziato come il tensioattivo anionico sia più efficace nel

determinare un controllo della fase di nucleazione e, quindi, del diametro delle

particelle

35,36

. In tali studi l’impiego di miscele di tensioattivi ionici e non ionici di diversa

composizione ha mostrato come, aumentando la concentrazione di tensioattivo anionico a

parità di tensioattivo totale, si ottengano particelle di dimensioni progressivamente minori,

anche se con polidispersità maggiore a causa del prolungamento dello stadio di

nucleazione dovuto alla maggior concentrazione iniziale delle micelle stesse. La velocità di

conversione, invece, non viene influenzata in modo determinante dalla natura e dal

quantitativo del tensioattivo.

(10)

Il problema della polidispersità e del controllo dimensionale (diametro medio) delle particelle può essere superato preparando un lattice “seme”

35

a partire dal quale viene poi avviata una polimerizzazione in semi-continuo. Operando in opportune condizioni di concentrazione istantanea di monomeri liberi e di tensioattivo tramite aggiunta controllata di tali componenti alla miscela di polimerizzazione (lattice seme), si può impedire il processo di nucleazione nella successiva fase di addizione in semi-continuo della miscela di monomeri, consentendo l’accrescimento solo all’interno delle particelle (micelle nucleate) già presenti.

Questo tipo di processo in semi-continuo condotto a partire da un lattice preformato, chiamato polimerizzazione in emulsione seminata, ha il vantaggio di separare la fase di nucleazione delle particelle da quella di accrescimento e consente in genere un miglior controllo del diametro delle particelle e della polidispersità, con un conseguente miglioramento della stabilità del lattice. Se la concentrazione del tensioattivo è molto alta e/o il numero delle particelle nel lattice seme è mo lto basso, nuove particelle possono formarsi durante lo stadio semi-continuo di addizione della miscela dei monomeri, dando luogo ad una distribuzione dimensionale delle particelle molto amp ia. Questo fenomeno è noto come nucleazione secondaria. D’altra parte se il tensioattivo utilizzato è insufficiente, e quindi la densità di carica sulla superficie delle particelle o la repulsione sterica sono molto basse, esse possono in parte aggregarsi causando una diminuzione del numero di particelle e perciò un aumento del loro diametro e della loro polidispersità.

La condizione che deve essere realizzata al fine di ottenere una polimerizzazione seminata ottimale è quindi che il numero di particelle N

p

rimanga costante durante tutto il processo di polimerizzazione; ciò implica che non solo debba essere impedita la nucleazione secondaria, ma anche che il tensioattivo sia in quantità sufficiente per stabilizzare il lattice finale e, quindi, impedirne la coalescenza. N

p

può essere calcolato con la seguente formula:

3

6

p

p

d N S

?

?

? ? ?

(eq 1.5)

dove S è il contenuto in solido del lattice seme, ? è la densità del polimero e d

p

è il

diametro medio delle particelle; ovviamente il valore di N

p

è tanto più accurato quanto più

il lattice sia costituito da particelle monodisperse.

(11)

L’apporto totale, con una velocità di aggiunta del tensioattivo che permetta di minimizzare la nucleazione secondaria e al tempo stesso renda stabile il lattice finale impedendo l’aggregazione delle particelle, deve essere quindi regolato in funzione della concentrazione delle particelle nel seme, della quantità di monomero aggiunta nello stadio semi-continuo, della velocità di aggiunta dello stesso e della velocità di polimerizzazione.

Anche il metodo utilizzato per introdurre i monomeri all’interno del reattore contenente la semina può avere effetti significativi sulle dimensioni delle particelle e sulla loro polidispersità nel lattice finale

37

. Da quanto detto in precedenza, infatti, è chiaro come l’aggiunta di una pre-emulsione troppo ricca in tensioattivo o, nel caso di aggiunta di monomeri puri, l’eventuale introduzione di tensioattivo nel lattice seme prima del secondo stadio semi- continuo può condurre ad una nucleazione secondaria e quindi ad un aumento del numero di particelle, ad una diminuzione del diametro medio delle stesse nel lattice finale e ad un aumento della loro polidispersità; se la nucleazione secondaria viene efficacemente soppressa, il numero delle particelle finali ottenute sarà minore e perciò queste avranno, a parità di monomero alimentato e di conversione, dimensioni maggiori.

In pratica, i processi di polimerizzazione semi-continua seminata prevedono l’aggiunta separata della miscela di monomeri e di una soluzione acquosa di iniziatore e tensioattivo al lattice seme preriscaldato alla temperatura di reazione. Il tensioattivo aggiunto nella fase semicontinua può essere sia anionico che non ionico in dipendenza delle caratteristiche desiderate e delle applicazioni finali; il tensioattivo impiegato nel lattice seme invece è generalmente di tipo anionico

38

al fine di ottenere un maggior controllo delle dimensioni.

Altri fattori da tenere in considerazione possono essere il contenuto in solido del lattice

finale, che nei lattici commerciali raggiunge valori superiori al 50% per ovvie ragioni

economiche (ma anche per consentire la formazione di film più uniformi), e il pH, che può

influire significativamente sulle proprietà reologiche del lattice ed acquista particolare

importanza qualora sul polimero siano presenti funzionalità reattive in grado di

promuovere la reticolazione delle catene a determinati valori di acidità o basicità del

sistema, con effetti sulla stabilità del lattice verso i processi di coagulazione e, in fase di

formazione del film, di coalescenza delle particelle.

(12)

1.2.3 Aspetti cinetici della polimerizzazione in emulsione La velocità massima di polimerizzazione, R

pmax

,

si realizza in un processo in emulsione quando la concentrazione del monomero che rigonfia la particella risulta satura, [M]

pmax

. A sua volta la concentrazione di monomero nelle particelle sarà una funzione della disponibilità totale e solubilità in acqua, ossia della ripartizione del monomero tra fase acquosa e particella in accrescimento.

Per un processo in semi-continuo la quantità di monomero introdotta nel reattore nell’unità di tempo, R

m

, è fondamentale nel controllare la disponibilità del monomero durante la polimerizzazione e quindi la sua concentrazione, [M]

p

, nelle particelle di polimero che si formano. In particolare possono essere considerati i seguenti casi:

1) R

m

> R

pmax

. In questa situazione il monomero è in continuo eccesso nell’ambiente di reazione ([M]

p

= [M]

pmax

). Ne deriva che il processo semi-continuo diventa difficilmente distinguibile dal processo in batch (R

m

= R

pmax

).

2) R

m

< R

pmax

. In questa situazione la concentrazione del monomero nelle particelle cade sotto il valore di saturazione ed è controllata direttamente dal valore R

m

. Queste condizioni operative sono definite e note come monomer-starved conditions (polimerizzazione in carenza di monomero).

Nelle polimerizzazioni in semi-continuo condotte in condizioni starved la conversione del monomero risulta pressoché istantanea; ciò significa che le molecole di monomero introdotte nel reattore sono polimerizzate immediatamente favorendo il controllo sia del calore di reazione, sia della composizione del copolimero anche in presenza di monomeri a diversa reattività. In particolare, poiché il copolimero formato avrà la stessa composizione della miscela di monomeri aggiunta, questa procedura consente di minimizzare l’eventuale formazione di omopolimeri o/e di frazioni di copolimero con composizione e, di conseguenza, caratteristiche termiche e meccaniche diverse da quelle desid erate.

Quindi, per sfruttare appieno i vantaggi relativi al processo semi-continuo (almeno per

applicazioni non industriali, ossia quando i fattori tempo e produttività non siano

determinanti), è necessario determinare ed utilizzare le condizioni relative al punto 2. Un

semplice metodo per stabilire la velocità di aggiunta del monomero o della miscela di

monomeri alla quale sono realizzate le condizioni starved, si basa sulla determinazione del

(13)

valore limite di R

m

(? R

pmax

), ottenibile dalla curva conversione-tempo della reazione. La conversione è determinata effettuando l’analisi gravimetrica (contenuto in polimero) o gascromatografica (monomero residuo) di frazioni prelevate periodicamente dal reattore in cui avviene la polimerizzazione in batch. In queste condizioni infatti il valore (misurabile) di R

p

sarà R

p

= R

pmax

. In particolare R

pmax

, espressa come percentuale di monomero che reagisce al minuto (% mon/min), è calcolata dalla pendenza della regione lineare iniziale (a bassa conversione) della curva conversione-tempo. Un esempio che illustra chiaramente le suddette caratteristiche del processo semi-continuo in condizioni starved è fornito da una serie di studi relativi alla copolimerizzazione tra vinil acetato e butil acrilato

39-41

. Quando la polimerizzazione è effettuata in batch il materiale polimerico ottenuto è eterogeneo e mostra due distinte temperature di transizione vetrosa dovute alla presenza di due fasi corrispondenti a frazioni copolimeriche di composizione nettamente distinta; al contrario, utilizzando il processo in semi- continuo in condizioni starved si osserva un’unica T

g

corrispondente ad una singola fase.

La capacità di ottenere un polimero di composizione uguale a quella della miscela dei

monomeri è di particolare importanza qualora uno dei monomeri presenti delle funzionalità

reattive; in tal caso la reattività nei confronti della polimerizzazione può essere anche

notevolmente diversa e ciò potrebbe determinare la segregazione dei gruppi reattivi

all’interno della particella con conseguente perdita di funzionalità. La polimerizzazione in

condizioni starved consente inoltre di avere un certo grado di controllo sulla composizione

del polimero nelle varie regioni delle particelle (nucleo, superficie) semplicemente

variando la composizione della miscela monomerica nel corso del processo. In tal modo è

possibile arricchire la superficie delle particelle polimeriche con monomeri funzionali (in

genere di costo elevato) riducendo la dispersione di funzionalità reattive. Tale distribuzione

topologicamente disomogenea della composizione macromolecolare risulta peraltro

influenzata anche dalle caratteristiche del sistema nel suo complesso; in particolare la

mobilità diffusionale (legata alla temperatura di transizione vetrosa, T

g

, ed alla eventuale

reticolazione) e le caratteristiche idrofile/idrofobe del polimero, possono determinare un

riarrangiamento spaziale di fasi immiscibili o comunque di frazioni copolimeriche a

diversa composizione all’interno della particella.

(14)

1.2.4 Determinazione del diametro delle particelle di lattice e della sua distribuzione

La conoscenza del diametro delle particelle disperse e della sua distribuzione può essere di primaria importanza per le finalità applicative di un lattice. Questi parametri infatti influiscono sulla stabilità della dispersione, sulla formazione del film, sulle proprietà meccaniche e sulle caratteristiche di opacità e lucentezza di quest’ultimo e possono quindi determinare le proprietà applicative del prodotto finale ottenuto. Soprattutto nel campo dei rivestimenti vernicianti o protettivi il film ottenuto risulta essere di spessore uniforme e di elevata lucentezza quando le particelle sono submicrometriche, la loro distribuzione è stretta e la coalescenza efficace. I metodi di determinazione delle dimensioni delle particelle si possono suddividere in metodi diretti (microscopia) e indiretti, basati in genere sulla diversa mobilità di particelle di dimensioni diverse. La microscopia include quella ottica, ma soprattutto quella elettronica a scansione ed in trasmissione, oltre alle tecniche basate sulla diffusione della luce (light scattering dinamico), quali ad esempio la spettroscopia di correlazione fotonica e la diffrazione di Fraunhofer. Lo studio del movimento delle particelle include tutti i vari metodi di mobilità delle particelle quali sedimentazione, cromatografia idrodinamica, cromatografia di esclusione liquida, frazionamento idrodinamico capillare. Ognuno di tali metodi risulta adeguato ad uno specifico intervallo dimensionale. In particolare le misure di light scattering dinamico sono particolarmente rapide ed accurate per intervalli da 50 a 5000 nm.

Con la tecnica del laser light scattering dinamico (DLLS) possono peraltro essere condotti

diversi tipi di misure che, basandosi su fenomeni fisici diversi, consentono di determinare

dei valori medi e delle distribuzioni delle dimensioni di particelle nell’intervallo tra pochi

nm e qualche ? m. In particolare la spettroscopia di correlazione fotonica analizza le

fluttuazioni temporali della radiazione laser dispersa, causate dal movimento browniano

delle particelle; dall’analisi dell’intensità delle fluttuazioni è possibile ottenere

informazioni sul diametro delle particelle e la loro curva di distribuzione. Il campione

preparato diluendo il lattice (tipicamente fino allo 0,1 % in peso di polimero in acqua

deionizzata) per evitare il fenomeno di diffusione multipla, è inserito in una cuvetta posta

all’interno di una camera termostatata alla temperatura di 25 °C. Successivamente un

raggio di luce monocromatica è focalizzato sul campione e l’intensità di dispersione in

uscita è misurata ad un angolo fisso, normalmente di 90° dal detector. Il parametro chiave

determinato è il coefficiente di diffusione, D, o diffusività delle particelle che è in rela zione

al loro diametro, d, attraverso l’equazione di Stokes-Einstein:

(15)

D = K

b

T /3 ? ? d (eq. 1.6)

dove ? è la viscosità del mezzo, T la temperatura assoluta e K

b

la costante di Boltzmann. In particolare il coefficiente di diffusione è misurato dall’analisi di una funzione di correlazione C(?):

C(?) = A exp (-2 D K

2

? ) + B (eq. 1.7)

dove D è il coefficiente di diffusione medio, B il segnale di background, A una costante dipendente dallo schema ottico e K è una costante ottica che dipende dalla lunghezza d’onda del laser (?

0

), dall’angolo di osservazione (? ) e dall’indice di rifrazione del mezzo (n):

K = (4 ? n / ?

0

) sin ( ? /2) (eq. 1.8)

La funzione di correlazione, che diventa una somma di esponenziali quando il sistema delle particelle analizzato è polidisperso, viene elaborata da un correlatore che in base ad opportuni algoritmi, fornisce i valori richiesti di diametro distribuito. I vantaggi di questo metodo di misura sono: rapidità di analisi, facile preparazione dei campioni, la richiesta di conoscenza solo dell’indice di rifrazione e della viscosità del mezzo disperdente, l’assenza di calibrazione dello strumento, l’alta precisione nelle misure e la loro riproducibilità, grazie alla possibilità di mantenere costanti i parametri influenzanti il risultato, quali temperatura, indice di rifrazione e viscosità del mezzo, lunghezza d’onda del fascio laser e angolo di osservazione. Le limitazioni di questa tecnica sono la difficoltà nel trattare distribuzioni multimodali, errori dovuti al modello matematico, che non prende in considerazione il caso di particelle di forma non sferica e, non ultimo il costo relativamente elevato dello strumento.

1.2.5 Formazione del film

La constatazione degli effetti deleteri sull’ambiente dei prodotti a base di solventi organici

e le normative sempre più restrittive che ne regolano l’impiego ha condotto ad una

(16)

notevole evoluzione dei rivestimenti polimerici derivanti da dispersioni acquose polimeriche. Di conseguenza ciò ha richiesto una migliore comprensione dei processi caratteristici che governano la trasformazione del lattice polimerico da dispersione acquosa di particelle solide a film polimerico continuo

42,43

. Ovviamente la formazione del film è un aspetto critico di tutte quelle applicazioni dei lattici che comportano la deposizione di un rivestimento superficiale o la formazione di una lamina. Gli studi sui processi di filmazione tendono a migliorare soprattutto le proprietà superficiali, meccaniche, di stabilità all’acqua e di permeabilità dei film stessi.

In un modello idealizzato la formazione del film deve essere concettualmente separata in tre passaggi fra quattro stati come descritto di seguito (figura 1.3). Il primo stato corrisponde allo stato bagnato (wet state) del lattice: il polimero solido è disperso in acqua come particelle sferiche, generalmente tra il 15 ed il 50% in peso. Dopo l’evaporazione della maggior parte dell’acqua, si ha la formazione del secondo stato. Esso è descritto come un ordinato impaccamento di particelle in emulsione con residui di acqua negli spazi interparticellari. In questa fase, mantenendo la temperatura sopra quella di transizione vetrosa T

g

, l’evaporazione e le interazioni intermolecolari si combinano per produrre il terzo stato in cui le particelle sono deformate in seguito al processo di compattazione, ma ancora distinte tra loro. Viene indicata con MFT

44

(minimum film- forming temperature) la temperatura minima alla quale si verifica la transizione tra il terzo ed il quarto stato, ossia la formazione del film; in assenza di dati sperimentali tale temperatura viene considerata di poco superiore alla T

g

del polimero. In quest’ultimo passaggio di formazione del film, l’interdiffusione delle catene polimeriche attraverso i confini interparticellari attenua la distinzione tra le particelle stesse.

Figura 1.3. Rappresentazione schematica dei processi coinvolti nella formazione dei film

Il risultato di questo processo finale di coalescenza delle particelle è, in un sistema ideale,

un film continuo, isotropo ed uniforme. In un sistema reale la situazione è spesso più

(17)

complessa anche a causa della presenza di ausiliari di polimerizzazione come i sali derivanti dai residui della decomposizione degli iniziatori, i tensioattivi, ed eventuali stabilizzanti etc. che possono influenzare in modo determinante le caratteristiche del film.

Per asciugare il lattice sono necessari da alcune ore a vari giorni in funzione, oltre che della composizione del lattice e della morfologia delle sue particelle, anche delle condizioni ambientali (temperatura

45

, pressione, umidità

45

etc.) e dello spessore del film che si vuole ottenere. Consideriamo ad esempio l’influenza dell’umidità e della composizione del polimero sulla MFT: nel caso di polimeri relativamente idrofobi, la MFT è generalmente prossima alla T

g

e la filmazione non è influenzata dall’umidità, mentre nel caso di polimeri acrilici costituiti da monomeri a basso peso molecolare con caratteristiche idrofile l’umidità tende a diminuire la MFT anche di alcuni gradi sotto la T

g

a causa dell’effetto plastificante esercitato dalle molecole di acqua che rimangono assorbite nel film. In alcuni casi, quando la T

g

del polimero disperso nel lattice è elevata rispetto alle necessità imposte dalla sua applicazione, può essere necessario aggiungere appositamente degli additivi plastificanti (in sede di polimerizzazione) o dei coalescenti (a polimerizzazione avvenuta) che hanno il compito di abbassare la MFT del sistema. In particolare, i coalescenti sono dei solventi, a volatilità inferiore o comparabile rispetto a quella dell’acqua, nei quali il polimero è solubile; essi sono aggiunti per aumentare la velocità di interdiffusione delle catene e presentano il vantaggio di non essere stabilmente trattenuti dal film polimerico e di non modificarne quindi le proprietà finali.

Nel periodo successivo all’allontanamento dell’acqua e quindi alla formazione del film, spesso si osserva un miglioramento nel tempo sia dell’aspetto che delle proprietà del film stesso

46,47

. Questo fenomeno, indicato come further coalescence, è associato all’interdiffusione delle catene polimeriche attraverso la superficie delle particelle

48

. Esistono prove sperimentali indirette della diffusione interparticellare. Per esempio, essa spiega il miglioramento delle proprietà meccaniche e di permeazione dei film. In molti casi è possibile osservare attraverso la microscopia elettronica a trasmissione (TEM) la scomparsa nel tempo dei contorni delle singole particelle

49

.

Tuttavia, in alcuni casi, analisi TEM dimostrano chiaramente come la distinzione tra le

particelle persista anche in film invecchiati per più di un anno

50,51

. Per capire quali siano i

fattori che determinano o meno la diffusione interparticellare delle catene polimeriche sono

state messe a punto diverse tecniche di osserva zione diretta di tale fenomeno. Per esempio,

l’interdiffusione in sistemi derivanti dalla miscelazione di due lattici acrilici, uno deuterato

(18)

e l’altro non deuterato, è stata analizzata mediante scattering ne utronico a basso angolo (SANS)

52

. Ciò ha mostrato come sia la temperatura di formazione del film MFT, sia il grado di reticolazione del polimero ricoprano un ruolo determinante sull’estensione della diffusione interparticellare.

Più recentemente Winnik et al. hanno approfonditamente indagato il fenomeno della further coalescence attraverso misure di fluorescenza sfruttando il fenomeno del trasferimento energetico non radiativo (NRET)

53,54,55

tra specie fluorescenti con caratteristiche rispettivamente di donatore ed accettore. In tali la vori sono stati sintetizzati due lattici acrilici marcati con indicatori di fluorescenza (1-2 % mol) diversi: un donatore D (generalmente un derivato fenantrenico) ed un accettore A (generalmente un derivato antracenico). I due lattici sono stati poi mescolati ed il processo di formazione del film è stato studiato mediante analisi di trasferimento energetico non radiativo dal donatore all’accettore, evidenziabile grazie a tecniche rapide di irraggiamento pulsato ed acquisizione delle curve di decadimento della fluorescenza (figura 1.4). Inizialmente, mentre il film si sta asciugando, si osserva un trasferimento energetico abbastanza piccolo, ad indicare che le particelle mantengono la loro individualità. Al trascorrere del tempo e mantenendo la temperatura sopra la T

g

del polimero, si osserva un incremento del trasferimento energetico ossia un decadimento più rapido della fluorescenza, a conferma dell’avvenuta interdiffusione delle catene polimeriche attraverso i contorni delle particelle e quindi dell’avvicinamento di D ed A.

Figura 1.4. Schematizzazione dei processi coinvolti nell’analisi NRET

La versatilità mostrata dalle tecniche di fluorescenza nello studio dei processi di coalescenza dei film ha permesso di investigare anche sistemi più complessi quali, ad

fl f l uo u or re es sc c en e nc c e e d de ec ca ay y (polymer interdiffusion Fl F l uo u or re es sc c en e n ce c e f fr ro o m m D D

du d ur ri i ng n g l l at a te ex x d dr ry y i i ng n g

A A

D

A D

A

Pa P ar rt ti i cl c le e d de ef fo or r ma m a ti t io on n

A A

D

Pa P ar rt ti i cl c l e e c co oa al l es e sc c en e nc c e e

(19)

esempio, lattici funzionalizzati aventi morfologia core-shell in cui i markers fluorescenti sono segregati in regioni specifiche delle particelle polimeriche

56

.

1.2.6 Proprietà dei film

Nella maggior parte delle applicazioni i film da lattici acrilici devono essere caratterizzati da buona adesione al substrato e buone proprietà meccaniche (coesione, durezza), oltre che da proprietà barriera e di superficie tipicamente rivolte alla limitazione della permeabilità all’acqua e della bagnabilità. Tutte queste proprietà possono essere influenzate in vario modo dalla presenza di tensioattivi, presenti praticamente in tutte le formulazioni di polimeri in emulsione acquosa. Una questione che desta notevole interesse è il destino di tali tensioattivi in seguito alla formazione del film.

Essenzialmente si possono distinguere due casi: il tensioattivo può essere solubile nella fase polimerica oppure, più comunemente, può risultare insolubile e dar luogo alla formazione di domini di fase separati all’interno del film

48

. Tensioattivi non ionici quali polietilenglicoli spesso sono miscibili con polimeri acrilici e metacrilici purché la catena polietossilata non sia eccessivamente lunga; tensioattivi ionici risultano invece insolubili.

La formazione di domini di fase separati all’interno del film determina un notevole peggioramento delle sue proprietà: il film diventa meccanicamente debole, più sensibile all’umidità e con un’elevata tendenza dei piani di frattura a propagarsi attraverso la fase del tensioattivo. Studi di microscopia elettronica

57

, di ATR

58

, di AFM

59

e di altre tecniche capaci di indagare la superficie del film, hanno inoltre dimostrato che, qualora il tensioattivo sia insolubile nella fase polimerica, si può verificare una migrazione dello stesso verso l’esterno del film

60

( essudazione ). Se la migrazione avviene verso il substrato su cui il film è applicato essa può determinare perdita di adesione fino al distacco del film stesso; d’altra parte se la migrazione avviene verso la superficie esterna le proprietà di idrorepellenza o comunque protezione idrofobica del film vengono irrimediabilmente compromesse

61-65

. La tendenza all’essudazione risulta incrementata dall’aggiunta di plasticizzanti o dall’innalzamento della temperatura

59

.

Per tali motivi negli ultimi anni si è osservato un interesse crescente, soprattutto

nell’industria, verso l’impiego di tensioattivi polimerizzabili ( surfmers ) che rimanga no

definitivamente ancorati all’interno del film senza costituire domini di fase distinti. Tali

tensioattivi presentano nella loro struttura una funzione polimerizzabile (in genere un

(20)

doppio legame vinilico o allilico) che permette loro di reagire con il polimero in crescita entrando a far parte della sua struttura. L’impiego di tensioattivi polimerizzabili oltre ad impedire il fenomeno dell’essudazione aumenta la stabilità dei lattici nei confronti di fenomeni di desorbimento derivanti da stress termici e favorisce il processo di coalescenza migliorando le proprietà del film

66,67

.

1.3 Polimeri funzionali in dispersione acquosa: struttura e proprietà

1.3.1 Polimeri reattivi con funzionalità alcossisilaniche

Come accennato in precedenza, la polimerizzazione in emulsione può essere ulteriormente impiegata per la preparazione di polimeri contenenti funzionalità reattive i quali non sempre risultano di agevole applicazione se formulati come soluzioni in solventi organici.

Tra le varie classi di polimeri, quelli acrilici si prestano particolarmente alla polimerizzazione in emulsione ed alla introduzione di funzionalità reattive, tipicamente come sostituenti in catena laterale come schematizzato in figura:

CH2 C CH2 C

R R'

Y (CH2)i

n p

( ) ( )

COOR'' COO- -

R, R’ = H,CH

3

; Y = gruppo funzionale

L’introduzione dei gruppi funzionali reattivi nella struttura acrilica avviene generalmente attraverso la copolimerizzazione di monomeri acrilici con monomeri funzionalizzati quali ad esempio 2- idrossietil acrilato (HEA) e 3-trimetossisililpropil metacrilato (TSPMA), aventi rispettivamente gruppi idrossilici (-OH) e alcossisilanici (-SiOR) in catena laterale:

CH2 C CH2 C

CH3 H

COO(CH2)3-Si(OCH3)3 COO(CH2)2-OH

TSPMA HEA

A seconda delle caratteristiche dei gruppi reattivi e della natura del substrato, si possono

così avere migliori caratteristiche di adesione, migliori proprietà coesive (in seguito a

(21)

processi di reticolazione del film polimerico) o, addirittura, la possibilità di una modifica funzionale successiva alla formazione del film. In letteratura sono riportati esempi di impiego di copolimeri contenenti TSPMA nella produzione di sigillanti

4

, rivestimenti protettivi per automobili

68

, legno, superfici metalliche e ceramiche

3,13

. Le caratteristiche di reattività dei gruppi alcossisilanici

69

li rendono particolarmente interessanti laddove sia richiesta una reattività ritardata. Essi subiscono una reazione di idrolisi in presenza dell’umidità atmosferica. La reazione di idrolisi avviene mediante attacco nucleofilo dell’ossigeno dell’acqua all’atomo di silicio con formazione di un silanolo (figura 1.5).

\

Si Si

OR

OR OR

OR

OR

OH ROH

H2O +

+

Figura 1.5. Reazione di idrolisi del gruppo alcossisilanico presente in catena laterale di un polimero

La reazione di idrolisi è catalizzata sia da sostanze basiche che acide. In condizioni di catalisi acida la reazione di idrolisi ha una velocità maggiore che però, a differenza di quanto avviene in presenza di basi, diminuisce notevolmente dopo che il primo gruppo alcossilico è stato idrolizzato.

Anche la natura del gruppo alchilico R influenza la velocità di idrolisi, che viene tanto più rallentata quanto maggiore è l’ingombro sterico di R. Infine anche un aumento della temperatura influenza la reazione di idrolisi, provocando un aumento della sua velocità.

Successivamente si ha la reazione di condensazione del silanolo che, in genere, risulta più lenta della reazione di idrolisi (figura 1.6).

La reazione di condensazione può, quindi, provocare la reticolazione nel tempo del materiale polimerico. Nel caso in cui materiali di questo tipo debbano essere applicati su substrati in grado di reagire con i gruppi alcossisilanici contribuendo in questo modo alla adesione, è necessario limitare le reazioni di idrolisi e condensazione prima che il polimero sia applicato.

Apparentemente tale compito sembrerebbe arduo quando tali polimeri siano in dispersione acquosa. In realtà i polimeri reattivi in tale forma risultano di più agevole applicazione rispetto, ad esempio, agli stessi polimeri applicati come soluzioni in solventi organici.

Infatti, in quest’ultimo caso, anche basse percentuali di reticolazione, dovute ad esempio

(22)

all’umidità del solvente impiegato, possono comportare la formazione di un gel inutilizzabile. Invece la compartimentazione e segregazione delle particelle nei lattici polimerici fa sì che gli eventuali gruppi reattivi, pur potendo condurre alla reticolazione all’interno di ogni singola particella, non portino necessariamente alla coagulazione del lattice durante la preparazione o alla sua destabilizzazione durante l’immagazzinamento

70,71

.

Si OR

OR

OR + Si

OR

OR

HO Si

OR

OR

O Si

OR

OR

ROH +

Si OR

OR

OH + Si

OR

OR

HO Si

OR

OR

O Si

OR

OR

H2O +

Figura 1.6. Schema delle reazioni di condensazione del gruppo alcossisilanico

Tuttavia, in considerazione della specifica reattività dei gruppi alcossisilanici, una efficace stabilizzazione richiede non solo l’uso di opportuni tensioattivi, ma anche un adeguato controllo del pH del sistema e condizioni ottimali in cui la concentrazione delle molecole di monomero reattivo nell’emulsione sia abbastanza diluita da evitare il loro facile contatto. In particolare con iniziatori radicalici come il persolfato di ammonio o di potassio, che sono fonte di acidità e quindi favoriscono le reazioni dei gruppi alcossisilanici, è fondamentale l’utilizzo di un tampone, quale bicarbonato di sodio

70

o carbonato di ammonio, che porti il pH a valori compresi tra 7 e 8.

La reazione di idrolisi del gruppo alcossisilanico a gruppo silanolico può essere valutata

quantitativamente attraverso misure gas-cromatografiche (determinazione del metanolo

ibrido) o, limitatamente ai gruppi funzionali presenti sulla superficie delle particelle

polimeriche, tramite misure elettroforetiche

72

; infatti, all’aumentare del pH, i gruppi

silanolici presenti sulla superficie della particella polimerica determinano un incremento

(in valore assoluto) del potenziale ?, fenomeno che non si verifica per polimeri non

funzionalizzati.

(23)

Il grado di reticolazione delle funzionalità alcossisilaniche in film di copolimeri stirene- TSPM ottenuti per polimerizzazione in emulsione acquosa è stato valutato attraverso analisi

29

Si-NMR: la sostituzione di un legame Si-O-R con uno Si-O-Si determina uno spostamento del chemical shift relativo al Si e tale effetto si rafforza se la condensazione riguarda due o tre gruppi Si-O-R

72

.

1.3.2 Polimeri acrilici fluorurati

I polimeri fluorurati sono ampiamente utilizzati come rivestimenti idrorepellenti nell’industria tessile, cartaria, elettronica, conciaria, e nella formulazione di vernici.

Tra le caratteristiche peculiari di tali materiali, quella di maggior interesse per la maggior parte delle applicazioni citate è la bassa energia superficiale e le proprietà che ne derivano come l’oleo/idrorepellenza e il basso coefficiente di attrito. Queste proprietà sono una diretta conseguenza delle deboli forze intermolecolari tipiche delle molecole fluorurate, che ne determinano anche la bassa energia coesiva.

Grazie all’elevata elettronegatività del fluoro, il legame fluoro-carbonio, oltre ad essere molto polare, risulta il più forte tra tutti i legami singoli che coinvolgono il carbonio (119,8 Kcal/mol). Ne segue che le macromolecole fluorurate sono in genere molto stabili, resistenti alle radiazioni UV e in grado di sopportare alti livelli di sollecitazione termica e aggressione chimica. Altri pregi dei polimeri fluorurati sono le eccellenti caratteristiche dielettriche, la trasparenza o, secondo i materiali considerati, la lucentezza e la capacità di ritenzione del colore.

Le resine acriliche fluorurate sono materiali potenzialmente molto interessanti poiché uniscono alla buona flessibilità, elasticità e adesività dei polimeri acrilici le proprietà tipiche dei polimeri fluorurati. Le proprietà di questo tipo di materiali risentono tuttavia in modo drammatico non soltanto dalla quantità di fluoro introdotto, ma anche dalla natura e distribuzione dei gruppi fluorurati lungo la macromolecola.

La presenza del fluoro in catena principale può aumentare sensibilmente la fotostabilità del

film polimerico, ma contribuisce all’irrigidimento conformazionale. D’altra parte, la

presenza del fluoro in catena laterale può confe rire migliori caratteristiche di

idrorepellenza ma non contribuisce altrettanto efficacemente alla fotostabilità del

materiale.

(24)

Studi di assorbimento capillare e di angolo di contatto hanno evidenziato che l’eccezionale efficacia protettiva di copolimeri contenenti unità monomeriche con catene laterali fluorurate lunghe, come quella del 1H,1H,2H,2H-perfluorodecil metacrilato, risulta di breve durata. La diminuzione dell’azione protettiva è presumibilmente dovuta alla regressione delle lunghe catene perfluorurate dall’interfaccia aria-polimero verso l’interno in presenza di acqua condensata. Al contrario, copolimeri contenenti catene laterali fluorurate corte, come quella del 2,2,2-trifluoroetil metacrilato (TFEM), presentano un’efficacia protettiva minore ma più costante nel tempo.

Le caratteristiche sopra elencate sono da attribuire alla struttura chimica della

macromolecola parzialmente fluorurata che può costituire una pellicola protettiva per

applicazione da una soluzione in solvente organico. Tuttavia la formulazione di un lattice

fluorurato, pur comportando difficoltà sintetiche aggiuntive legate alla necessità di

polimerizzare in mezzo acquoso dei comonomeri fluorurati, al contempo idrofobi e

lipofobi, consente di ottenere film con caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle di

prodotti analoghi ma applicati da solvente. Ad esempio Marion et al.

73

e Feret et al.

74

hanno studiato dispersioni acquose di particelle a struttura core-shell, dove la frazione

fluorurata era localizzata solo nel guscio o nel nucleo delle particelle. In tal modo, oltre a

ridurre il contenuto totale di comonomero fluorurato (e quindi il costo del prodotto), è

possibile ottenere film eterofasici con proprietà di massa e di superficie assai variabili in

funzione delle caratteristiche delle singole fasi (T

g

, tipo e quantità di gruppi fluorurati) e

della loro distribuzione nel film polimerico.

(25)

1.4 Sistemi ibridi organici-inorganici

In letteratura vengono frequentemente indicati come sistemi ibridi sia materiali compositi costituiti da polimeri di diversa natura e proprietà, sia veri e propri compositi tra una matrice polimerica ed una fase dispersa inorganica. Nel primo caso essi possono essere ottenuti attraverso la miscelazione di polimeri precedentemente sintetizzati, oppure in un unico stadio in cui i due polimeri immiscibili sono compatibilizzati attraverso la formazione di legami chimici. Tali materiali vengono preparati allo scopo di ottenere nuove proprietà o di combinare, possibilmente in modo sinergico, le caratteristiche peculiari di polimeri generalmente incompatibili, grazie alla creazione di interfacce fortemente leganti.

Veri e propri ibridi si possono tuttavia definire solo quei sistemi costituiti da una combinazione di materiali organici ed inorganici, in cui una delle due fasi è costituita da un polimero organico mentre l’altra è costituita da materiale inorganico (particelle metalliche, silice, ossidi).

Materiali ibridi organici- inorganici con livelli diversi di macro o microorganizzazione, sia naturali che artificiali, sono ben noti quali componenti strutturali, come nel caso di ossa ed altre architetture endo- ed esoscheletriche di origine biologica, cuoio, plastica rinforzata.

Come testimoniato dal numero di articoli e brevetti usciti negli ultimi anni, questi materiali

stanno suscitando un interesse via via crescente nel mondo scientifico ed industriale. Tale

interesse è stimolato dalle proprietà uniche che questi materiali possiedono, spesso

strettamente correlate al ruolo progressivamente più importante giocato dalle forze

interfacciali e dalla chimica di superficie al ridursi delle dimensioni della fase dispersa. Le

proprietà meccaniche

75

, adesive

76

, coesive, elettriche ottiche, fotochimiche, catalitiche e

magnetiche di questi nuovi materiali ibridi sono spesso una combinazione sinergica, se non

totalmente nuova, di quelle dei costituenti. Quindi, polimeri organici o rivestimenti

ceramici con migliore resistenza

77

, elasticità, durezza

78

, resistenza chimica, al calore

79

ed

alle radiazioni, bassa energia superficiale

80

, disponibilità di gruppi funzionali reattivi o

cataliticamente attivi

81

, possono essere prodotti per interpenetrazione

82

, inclusione

83

o

dispersione

84

di un componente inorganico in un polimero organico, dove le interazioni

idrofiliche-idrofobiche e legami coordina tivi o covalenti permettono la stabilizzazione di

fasi incompatibili con una superficie interfacciale estremamente estesa. In definitiva

possono essere ottenuti nuovi materiali che, alle proprietà elettriche, fotochimiche

85

,

(26)

magnetiche, catalitiche

86

, biologiche tradizionali, abbinano le proprietà meccaniche modulabili delle fasi organiche ed inorganiche.

Ulteriori vantaggi sono legati alla possibilità di controllare la forma, la morfologia e la topologia di materiali eterofasici nei quali le dimensioni caratteristiche dei domini segregati spaziano dalle dimensioni macroscopiche a quelle nanometriche. Infatti, è possibile distinguere tra sistemi host-guest, dove ogni componente modifica di fatto l’organizzazione strutturale e morfologica dell’altro, come nei composti di intercalazione, ed i veri nanocompositi, dove le dimensioni della fase dispersa sono tali che ogni componente mantiene le sue proprietà e struttura specifiche pur con alcune importanti caratteristiche fortemente influenzate dalle piccole dimensioni e dalla estesa superficie interfacciale. Ibridi nanostrutturati possono quindi essere visti come nuovi materiali multifunzionali dove le proprietà macroscopiche della fase continua (quando tale fase è identificabile) sono essenzialmente immutate, mentre altre caratteristiche importanti per finalità applicative vengono drasticamente modificate. Infine, una notevole versatilità di questi materiali deriva dalla disponibilità di numerose vie sintetiche per modificare indipendenteme nte i due componenti o per costruire una superstruttura ibrida attraverso introduzione, dispersione o formazione in-situ di composti ad alto o basso peso molecolare, gruppi funzionali o aggregazioni di particelle distinte come nel caso di clusters metallici

87

o strutture chiuse (gabbie nanometriche) di poliorganosilsequiossani. In tal modo possono essere sintetizzati anche materiali strutturati costituiti da una singola fase, come particelle cave e ossidi inorganici mesoporosi preparati a partire da agenti templanti (veri e propri

“stampi molecolari”), dove uno dei componenti dell’ibrido è rimosso selettivamente nell’ultima fase della preparazione

88

.

Una grande varietà di materiali ibridi con struttura controllata a livello nanometrico sta trovando applicazione nei più svariati campi: realizzazione di meccanismi elettronici e optoelettronici

85

, catalisi

89

, rilascio controllato

90

, come fase stazionaria in cromatografia, per membrane semipermeabili

91

e film per l’imballaggio e il rivestimento, come rivestimenti protettivi o primers per superfici inorganiche lisce (ad es. metalliche) o porose

92

(cemento, pietra naturale) o anche come collanti ad alte prestazioni per rivestimenti o coloranti.

Appare quindi chiaro come la definizione di materiale ibrido si applichi ad un’ampia

gamma di sistemi molecolari e macromolecolari, dal polimero non eterofasico, per il quale

la natura ibrida è riferita semplicemente alla presenza di sostituenti o gruppi funzionali di

(27)

natura diversa (precursori di materiali inorganici) rispetto al componente principale, alle superstrutture host-guest, alle dispersioni di particelle inorganiche colloidali in una matrice polimerica.

1.4.1 Materiali ibridi poliacrilati-polisilossani

Recentemente

93,94

sono stati preparati e studiati sistemi ibridi poliacrilati-polisilossani (PA- PSi) in dispersione acquosa. Questi sistemi polimerici sono particolarmente interessanti in quanto potenzialmente in grado di associare le buone proprietà idrorepellenti, di flessibilità, di resistenza termica, di stabilità all’invecchiamento e la bassa tensione interfacciale dei polisilossani, con le ottime proprietà meccaniche, filmanti, coesive e di durabilità conferite dai poliacrilati. Cheng e collaboratori

93,94

hanno studiato l’utilizzo di monomeri vinilici, quali TSPMA e eptametilvinilciclotetrasilossano (VD

4

), come funzionalizzanti dei copolimeri acrilici; i gruppi alcossisilanici -SiOR, o quello ciclooligosilossanico così introdotti permettono in un secondo stadio, o anche contestualmente alla polimerizzazione dei monomeri acrilici, la formazione di legami covalenti con monomeri e/o polimeri organosilanici polimerizzati con processi di tipo cationico (apertura d’anello per D

4

) o attraverso le reazioni di idrolisi e policondensazione dei gruppi alcossisilanici di cui si è accennato in precedenza (§ 1.3) e che verranno discusse più in dettaglio nel paragrafo successivo. Nei loro primi studi

93

gli autori effettuano la copolimerizzazione in emulsione del TSPMA con altri monomeri acrilici in presenza dell’ottametilciclotetrasilossano (D

4

) e di un catalizzatore acido per la policondensazione di quest’ultimo, confrontando vari metodi di aggiunta dei componenti nel corso della polimerizzazione. Tra questi il processo in semicontinuo, in cui una pre- emulsione dei monomeri viene aggiunta lentamente alla miscela di polimerizzazione contenente catalizzatore acido e iniziatore radicalico, fornisce i risultati migliori, ossia un lattice costituito da particelle ibride e non da una miscela di particelle acriliche e silossaniche distinte.

Studi condotti in un sistema analogo, nel quale era impiegato VD

4

come monomero

aggraffante tra i poliacrilati ed i polisilossani

94

, hanno evidenziato un effetto di soglia nelle

prestazioni degli ibridi: superato il 5% in peso dei monomeri silanici D

4

e VD

4

, le proprietà

meccaniche del film peggiorano rispetto al polimero acrilico puro. Tale comportamento,

non evidenziato nei sistemi compatibilizzati con TSPMA, sembra indicare una minore

Riferimenti

Documenti correlati

c) i poteri di cui agli articoli 1, quarto comma, e 1-bis, commi 1 e 4, del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 726, sono esercitati nei confronti dei soggetti indicati dall'

Efficace contro oidio della vite da vino e da tavola (Uncinula necator) e del melo (Podosphaera leucotricha) e delle drupacee (Sphaerotheca pannosa).. Cyflufenamid è il

• E’ possibile iscriversi ad uno dei Corsi di studio post-laurea dell’Università degli Studi di Teramo esclusivamente on-line seguendo la procedura

L’influenza sulla cella obiettivo è diretta se il valore delle celle variabili sono utilizzate come riferimento nella formula presente nella cella obiettivo; è indiretta se il

Questo allarme è implementato sui misuratori di pressione inseriti all’interno del serbatoio e sui misuratori di portata e pressione installati sulla linea di

Questo metodo di calcolare l’inversa , di certo più elegante della tecnica di riduzione, in realtà dal punto di vista calco- lativo richiede in generale un numero maggiore

Il passo in avanti della pronuncia commentata, mosso sul terreno ormai con- solidato della necessità di motivare rafforzatamente in caso di riforma della sentenza, da un

Le ragioni sulle quali si fonderebbe – secondo la menzionata decisione – la violazioni del diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fat- to (art. 7