• Non ci sono risultati.

Stato civile e stato di natura: gli inizi dell'antropologia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Stato civile e stato di natura: gli inizi dell'antropologia"

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

Stato civile e stato di natura: gli inizi

dell'antropologia

Come già accennato nel capitolo precedente, la virtù maggiore di Linné era l'amore per l'ordine e la catalogazione. A conferma di ciò troviamo la lettera che Rousseau gli inviò il 21 settembre 1771, nella quale il filosofo ginevrino elogia lo scienziato svedese per la perspicacia e l'importanza dei dettami morali presenti nella Philosophia Botanica. E, proprio come un “secondo Adamo” (definizione di Albrecht von Haller, medico e poeta svizzero nato nel 1708 e morto nel 1777), Linné ha riportato l'ordine nello stato caotico in cui versava la botanica attribuendo i nomi alle piante e classificandole. Non può quindi stupire il fatto che l'antropologia di Linné sia in un certo senso “naturalistica”, nonostante l'antropocentrismo della sua storia naturale. E, dal momento che Dio aveva creato la natura anche per il bene dell'uomo, questi poteva diventarne il signore anche solo assegnando i vari nomi agli esseri naturali. Ma l'armonia speculare tra l'antropologia naturalistica e la concezione antropocentrica della natura presentava già delle difficoltà quando si trattava l'uomo come essere naturale, era impossibile che queste difficoltà non diventassero maggiori una volta

(2)

analizzato l'uomo in quanto essere politico. Difatti, assegnare all'uomo un posto adeguato nella natura e, contemporaneamente, elevarlo al di sopra di essa, era per Linné già abbastanza difficile, ma sarebbe stato ancora più arduo inserire nel sistema naturale l'uomo in quanto essere sociale (con le sue azioni orientate da finalità intersoggettive). La Nemesis Divina è si una raccolta di casi di vendetta di Dio, ma è anche una trattazione sulle conseguenze dell'agire umano che deve essere vista nell'ambito della fisico-teologia, per la quale fede, morale e vita sociale non sono ancora separate le une dalle altre. La punizione del male non adempie solo ad una funzione morale, ma anche ad una funzione compensatoria, come spiega Derham: «Sometimes those extraordinary Experiences of Mankind may be not only a just Punishment of the Sins of Men, but also a wise Means to keep the Balance of Mankind even»1. E, in maniera non molto dissimile, si

connettono per Leibniz la condanna degli uomini e l'economia della grazia divina.

Messa a confronto con le diverse trattazioni dell'economia e della politica della natura, la Nemesis Divina acquista una particolare peculiarità per il fatto che in essa viene tematizzato non solo l'equilibrio tra le diverse specie, ma soprattutto quello all'interno di un solo genere, quello umano. Difatti la natura esteriore quasi non compare in Linné,

(3)

se non come metro di paragone; il problema che preoccupa Linné è quello della valutazione delle azioni all'interno della società. In ragione di ciò Linné difende il convincimento per cui ogni singola azione umana trova la sua giusta ricompensa o punizione su questa terra, anche solo nei figli o nei figli dei figli dei colpevoli, come accade alla famiglia di un certo Sohlberg: «Sohlberg, inspector of the pumps at Falun, was wealthy. He had made his money by playing the skinflint with the poor miners. There are five sons, quick-witted but with no sense of money, all of them hard-up and in the red. There is no joy for the third generation from ill-gotten gains»2. Linné si guardava bene

dall'ammettere che l'uomo dovesse agire per il proprio vantaggio, sia rispetto agli altri uomini che rispetto alla natura, ma sperava di dimostrare agli uomini che il loro futuro sarebbe stato più roseo se essi si fossero comportati ispirandosi sempre ai principi positivi della cooperazione e della bontà reciproca.

Inoltre, rifacendosi a concetti comuni nel XVII e nel XVIII secolo come quello del “buon selvaggio”, Linné pensava che le popolazioni primitive sparse per il mondo potessero insegnarci, a partire dalla semplicità della loro cultura, molte cose riguardo al modo di vivere in società. E lo stesso modo di pensare pervade l'intera Nemesis Divina: i casi “storici” come quello appena citato furono raccolti e catalogati

(4)

non tanto per utilizzarli a livello teoretico, ma come esempi pratici. Essi, se si guarda bene, non sono basati su delle abitudini o su delle norme, ma sulla capacità individuale di pensare e agire in concrete e specifiche situazioni. Questi esempi di fatti realmente accaduti sono, oltretutto, il diretto corollario del punto focale della teodicea sulla quale è basato questo lavoro, cioè la convinzione che la più immediata consapevolezza dell'uomo riguardo a Dio non derivi da conoscenze etiche o dalla contemplazione della natura, ma dalle costanti riflessioni riguardanti la consapevolezza della nemesi di Dio, intesa proprio come giustizia compensatrice (come Linné non manca mai di ricordare ai suoi lettori): «Nemesis divina is talion, exact retribution»3. Lo stesso

concetto di fondo viene espresso nella storia di Asp, un abile ed apprezzato amministratore di corte che, in seguito ad un incidente con la sua carrozza, riporta una brutta ferita alla testa che gli fa perdere gran parte delle sue capacità mentali. Subito dopo spuntano dei creditori che gli portano via 5000 dollari in oro, mandandolo sul lastrico. Come se non bastasse tutto ciò, pochi giorni dopo questa sventura, prima gli muoiono la figlia e il figlio, poi i due cognati e la suocera perdono tutti i loro averi proprio perché avevano investito sulle capacità manageriali di Asp. Ed ecco come Linné conclude la storia, guardandosi bene dal provare compassione per questa sfortunatissima

(5)

famiglia: «No calamity comes alone. If God intends to punish, no misfortune is to be avoided. It is now in 1769 that God's judgement is being executed upon this familiy. I have not discovered what they have done. I know that God never judges without cause»4. Linné quindi,

rifacendosi anche all'apparente assenza di azioni malvagie nelle società primitive, esalta la capacità punitiva del Creatore e concepisce l'interesse egoistico come qualcosa di assolutamente negativo per l'uomo, una caratteristica tipica della nostra specie contro la quale Dio deve adoperarsi dispensando ricompense e punizioni. Ma non tutti sono d'accordo con questa visione del botanico svedese.

A questo riguardo è ora necessario spostarsi un po' più avanti nel tempo ed esaminare le posizioni di Kant, che definire lontane da quelle linneane pare un eufemismo. In mezzo ai problemi riguardanti il male fisico, quello metafisico e quello morale (che affronteremo più avanti) spunta il male “antropologico”, riguardo al quale Kant si confronterà con le dottrine di pensatori come Rousseau, Mandeville, Smith, Ferguson, Hume. Da un lato, infatti, Kant accoglie il suggerimento di Rousseau quando distingue tra un male ontologico e un male sociale e antropologico: Questo male sociale non è deducibile dal primo perché non è conforme all'ordine del creato, ma rappresenta il prodotto dell'azione di un uomo civilizzato che contrappone un ordine

(6)

artificiale al già presente ordine naturale. Quindi, alla luce di ciò, la teodicea viene a perdere la maggior parte dei propri significati, in quanto è l'uomo stesso l'autore del male, non più Dio. Ma, se le cose stanno così, l'uomo può diventare il salvatore di sé stesso: può realizzare, lottando contro l'ordine esistente, una società che corrisponda all'ordine naturale. Ciò mostra come Kant riconoscesse la necessità di indagare il carattere buono o cattivo dell'uomo in un contesto che non era metafisico, ma che andava a collocarsi sul piano politico.

Dall'altro lato, e qui si fa netto il distacco dalle teorie di Linné, dalle opere di autori come Mandeville, Smith e Ferguson, Kant apprende come il caratteristico egoismo naturale dell'uomo costituisca un movente che conduce alla formazione della società civile. Il fatto che il male contraddistingua l'atteggiamento originario della natura umana, o, meglio, che l'uomo persegua soltanto il proprio soddisfacimento, non è da Kant giudicato moralisticamente come un mero vizio dal quale non può nascere niente di buono. Al contrario, da quest'inclinazione trae inizio un processo di civilizzazione che si manifesta nel sorgere di virtù sociali e di un bene comune. In questo meccanismo gioca un ruolo fondamentale l'autodisciplina che aspira a soddisfare le motivazioni egoistiche in modo più profondo e duraturo.

(7)

Difatti la concezione del male che Kant espone negli scritti di filosofia della storia5 riconosce in esso un carattere di necessità, poiché le

inclinazioni egoistiche producono un'interazione sociale che rende più stabile il godimento stesso: visto che un soddisfacimento immediato del desiderio non produrrebbe effetti durevoli, diventa opportuno che la ragione controlli le inclinazioni per mezzo di un sacrificio da cui deriva pur sempre la soddisfazione di pulsioni egoistiche elaborate dall'interazione sociale. L'uomo sostituisce così all'appagamento tipico dell'animale una compensazione rappresentata dall'onorabilità sociale che, come già aveva sostenuto Mandeville, soddisfa comunque l'orgoglio.

Quindi, dagli studiosi scozzesi ai quali fa riferimento, Kant ricava un modello di spiegazione dell'azione sociale di genere evolutivo. In base ad esso il male antropologico, definibile anche come amore di sé o egoismo, da un lato favorisce l'interpretazione della storia secondo il meccanismo dell'eterogenesi dei fini, per cui le azioni non derivano da deliberazioni razionali ma da comportamenti interessati che originano effetti non previsti e quindi non intenzionali, dall'altro permette la formazione di una società ordinata nella quale è più facile che la 5 Al riguardo si veda gli scritti di Kant: Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in

Scritti di storia, politica e diritto, tr. it. a c. di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 2006; Inizio congetturale della storia degli uomini, in Scritti di storia, politica e diritto, cit; Antropologia dal punto di vista pragmatico, trad. it. a c. di P. Chiodi, Milano, TEA,1995; per una trattazione aggiuntiva può essere utile

confrontarsi con M. A. Pranteda, Il legno storto. I significati del male in Kant, Firenze, L.S Olschki, 2002.

(8)

facoltà della ragione si sviluppi in autonomia rispetto all'istinto, inducendo a sperare nella realizzazione di un progresso verso la moralità stessa.

A proposito di questa tematica del conflitto come spinta propulsiva verso il progresso deve essere anche ripensata la posizione del bene: nel caso specifico del mondo fenomenico della storia il bene rappresenta per Kant un condizione di inerzia e soddisfacimento che ostacola lo sviluppo verso il meglio. La netta distinzione tra il piano morale ed antropologico porta Kant ad affermare che l'etica non si può assolutamente basare su questo principio egoistico; tuttavia concorda con Mandeville nel sostenere che «ciò che noi chiamiamo male, sia morale sia naturale, è il grande principio che ci rende creature socievoli, la solida base, la linfa vitale e il sostegno di ogni commercio e di ogni mestiere, senza eccezione alcuna; è là che dobbiamo ricercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze e nel momento in cui il male cessa la società risulta impoverita, se non totalmente dissolta»6. Come detto, la convinzione che l'uomo sia

fondamentalmente egoista, che il male costituisca quindi il tratto peculiare della sua natura e che egli cerchi soltanto il proprio piacere, rappresenta un primo elemento in comune tra l'antropologia mandevilliana e quella kantiana. L'origine della civilizzazione, secondo i 6 B. Mandeville, La favola delle api, ovvero Vizi privati, pubblici benefici, tr. it. a c. di T. Magri , Roma-Bari, Laterza,1987, p. 266.

(9)

due filosofi, non deriva dalla costruzione artificiale e convenzionalmente accettata del bene comune, ma dall'autodisciplina che realizza le motivazioni egoistiche in modo più profondo e duraturo. Nella società del commercio possiamo vedere che, a volte, il bene viene generato dal male, e ciò si verifica principalmente a causa della ricchezza che le inclinazioni egoistiche incrementano. È principalmente dai vizi che le società traggono la loro ricchezza e, in seguito, la capacità di sviluppare un alto grado di civiltà. Seguendo la strada tracciata da Mandeville, Kant arriva ad ammettere la validità dell'ipotesi dell'eterogenesi dei fini, elaborata anche da Adam Smith: la tesi della invisible hand che avrà grande successo con La ricchezza delle nazioni era già presente nella Teoria dei sentimenti morali del 1759, un testo che Kant conosceva bene. Anche nel pensiero dell'economista scozzese il processo di civilizzazione costituisce il prodotto di un'imposizione dei fini naturali su quelli soggettivi e comporta che questo processo rimanga ignoto al singolo per poter favorire invece l'intero genere umano. Di fatti gli uomini, «nonostante non pensino ad altro che alla propria convenienza e nonostante l'unico fine che si propongono […] sia la soddisfazione dei loro vani ed insaziabili desideri, […] sono condotti da una mano invisibile a fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata

(10)

fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti e così, senza volerlo, senza saperlo, fanno progredire l'interesse della società e offrono mezzi alla moltiplicazione della specie»7. Quindi

anche per Smith la nostra cena non ci è assicurata dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, ma solamente dal fatto che tutte queste figure tengono d'occhio il proprio interesse. L'economista scozzese, grande amico di Hume, aveva riconosciuto subito che la sociologia nascente aveva bisogno di “un'aritmetica morale” che analizzasse il sistema delle azioni umane non più in un contesto di compensazioni (come invece voleva Linné), ma con l'aiuto del calcolo delle probabilità. Sicuramente uno scritto come la Nemesis Divina doveva apparire molto strano e di difficile collocazione già a partire dal XIX secolo, dal momento che si ribellava alle modalità di pensiero che avevano improntato la sociologia fin dal XVIII secolo.

A conferma di questa impostazione si può leggere l'Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, uno scritto del 1784 nel quale Kant esalta l'importanza dell'antagonismo (sia fra individui che fra stati) nella società civile come meccanismo sociale-naturale che produce, nel corso del tempo, autoregolazione. Nella quarta tesi presente in quest'opera il filosofo di Königsberg riprende e aggiorna la tesi aristotelica che vedeva l'uomo come ζῷον πολιτικόν: «Per 7 A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, tr. it. a c. di S. Di Pietro, Milano, Rizzoli, 1995, p. 374.

(11)

antagonismo intendo qui la insocievole socievolezza degli uomini, vale a dire la loro tendenza ad unirsi in società, che tuttavia è congiunta ad una continua resistenza, la quale minaccia continuamente di sciogliere tale società. […] L'uomo ha una inclinazione ad associarsi: poiché in tale stato sente in maggior misura se stesso in quanto uomo, sente cioè lo sviluppo delle sue disposizioni naturali. Ha però anche una forte tendenza a isolarsi: perché trova in sé, allo stesso modo, la proprietà insocievole di voler condurre tutto secondo il proprio interesse, e perciò si aspetta resistenza da ogni lato, come sa di sé che egli, a sua volta, è inclinato a far resistenza verso gli altri». Ed è questo egoismo latente ad aver permesso all'uomo di progredire verso il meglio: «È questa resistenza che risveglia tutte le forze dell'uomo, che lo conduce così a superare la sua tendenza alla pigrizia e, spinto dal desiderio di onore, potere o ricchezza, a procurarsi un rango fra i suoi consoci, i quali non può sopportare, ma di cui anche non può fare a meno. Così si producono i primi veri passi dalla barbarie alla cultura, che consiste propriamente nel valore sociale dell'uomo […]. Senza quelle proprietà – in sé certo non proprio degne d'essere amate – dell'insocievolezza, dalla quale nasce la resistenza che ognuno deve necessariamente incontrare nelle sue pretese egoistiche, tutti i talenti rimarrebbero eternamente racchiusi nei loro germi»8. Insomma, all'armonia di tutto il

8 I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, cit., p. 33. Ovviamente qui la questione del male nel mondo viene affrontata in termini diversi rispetto a quelli propri della teodicea

(12)

creato e all'equilibrio perfetto della natura, tanto sbandierato da orde di scienziati e pensatori, Kant contrappone un meccanismo artificiale creato (inconsapevolmente) per mantenere in costante tensione gli uomini, affinché l'intero genere umano possa progredire costantemente. Un esempio di questo meccanismo si può trovare nel trionfo del male: la guerra. Kant, nelle battute conclusive dell'Inizio congetturale della storia degli uomini, ammette il carattere onnipervasivo della guerra (soprattutto quella d'aggressione). La nostra società è sempre in pericolo (o, meglio, si sente sempre in pericolo) e incanala quasi tutte le proprie forze verso la preparazione al combattimento: «Si deve ammettere che i mali più grandi che opprimono i popoli civilizzati ci vengono dalla guerra, e non tanto da quella che è reale o passata, quanto dagli incessanti e anzi sempre accresciuti preparativi alla guerra futura. In ciò vengono impiegate tutte le forze dello Stato e tutti i frutti della sua cultura […]. Così, allo stadio della cultura al quale l'umanità ancora si trova, la guerra è mezzo indispensabile per condurre questa cultura più oltre; solo dopo il raggiungimento di una perfetta cultura (Dio sa quando) sarebbe possibile avere una pace duratura per noi salutare, e solo grazie ad essa»9.

(là il male antropologico, che qui è il perno centrale del ragionamento, non compare), ma questa trattazione aggiuntiva è necessaria per poter comprendere appieno le posizioni sulla disputa.

9 I. Kant, Inizio congetturale della storia degli uomini, in Scritti di storia, politica e diritto, tr. it. a c. di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 2006, p.114.

(13)

Sempre riguardo al male antropologico c'è un autore che fa da “ponte” tra Leibniz e Kant: Rousseau. Egli era del parere, in accordo con Leibniz, che l'ordine creato non comprendesse il male, e che la causa di esso fosse radicata nell'opera umana. Mantenendosi vicino alle posizioni di Leibniz, l'autore del Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini afferma con sicurezza che la bontà ha costituito il criterio fondamentale seguito da Dio nella creazione del mondo, e nemmeno la presenza del male può ingannarci su questo punto. I disordini nell'ordine naturale sono quindi opera del sistema sociale stabilito dall'uomo, non del sistema naturale. Sia Dio che l'uomo naturale sono da considerarsi estranei alla responsabilità del male: «Gli uomini sono cattivi; una triste e continua esperienza dispensa dal darne la prova; eppure l'uomo è naturalmente buono»10. È

soltanto nelle loro reciproche relazioni che gli uomini producono il male, diventando cattivi. Secondo Rousseau, quindi, il male sarebbe un corollario dell'insocievole socievolezza. Del resto l'uomo civilizzato è anche in grado di vincere questa sua tendenza verso il male acquisita in società, e di realizzare un ordine politico opposto a quello esistente o per mezzo dell'instaurazione di una forma di governo più equa, oppure, nel singolo individuo, per mezzo dell'educazione: questa soluzione politica e pedagogica ebbe una vasta eco su Kant, imprimendo una 10 J.J. Rousseau, Sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini, in Discorsi, tr. it. a c. di R. Mondolfo e L. Luporini, Milano, BUR, 2006, p. 84.

(14)

svolta del tutto originale alle sue meditazioni sulla teodicea.

Riflettendo sugli scritti del filosofo ginevrino, difatti, non solo Kant traspone la questione della teodicea dal piano metafisico a quello morale e politico, ma scopre anche la peculiarità di un male sociale che mette in gioco la responsabilità dell'uomo nella lotta alla sua estirpazione. A partire da qui la nozione di male viene ad assumere in Kant la pluralità di significati che la contraddistingue. Grazie al contributo di Rousseau, Kant arriva a distinguere tra un male ontologico e un male “socio-antropologico” che non è deducibile dal primo perché non è conforme all'ordine del creato e, quindi, non rappresenta la negazione del bene a cui la teodicea contrappone le sue argomentazioni. Ma non è tutto oro quel che luccica. Se da un lato è vero che nella considerazione dei rapporti tra Dio, l'ordine naturale e l'ordine artificiale sia Rousseau che Kant fanno ricadere la colpa sull'uomo civilizzato, dall'altro Kant approda ad esiti diversi nel valutare tanto la funzione dell'opera civilizzatrice dell'intelletto e delle scienze quanto l'idea stessa dell'assoluta bontà naturale. Sarà poi a partire dalle indagini sulla natura umana che Kant rielaborerà la nozione di male sociale che proprio da Rousseau aveva appreso a tenere in considerazione.

(15)

le posizioni di Leibniz sulla questione. Seppure l'autore della Monadologia non abbia mai trattato della questione antropologica, questa caratterizzazione “positiva” del male era già presente nelle battute iniziali della Parte prima della Teodicea, all'interno dei paragrafi nei quali il filosofo di Lipsia stabilisce i confini della sua indagine intorno alla presenza del male nell'universo creato. Alcuni avversari affermarono che sarebbero potuti esistere molti universi senza il male e la sofferenza, ma questa concezione non convince per niente Leibniz: anche se dovessero esistere, sarebbero sicuramente peggiori del nostro se si dovesse prendere come discrimine la presenza di bene e male: «Certo, si possono immaginare mondi possibili liberi dal peccato e dalle miserie […] ma anche questi mondi, peraltro, sarebbero, per quanto riguarda il bene, inferiori al nostro. […] voi dovete giudicarlo con me ab effectu, poiché Dio ha scelto questo mondo così com'è. Sappiamo, d'altra parte, che spesso un male causa un bene, al quale, senza quel male, non si sarebbe mai arrivati. Spesso, anzi, due mali hanno prodotto un gran bene»11. In queste righe possiamo vedere

quindi un'anticipazione degli argomenti che diventeranno fondamentali per poter parlare di positività del male, ovvero la necessità che pervade l'universo intero, una necessità che porta a relativizzare pesantemente il singolo male per poterlo “riscattare” in funzione di un tutto più 11 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Parte prima, p. 159.

(16)

Riferimenti

Documenti correlati

rovegetativa e caratterizzati da stato confusionale, nistagmo verso sinistra, peggioramento dell’afasia, attività parossisti- ca parieto-occipitale sinistra documentata all’EEG,

denziare lesioni cerebrali potenziali causa di SE. L’esecuzione dello studio RM viene di solito pianificata in una fase successiva al controllo farmacologico dello

mento dei tre fattori anzidetti, diamo per l'anno 1871 Ja doppia cifra della popolazione, compresa ed esclusa la provincia di Ro'ma. Come abbiamo già fatto notare più

guerra interna. a cura della Direzione generale di beneficenza e sanità; queste cifre però hanno un carattere provvisorio. Le proporzioni annuali dei matrimoni in

Le maggiori differenze fra i risultati ottenuti dalle tre accennate fonti, che sono, lo ripetiamo, il movimento" dello stato civile, i regìstridi anagrafe

È po'ssibile che fr:a i bambini di stato civile ignoto, che abbiamo compreso nella stessa categoria degli illegittimi non riconosciuti, alcuni siano figli di persone

MOVIMENTO DELIlO STATO CIVILE. civile avvenuto nel 1878, in confronto a quello dégli anllI precedenti, sono compendiati nel seguente prospetto.. IV RISULTATI

Liguria. !a nota alla pag precedente.. Fecondità dei Matrimoni. Non possiamo determinare per via diretta annualmente la media fecondità dei ma- trimoni. In difetto