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Betrayed di George Packer (traduzione integrale del testo)

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Academic year: 2021

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Betrayed di George Packer

(traduzione integrale del testo)

PERSONAGGI

ADNAN giovane sunnita di Baghdad ovest

LAITH giovane sciita curdo di Sadr City

UOMO CHE IMPRECA

SOLDATO soldato di Indiana in servizio alla Porta degli Assassini

DONNA VECCHIO

UOMO COL DISHDASHA

PRESCOTT funzionario di grado inferiore del Ministero degli Affari Esteri da Missouri trasferito all’ambasciata americana a Baghdad

L’UFFICIALEREGIONALEADDETTOALLASICUREZZA responsabile della sicurezza diplomatica all’ambasciata americana a Baghdad

INTISAR ragazza di famiglia irachena laica

FACCIA DA MELANZANA

AMBASCIATORE il funzionario di grado superiore all’ambasciata americana a Baghdad

PRIMO CORRISPONDENTE SECONDO CORRIPONDENTE TERZO CORRISPONDENTE QUARTO CORRISPONDENTE

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SCENA 1

Una buia, libera stanza d’albergo a Baghdad arredata nello stile essenziale dell’epoca baathista. I riflettori si accendono su due iracheni di circa trent’anni seduti di fronte a un reporter invisibile che sembrerebbe seduto tra gli spettatori. Adnan dalla voce carezzevole, riflessivo, appassionato, ma controllato; Laith più emotivo e irrequieto, vestito più alla moda. Vicino a Laith una vecchia valigia Samsonite. Sul tavolo fra i due un piccolo registratore con il LED acceso.

Adnan: Ce l‟hai fatta. Cominciavamo a preoccuparci. Hai avuto dei problemi con la sicurezza dell‟hotel?

Laith: Nemmeno ci ha perquisito. “Siete armati? A posto, andate.” Potrei avere una bomba sotto la camicia! Questo posto non è più sicuro come al tempo in cui c‟era un carro armato americano davanti all‟hotel.

Adnan: Comunque più sicuro di qualsiasi altro posto a Baghdad.

Laith: Perché gli stranieri se ne sono andati e non c‟è motivo di attaccarlo.

Adnan: Volevo offrirti qualcosa da mangiare, ma il ristorante è chiuso. Per un iracheno è una vergogna.

Laith: Mi sa che siamo gli unici ospiti. Il receptionist era molto sorpreso di vederci. Almeno c‟è l‟acqua calda. Non facevo una doccia calda da cinque settimane.

Adnan: Ci credi che casa mia è a cinque chilometri, e mi ci sono voluti tre giorni per arrivare qua? Prima c‟erano gli scontri tra gli americani e al Qaeda ad Amiriya. Hanno decapitato un insegnante nella mia via. Poi sono rimasto bloccato da mia sorella ad Amel perché l‟Esercito del Mahdi stava bruciando le case dei sunniti. Mia sorella è sposata con uno sciita e lui ha dovuto scortarmi fino alla strada per cercare un taxi. Senza di lui mi avrebbero mangiato a colazione. Sai chi sono gli alaasa?

Laith: Sono informatori che se ne stanno tutto il giorno seduti in strada e cercano gente che considerano nemica. Vuol dire “i masticatori.”

Adnan: Abbiamo un nuovo lessico.

Laith (Leggermente imbarazzato) Allora, sei riuscito a farti dare il numero? Ah, shokran, mille grazie. Cos‟è quello? (Digita il numero sul cellulare.)

Adnan (Dopo una pausa, mentre tocca il registratore) Allora…hai detto che volevi sentire tutta la storia, dall‟inizio della guerra. Sembra passato così tanto tempo.

Laith (Con il telefono alzato) Non c‟è campo. Ovvio.

Adnan: Ok, dato che non possiamo offrirti del cibo, ti offriremo la nostra storia. Sei libero di chiederci qualsiasi cosa.

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Adnan: Un‟unica cosa, non scrivere il mio vero nome. Laith: Nemmeno il mio. Chiamami Laith.

Adnan: Perché non scegli un nome più sciita?

Laith: Perché dovrei scegliere un nome più sciita? Perché parlare di sunniti e sciiti? Questa cosa la tiri in ballo spesso in questi giorni! Stai diventando settario.

Adnan: Lo sa che non sono settario, altrimenti lo avrei consegnato ad al Qaeda dato che loro controllano la mia strada. Ma in questi giorni la prima cosa che tutti ti chiedono è “Sei sciita o sunnita?” E se dai la risposa sbagliata – (Fa il gesto di tagliare la gola.) Laith: Non hai ancora scelto un nome.

Adnan: Beh, diciamo Adnan.

Laith: Non molto sunnita! Il suo vero nome sì che è il tipico nome da sunnita.

Adnan: È questo il problema. Devo andare in giro con una carta d‟identità falsa nelle diverse parti di Baghdad.

Laith: A volte mi sento come se stessimo facendo la fila per un biglietto, in attesa di morire.

Fuori si sente il richiamo per la preghiera della sera. Adnan si alza e va a guardare fuori dalla finestra, accende una sigaretta e fuma. Laith gioca con il cellulare, scuotendo nervosamente la gamba. Di tanto in tanto, mentre gioca rifà il numero, inutilmente.

Laith: Sai, quando gli americani sono venuti a Baghdad questo albergo non era così vuoto e buio come è ora. Ogni iracheno che voleva un lavoro veniva qui. I giornalisti erano qui, i soldati erano qui, tutti interagivano liberamente. È dura da ricordare, quante speranze, quanti sogni avevamo, dopo l‟invasione –

Adnan: Ero completamente contrario alla parola „invasione.‟ Ovunque andavo difendevo gli americani e continuavo a dire che l‟America era qui per cambiare le cose. Adesso però ho i miei dubbi.

Laith: Anch‟io.

Adnan fuma, comincia a ricordare.

Adnan: Durante la guerra con l‟Iran, ascoltavo le canzoni americane e guardavo moltissimi film americani. Amavo molto l‟inglese, perché pensavo che imparare l‟inglese significava aprire nuovi orizzonti. Durante il regime di Saddam tutto era proibito. Così prendere in mano un libro inglese significava leggere cose che non trovavi nei libri arabi, specialmente quelli che si vendevano a Baghdad. Ma un libro inglese, allora non capivano, a quell‟epoca erano ignoranti, così un libro inglese poteva passare. Per lo più leggevo libri di filosofia e d‟avventura. Ad essere sincero, persino

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qualche porno. E questo mi è servito molto a migliorare il mio inglese perché è un argomento che ti prende, quindi ti sforzi davvero per capire.

Laith: Tutti pensavano che fosse un po‟ strano. Persino la sua famiglia.

Adnan: Uno degli autori che ho letto – Colin Wilson, un esistenzialista britannico – parla degli “sradicati.” Ho sempre pensato di non fare parte della società. Era un‟esistenza dolorosa. Dopo l‟università non riuscivo a trovare un impiego statale, vendevo sigarette, pezzi di ricambio, vendevo libri a Mutanabi Street. Ma c‟era sempre, sempre quella voce nella mia testa: arriverà quel momento, arriverà il momento giusto, arriverà il cambiamento. Arriverà il mio momento. Non è mio destino vivere e morire così in Iraq. E quando è arrivato il 2003 non potevo credere a quanto avevo ragione. Laith: Una settimana prima della guerra ho visto Adnan dal barbiere. Mi volevo rasare i capelli per il servizio militare. A quel tempo lavoravo in un negozio di computer e pensavo di nascondermi a casa, anziché andare a combattere. Hai presente quel filo che i barbieri usano per togliere i peli piccoli della barba? (Gli fa vedere come.)

Adnan: Gli ho legato il filo intorno al dito. (Laith mostra l’anulare col filo.) Gli ho detto: “Così ti ricorderà di me se muoio in guerra.”

Laith: Ma poi è finito tutto alla svelta. Sono arrivati gli americani e mi hanno salvato. A quel tempo tutti erano talmente felici.

Adnan: Pensa, da un giorno all‟altro puoi dire tutto quello che vuoi su Saddam. Il primo giorno, il nove di aprile, ricordo ancora molto bene il giorno in cui ho visto il primo uomo in mezzo alla strada che imprecava contro Saddam.

L’uomo che impreca entra in scena, malvestito e dall’aria povera; agita una foto di Saddam.

L’uomo che impreca: Saddam, razza di un cane che non sei altro, mi hai distrutto la vita! Mi hai mandato a combattere gli iraniani e vedi cosa mi hanno fatto! (Alza la camicia per mostrare una ferita.) Per cosa poi? Per te? Ora sono vecchio, la mia vita è finita. Ti sputo addosso, ti calpesto la faccia! Possano gli americani prenderti e farti in mille pezzi! Possano ammazzare i tuoi figli e i figli dei tuoi figli per l‟eternità! (Mette la foto in terra e la pesta coi piedi più volte, mentre la luce viene oscurata.)

Adnan: Questa è la nuova vita che prendeva forma davanti a noi. A quel tempo vedere gli americani che fino ad allora avevamo visto solo nei film nelle nostre strade (si sente il frastuono delle jeep blindate e le voci degli americani, “ Salaam aleikum!” “Largo, largo!”) – poter parlare liberamente contro Saddam – e scoprire quell‟avidità nascosta dentro gli iracheni che si mettevano a saccheggiare il loro paese. (Rumore di folla, un assalto) Tutto era impressionante.

Laith: Ho visto Adnan e gli ho detto: “Andiamo al Palestine Hotel. È la nostra occasione!” Ad essere sincero, ho agito per interesse. Volevo solo guadagnare bene e lavorare per una multinazionale di tecnologia. Ma Adnan non ha voluto venire con me. Adnan: È il mio carattere. Mi piace riflettere sulle situazioni prima di buttarmi. A quel tempo tutto era ancora incerto.

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Laith: Così ci sono andato da solo. Ma i militari qui all‟hotel mi hanno detto di andare alla Porta degli Assassini nella Zona Verde. Allora non conoscevo nemmeno il significato di queste parole, Porta degli Assassini, Zona Verde. Erano parole americane. Ci sono andato ed era una situazione davvero folle.

SCENA 2

La Porta degli Assassini, l’ingresso della Zona Verde. Degli iracheni – un vecchio dall’aria confusa; col giubbotto strappato, una donna insistente con un abaya nero – stanno in fila, avanzano lentamente e agitano dei fogli. Parlano in arabo e cercano di attirare l’attenzione del soldato che si sforza di tenere a bada il caos. Il soldato è infastidito, ma non ostile. Laith si mette in coda.

Soldato: Ehi, uno alla volta, uno alla volta!

Donna: Mister, mister, prego! ( Gli mette in mano un foglio e dice qualcosa in arabo.) Soldato (Cerca di leggere, ma è capovolto e lei lo gira.) Cos‟è?

Donna: Ambassador Braymer, Braymer. Soldato: L‟ambasciatore?

Donna: Ambassador Braymer. Soldato: Hai un appuntamento? Donna: Mister, prego!

Soldato (La fa spostare cortesemente e si rivolge al vecchio) Tu perché sei qui?

Il vecchio parla in arabo per dieci secondi, agitando anche lui un foglio. A metà discorso inizia a piangere.

Inglese, bello, tira fuori un po‟ di inglese. Dai, non piangere. Vecchio: No English.

Soldato: Non so proprio che dirti, amico. .

Laith: Vuole scoprire cosa è successo ai suoi quattro figli. Sono scomparsi durante il regime di Saddam. I loro nomi sono su questo foglio.

Soldato: Ehi, bello! Dove hai imparato a parlare così?

Laith: Ascoltando la musica americana. Su Voice of America. Soldato: Figo. Cosa?

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Soldato: Ma vaffanculo! (Si rivolge a qualcuno fuori scena ) Ehi, sergente, questo cazzone di iracheno ha imparato l‟inglese ascoltando i Metallica!

Donna: Mister, prego! Ambassador Braymer! Soldato: Lei cosa vuole?

Laith: Ha una petizione per Bremer. Vuole elettricità, acqua, un lavoro per suo figlio, e vuole che le truppe americane arrestino le bande criminali nel suo quartiere.

Soldato: Sì, come no. Mi ha preso per Superman forse? Laith: No, l‟Incredibile Hulk.

Soldato (Prende il foglio della donna, se lo mette in tasca e le dà una pacca sulla spalla. Lei indietreggia leggermente ) Ok, calmati. Cercherò di dare questo a Bremer. È un uomo impegnato.

Donna: Thank you, mister. Soldato: Non contarci troppo.

Laith si rivolge alla Donna mentre se ne va, ma lei sembra non rendersene conto. E quest‟altro non lo posso aiutare. Io non c‟entro con quello che è successo durante il regime di Saddam.

Laith: Conosco un‟organizzazione che può aiutarlo. (Parla col vecchio in arabo e lo tocca, cercando di rassicurarlo. Il vecchio scuote la testa, si asciuga le lacrime, fa un cenno col capo, e se ne va lentamente ancora visibilmente confuso . )

Senti capo, credi che potrei avere un lavoro nel palazzo?

Soldato: Il palazzo è roba per femminucce e burocrati, bello. Vieni a lavorare con la mia squadra, l‟Alpha Company, gli Assassini. Sai che figata? Facciamo pattugliamenti, blitz, posti di blocco. Ci servono degli interpreti. Come ti chiami?

Laith: Abdel-Aziz.

Soldato: Cosa? Troppo difficile. Va bene se ti chiamo Al? Laith: Certo. Tu come ti chiami?

Soldato: Jason.

Laith: Ci stai se ti chiamo Jassim?

Ridono e dopo un attimo si stringono la mano. È la prima volta per entrambi e se ne rendono conto.

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Solo a titolo informativo, un iracheno che tocca una donna che non è sua parente è considerato maleducato.

Soldato: Ma dai! Insieme ci divertiremo un sacco.

Laith: Anche noi facciamo le stesse brutte cose che fate voi, ma di nascosto. Sono sicuro che dalle tue parti è diverso.

Soldato: In realtà, a Muncie, in Indiana, non ci si diverte molto. Forse è per questo che sono qui. Mai stato in America –

(Si ferma.)

Laith: Mai stato fuori dall‟Iraq.

Soldato: Saddam era un figlio di puttana, vero? (Si rivolge di nuovo a qualcuno fuori scena) Ehi, sergente, credo di aver appena assunto un nuovo interprete. È il massimo. Si chiama Al e va pazzo per il metal!

Laith si rivolge all’intervistatore.

Laith: Così sono diventato un interprete per l‟Alpha Company – gli Assassini. Ad essere sincero mi piaceva. Traducevo documenti, interpretavo durante gli interrogatori, li accompagnavo durante i blitz. Mi trattavano come un amico. Ma non mi stavano a sentire. Questo era il problema. Gli ho fornito informazioni sugli insorti e su dove tenevano le armi. Gli ho dato l‟idea di ricomprare i Kalashnikov e le granate a razzo. Ma non mi sono mai stati a sentire. Non riesco a capire perché.

Anche prima che la situazione diventasse pericolosa avevo deciso di tenere segreto il mio lavoro. L‟ho detto solo ad Adnan e alla mia famiglia. Non era come me l‟ero immaginato prima della guerra. Avrei voluto lavorare per la Apple, la Microsoft o roba simile. Ma era pur sempre un lavoro. Dovevo migliorare il mio inglese. E ho imparato un po‟ di cose sugli americani.

SCENA 3

La Porta degli Assassini. Notte: un riflettore getta lunghe ombre sulla scena. Di tanto in tanto si sente il frastuono dei blindati e delle sparatorie in lontananza. Laith è appoggiato su un muro insieme al Soldato, cercano di ammazzare il tempo.

Soldato: Quindi, tipo, voi non lo fate mai prima di sposarvi?

Laith: Non ti hanno dato delle informazioni prima di venire qui, capo?

Soldato: Nessuno ci ha detto un cazzo nulla. A quest‟ora dovevo essere già tornato a Muncie.

Laith: Secondo la nostra tradizione dobbiamo essere vergini quando ci sposiamo. Naturalmente, alcuni iracheni non fanno testo. Come me per esempio.

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Laith: Ovviamente c‟è un doppio standard.

Soldato: Cosa succede a una ragazza se si trova nei casini?

Laith: Intendi (accentua la battuta in maniera ironica) se “macchiasse di vergogna la sua famiglia?” E i suoi fratelli lo scoprissero? (Fa il gesto di tagliare la gola.) La riempirebbero di botte. La vergogna deve essere “lavata via,” poi risciacquata, e fatta asciugare.

Soldato: Cacchio.

Laith: In Iraq esiste una specializzazione medica che va molto di moda per visitare le ragazze. È qui che entra in gioco la chirurgia ricostruttiva.

Soldato: Per non parlare del sesso orale.

Laith: Esatto. Conosci l‟Ayatollah Sistani? Vai sul suo sito, sistani.org. Consiglia piaceri sostitutivi per i musulmani nubili. È uno di larghe vedute. E poi gli sciiti hanno lo zawaj mutea, il matrimonio provvisorio.

Soldato: Il divorzio?

Laith: Non proprio. L‟imam può combinare un matrimonio tra due persone per un certo periodo di tempo. Potrebbe essere anche un‟ora. C‟è un contratto, la dote, tutto quanto.

Soldato: Come andare da una zoccola, e l‟imam fa da protettore in un certo senso. Laith: Beh, è un compromesso. Gli sciiti non vogliono fare sesso proibito, quindi hanno lo zawaj mutea. Gli semplifica la vita.

Soldato: Ehi, mi fa piacere che siete una banda di ipocriti. Vorrei che ogni iracheno potesse fare sesso sempre. Quei tizi che fanno esplodere gli ordigni esplosivi improvvisati e ci sparano addosso avrebbero bisogno di farsi una bella scopata. Sul serio, la vostra cultura è pericolosa.

Si avvicina un iracheno col dishdasha, sembra arrabbiato. Il soldato prende il fucile e lo tiene in posizione di sparo, mirando ai piedi dell’uomo col dishdasha. L’uomo col dishdasha gli lancia un’occhiataccia e con tono severo si rivolge a Laith in arabo. Laith: Capo, suo fratello è stato arrestato dagli americani la scorsa settimana. Ha girato tutte le prigioni, persino Abu Ghraib, ma non riesce a trovarlo. Dice che suo fratello non ha fatto niente di male, è un importatore di banane.

Soldato (Si avvicina all’iracheno col dishdasha in modo che sono praticamente faccia a faccia) Banane. Questa è bella. Quindi tuo fratello non ha lanciato le granate a razzo sulla mia pattuglia la settimana scorsa? Non ha cercato di far saltare in aria la vettura del capitano Prior? Non ha ammazzato lo specialista Hunter? (L’uomo col dishdasha dice qualcosa di sgarbato in arabo.) Ehi, stronzo, Hunter ha fatto il Basic insieme a me. (L’uomo col dishdasha risponde di nuovo nella stessa maniera. Il soldato si rivolge a Laith.) Chiedigli se ne sa qualcosa.

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Laith traduce la domanda. La risposta è un’ostile scossa della testa.

Soldato: Niente figa? Non te la dà nessuna? Ti scopi il ciuco, testa di cazzo? (Si fissano l’un l’altro.) Traduci, Al.

Laith e l’uomo col dishdasha parlano in arabo, Laith cerca di calmarlo, l’uomo col dishdasha si fa sempre più agitato. Infine fa per andarsene, poi si gira verso Laith e, puntando il dito dice qualcosa di minaccioso. Laith ritorna al suo posto visibilmente scosso.

Cosa ti ha detto? (Laith alza le spalle.) Andiamo, Al, sembrava che avesse appena dato della puttana a tua madre.

Laith: Ha detto: “Perché lavori come spia per gli occupanti? L‟Iraq non è un posto sicuro per i traditori.”

Soldato: Ti ha minacciato? Perché io gli spacco la testa personalmente se mai dovesse provocarti.

Laith: Capo, per noi è un problema. Quelli del partito Baath fanno credere alla gente che gli iracheni come me sono dei traditori; che rilasciamo informazioni false e le donne vengono stuprate. Gli americani dovrebbero trasmettere il loro messaggio in televisione in modo che gli iracheni possano capire. La gente irachena sta a sentire i baathisti nei loro quartieri, ascolta al-Jazeera e la televisione iraniana, e così crede che voi ci state rubando le risorse. Ma dagli americani non sente niente, non riceve niente. Questa cosa è molto pericolosa per te e per me.

Soldato: Il mio contratto non lo prevede, Al. Ehi, il tuo turno è finito un quarto d‟ora fa. Laith (Esitante, mentre sta per andarsene ) Capo, c‟è un problema che forse potresti risolvere. Questa luce ( indica il riflettore in cima alla Porta degli Assassini) – quando vado a casa la mia ombra è visibile da lontano. È pericoloso. Non è che potresti spegnerla finché mi sono allontanato di un centinaio di metri?

Soldato (confuso per un attimo) Non ti preoccupare, amico, sei dei nostri. Un cecchino ti copre per tutto il tragitto. Quello ti centra una mela su quel muro di protezione.

Laith: Fantastico. Buonanotte, capo. (Mentre si allontana, la sua ombra lo precede.) Soldato: Notte, Al. Mi raccomando.

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SCENA 4

La stanza d’albergo. Adnan e Laith seduti come prima.

Laith: Alcune sere dopo ho incontrato uno dei cecchini. Gli ho detto: “Grazie, perché mi proteggi.” “Di cosa stai parlando?” “ Quando esco.” Ha cominciato a ridere. Era solo un trucco per ingannarmi. Sono andato su tutte le furie. Ho cominciato a cambiare la strada del ritorno e variare gli orari di uscita. I soldati non volevano muovere un dito – era più facile. Cosa potevo fare? Andarmene? Altri cento aspettavano dietro di me. Ero ingenuo, credevo che gli americani non ci avrebbero mentito. Eravamo amici, sì, ma loro non si fidavano di noi. Questo è stato il primo colpo basso – fuori nessuno ti guarda le spalle. Sei completamente solo.

Il telefono di Adnan squilla. Risponde e conduce una breve conversazione in arabo. Cerca di calmare qualcuno, sorridendo dolcemente. Riattacca.

Adnan: È il nostro amico Firas da Damasco. Laith: È scappato da Baghdad il mese scorso.

Adnan: Ha avuto questa visione che mi ammazzeranno entro la fine del mese. Vorrebbe che andassi a vivere con lui in Siria. Dice che potremmo vivere di pasta. Gli ho detto che non è il tempo di fare dei progetti. Il problema è la mia famiglia – sono l‟unico che la mantiene. Sono persone semplici, e io sono il primogenito. Morirebbero senza di me. Sai, è stato proprio Firas a procurarmi il lavoro presso l‟ambasciata. Sua madre, la donna che dopo è stata uccisa faceva la segretaria in uno degli uffici, e mi ha detto che stavano cerando iracheni che conoscono l‟inglese. Sono andato per un colloquio alla Zona Verde, e l‟uomo con cui l‟ho fatto era proprio Bill Prescott – quello che tu stesso hai intervistato.

SCENA 5

Un ufficio all’ambasciata. Prescott, un funzionario del Dipartimento di Stato in giacca e cravatta – giovanile, d’aspetto curato, con il badge dell’ambasciata avvolto intorno al collo – seduto dietro una scrivania. Adnan si siede di fronte a lui.

Prescott: Ha qualche esperienza nel campo?

Adnan: Prima della guerra vendevo libri a Mutanabi Street, vendevo pochissimo, giusto per comprare le sigarette come si dice da noi. Della mia laurea non me ne facevo niente. Prescott: Dov‟è Mutanabi Street?

Adnan: È un posto nella città vecchia dove la gente vende libri in terra.

Prescott: La città vecchia…Dio, mi piacerebbe andarci. Suona così…ottomano. Mi ci vorrebbero due carri armati e un permesso dall‟ufficiale regionale addetto alla sicurezza.

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Adnan: È un peccato che gli americani non riescano a vedere la vera città. È una città bellissima – o perlomeno lo era.

Prescott: Dunque, in che modo crede che questa esperienza le sarà utile nel lavoro da interprete nella sezione politica?

Adnan: Intende la vendita ambulante? In nessun modo. In questo modo sprecavo la mia vita. Quando è scoppiata la guerra mi sono detto: Adesso ricomincio a vivere.

Prescott: Quindi la vede come una liberazione? Non come occupazione? Perché il nostro sondaggio rivela una divisione nell‟opinione pubblica irachena.

Adnan: La vedo come un‟opportunità. Solo così. Un‟opportunità per ogni iracheno. La mia esperienza rispecchia quella degli iracheni della mia generazione che guardavano il futuro e non vedevano niente, solo buio. Vivevamo in questa grandissima prigione. So cosa ha provocato tutto questo nella loro testa. Non si può cambiare niente qui senza conoscere questa mentalità. Forse in questo modo potrei esservi d‟aiuto. Sono stato un iracheno per tutta la vita – questa è la mia esperienza nel campo.

Prescott: Non crede che libertà e democrazia siano universali?

Adnan: Non sono abbastanza intelligente per rispondere a questa domanda. Ma so che vi ci vorranno anni per riuscire a capire gli iracheni.

Prescott: Allora ho una lunga strada davanti a me, perché sono qui soltanto da due settimane. Almeno prima ero a Riyadh. (Cerca di parlare un po’ di arabo con Adnan che si finge impressionato e gli risponde.)

Adnan: L‟Iraq, ad esempio, è in parte una civiltà urbanizzata (fa cenno a sé) e in parte beduina. Per questo motivo gli iracheni gridano: noi nel deserto dobbiamo essere ascoltati. La vittoria militare è facile. Ma cosa verrà dopo? Bisogna cambiare quando si viene in Iraq. Anche noi dobbiamo cambiare, per potervi capire, perché non possiamo vivere insieme senza una lingua comune. Voi dovete pagare, e anche io devo pagare. (Pausa – Prescott ci sta riflettendo.) E mi creda, quando imparerà a conoscerli, gli iracheni sono tutti buoni, simpatici e semplici.

Prescott: Questa è l‟illusione che noi americani abbiamo di noi, quindi dovremmo andare d‟accordo. Vede, questa sezione svolge un lavoro estremamente importante e delicato. Facciamo delle relazioni per l‟ambasciatore, e abbiamo a che fare con i massimi esponenti politici iracheni. Il nostro lavoro consiste nel fondare istituzioni democratiche che si adatteranno al contesto iracheno anche dopo che l‟ultimo soldato americano se ne sarà andato.

Adnan: Significa che… Prescott: Congratulazioni.

Adnan: Fantastico. (Allunga la mano dall’altra parte della scrivania.)

Precott: Il dress code è la giacca, la cravatta è opzionale. Dovrebbe passare dall‟ufficiale regionale addetto alla sicurezza prima di andare via. Gli dica la verità e

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andrà tutto bene. (Adnan si alza per andare.) Oh, dimenticavo di chiederle – lei è sunnita o sciita?

Adnan: È importante?

Prescott: Solo per sapere da dove viene.

Adnan: Signor Prescott, sulla parete di casa mia c‟è una scritta: “Sii onesto senza pensare né al paradiso né all‟inferno.” È da lì che vengo.

Prescott: Spero di non averla offesa.

Adnan: No. Solo che non è una domanda alla quale non siamo abituati a rispondere. Non riesce a capirlo dal mio nome? (Prescott imbarazzato, scuote la testa.) Sono sunnita. Abitiamo a Baghdad ovest.

Prescott: Mi sorprende. Pensavo che la maggior parte dei sunniti qui fosse contro gli americani.

Adnan: È bene essere sorpresi. Molte cose in Iraq la sorprenderanno. Ma non farò questo lavoro per gli americani.

Prescott: Perché allora?

Adnan: Per il mio paese. E per me.

Uscendo dall’ufficio Adnan si imbatte in una giovane irachena che sta entrando. Indossa dei pantaloni e una maglietta a maniche corte, è truccata, non porta l’hijab. Dopo un attimo Adnan la riconosce.

Intisar! Cosa ci fai tu qua?

Intisar sembra agiata all’idea di essere vista e mette un dito davanti alla bocca come per dire: zitto. Si siede dove prima era seduto Adnan e il suo colloquio inizia, anche se all’inizio non si sente. Adnan si rivolge all’intervistatore davanti.

Negli anni novanta frequentavamo insieme l‟Università di Baghdad. Intisar era nel mio corso di letteratura inglese. Era una ragazza timida, molto studiosa. Adorava Emily Brontë. Mi ricordo che una volta Saddam ha fatto visita all‟università e lei si è data malata. Non siamo mai stati amici stretti, ma c‟era qualcosa nel modo in cui mi guardava con quei grandi occhi tristi – la sentivo come mia sorella. Lei era un'altra degli sradicati.

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SCENA 6

Adnan va in un ufficio adiacente dove l’ufficiale regionale addetto alla sicurezza, un civile in divisa e polo, pistola sul fianco, lo collega alla macchina della verità. L’ufficiale non è uno che si perde in convenevoli. L’esame al poligrafo si svolge contemporaneamente al colloquio di Intisar.

Ufficiale: Mai fatto prima d‟ora? Adnan: L‟ho visto in un film.

Ufficiale: Il poligrafo misura l‟agitazione. L‟unica cosa di cui preoccuparsi è non mentire. Niente bugie, niente problemi. Metti qui le mani e lì i piedi. Va bene così. Rilassati, prendi fiato. Non chiudere gli occhi. Cerca di non muoverti o deglutire. Cosa hai mangiato a colazione?

Adnan: Pane e tè. (Ricordandosi aggiunge velocemente.) E dello yogurt. Ufficiale: Hai mai mentito ai tuoi genitori?

Adnan: Certo. Chi non ha mentito ai propri genitori? Ufficiale: Solo sì o no. Hai mai fatto sesso con un uomo? Adnan lo fissa.

Prescott: Ha mai lavorato con degli stranieri prima d‟ora?

Intisar: Non c‟era modo di lavorare con gli stranieri sotto Saddam. Prescott: Crede che avrà dei problemi ad adattarsi?

Intisar: Adattarmi a cosa?

Prescott: Beh, voglio dire, la nostra mentalità (sta copiando Adnan) potrebbe risultare un tantino diversa. Specialmente per quanto riguarda le donne. Intendo, a confronto con il mondo arabo.

Adnan: Quando ero più giovane. È una cosa normale.

Intisar: Signor Prescott, sa quale era il mio sogno da bambina? Andare in bicicletta per le vie di Baghdad come i miei fratelli. È lo è ancora. È un sogno semplice. Ma se una ragazza facesse una cosa del genere, verrebbe vista come una pazza. Oppure la milizia le sparerebbe mentre pedala.

Prescott: Potrebbero sparale perché non porta l‟hijab. È successo.

Ufficiale: Sei mai stato coinvolto in un complotto contro gli americani in Iraq? Adnan: Mai.

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Ufficiale: Mai avuto contatti con insorti di qualsiasi genere? Adnan: Abitano nella mia strada, ma io non parlo con loro. Ufficiale: È un sì o un no?

Intisar: È vero. Potrebbero farlo.

Prescott: Ma lei non lo porta. Neanche nel suo quartiere?

Intisar: No. E c‟è della gente dove abito io che mi guarda con l‟odio negli occhi. Uno di loro mi ha detto: “Questa zona è nostra e le nostre regole devono essere rispettate.” Non mi importa. Non mi importa più niente.

Prescott: Sono curioso – perché no?

Intisar: Non voglio fare niente perché sono obbligata. Non lo sopporto. Non voglio farlo. Sono stata costretta a fare molte cose durante il regime di Saddam. Non voglio più farle.

Precott: Molto coraggioso da parte sua, Intisar.

Adnan: Non si può rispondere con un semplice sì o no a questa domanda. È un‟area grigia.

Ufficiale: Questa macchina non riconosce le aree grigie. Mi serve un semplice sì o no. Adnan: Ogni iracheno conosce qualcuno che conosce qualcuno. Ma io li evito. Se sapessero che parlo con lei in questo modo mi ucciderebbero.

Intisar: Non è perché ho coraggio. È perché non ho più speranza.

SCENA 7

La stanza d’albergo. Adnan è seduto come prima insieme a Laith.

Adnan: In quel momento ho pensato di aver perso il lavoro. Ma allora, prima che le cose si complicassero il poligrafo non era così difficile, non come adesso. Una settimana dopo mi hanno chiamato per il briefing sulla sicurezza.

Laith: Quando l‟ho saputo ero così invidioso, volevo ucciderti! Era il mio sogno andare in un ufficio importante tutti i giorni, indossare giacca e cravatta. E in quel periodo il mio lavoro con gli Assassini non andava bene. Non mi fraintendere, il lavoro mi piaceva. C‟era sempre qualcosa di nuovo. E i ragazzi erano alla mano, molto carini. Ma facevano certe cose – tipo non mi davano mai l‟armatura adatta quando andavamo a fare i blitz, solo un giubbotto da quattro soldi che non ti protegge dai proiettili. Oppure mi portavano a fare pattugliamenti nel mio quartiere anche dopo che gli avevo detto che è pericoloso. Ho iniziato a portare una bandana sul viso. Gli americani e gli iracheni iniziavano a perdere la fiducia nei nostri confronti. Gli iracheni non si fidavano più, e gli americani non si fidavano sin dall‟inizio. E tu stai fra l‟incudine e il martello.

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E poi alcuni interpreti che conoscevo sono stati uccisi. Tipo cinque miei amici che lavoravano in diversi distretti sono stati uccisi. Così ho deciso di andarmene, anche se non c‟era altro lavoro.

Adnan: Ti ho detto di fare domanda all‟ambasciata.

Laith: Mi sono messo giacca cravatta e sono andato alla Zona Verde.

Adnan: E perché ti vesti e parli come un americano ti hanno preso. (Laith non può fare a meno di stringere il pugno in un gesto di trionfo ricordandoselo.) E non potrai mai sdebitarti per questo. La tua vita mi appartiene.

Laith: Pensavo che avresti detto perché sono sciita. (All’intervistatore) In realtà, non te l‟ho detto, ma sono uno sciita curdo, un feli curdo. Avrai forse sentito parlare di noi? Siamo una piccola comunità vicino a Sadr City. Se qualcuno mi chiede se sono sciita o curdo io dico di sì.

Adnan: E pensavamo che i nostri sogni si stavano trasformando in realtà.

SCENA 8

L’ambasciata. L’ufficiale addetto alla sicurezza è sul podio e conduce il briefing sulla sicurezza, fa scorrere delle diapositive in PowerPoint sullo schermo dietro a lui. Seduti a guardarlo sono Adnan, Laith (indossa giacca e cravatta), Intisar e Prescott. L’ufficiale addetto alla sicurezza: Le procedure di sicurezza potrebbero salvare la vostra vita o quella degli altri, quindi state bene a sentire. Per i nuovi arrivati fra voi: ci sono dodici posti di controllo intorno alla Zona Verde. Gli americani con i badge blu del Ministero della Difesa possono oltrepassarli tutti. Gli iracheni con i badge gialli possono entrare qui, qui e lì dopo almeno una o probabilmente più perquisizioni e controllo dei documenti di identità. Le parti dell‟ambasciata che vedete evidenziate in rosso sono ad accesso riservato e inaccessibili per chiunque non sia in possesso di un‟ autorizzazione del Ministero della Difesa. In caso di fuoco di mortaio o altro tipo di attacco, sentirete un segnale d‟allarme e sarete evacuati in questo punto vicino alla mensa, poi proseguirete in fila fino a questo bunker sotterraneo. Verranno distribuite maschere antigas insieme a degli aghi ipodermici per l‟autoiniezione di antitossine. Non lasciate i vostri computer incustoditi. Fate sempre il logout prima di lasciare la scrivania, anche se si tratta di pochi minuti. Il cellulare e il badge che riceverete dopo questo incontro sono i vostri oggetti di sicurezza più importanti e vi consiglio di tenerli sempre appresso. Se andate nella Zona Rossa non fidatevi di nessuno che incontrate anche se pensate di conoscerlo, e fate di questo una pratica ferrea. Chiunque provenga dalla Zona Rossa deve essere trattato come una potenziale minaccia.

Adnan, Laith e Intisar si scambiano degli sguardi. Prescott: Non credo intenda voi.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Come forse già sapete, ci sono stati degli incidenti di recente, il kamikaze alla Zona Verde Café, l‟incidente nella dépendance dell‟ambasciata della scorsa settimana. Il nemico sta cercando ogni giorno e in ogni

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modo di penetrare nel perimetro della Zona Verde, e basta che ci riesca una volta sola. È una questione di sicurezza. Domande?

Intisar: Cos‟è la Zona Rossa?

L’ufficiale addetto alla sicurezza: La Zona Rossa è…è tutto quello che c‟è fuori dalla Zona Verde.

Intisar: Intende – l‟Iraq?

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Congratulazioni e benvenuti nella missione americana a Baghdad.

Tutti si fanno gli applausi a vicenda. L’ufficiale addetto alla sicurezza distribuisce i cellulari e i badge che gli iracheni avvolgono intorno al collo con un certo timore. Poi Prescott allinea Adnan, Laith e Intisar per una foto. Sono tutti raggianti.

Adnan fa un passo avanti e si rivolge all’intervistatore.

Adnan: Ad essere sincero, non mi importava se l‟ufficiale addetto alla sicurezza ci considerasse una potenziale minaccia. Il mio lavoro mi piaceva. Mi faceva piacere avere il mio e-mail account ufficiale e la mia posta vocale. Mi piaceva accompagnare Bill Prescott per incontrare il capo di questa moschea o quel partito politico, e poi mi piaceva scrivere le relazioni su questi incontri che anche alcune persone a Washington volevano leggere. Mi piaceva persino questo badge che è diventato un tale problema dopo. Significava che appartenevo a qualcosa, qualcosa di molto grande. Prima della guerra non mi ero mai cimentato in qualcosa veramente, mantenevo un profilo basso e tiravo avanti. Ma quando ho iniziato a lavorare, la prima cosa che ho imparato è stata che potevo far succedere le cose. Correvo di qua e di là, mi sarei quasi ammazzato, mi concentravo su una cosa e non la lasciavo finché non la portavo a termine. È stato allora che ho smesso di aspettare di vivere, e ho iniziato a vivere. E per questo, anche se Bill Prescott aveva le sue debolezze, non smetterò mai di ringraziarlo.

SCENA 9

L’ambasciata. Prescott, seduto dietro alla scrivania, tiene d’occhio lo schermo della televisione che mostra notizie non-stop dall’Iraq e da Washington. Gradualmente il volume della TV viene abbassato, ma lo schermo rimane acceso.

Prescott: Possiamo farlo con la Tv in sottofondo? Non sono veramente autorizzato a parlare con lei, ma vorrei essere d‟aiuto perché secondo me non sempre riusciamo a diffondere molto bene il nostro messaggio, e i media a volte fraintendono quello che stiamo cercando di fare. Mi ha chiesto perché mi sono arruolato come volontario qua. Vede, per sua informazione: vengo da Springfield nel Missouri, mio padre ha una piccola attività legale, sono andato alla Washington University, sono entrato a lavorare al Ministero degli Affari Esteri dopo l‟undici settembre, soprattutto per amor di patria. Credo nell‟eccezionalismo americano – entro certi limiti. Non ciecamente. Sapevo che avremmo commesso migliaia di errori in Iraq, ma sapevo anche che non eravamo qui per il petrolio o la Halliburton. Il Medio Oriente è l‟Europa della mia generazione e io volevo partecipare allo sforzo per cambiare questa zona. E tra l‟altro, è una questione sia di sicurezza nazionale che di valori democratici. È una stronzata dire che gli arabi e i

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musulmani non vogliono la stessa cosa che vogliamo noi. Le persone sono persone, e in questo lavoro vedo tutti i giorni quanto gli iracheni meritino la possibilità di avere una vita normale. Se vorrei che il processo politico andasse più veloce? Sì. Se sono preoccupato per il coinvolgimento dei sunniti? Si. Ma qualsiasi cosa lei pensi del nostro arrivo, le cose stanno così. Il fallimento non è decisamente un‟opzione. E tutti i giorni facciamo qualche progresso.

Voglio che parli con una delle irachene nel mio team. È una persona straordinaria, ha più fegato di tutti noi messi insieme. Il suo nome è Intisar. Sono sicuro che non le dispiacerà se registriamo.

Intisar entra nell’ufficio e si siede, nervosa. È vestita in maniera più conservativa di prima, indossa una camicia a maniche lunghe. Prescott esce.

Intisar: Beh, può citarmi ma senza scrivere il nome. Perché? Perché non è sicuro, mi uccideranno! La vede questa ( fa cenno alla sua camicia a maniche lunghe)? Di solito non mi piace vestirmi così, non d‟estate a Baghdad. Ma non voglio essere notata, specialmente perché non porto l‟hijab. Tengo i trucchi e il profumo nella mia scrivania (li mostra) e mi strucco prima di andare a casa. Una ragazza ha molto da temere al posto di controllo, non se lo può immaginare. L‟opinione comune che hanno gli altri iracheni sulle donne che lavorano nella Zona Verde è, mi scuso per la volgarità, è puttana. È qua per far divertire gli americani. Ci sono delle ragazze che l‟hanno fatto, abbiamo delle foto che ci hanno mandato per e-mail. Io vengo da una famiglia aperta, ecco perché lavoro qui, ma non significa che farò qualcosa di brutto. Quindi mentre sto in fila – sa, a volte ci vuole anche un‟ora o di più, è molto pericoloso – sento gli uomini che dicono cose indecenti su di me. E questi uomini fanno la fila insieme a me!

Vede questi (fa cenno ai badge che ha intorno al collo)? Questo è per la Zona Verde e quello per l‟ambasciata. Per gli americani io non sono nessuno senza questi, ma per gli iracheni sono come un bersaglio che porto collo. Quando vengo a lavorare nascondo questo nella scarpa, e questo da un‟altra parte (ride). La scorsa notte ci sono state sparatorie nella nostra strada – abitiamo in una zona di insorti – e mi sono svegliata pensando: Ok, adesso arrivano, se trovano i badge ammazzano me e la mia famiglia. Dove posso nasconderli? Così li ho messi nel ripostiglio, uno nella tasca di un paio di pantaloni e l‟altro in un altro paio. Sì, loro lo sanno – mia mamma, mia sorella e i miei fratelli, tutti sanno del mio lavoro – ma io non gli dico mai queste cose perché non voglio che si preoccupino. Persino la mattina quando esco di casa pensiamo che forse non ritorno più. Ultimamente la mia famiglia mi supplica di lasciare il lavoro. Ma è l‟unico stipendio da quando è morto mio padre, e poi si tratta della mia carriera.

Nelle ultime settimane sto prendendo delle medicine per i dolori di stomaco. È una cosa incredibile essere un bersaglio tutti i giorni, essere perseguitati, hai la sensazione che la gente ti cerchi di continuo, e tu sei fra loro in mezzo alla strada, non ti nascondi. Pazzesco.

Bill Prescott? È un uomo molto simpatico, ma no, lui non capisce tutte queste cose. Ci incoraggia, ci dice di avere pazienza, che presto le cose andranno meglio. Ma gli americani non possono capire che cosa significa correre questi rischi. Non possono capire.

Prescott rientra nella stanza.

Finito? Alle undici dobbiamo essere al parlamento. (All’intervistatore) Non è fantastica?

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SCENA 10

La Porta degli Assassini. È evidente che la sicurezza è rafforzata, c’è il filo spinato, scritte in rosso in inglese e arabo, e una serie di avvisi, incluso: “Vietato l’uso di cellulari al posto di controllo.” Adnan e Laith fanno la fila insieme ad altri iracheni che stanno aspettando di entrare nella Zona Verde. Il soldato, completamente armato controlla i badge – molto più agitato e aggressivo di prima.

Soldato: Torna a posto! Sì, tu – non tagliare la fila, cazzo! Prescott oltrepassa la linea con facilità con il badge alzato.

Prescott (ad Adnan e Laith) Ehi, ragazzi come va? Ci si vede dentro, sono il ritardo per l‟ambasciatore.

Soldato (Fa un cenno a Prescott dopo un controllo distratto del suo badge) Vada avanti, signore. (A qualcuno nella fila ) Ehi, testa di cazzo, ti ho visto sorpassare! Fuori dalla mia fila!

Il cellulare di Laith suona, una suoneria particolare, forse le prime battute di una canzone dei Metallica. Lo guarda, esita, poi risponde in arabo. Dopo aver ascoltato per pochi secondi, riattacca bruscamente, terrorizzato.

Adnan: Chi era?

Laith: Alaas. Non so come ha fatto ad avere questo numero! Adnan: Il fratello dell‟importatore di banane?

Laith: Dovevi sentirlo.

Adnan: Perché allora usi questo telefono fuori dall‟ambasciata?

Laith: “Ti sto guardando. Hai una maglia a righe. Tu e il tuo amico ciccione siete degli agenti e spie degli schiavi della croce. Questo è il tuo secondo avvertimento.”

Merda, sono morto.

Adnan: Forse non fa sul serio.

Laith: Chiamo Bill. No posso andare a lavorare oggi. Adnan: È quello che vogliono!

Laith inizia a fare il numero di Prescott. Il Soldato lo vede.

Soldato: Ehi, testa di cazzo! Cosa c‟è scritto lì in ben due lingue? (Dà una spinta a Laith, agguanta il suo cellulare e inizia a smontarlo.)

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Laith: Signore, è un cellulare dell‟ambasciata! Sono del Servizio estero degli Stati Uniti! Ho il badge giallo!

Nello stesso istante il Soldato e Laith si riconoscono. Silenzio di tomba fra i due. Soldato: Al! Che cazzo!

Laih: Jason.

Soldato: Cosa ci fai qui? Laith: Lavoro qui.

Soldato: Non ti ho mica riconosciuto. Non lo fare più, ok? Stavo per sfasciarti la testa. Mentre gli ripassa il cellulare, non lontano si sente una terribile esplosione seguita da degli spari e le urla della gente. Tutti si buttano giù, mentre si fa buio in scena.

SCENA 11

L’ufficio all’ambasciata. Adnan, Laith e Intisar sono alle scrivanie. Prescott è seduto sull’angolo di una scrivania.

Prescott: Non credo che ci possiamo fare nulla, ragazzi. L‟ufficiale addetto alla sicurezza controlla la sicurezza e i badge.

Adnan: Non puoi parlare con l‟ambasciatore?

Prescott: Pensate che io possa andare lì e chiederglielo così? Non è che si può occupare anche di questo.

Adnan: Se riuscissi a farci avere dei badge verdi potremmo evitare la fila e farci perquisire dentro.

Prescott: Vi faccio sapere. Non vi prometto niente. Adnan: Ci arrivano delle minacce.

Prescott: Tutti? Anche Intisar? Intisar: Ogni sguardo è una minaccia.

Prescott: Oh, uno sguardo…comunque, non può essere ogni sguardo. Il nostro sondaggio mostra che ben quarantacinque percento degli iracheni sostiene il governo provvisorio che è un alleato degli americani.

Adnan: Tu parli sempre con la gente sbagliata. Prescott (Gli lancia uno sguardo) Cosa vorresti dire?

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Intisar: Tutti ci odiano. Sunniti o sciiti, non importa.

Prescott: Non vi credo. Non tutti vi odiano. Non tutti ci odiano.

Intisar: È diverso. Noi siamo „traditori‟. Ok, ti dico cosa è successo. La sera scorsa stavo andando dal taxi a casa mia dopo il lavoro. C‟è un uomo che sta sempre in strada a vendere le sigarette. Si chiama Abu Abbas. I bambini del quartiere lo chiamano faccia da melanzana. Mi salutava sempre fino alla settimana scorsa. Da allora ha smesso. Non sapevo perché.

Intisar si alza dalla scrivania e si dirige verso la parte buia del palcoscenico. All’improvviso balza fuori un uomo che le blocca la strada.

Faccia da melanzana: Intisar, dove sei stata?

Intisar (Colta di sorpresa, leggermente impaurita) A lavorare ovviamente.

Faccia da melanzana: Strano che una donna abbia un lavoro quando così tanti uomini non riescono a trovarne. Dove lavori?

Intisar (Sta pensando su due piedi) Lavoro per la Royal Jordanian Airways. Vuoi comprare un biglietto per Amman?

Faccia da melanzana: Intisar, Allah lo sa quando diciamo bugie.

Intisar: E sa anche quando diciamo la verità. (Cerca di proseguire ma lui la blocca.) Faccia da melanzana: Dicono che lavori con gli americani.

Intisar: Chi lo dice?

Faccia da melanzana: I fratelli. Dicono che è per questo che non ti copri.

Intisar (Cita dal Corano) “Nella religione non c‟è costrizione.” Se portassi l‟hijab dovrebbe essere per Allah, non per i fratelli o qualcun altro.

Faccia da melanzana: Qua ci sono delle regole. I difensori di questa zona non intendono permettere a una ragazza di andare in giro come fosse una prostituta.

Intisar (Indignata, lo spinge via) Sei tu che hai pensieri osceni. (Avanza e comincia a raccontare di nuovo) Avevo davvero paura. Mia madre mi ha vista in faccia e mi ha chiesto che cosa era successo. Quando gliel‟ho raccontato, ha pianto e ha detto: “Non ti farò più uscire di casa senza l‟hijab.” Stamattina volevo vedere come era. (Sta davanti ad uno specchio e prende una sciarpa. Esitando se l’avvolge intorno alla testa, chiude gli occhi, se la toglie, poi se la rimette di nuovo.) Lo odiavo. Nella mia famiglia ragazzi e ragazze sono sempre stati alla pari. Mio padre andava fiero delle sue bambine. Una volta mi disse: “I vostri fratelli non si coprono i capelli, perché voi dovreste?” Ma io lo farò per la mia famiglia. Pur di tenere il mio lavoro, per strada farò tutto quello che gli estremisti pretendono, solo per proteggere me e la mia famiglia da questo alaas.

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Prescott: E portalo, questo hijab, almeno così gli alaasa ti lasciano in pace. Hai ragione, non ne vale la pena.

Intisar: Ma mi sento come se avessero vinto loro. Adnan: Allora, i badge?

Prescott (Irritato) Ve lo faccio sapere. So che è dura, ma ragazzi, ho bisogno di voi domattina alle otto. (Guarda la TV) Ehi, Condoleezza Rice parla delle elezioni.

Buio sull’ufficio. Luce su Adnan e Laith nella stanza d’albergo.

Adnan: Non ci ha più detto niente sui badge. Era uno di quei tipici „ni‟ ai quali ci siamo abituati.

Laith: Credimi, è molto peggio che prendersi un no.

Adnan: Bill voleva essere nostro amico, ma doveva pensare alla sua carriera, al suo capo, all‟ambasciatore, e non voleva creare dei problemi. Quindi rispondeva con dei „ni‟. E il lavoro continuava, le file alla Zona Verde continuavano, le autobombe continuavano, i gruppi armati continuavano.

Mentre Adnan sta parlando fuori si sentono degli spari. All’inizio non li nota e continua a parlare, poi si rende conto che l’intervistatore è spaventato.

Li hai sentiti? Mi dispiace. Hai paura? Va tutto bene, davvero. Succede di continuo. Laith: Per noi è come il ticchettio dell‟orologio.

Adnan: Ogni settimana diventava sempre peggio, ma all‟ambasciata non succedeva niente. Venire a lavorare la mattina e tornare a casa la sera erano due mondi completamente diversi. Da dentro, vedevamo che gli americani non avevano il controllo. Ma a quel tempo credevo di più nella mia causa. Dicevo che lavoravo per una causa – quindi se dovevo morire, morivo e basta. Tutti gli iracheni sono dei pessimisti – crediamo che se è giunta l‟ora di morire, si muore e finisce lì. Non conosciamo molto i piaceri della vita, quindi morire per noi non è chissà cosa. Morire e sbarazzarsi di una vita miserabile non è un granché. Per te che sei americano, tu potresti andare dovunque, puoi fare quello che ti piace, per te i soldi non sono un problema. Per te la vita è bella! Ma non per un iracheno che non ha corrente, che è sotto minaccia. Quindi sarà forse un bel lavoro lasciare tutto questo e morire?

SCENA 12

L’ufficio dell’ambasciata. Adnan e Laith seduti alle loro scrivanie con sopra la foto scattata dopo il briefing sulla sicurezza. La sedia di Intisar è vuota; il suo hijab è sulla sua scrivania. Per un po’ lavorano al computer in silenzio, di tanto in tanto dando un’occhiata l’uno all’altro, alla porta, all’eterna TV accesa dove scorrono immagini dall’Iraq.

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Laith: Hai sentito cosa ha detto Moqtada? (Adnan non risponde. Laith cita Moqtada in arabo.) Moqtada! Il futuro presidente dell‟Iraq! (Ancora nessuna risposta.) Che ore sono?

Adnan: Perché lo chiedi a me? Guarda il tuo orologio. Laith: Chiamala.

Adnan: L‟ho chiamata quindici minuti fa. Il cellulare è spento. Laith: Forse suo zio è morto. Sarà ai funerali.

Adnan: Sta zitto. È inutile parlare.

Continuano a lavorare in silenzio. Adnan non riesce a concentrarsi. Entra Prescott visibilmente scosso. Adnan e Laith lo fissano.

Prescott: Mi dispiace. Brutte notizie. (Pausa – i due stanno aspettando.) La notte scorsa di ritorno a casa Intisar è stata presa. (Laith continua a fissarlo, ma Adnan ha già capito, e nasconde il viso fra le mani.) L‟hanno portata in giro per Mansour, le hanno rasato la testa, poi le hanno sparato e l‟hanno buttata sulla strada. (Laith emette un lamento, Adnan col viso fra le mani è immobile.) Secondo noi era ancora viva, perché un tassista l‟ha presa. Sembra che lavorasse per loro, perché ha girato per tutta Karkh finché è morta dissanguata sul sedile posteriore. Il tassista si è imbattuto in un posto di blocco americano a Haifa Street ed è stato fermato. Riteniamo fosse Ansar al- Sunna. Mi dispiace tanto.

Adnan non riesce a soffocare un singhiozzo. Laith: Intisar è morta?

Pescott (Anche lui è affranto, con una nuova consapevolezza.) Io – (Adnan alza la testa per guardare Prescott.) L‟ambasciata sta facendo una colletta per la famiglia. (Tocca il suo hijab.) Non so se se lo è dimenticato o cosa. (Adnan lo sta ancora guardando, aspettandosi qualcosa di più.) Ragazzi, vi metto in contatto con l‟ambasciatore. Avrei dovuto farlo prima. Io –

Prescott aspetta il loro verdetto. Esce. Adnan e Laith sono immersi nel dolore più profondo. Poi lentamente ritornano ai computer.

Non c’è niente altro da fare.

SCENA 13

Ambasciata. Ufficio dell’ambasciatore. In un angolo la bandiera americana, i ritratti di Bush e Cheney alle pareti. Prescott, Adnan e Laith sono seduti. L’ambasciatore è un uomo di mezza età in giacca e cravatta amichevole, ma distaccato.

Ambasciatore: Signori, mi dispiace dover fare la vostra conoscenza in occasione di questo tragico incidente. Abbiamo fatto una colletta di ventimila dollari per la famiglia. Inutile dirvi quanto apprezziamo il fatto che siate tornati a lavorare ancora dopo quello

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che è successo. Voi siete gli occhi e le orecchie di questa ambasciata. Non saremmo in grado di svolgere il nostro lavoro senza di voi.

Adnan (dimostrandosi impaziente ai convenevoli) Signore, abbiamo un problema. Ambasciatore: Sono a vostra disposizione.

Laith: Signore, si tratta dei nostri badge. Per la nostra sicurezza.

Adnan: Stiamo mettendo a repentaglio la nostra vita e finora non è stato fatto niente. Ambasciatore: Se è per i badge credo sia meglio parlare con l‟ufficiale addetto alla sicurezza.

Prescott: Ambasciatore, si tratta di trasformare il loro nulla osta sicurezza in – Ambasciatore: Ecco la persona che si occupa dei badge.

Entra l’ufficiale addetto alla sicurezza con pistola e manette. Resta in piedi. L’ufficiale addetto alla sicurezza: Signori?

Prescott: Ci chiediamo se può dare loro badge verdi.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: (Guarda gli iracheni) Hanno il NOS giallo.

Adnan: Dobbiamo fare la fila per ore con tutti gli altri iracheni. Siamo esposti a minacce, alle autobombe, al sole e alla pioggia.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Mm-hmm. Prescott: Col badge verde entrerebbero prima.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Ma sono iracheni.

Adnan: Noi lavoriamo presso l‟ambasciata, veniamo qui tutti i giorni. Siamo del Servizio estero degli Stati Uniti. Siamo facilmente riconoscibili, la nostra collega è stata uccisa.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Vivete nella Zona Rossa, giusto? Questo significa che siete costantemente sotto minaccia. Qualcuno potrebbe scoprire dove lavorate e potrebbe darvi qualcosa da portare qui dentro. È già successo. Ecco perché dobbiamo attenerci a queste procedure.

Laith: Chiediamo solo –

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Se vi cambio il NOS dovrei cambiare anche i badge di altri quattrocento iracheni che lavorano presso l‟ambasciata e l‟USAID. Non lo posso fare.

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L’ufficiale addetto alla sicurezza: In ogni caso, verde significa permesso di portare armi: sì. Questo è un altro problema di sicurezza per me.

Laith: Si fa presto.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Ah sì? Laith: Basta cambiarlo in „no‟ sui nostri badge. L’ufficiale addetto alla sicurezza: Non posso farlo. Laith: E perché?

L’ufficiale addetto alla sicurezza: (Diventa scontroso, irritato.) La sicurezza dell‟ambasciata è mia priorità numero uno. Non intendo metterla a rischio.

Prescott: E la loro sicurezza?

L’ufficiale addetto alla sicurezza: (Lancia un’occhiata ostile a Prescott) È fuori questione che io possa dare loro badge verdi. C‟è altro, signore?

Ambasciatore: Credo sia tutto. Grazie signori. La mia porta è sempre aperta.

Mentre stanno uscendo dall’ufficio Laith dice ad Adnan qualcosa in arabo, Adnan ride. L‟ufficiale addetto alla sicurezza vuole capire.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Fate ridere anche me?

Laith: È solo una cosa che diciamo qui in Iraq. Una specie di proverbio.

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Mi interessano i proverbi iracheni. Li colleziono. Laith: “Stiamo soffiando in una busta bucata.”

L’ufficiale addetto alla sicurezza: Buono questo. Me lo annoto sicuramente.

Prescott (Allontana Adnan e Laith dall’ufficiale addetto alla sicurezza.) Va bene, sentite, lasciamo stare. Siamo tutti sulla stessa barca.

L’ufficiale addetto alla sicurezza esce. Prescott, Adnan e Laith sono in piedi uno di fronte all’altro. Prescott è sbalordito, si vergogna e non se la sente di guardarli negli occhi.

Mi dispiace.

Adnan: Comincio a odiare queste parole. Quasi quanto „sicurezza‟.

Prescott: Non posso credere che non vogliano nemmeno cambiare il vostro NOS. Adnan: Perché siamo iracheni. Intisar era irachena.

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Prescott: Diciamocelo, un badge verde non le avrebbe salvato la vita.

Adnan: Almeno avrebbe saputo che a qualcuno importava se moriva. Cosa ne sa l‟ufficiale addetto alla sicurezza di Intisar? Lo sa che le piaceva Emily Brontë?

Prescott (Dopo una pausa.) Sentite, avete la macchina? Laith: Vecchia, come un malato terminale.

Prescott: C‟è un posto a Baghdad dove potreste portarmi? Adnan: Cosa vuoi dire?

Prescott: Tipo quella via dove vendevi i libri. Adnan. Perché vuoi andarci?

Prescott: È solo che ….sento di dovermene andare da qui. Mi sento come in una vasca di isolamento. Non ho la più pallida idea di cosa diavolo stia succedendo là fuori.

Adnan: Hai i tuoi rapporti di intelligenza.

Prescott: Mi prendi in giro? Il cieco che guida il cieco.

Adnan: È pericoloso a Mutanabi Street. In più sarebbe una violazione della sicurezza. Cosa direbbe l‟ufficiale addetto alla sicurezza? Ti ci vorrebbero due carri armati e la scorta militare.

Prescott: Non glielo dico all‟ufficiale addetto alla sicurezza. Voglio solo sgusciare fuori per qualche ora. Che ne dici del tuo quartiere?

Adnan: Enne- o.

Prescott (a Laith) O il tuo? Laith: Enne-o.

Prescott: Ma santo cielo! Non esiste un posto sicuro in tutta Baghdad? Buio in scena. Laith fa un passo avanti sotto i riflettori.

Laith: Mio zio ha un ristorante a Karrada, dall‟altra parte del Tigri. O almeno ce l‟aveva finché non è stato rapito e la sua famiglia ha dovuto pagare cinquantamila dollari di riscatto. Al momento è un rifugiato ad Amman. Ad ogni modo, era l‟unico posto dove potevamo portare Bill. Abbiamo detto a mio zio che era un operatore umanitario norvegese.

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SCENA 14

Il ristorante. Prescott, Adnan e Laith seduti a tavola con davanti dei piatti di pollo, riso e altre pietanze del Medio Oriente; il resto del ristorante è vuoto. Accanto a loro ci sono dei shisha – narghilè. Musica araba in sottofondo.

Prescott: Che c‟avevano da essere così incacchiati al posto di blocco dopo il ponte? Laith: Erano del Jaish al-Mahdi, l‟Esercito del Mahdi.

Prescott: Erano del Jaish al-Mahdi? Come sapevate che non erano poliziotti? Le uniformi sembravano vere.

Laith: Erano dei poliziotti. E gente del Jaish al-Mahdi. Non hai visto la foto di Sadr? Turno di giorno, turno di notte – sbirro buono, sbirro cattivo.

Prescott: Cosa gli avete detto?

Laith: Che sei il mio amico scemo venuto dal Kurdistan. Prescott: Sul serio? E ci hanno creduto?

Laith: Non sono particolarmente intelligenti. È bastata qualche buona parola su Moqtada.

Adnan: Anche la macchina. Non ci crederebbero mai che in questa macchina c‟è un VIP o uno straniero.

Laith: Sai, Bill, quando ci sono combattimenti a Sadr City dormo in macchina nel parcheggio dell‟ambasciata.

Prescott: Come, dormi in questa macchina? Non potresti prendere una roulotte per la notte? La metà sono vuote.

Laith: Chiedilo all‟ufficiale addetto alla sicurezza. Sicurezza dell‟ambasciata.

Prescott: Al diavolo l‟ufficiale addetto alla sicurezza. Allora cosa altro vi tocca fare, ragazzi? Ditemi tutto. Non risparmiatemi niente.

Laith: Quando vengo al lavoro ho un telefono falso che non uso mai. Nascondo il mio telefono dell‟ambasciata sotto il sedile insieme ai badge.

Adnan: Una volta mentre ero in taxi e tu hai chiamato, ricordi? Ti ho risposto in arabo e ho spento il telefono nel caso tu richiamassi. L‟autista mi ha detto: “Perché hai buttato giù?” Gli ho detto di lasciarmi lontano da casa mia e mi sono girato per vedere se mi stava osservando da lontano.

Prescott: Quindi non avrei dovuto chiamare?

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Prescott: I cellulari e i badge dovrebbero servire per la vostra sicurezza.

Laith: Sono, come li chiamate? Lame a doppio taglio. ( È soddisfatto.) Anche tra noi abbiamo dei nomi in codice nelle agende per tutti i nostri contatti.

Prescott: Perché?

Laith: Per tenerli nascosti ai rapitori.

Prescott: Santo cielo! E se vi minacciassero o vi pestassero di brutto?

Adnan: È quello di cui abbiamo più paura, Bill. Ci sono moltissimi nomi che potremmo dare. E nel mio quartiere al-Qaeda sta diventando davvero forte e impone delle regole. Prescott: Che regole? Raccontami i particolari. Cosa fanno alla gente?

Adnan: Niente blu jeans, niente pantaloni corti, niente donne al volante. Ti minacciano se hai una gomma di ricambio nel bagagliaio, perché secondo loro non credi nell‟aiuto di dio. Hanno ammazzato un uomo che vendeva ghiaccio accanto al mercato della verdura – era molto povero, tutti nel quartiere gli volevano bene – perché, dissero, non c‟era il ghiaccio ai tempi del profeta. Questa è la loro religione.

Prescott: Come mai non le ho mai sentite queste cose?

Laith: Nella mia zona il Jaish al-Mahdi ha il controllo totale. Fermano le macchine per le vie per cercare dei nemici. Ecco perché lascio la giacca e la cravatta all‟ambasciata. Prescott: Non siete più al sicuro con il Jaish al-Mahdi che con al-Qaeda.

Laitah: Per niente.

Prescott: Quindi stiamo perdendo anche gli sciiti.

Laith: Bill, la gente a Sadr City voleva vedere dei progetti concreti. Ho sentito all‟ambasciata delle cifre stratosferiche di budget per fognature che sarebbero state riparate, questa o quella scuola sarebbe stata ristrutturata. Ma nelle strade della mia zona non stanno facendo niente di concreto.

Prescott: (Ironico) Stai cercando di dire che i nostri progetti sono eccessivamente ottimistici? Se mi togli anche questo, amico, non mi rimane nulla! Ehi, è pericoloso andare in giro con voi ragazzi. Stiamo affrontando delle spese impensabili, e facciamo degli sforzi immani per costruire delle mura pazzesche, e voi le state facendo saltare in aria. Rappresentate una minaccia diretta per la morale dell‟ambasciata. L‟ufficiale addetto alla sicurezza dovrebbe starvi alle calcagna.

Adnan: “Mura pazzesche” – Bill, sei un americano di quelli grandi. Sembri quasi un‟altra persona rispetto a quando ci siamo conosciuti.

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Adnan: Eri – come dire – quasi come un neonato. Non immaginavo che al mondo esistessero persone così. È quello che amo dell‟America, ed è lo stesso che potrebbe farmi impazzire. Per un iracheno, vedere una tale innocenza, una parte di noi la ammira. Ci fa vergognare di pensare ai nostri problemi, al nostro odio, come se portassimo qualcosa di impuro dentro di noi. E nello stesso tempo vorremmo prendere questa stessa innocenza per le spalle, scuoterla e urlarle: “Ragiona con la testa! Guarda! Apri gli occhi! Siamo in Iraq!”

Prescott: Allora quale è il mio nome in codice – la parola in arabo per „ritardato‟? Laith: Cosa significa „ritardato‟?

Prescott: Era una battuta.

Adnan: Le battute sono carine. Scherzavamo così tanto. Perché non mangi, Bill? Prescott: Grazie, sono pieno. Dove cavolo è tutta la gente?

Laith: Mio zio ha detto ai clienti che ci sono dei lavori in corso. Prescott: E il personale?

Adnan: Gli abbiamo dato la serata libera.

Prescott: (Calmo, pensieroso.) Ragazzi, non avrei dovuto chiedervi di portarmi qui. Adnan: Ci abbiamo pensato. Abbiamo deciso che ne valeva la pena. Per noi e per te. Laith: Ho sentito una barzelletta la scorsa settimana.

Prescott: Per amor di dio, sentiamola prima di ammazzarci.

Laith: Un soldato americano a Sadr City sta per sparare ad uno del Jaish al-Mahdi, e il ragazzo del Jaish al-Mahdi gli dice: “No, ti prego, nel nome di Imam Hussein!” L‟americano gli chiede, “Chi è Imam Hussein?” “È il nipote del nostro profeta, il nostro grande martire.” “OK,” dice l‟americano, “Ti lascio andare in nome di Imam Hussein.” Una settimana dopo lo stesso americano viene mandato a Fallujah e uno di al- Qaeda lo prende. L‟americano pensa e dice: “No, ti prego nel nome di Imam Hussein!” Quello di al- Qaeda dice: “Cosa? Americano e anche sciita?”, e taglia la testa al soldato.

Prescott: La maggior parte delle barzellette irachene ha a che fare con la decapitazione?

Adnan: La maggior parte ha a che fare con qualche stupido di Fallujah. Come l‟uomo durante la sua prima notte di nozze –

Laith: Questa è proprio haram. Prescott: Allora la dobbiamo sentire.

(29)

Adnan: Chiede a sua moglie di fargli un pompino. “No no,” dice lei, “è contro l‟Islam.” “Ma siamo sposati.” “Non posso, è haram!” “Ti prego!” “OK,” dice lei, “ma solo se ci spalmi il miele.” L‟uomo di Fallujah dice: “Se devo metterci il miele allora il pompino me lo faccio da me!”

Prescott: Dovresti raccoglierle in un libro. Diventerebbe un bestseller in America. (È pensieroso per un istante.) Ehi, cosa volevate dire con questo: ‹Parli sempre con la gente sbagliata›? È quello che avete detto dopo la morte di Intisar.

Adnan (Esitando – vuole veramente entrare nel discorso?) Non tu, Bill. Gli americani in generale.

Prescott: OK. Cosa volevate dire?

Adnan: Tu parli con i politici della Zona Verde e loro ti dicono quello che secondo loro tu ti vorresti sentir dire, e tu confermi a Washington quello che loro secondo te vogliono sentirsi dire, e tutti sono felici e contenti. E la gente irachena continua a morire e a morire.

Prescott: Loro rappresentano i leader che voi stessi avete eletto.

Adnan: Noi non li conosciamo. Li avete portati voi e loro vi stanno mentendo. A loro non gliene frega niente della povera gente irachena. Gli interessano solo i loro affari. Prescott: Quindi con chi dovremmo parlare?

Adnan: Con i vostri nemici.

Laith: Ho qualche contatto con dei ragazzi del Jaish al-Mahdi a Sadr City, gente importante nella sua organizzazione.

Prescott: Come fai a conoscerli? No, non dirmelo.

Laith: Tutti li conosciamo. Uno era mio compagno di scuola alle superiori. Andava pazzo per le moto. Ora porta la barba e il Kalashnikov.

Prescott: Come pensate di avvicinarli?

Laith: Potrei dire che lavoro per un‟ONG. Che si occupa di raccolta rifiuti o qualcosa del genere.

Prescott: Poi?

Laith: Pian piano sarò in grado di scoprire se vogliono incontrare gli americani. Prescott: Non sono disposti a parlare con gli occupanti.

Laith: Alcuni lo sono. Non tutti sono uguali fra di loro. Ma hanno bisogno di un canale. Prescott: Sono d‟accordo, è proprio quello che dovremmo fare. Mi raccomando siate prudenti. Dio mio, state conducendo doppie vite, non è vero?

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