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Academic year: 2021

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(1)

Capitolo 3

Algoritmi numerici: teoria ed applicazione ai problemi di

elettromagnetismo

3.1 Analisi numerica di bobine RF per risonanza magnetica

3.1.1. Metodo del circuito equivalente ed analisi attraverso le leggi di Biot-Savart Le bobine a RF sono solitamente costituite da fili o strip conduttori e da condensatori. Vista la loro relativa complessità strutturale, è spesso difficile poterle analizzare applicando direttamente le equazioni di Maxwell. Per bobine la cui dimensione è una piccola frazione della lunghezza d’onda del segnale d’interesse, si può utilizzare, nell’analisi della bobina, il metodo del circuito equivalente. Come noto, questo metodo consiste nel cercare di modellizzare l’oggetto in esame mediante un circuito elettrico R, L, C (il filo conduttore è modellizzato attraverso un’induttanza) che verrà successivamente analizzato con le ben note leggi di Kirchoff, equazioni alla maglia o ai nodi, ed infine si procede calcolando il campo B1 usando le leggi quasi statiche di Biot-Savart. Questo tipo d’approccio è efficiente e sufficientemente accurato finchè le dimensioni della bobina sono piccole rispetto a quelle della lunghezza d’onda del segnale RF impiegato.

3.1.2. Metodo delle differenze finite e delle differenze finite nel dominio del tempo (FDTD)

In questo paragrafo si farà riferimento ad una bobina a radiofrequenza con distribuzione di corrente cilindrica; in tal caso la corrente nella bobina avrà componente solo lungo l’asse z data da:

φ

φ

) cos

( J0

Jz = (3.1)

(2)

una tale corrente genera un campo elettrico, anch’esso diretto lungo l’asse z. Sotto tali condizioni le equazioni di Maxwell possono essere ricondotte all’equazione (3.2)

z z z k E j J E 2 0 0 2 + = ωµ ∇ (3.2)

dove Ez rappresenta la componente di campo elettrico lungo la direzione z,

0 0

0 = ω µ ε

k è la costante di propagazione nel vuoto con ε0, µ0 rispettivamente permittività e permeabilità del vuoto ed infine Jz è la densità di corrente. Questa equazione può essere espressa in coordinate cartesiane come:

z z z z k E j J y E x E 0 2 0 2 2 2 2 µ ω − = + ∂ ∂ + ∂ ∂ (3.3)

Per risolvere la (3.2) nella regione d’interesse, in primo luogo si suddivide la stessa in piccole aree rettangolari disposte uniformemente a formare una griglia, come illustrato in fig. 3.1. Siano m ed n gli indici delle coordinate dei nodi della griglia: in questo modo ogni nodo potrà essere espresso come avente coordinate x = mx e y = ny.

Fig. 3.1 Metodo delle differenze finite: griglia di scomposizione dell’oggetto.

y x 0 1 2 3 ……. m n . . . 3 2 1

(3)

Attraverso il metodo alle differenze finite, le derivate della (3.3) sono approssimate attraverso le seguenti equazioni:

2 2 2 1 2 1 ) ( ) , ( ) , ( ) , ( x n m E n m E n m E x Ez z z z ∆ − + − + = ∂ ∂ (3.4) 2 2 2 1 2 1 ) ( ) , ( ) , ( ) , ( y n m E n m E n m E y Ez z z z ∆ − + − + = ∂ ∂ (3.5)

e sostituendole nella (3.3) si ottiene:

[

]

[

+

+

]

+

+

+

+

+

+

+

=

)

,

(

)

,

(

)

,

(

)

(

)

,

(

)

,

(

)

(

)

(

)

(

)

,

(

n

m

J

j

n

m

E

n

m

E

y

n

m

E

n

m

E

x

k

y

x

n

m

E

z z z z z z 0 2 2 1 2 0 2 2

1

1

1

1

1

1

2

2

ωµ

(3.6)

La (3.6) descrive un set di equazioni lineari, che possono essere facilmente risolte usando un metodo iterativo, come ad esempio il metodo di Gauss-Seidel. In questo metodo, si pone inizialmente a zero la funzione Ez( nm, ), quindi al primo passo di iterazione si avrà E0( nm, )=0

z , dove l’apice sta ad indicare il numero di iterazioni.

Successivamente si determina il valore della Ez( nm, ) usando l’equazione (3.6), da cui segue che l-esimo passo iterativo è determinato da:

[

]

[

+ + −

]

+ ∆ + + − + + ∆ ∗ + ∆ + ∆ = − − − − − ) , ( ) , ( ) , ( ) ( ) , ( ) , ( ) ( ) ( ) ( ) , ( n m J j n m E n m E y n m E n m E x k y x n m E z l z l z l z l z l z 0 1 1 2 1 1 2 1 2 0 2 2 1 1 1 1 1 1 2 2 ωµ (3.7)

Questa procedura viene ripetuta fintanto che non si raggiunge la convergenza, ovvero il valore di Ez( nm, ) resta costante o non varia significativamente. Una volta ottenuto il

(4)

valore del campo elettrico, il campo magnetico al centro d’ogni pixel della griglia può essere calcolato usando la seguente differenziazione:

y j n m E n m E n m E n m E n m B z z z z x ∆ − + − + + + + = = + +

ω

2 1 1 1 1 2 1 2 1 ) , ( ) , ( ) , ( ) , ( ) , ( (3.8) x j n m E n m E n m E n m E n m B z z z z y ∆ − + − + + + + − = = + +

ω

2 1 1 1 1 2 1 2 1 ) , ( ) , ( ) , ( ) , ( ) , ( (3.9)

Il metodo alle differenze finite può essere applicato anche nel dominio del tempo per risolvere le equazioni di Maxwell sia per il campo elettrico, sia per il campo magnetico. Il metodo risultante è chiamato delle differenze finite nel dominio del tempo (FDTD, ovvero Finite-Difference Time-Domain). Si consideri nuovamente un problema nelle due dimensioni con una sorgente di densità di corrente J = Jzzˆ. Le equazioni di

Maxwell per tale problema possono essere ridotte alle equazioni:

t H y Ez x ∂ ∂ − = ∂ ∂ 0 µ (3.10) t H x Ez y ∂ ∂ − = ∂ ∂ 0 µ (3.11) z z z x y E J t E t H t H + + ∂ ∂ = ∂ ∂ − ∂ ∂ σ ε (3.12)

Per risolvere tale sistema di equazioni è necessario, esattamente come nel metodo precedente, racchiudere l’area d’interesse in un rettangolo e suddividere la stessa uniformemente in piccole celle rettangolari, ancora una volta a formare una griglia come mostrato in fig. 3.2(a). Il centro di ogni cella è indicato attraverso la coppia di indici interi (i,j). Come mostrato in fig. 3.2(b), si assegna l’incognita Ez al centro della

cella, l’incognita Hx al lato orizzontale del rettangolo, e l’incognita Hy al lato

(5)

Fig 3.2. FDTD: (a) griglia di scomposizione oggetto, (b) singola cella.

Scrivendo ora le derivate sotto forma di differenze finite otteniamo:

t j i H j i H y j i E j i E xn n x n z n z ∆ + − + − = ∆ − + ) ( , ) + ( , )(, ) , ( 21 12 0 2 1 2 1 1

µ

(3.13)

(6)

[

(, ) ( , )

]

) , ( ) , ( E i j E i j y t j i H j i H n z n z n x n x + − ∆ − + = + − + 1 0 2 1 2 1 21 2 1 µ (3.14)

nella quale t∆ denota l’intervallo di tempo e l’apice indica l’istante di tempo. Ad esempio se l’apice è n allora il tempo associato sarà pari a t = nt. Analogamente a quanto fatto per la (3.14), dalle equazioni (3.11) e (3.12) otterremo:

[

(

,

)

(

,

)

]

)

,

(

)

,

(

E

i

j

E

i

j

y

t

j

i

H

j

i

H

ny ny zn

+

zn

+

=

+

− +

1

0 2 1 2 1 21 2 1

µ

(3.15)

[

]

[

+

]

+

+

+

=

+ − + + + +

)

,

(

)

,

(

)

,

(

)

,

(

)

,

(

)

,

(

)

,

(

*

)

,

(

)

,

(

j

i

J

j

i

H

j

i

H

y

t

j

i

H

j

i

H

x

t

j

i

E

j

i

j

i

j

i

E

n z n y n y n y n y n z n z 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 2 1 1

1

α

β

(3.16) dove

2

σ

ε

α

=

t

,

2

σ

ε

β

=

t

.

3.1.3 Il metodo degli elementi finiti

Il metodo alle differenze finite, appena presentato, è sufficientemente semplice da implementare, ma poiché esso divide la regione d’interesse in celle rettangolari, spesso non è in grado di modellare accuratamente le geometrie, arbitrarie, dei conduttori in esame. Per ovviare a tale problema si può ricorrere al metodo degli elementi finiti (Jin 1993), il quale suddivide la regione d’interesse in aree triangolari che per la loro forma arbitraria possono descrivere con maggiore accuratezza qualsivoglia geometria. In questo paragrafo descriveremo brevemente la procedura che si trova alla base del metodo sovradescritto. L’equazione (3.2) può essere scritta come:

(7)

f

k

=

+

φ

2

φ

0 2 (3.17) dove

φ

=

E

z e

f

=

j

ω

µ

0

J

z.

Nel metodo degli elementi finiti, invece di risolvere direttamente l’equazione (3.17), si cerca una soluzione moltiplicando la stessa con delle funzioni peso ω( yx, ), ed integrando l’equazione risultante su tutta la regione d’interesse:

[

]

ω

(

x

,

y

)

φ

(

x

,

y

)

+

k

φ

(

x

,

y

)

dxdy

=

ω

(

x

,

y

)

f

(

x

,

y

)

dxdy

2 0

2 (3.18)

Ricorrendo all’uso del primo teorema scalare di Green si ottiene:

(

+

)

=

dxdy

C

n

dl

φ

ω

φ

ω

φ

ω

2 (3.19) L’equazione (3.18) può anche essere scritta come:

[

]

dl

f

dxdy

n

dxdy

k

C Ω Ω

=

+

ω

φ

2

ω

φ

ω

φ

ω

0 2 (3.20)

Come detto il primo passo del metodo degli elementi finiti è di suddividere la regione d’interesse in piccole celle triangolari, chiamate elementi (fig. 3.3). Si assegni un valore di campo elettrico ad ogni nodo interno alla regione designandolo con

φ

i, dove i è l’indice del nodo. Si assuma poi che il campo all’interno d’ogni elemento sia un’interpolazione lineare del campo presente ai tre nodi che delimitano l’elemento stesso; successivamente il campo dell’intera regione d’interesse può essere espresso come: =

=

N i i i

y

x

N

y

x

0

φ

φ

(

,

)

(

,

)

(3.21)

(8)

dove N indica il numero totale dei nodi presenti e

N

i

( y

x

,

)

è chiamato funzione di espansione o base associata al nodo i. Una rappresentazione di

N

i

( y

x

,

)

è data in fig. 3.4 dove

N

i

( y

x

,

)

è non nullo solo all’interno degli elementi direttamente connessi al nodo i, quindi questa funzione vale 1 al nodo i e decresce a zero nei nodi vicini.

Fig. 3.3. Metodo degli elementi finiti: suddivisione dell’oggetto attraverso celle triangolari

Sostituendo la (3.21) nella (3.20) si ottiene:

[

]

= Ω

=

N

N

k

N

N

dxdy

N

i

f

dxdy

N j 1 i i j i j 2 0

φ

(3.22)

(9)

i N j ij j

b

K

=1

=

φ

(3.23) dove

[

N

N

k

N

N

]

dxdy

K

ij i j i j

=

2 0 (3.24) Ω

=

N

f

dxdy

b

i i (3.25)

L’equazione (3.23) definisce un set di equazioni lineari che possono essere risolte con uno qualsiasi degli algoritmi standard. Dalla loro soluzione si ottiene il valore di

E

z per ogni nodo dal quale si può ricavare il valore di campo magnetico attraverso le equazioni di Maxwell.

(10)

3.1.4 Il metodo dei momenti (MoM)

Il resto di questo capitolo sarà dedicato interamente a questo metodo, poiché è la procedura successivamente utilizzata per le sperimentazioni. In questo paragrafo quindi, si mira a motivare l’esigenza di un metodo alternativo a quelli esposti, i quali sembrano già esaurire le richieste di progettazione di bobine a RF.

Tradizionalmente, la simulazione di bobine RF è implementata attraverso il modello DC basato sulle leggi di Biot-Savart, il quale permette tempi computazionali brevi, ma necessita, come base di partenza dell’analisi, che sia nota la distribuzione di corrente sulla bobina, condizione, in generale, non facilmente raggiungibile sia in fenomeni di risonanza in elevati campi magnetici, sia in bobine dalle geometrie complicate. Nonostante questo, il limite più stringente di questo metodo sta nella sua natura di metodo quasi-statico, che lo rende applicabile, e quindi efficiente, solo per bobine la cui dimensione è una piccola frazione della lunghezza d’onda del segnale. Per bobine per le quali tale condizione non è soddisfatta, l’utilizzo di tale metodo porta ad errori significativi.

Riguardo agli altri metodi numerici sopra descritti, essi riescono a dare sofisticate simulazioni dei campi generati dalle bobine a RF, ma spesso comportano un alto carico computazionale, ovvero un’elevata complessità che implica necessariamente lunghi tempi di simulazione.

In questo capitolo e nei successivi verrà proposto un approccio basato sul metodo dei momenti, con la scelta di utilizzare come funzioni base e peso delle funzioni triangolari, il che permetterà una buona convergenza del metodo, unita ad una non elevata complessità computazionale. Questo si va ad aggiungere ai vantaggi tipici del metodo, e quindi la capacità di simulare sia nel dominio frequenziale che spaziale, partendo da semplici informazioni circa la geometria della bobina e la tensione applicata. Il metodo dei momenti non è solo un metodo AC che tiene in considerazione le proprietà armoniche e temporali del campo elettromagnetico considerando anche la distribuzione di corrente sulla bobina, ma esso contempla anche un significato fisico delle proprietà elettriche della bobina. Questo porta, con un accettabile carico computazionale, a quantificare le caratteristiche delle bobine RF divenendo efficace strumento per la progettazione delle stesse.

(11)

3.2 MoM: teoria generale

In questo paragrafo discuteremo di una procedura generale per la risoluzione di equazioni lineari, chiamata metodo dei momenti (MoM). Si consideri l’equazione non omogenea

g f

L( )= (3.26)

dove L è un operatore lineare, g rappresenta il termine noto (tipicamente (⋅) l’eccitazione), mentre f è la funzione incognita da determinare.

Lo scopo del metodo dei momenti è di ricondurre l’equazione da risolvere in forma matriciale, in modo da poter essere risolta tramite i metodi noti, e soprattutto affinché possa essere gestita facilmente da un calcolatore.

Si passa quindi ad espandere la funzione f in una serie di funzioni base, anche dette di espansione, f1, f2,..., fN nel dominio dell’operatore L come segue (⋅)

n N n n f f = ⋅ =1 α (3.27)

con n opportune costanti.

Per ottenere la soluzione esatta, la sommatoria deve essere fatta su un numero infinito di funzioni, le quali così formano un set completo di funzioni base. Per assicurarsi una soluzione approssimata, basta troncare la sommatoria su di un numero finito di funzioni. Sostituendo la (3.27) nella (3.26), e sfruttando la linearità dell’operatore L , si ha: (⋅)

) ( ) ( ) ( 1 ! = = • = • = n n n n N n n n f L f L f L α α (3.28)

Si definiscano inoltre, nel codominio dell’operatore L(⋅), M funzioni di peso, anche dette di test, w1,w2,...,wM. Nel caso in cui si scelga wm = fn, si parla di ‘metodo di Galerkin’. Successivamente si definisca un prodotto interno f ,g fra le due funzioni f e g, il quale deve soddisfare le seguenti proprietà:

(12)

f g g f, = , h g g f h g f + , = , + , ( e scalari) 0 ,f > f se f ≠0 0 ,f = f se f =0

e deve avere una espressione adeguata al problema da analizzare. Una possibile scelta del prodotto interno è la seguente:

• = S dx x g x f g f, ( ) ( ) (3.29)

rappresentando s il dominio di esistenza di f(x) e g(x).

Si esegua ora il prodotto interno della (3.28) con ogni wm. Il risultato è:

g w f L w f L w f L w N m n n m n N n n n m m, ( ) , ( ) ( ) , 1 1 = • • = • = = = α α (3.30)

con m=1,....,M . Questo set di funzioni può essere scritto sotto forma matriciale:

[ ] [ ] [ ]

lmn • αn = gm (3.31) in cui

[ ]

lmn = . ... ... ) ( , ) ( , ... ... ... ... ... ... . ... ... ) ( , ) ( , . ... ... ) ( , ) ( , 2 1 2 2 1 2 2 1 1 1 f L w f L w f L w f L w f L w f L w M M (3.32)

[ ]

αn = N

α

α

α

. 2 1

[ ]

gm = g w g w g w M, . , , 2 1 (3.33)

(13)

Se la matrice

[ ]

lmn è non singolare allora esiste la sua inversa

[ ]

1 −

mn

l , ed in questo caso i coefficienti n sono dati da:

[ ] [ ] [ ]

n = lmngm

−1

α

(3.34)

Noti questi coefficienti possiamo risalire alla soluzione del problema tramite la (3.27). Per ottenere un’ espressione compatta del risultato si definisca la matrice

[ ]

fn

[

f ,f ,...fN

]

~ 2 1 = (3.35) e si scriva quindi

[ ]

fn

[ ]

n

[ ]

fn

[ ] [ ]

lmn gm f = ~ •

α

= ~ • −1 • (3.36)

Questa soluzione può essere esatta o approssimata a seconda delle funzioni base fn e

peso wm scelte.

Se la matrice

[ ]

lmn è di ordine infinito, essa potrà essere invertita solo in alcuni casi particolari, ad esempio quando è diagonale; se le funzioni base fn e di peso wm sono in

numero finito, tale sarà anche la dimensione della matrice.

Per la risoluzione di ogni singolo problema, è di fondamentale importanza la scelta delle funzioni fn e delle wm. Le fn dovranno essere linearmente indipendenti e scelte affinchè la loro combinazione approssimi bene la soluzione del problema; inoltre devono essere tali da minimizzare i tempi di calcolo della matrice

[ ]

lmn e minimizzarne

la dimensione, ed in ogni caso ottenere che la stessa matrice sia ben condizionata. Anche le funzioni peso wm dovranno soddisfare alcune proprietà: anch’esse devono essere linearmente indipendenti, essere scelte in modo tale che il prodotto interno

g

wm, sia indipendente dalle proprietà intrinseche della funzione g, ed ovviamente devono esser tali da minimizzare i tempi di calcolo del vettore

[ ]

gm .

(14)

3.2 Point matching

La valutazione degli elementi della matrice lmn = wM,L(f2) nella (3.32) spesso può

risultare difficile o numericamente lenta, quando si applica il metodo dei momenti a problemi di interesse pratico. Per semplificare tale calcolo, ed ottenere una soluzione approssimata, si può procedere richiedendo che l’equazione (3.27) sia soddisfatta in punti della regione di interesse precedentemente discretizzata. Questa procedura è chiamata metodo del point-matching, e se applicato al metodo dei momenti, equivale ad usare delle funzioni di Dirac come funzioni di test wm.

3.3 Metodo delle sottosezioni

Un’altra utile approssimazione nella risoluzione dell’equazione (3.26) è il metodo delle sottosezioni, il quale consiste nella scelta di funzioni base fn, ognuna delle quali è

definita solo su una sottosezione del dominio dell’operatore lineare L(⋅). In questo modo ogni coefficiente n dell’espansione (3.27) influisce sull’approssimazione di f

solo su una sottosezione della regione di interesse. Attraverso questa procedura, spesso si arriva non solo ad una semplificazione del calcolo degli elementi della matrice, ma anche ad una riduzione delle sue dimensioni.

Ci sono problemi per la soluzione dei quali è consigliabile utilizzare i metodi delle sottosezioni o del point metching non esclusivamente, ma contemporaneamente.

Nel caso in cui il dominio della funzione f sia monodimensionale, definiamolo ad esempio x, applicare il metodo delle sottosezioni equivale a scomporre lo stesso in sub-intervalli,

[

xn1, xn

]

con n = 1,..., N, ciascuno di ampiezza d, su ognuno dei quali viene definita una funzione di base. Tipiche funzioni di base sono le funzioni rettangolari (3.37) o triangolari (3.38) o altre ancora come mostrato in fig. 3.5.

(

)

(

1

)

2 1 1 2 1 0 1 ) ( + > + < = N x N x x R (3.37)

(15)

(

)

(

1

)

1 1 1 0 ) 1 ( 1 ) ( + > + < + ⋅ − = N x N x N x x T (3.38)

3.4 Metodo dei momenti: interpretazione geometrica

Solitamente non si nota come in realtà il metodo dei momenti sia un metodo variazionale. Si può dimostrare, ad esempio, che il caso particolare del metodo di Galerkin (wm = fn) altro non è che il metodo variazionale di Raleygh-Ritz.

Cerchiamo ora di dare un’interpretazione geometrica del metodo dei momenti, utilizzando il concetto di spazio lineare. Siano S

{

L( f)

}

, S

{

L(fn)

}

e S

{

L(f(wm)

}

rispettivamente i domini della funzione incognita, delle funzioni base e delle funzioni peso, trasformati dall’operatore lineare L(⋅); il metodo dei momenti uguaglia la proiezione di L( f) sullo spazio S

{ }

wm , con quella di una sua approssimazione

n n n

f L( )

(16)

Fig. 3.5 Funzioni base tipiche del metodo delle sottosezioni

Fig. 3.6 Rappresentazione del metodo dei momenti nello spazio funzionale errore

{

L

( f

)

}

S

{

L(fn)

}

S

{ }

w

m

S

Proiezione L(f) L(f) approssimata L(f) esatta a) Punti e sub-intervalli b) Funzioni rettangolari c) Funzioni step

e) approssimazione lineare a tratti d) Funzioni triangolari

(17)

Nel caso particolare del metodo di Galerkin si avrà S

{ }

wm = S

{ }

fn . Poiché il processo

di proiezione minimizza l’errore, il metodo dei momenti può essere visto come una procedura di minimizzazione dell’errore.

3.5 Formulazione di problemi di antenna e reirradiazione attraverso metodo dei momenti

In questo paragrafo considereremo antenne filari e irradiatori di forma arbitraria. Innanzitutto è bene precisare la differenza fra un’antenna ed un irradiatore, che sta nella posizione della sorgente: se la sorgente è posta sul corpo dell’oggetto si parla di antenna, se invece la sorgente di campo si trova lontana dal corpo dell’oggetto si ha un problema di reirradiazione. In ogni caso, ai fini dell’analisi dell’oggetto quando questo è immerso in un campo esterno, possiamo considerare i due casi senza fare distinzione. La soluzione si ottiene applicando il metodo dei momenti, ed una descrizione efficiente del procedimento può essere fatta in termini di parametri generalizzati di una rete. Per ottenere una soluzione dei problemi di antenna ciò che si fa è considerare l’antenna filare stessa come costituita da N segmenti uniti fra loro. Gli estremi di ogni segmento rappresentano una coppia di terminali nello spazio, e queste N coppie di terminali vanno a formare una rete ad N porte. Di questa rete si può calcolarne la matrice delle impedenze utilizzando la sovrapposizione degli effetti, quindi applicare ad ogni porta alternativamente una sorgente di corrente, e calcolare la tensione a vuoto di tutte le porte (

I V

Z = ). Successivamente si procede computando la matrice delle ammettenze, invertendo quella delle impedenze, e quindi, una volta che questa sarà nota, sarà altrimenti nota anche la distribuzione di corrente su ogni segmento per ogni tensione applicata (ovviamente al variare dell’eccitazione varierà anche la distribuzione di corrente sull’antenna). Passiamo ora a descrivere formalmente quanto detto. Siano Ei,

i

H il campo elettrico e magnetico incidente; Es, Hs il campo elettrico e magnetico

reirradiato (nel caso di irradiatori) o irradiato (nel caso di antenne) dovuto alle densità di corrente e di carica impresse dal campo incidente. Dalla somma delle due componenti si

(18)

ottiene il campo totale, rispettivamente elettrico e magnetico, in un generico punto dello spazio: s i s i E H H H E E= + , = + (3.39) L’obiettivo è perciò quello di determinare la densità di carica e di corrente J al fine di

ottenere i campi Ei, Hi, Es, Hs , noti i quali si può risalire al campo totale E ed H.

Fig. 3.7 Rappresentazione del corpo conduttore S nel sistema di riferimento x,y,z. Sono inoltre indicati i vettori r, congiungente l’origine del sistema coordinato con un punto appartenente al

conduttore, e il vettore r’ di congiunzione con un punto generico dello spazio.

Le equazioni descriventi la densità di carica e di corrente J su di un corpo conduttore

S immerso in un campo incidente Ei, si ottengono come mostrato qui di seguito nelle

equazioni dalla (3.40) alla (3.44). Nella (3.39) il campo Es irradiato, ovvero scatterato,

è espresso attraverso i potenziali ritardati. La (3.44) esprime la condizione al contorno 0 ) ( + = ∧ = i s tan n E E

E , con rS, in quanto la componente di campo totale tangente alla superficie del conduttore deve essere nulla.

n r - r’ r’ r z x y S

(19)

dS G dS R e S S R K j ) , ( ) ( 4 ) ( ) (r J r' J r' r r' A = − =

µ

π

µ

(3.41) = S dS G( , ) ) ( 1 ) (r

ρ

r' r r'

ε

φ

(3.42) ) ( 1 ) (r' =J r' ω ρ j (3.43) ) (r' E ) (r' Es = × i × n n con r ∈ S (3.44)

dove A(r) è il potenziale vettore, (r) è il potenziale scalare, G(r,r’) è la funzione di Green definita come

R jkR r r G π 4 ) exp( ) ' , ( = − , R = rr', k la costante di propagazione nel vuoto, la permeabilità del mezzo, la permittività e la pulsazione. La (3.43) rappresenta l’equazione di continuità della corrente.

Fig. 3.8 a) sezione di antenna filare. b) discretizzazione dell’antenna in N segmenti, la corrente si approssima scorra lungo l’asse

Si faccia ora riferimento alla fig. 3.8 (a), essa rappresenta una generica antenna filare. Supponiamo sia costituita da un conduttore perfetto e si facciano le seguenti approssimazioni:

(20)

1. la densità di corrente indotta sull’antenna fluisce solo in direzione parallela all’asse dell’antenna,

2. le densità di corrente e di carica indotte sull’antenna possono essere approssimate da una corrente I(l') e da una carica ρ(l') poste sull’asse dell’antenna (rappresentando l' l’ascissa curvilinea disposta sull’asse del filo), 3. le condizioni al contorno (3.44) sono applicate solo alla componente assiale del

campo E sulla superficie dell’antenna.

Sotto queste aprossimazioni le equazioni dalla (3.40) alla (3.43) diventano:

∂ ∂ + ∧ = ∧ E (r) n ( A(r) (r) l') n i l jω φ

Ei(r) ( A(r) (r) l') l j ∂ ∂ + − = − ω φ

con r S (3.45) ' ' ' 4 ) ( ) ( ' dl e l jK − = − − asse r r r r I r A

π

µ

(3.46) ' ' ' 4 ) ( 1 ) ( ' dl e l asse jK − = − − r r r r r

π

ρ

ε

φ

= ' ' ' ' 4 ) ( 1 ) ( ' dl e dl l dI j jK asse r r r r r − − = − −

π

ωε

φ

(3.47) dl l dI j l) 1 ( ) ( ' '

ω

ρ

= −

(3.48)

dove l’ è l’ascissa curvilinea sull’asse dell’antenna e R è la distanza fra un punto della sorgente sull’asse e un punto di campo sulla superficie dell’antenna (fig. 3.9)

(21)

Fig. 3.9 Ascisse curvilinee: l’ si trova sull’asse dell’antenna, dove si suppone si trovi la sorgente di campo, l sulla superficie esterna del filo.

3.6 Antenne filari:parametrizzazione ed analisi attraverso il metodo dei momenti

Per arrivare ad una soluzione delle equazioni dalla (3.45) alla (3.48) è necessario applicare una discretizzazione numerica dell’equazione (3.45), si procede quindi suddividendo l’oggetto in esame in N sub-segmenti come mostrato in fig. 3.8b) e in fig. 3.10 nel caso generico di conduttore filare di forma arbitraria. Gli integrali sono quindi approssimati da una somma di integrazioni su N piccoli segmenti su ognuno dei quali la corrente I (che si suppone scorra lungo l’asse del conduttore) e la quantità di carica q sono considerate costanti.

Una volta effettuata la discretizzazione si applica il metodo dei momenti dove l’incognita da determinare è la corrente I(r’) (la variabile f nella teoria generale), e viene espansa attaraverso un set di funzioni base 1, 2, ..., N (le f1, f2,..., fn). Ne segue che

l’equazione (3.27) in questo caso particolare diviene:

= Λ = N n n n I 1 ') (r ln I (3.49) l’ l

(22)

rappresentando In la corrente nel punto di unione fra il segmento n-1-esimo ed n-esimo,

ln il versore della direzione della corrente sul segmento.

Fig. 3.10 Discretizzazione della bobina e rappresentazione delle funzioni base triangolari

Supponiamo di scegliere come funzioni base le funzioni triangolari cosicchè n(l’) rappresenta la funzione triangolare di ampiezza unitaria il cui dominio si estende dal segmento n-1-esimo al segmento n-esimo, come descritto in fig. 3.10; in tal caso avremo, sostituendo la (3.49) nella (3.46) e nella (3.47):

' ' 1 ' 1 ') ( ) ( , ) , ( ) ( I G dl I l G dl C N n C n N n n i n n n r r l r r l r A n n = = Λ = Λ =

µ

µ

(3.50) ' 1 ' ' ' ' 1 ' ' ( , ) ) ( 1 ) , ( ) ( 1 ) ( G dl dl l d I j dl G I dl d j N n C n n N n n n C = = n Λ − = Λ − = r r r r r

ωε

ωε

φ

(3.51)

ove C indica il dominio dell’ascissa curvilinea in cui è definita n Λn(l'). Tale dominio

risulta esser costituito dall’unione dei due insiemi contigui di punti Cn−,Cn+,

(23)

coincidenti con due degli N segmenti in cui l’oggetto è suddiviso, ciascuno dei quali supponiamo abbia lunghezza costante d (anche se ciò non è strettamente necessario), come descritto in fig. 3.10.

Si sceglie qui di usare il metodo di Galerkin, quindi avremo che le funzioni peso sono anch’esse funzioni triangolari, mentre si definisce quale prodotto interno, tra le funzioni peso e l’equazione non omogenea (3.40), l’integrale (3.52):

N m dl m C s m , ,... 1 ) (rlmΛ = E (3.52)

Si ottiene quindi un sistema di N equazioni in altrettante incognite:

N m dl dl d dl j dl m m m C C C m m m ( ) ( ) 1,..., ) (rl Λ =− A rl Λ − Λ r = Es m

ω

m

φ

(3.53) (avendo considerato dl d ( ) ) (r lm

φ

r

φ

• =

∇ ). Qui sostituendo le equazioni (3.50), (3.51) si giunge alla (3.53): N m dl dl G dl l d I j dl d l dl l dl G l I j dl l m n m m n C N n C n n m m C C N n nC n m ,..., 1 ) , ( ) ( 1 ) ( ) ( ) , ( ) ( ) ( ) ( 1 ' ' ' ' 1 ' ' ' = Λ Λ + + Λ • Λ − = Λ • = = r r l r r l l r Es m n m

ωε

µ

ω

(3.53)

la quale può essere riscritta come:

N m dl dl G dl l d dl d l j I dl dl G l l j I dl l N n C C n m n N n C C n m n C m m n m n m ,..., 1 ) , ( ) ( ) ( 1 ) , ( ) ( ) ( ) ( ) ( 1 ' ' ' ' 1 ' ' ' = Λ Λ + + Λ • Λ − = = Λ • = = r r r r l l l r E n m m s

ωε

ωµ

(3.54)

(24)

Si osservi adesso che (3.52) impone il calcolo della componente di campo irradiato che è tangenziale alla superficie S del corpo conduttore così che, poiché nEi =nEs,

si può scrivere: S N m dl l dl l m m C m i C m =− • Λ = ∈ Λ •l E r l r r Es( ) m ( ) ( ) m ( ) 1,..., (3.55) Definendo: N m dl l dl l V m m C m i C m m = Es(r)•lmΛ ( ) =− E (r)•lmΛ ( ) =1,..., (3.56) N n m dl dl G dl l d dl d l j dl dl G l l j Z m n m n C C n m C C n m mn ., ,... 1 , ) , ( ) ( ) ( 1 ) , ( ) ( ) ( ' ' ' ' ' ' ' = Λ Λ + + Λ • Λ − = r r r r l lm n

ωε

ωµ

(3.57)

si perviene ad un sistema matriciale del tipo

[ ] [ ][ ]

Vm = Zmn In . Noto quindi il vettore

[ ]

V delle tensioni generalizzate e calcolata la matrice generalizzata delle m

impedenze

[ ]

Zmn , si può giungere al vettore generalizzato delle correnti

[ ]

In attraverso l’inversione della matrice delle impedenze:

[ ] [ ] [ ]

In = Zmn −1 Vm

.

Noto quindi il vettore delle correnti attraverso l’equazione (3.50) si può pervenire al potenziale vettore in un determinato punto individuato dal vettore r, e successivamente, attraverso l’equazione B(r)=∇∧A(r)

,

all’induzione magnetica.

3.7 La costruzione del sistema matriciale [Vm] = [Zm,n] [In]

Vediamo ora come effettivamente si giunge alla costruzione del sistema

[ ] [ ][ ]

Vm = Zmn In .

Partiamo quindi con lo specificare la forma del vettore delle sollecitazioni

[ ]

V . Per m quanto riguarda l’applicazione delle eccitazioni è necessaria una adeguata

(25)

dei momenti, basti pensare ad esempio alla influenza diretta che si ha sull’ammettenza d’ingresso, e quindi su tutti i parametri ad essa correlati, quale ad esempio il guadagno dell’antenna.

Quindi il requisito principale è quello di stabilire un modello fedele delle sorgenti, il quale tenga anche conto della larghezza della regione di filo in cui la sollecitazione è applicata, e renda indipendente la matrice delle impedenze dalla posizione dei generatori.

Esistono diversi criteri per poter considerare l’effetto della sorgente, ma quello a cui verrà fatto riferimento è il modello “

δ

gap”, secondo il quale si suppone di effettuare un taglio di spessore infinitesimo δ , ottenendo una coppia di terminali a cui è applicata la sollecitazione, e la distanza fra i quali è molto minore della lunghezza d’onda.

Se viene indicato con V0ext, il fasore della tensione applicata al taglio localizzato in l , il 0 campo incidente in corrispondenza di questo vale Ei ( )l0

0

0 l l

V ext

=

δ

, cosìcchè se in

corrispondenza del punto m−esimo si ha sollecitazione, otteniamo:

− = Λ • − − = Λ • = m m C C ext m m m ext m m m l dl V l l l dl V V Ei(r) lm ( )

δ

( )lm lm ( ) (3.58)

Si osservi che in corrispondenza del taglio si ha solo campo incidente, e non vale più la (3.44) e quindi neppure la (3.56). La (3.58) vale nel punto in cui è applicata la sollecitazione, negli altri m punti dell’antenna in cui non è applicata la sollecitazione il campo incidente è nullo; in base alla (3.56), si può affermare che la componente

m esima del vettore V dovrà essere necessariamente nulla. Concludendo quindi la m forma del vettore

[ ]

V sarà: m

(26)

− 0 . . 0 0 . . 0 ext m V (3.59)

Poiché nell’analisi di bobine per risonanza magnetica è sempre necessario introdurre condensatori per accordare le bobine alla frequenza di Larmor, è necessario sapere come se ne dovrà tener di conto nella costruzione del sistema matriciale

[ ] [ ][ ]

Vm = Zmn In . Supponiamo quindi di dover inserire una capacità C nel punto

m-esimo dell’ antenna, ciò darà origine ad una caduta di tensione fra le armature del condensatore pari a: m m j C I V

ω

1 = (3.60)

L’effetto risultante sarà quindi quello di un contributo C j

ω

1 nell’autoimpedenza m-esima (3.35). + . . . . 1 . . , , , C j Z Z Z m m j i i i

ω

(3.61)

(27)

Passiamo ora ad analizzare più in dettaglio il calcolo dell’impedenza generalizzata Zm,n. Sia −

n

C il segmento (n-1)-esimo (dominio del fronte positivo della funzione triangolare) il cui versore tangente è −

n

, e +

n

C il segmento n-esimo (fronte negativo della funzione triangolare) il cui versore tangente è +

n

(fig. 3.11).

Il secondo termine dell’equazione (3.57) può quindi essere suddiviso in due parti: ) 2 ( ) 1 ( mn mn mn Z Z Z = + (3.62) dove: )] , ( ˆ ˆ ) , ( ˆ ˆ ) , ( ˆ ˆ ) , ( ˆ ˆ [ ., ,... 1 , ) , ( ) ( ) ( ) 1 ( ' ' ' ) 1 ( + + + + − + − + + − + − − − − − ⋅ • + ⋅ • + + ⋅ • + ⋅ • − = = Λ • Λ − = n m l l n m l l n m l l n m l l j Z N n m dl dl G l l j Z n m n m n m n m mn C C n m mn m n

ξ

ξ

ξ

ξ

ωµ

ωµ

lm ln r r (3.63) ) . ( ., ,... , ' )' r , r ( ' )' ( ) ( ) (2 = 1 Λ Λ m n=1 N 364 m C Cn dl dl G dl l n d dl d l m j mn Z ωε

]

) , ( ) , ( ) , ( ) , ( ) ( + + + + + − + − − + − + − − − − + − = m n l l n m l l n m l l n m l l j Z n m n m n m n m mn 2 ωε1 1 γ 1 γ 1 γ 1 γ (3.65) +

n

n

n

+ n

l

l n− + n C Cn− ) (l n Λ + − = n n n C C C

(28)

dove ancora si ha: dl dl G n m dl dl G l l n m n m m n C C C C n m( ) ( ') ( , ') ' ( , ) ( , ') ' ) , ( − − − − = Λ Λ = − − − − r r

γ

r r

ξ

− + − + = Λ Λ = + − + − n m m n C C C C n m l l G dldl m n G dldl n m , ) ( ) ( ') ( , ') ' ( , ) ( , ') ' ( r r

γ

r r

ξ

+ − + − = Λ Λ = − + − + n m m n C C C C n m l l G dldl m n G dldl n m , ) ( ) ( ') ( , ') ' ( , ) ( , ') ' ( r r

γ

r r

ξ

+ + + + = Λ Λ = + + + + n m m n C C C C n m l l G dldl m n G dldl n m , ) ( ) ( ') ( , ') ' ( , ) ( , ') ' ( r r

γ

r r

ξ

Si noti che la (3.65) deriva da un’integrazione per parti della (3.37), considerando che la funzione base è nulla all’inizio ed alla fine dell’estremo d’integrazione. Volendo dare un interpretazione fisica all’impedenza generalizzata possiamo dire che ogni elemento Zm,n fornisce il contributo dell’effetto (sulla tensione Vm) di ogni segmento m-esimo sul segmento n-esimo (sulla causa In del segmento n-esimo). Ovviamente se si tratta del caso m = n si parla di autoimpedenza. Nel caso m≠ si parla di mutua impedenza. E’ n anche evidente come la matrice

[ ]

Zm,n sarà una matrice simmetrica poiché, come noto, Z1,2 = Z2,1.

Ai fini dell’ottimizzazione dei software che verranno successivamente esposti si tenga presente che, nel calcolo della matrice delle impedenze, la distanza r − subisce delle r' approssimazioni, ed in particolare:

1) Nel caso di segmenti non sovrapposti (m ≠ ) è approssimata alla distanza fra i n punti medi dei segmenti in oggetto.

2) Nel caso di segmenti sovrapposti la distanza r − si annullerebbe provocando r' una divergenza del metodo. Per ovviare a tale problema si considera la quantità

2 '

2 (z z )

a

R= + − , essendo a il raggio del filo conduttore, come descritto in figura 3.9. In tal caso avremo da valutare l’integrale

' ' ) r' G(r, dldl = ejkRdldl =

ψ

1 (3.66)

(29)

dove l indica un segmento ed R= a2 +(zz')2 . Espandendo in serie di Maclaurin e troncando al primo ordine otterremo:

( )

( )

( )

2 2 2 2 2 4 1 1 4 1 4 1 l jk l a l a a l a l l dl dl K j R l l ∆ + + ∆ + ∆ + − ∆ + + ∆ ∆ = + = ∆ ∆

π

π

π

ψ

' ln (3.67)

Figura

Fig. 3.1 Metodo delle  differenze finite: griglia di scomposizione dell’oggetto.
Fig 3.2.  FDTD: (a) griglia di scomposizione oggetto, (b) singola cella.
Fig. 3.3.   Metodo degli elementi finiti: suddivisione dell’oggetto attraverso celle triangolari
Fig. 3.4.  Illustrazione della funzione di base N(i,j) per il nodo i  .
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