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Le infezioni ospedaliere: verso un obbligo di sicurezza in ambito sanitario?

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Academic year: 2022

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Le infezioni ospedaliere:

verso un obbligo di sicurezza in ambito sanitario?

Dr. Adolfo Martínez Alvarez-Barón

1. Introduzione

La presente relazione si propone soltanto di offrire qualche spunto di riflessione su un fenomeno che, alle porte del prossimo millennio, si delinea come estremamente preoccupante in ambito nosocomiale. Mi riferisco al problema delle infezioni ospedaliere. I casi eclatanti che si sono verificati quest’anno hanno soltanto messo in evidenza, davanti all’opinione pubblica italiana, un problema che già da anni preoccupa infettivologhi e responsabili ospedalieri in tutto il mondo. Per chi nella veste di riassicuratore cerca di monitorare le situazioni che rappresentano un rischio emergente di richiesta danni nei confronti degli operatori e delle strutture sanitarie, il termine “infezioni ospedaliere” si propone come uno dei punti più critici da tenere sott’occhio nell’ immediato futuro.

Qualcuno dei presenti potrebbe ritenere una forzatura concettuale considerare la questione della responsabilità civile da infezione ospedaliera all’interno di una sessione dedicata alla responsabilità nell’équipe medica. Nonostante questa eventuale perplessità, mi sono permesso questa licenza per diversi motivi:

• in primo luogo, perché il problema dell’infezione ospedaliera nella sua complessità illustra in modo esemplare quanto sia difficile scindere, nella fattispecie concreta, l’ambito di responsabilità dei singoli operatori sanitari che lavorano all’interno dell’équipe;

• in secondo luogo, per le difficoltà obiettive che il fenomeno della infezione ospedaliera crea nel momento dell’accertamento del nesso di causalità tra i singoli comportamenti professionali verificatisi e l’insorgenza del danno nella veste di malattia infettiva;

• la recente nascita di tendenze giurisprudenziali in Europa che cercano di superare questi ostacoli, creando meccanismi di attribuzione organica della responsabilità per proteggere l’utente-paziente dalle incertezze derivanti dalla natura stessa del problema;

• e infine, perché il fenomeno illustra quanto sia necessario promuovere una effettiva cultura della prevenzione come unica misura vincente per evitare un ulteriore aggravamento del rischio di responsabilità civile in ambito ospedaliero.

Fatta questa premessa, vi propongo una panoramica abbastanza sintetica del fenomeno come punto di partenza per ulteriori riflessioni.

1. Le infezioni ospedaliere: aspetti generali di un fenomeno preoccupante Nella monografia di Gianfranco Finzi1 sull’argomento in merito, le infezioni ospedaliere vengono definite come “quelle malattie di origine infettiva contratte da pazienti in ambiente ospedaliero che non sono evidenti all’ingresso ma che si manifestano durante o dopo il ricovero e da questo sono causate”.

Distingue Finzi due tipi di infezioni ospedaliere a seconda della sorgente dell’infezione:

1 “Le Infezioni ospedaliere”, Gianfranco Finzi ed altri, Edizione Sorbona, Milano 1993

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• “Infezioni Esogene o Crociate”, cioè le infezioni contratte per un contagio interumano con altri pazienti o con il personale oppure per trasmissione di microrganismi da fonti inanimate; in tutti i casi la sorgente è interna all’ospedale, ma esterna al paziente.

• “Infezioni Endogene” sono invece le infezioni causate da microrganismi che il paziente alberga in aree normali o settiche del suo corpo, ed in tal caso si parla di un meccanismo di autoinfezione.

Viene comunque sottolineato dallo stesso autore che la sorgente e veicolo principale delle infezioni ospedaliere è l’uomo. Si tratti dell’ammalato stesso o di altro paziente o dei cosiddetti portatori sani, in particolare del personale di assistenza. Solo come seconda sorgente di infezione Finzi segnala l’ambiente, inteso come tutti quei substrati dove i batteri possono essere in grado di riprodursi.

I diversi studi epidemiologici realizzati sia all’estero che in Italia concordano nel segnalare che, nella maggior parte dei casi, l’infezione si localizza nel tratto urinario, nella ferita chirurgica, nelle basse vie respiratorie e nelle batteriemie, per ordine discendente di frequenza. Al primo posto nella classifica di letalità sono invece queste ultime, le batteriemie.

Nonostante il progresso delle tecniche di terapia antibiotica, si stima che ancora oggi la metà dei pazienti colpita da questo tipo di infezione non sopravviva. In particolare viene segnalato un aumento di questo tipo di infezione ospedaliera nei reparti di terapia intensiva neonatale.

Per tipo di reparto, chirurgia e terapia intensiva si rivelano i più esposti al rischio di infezione ospedaliera. Sebbene con incidenza minore, i reparti di neonatologia ed ostetricia vengono spesso segnalati come settori di crescente preoccupazione dovuta alla proliferazione di casi connessi al problema dei prematuri.

Secondo il Gruppo Italiano di Studio sulle Infezioni Gravi (GISIG), si stima che in Italia si verifichino 470.000 casi di infezioni ospedaliere ogni anno, responsabili di 15.000 esiti mortali e di una spesa associata di 1.760 miliardi.

Per quanto riguarda le cause delle infezioni ospedaliere, Finzi ne segnala le principali nella sua monografia. Mi sono permesso di classificarle dal punto di vista della loro rilevanza come fonte ipotizzabile di responsabilità civile in ambito ospedaliero. In questo modo si possono segnalare alcune tra le cause difficilmente ricollegabili a priori ad un comportamento colposo attribuibile nel caso concreto ai membri dell’équipe medica oppure alla struttura ospedaliera.

In questo primo gruppo di cause possiamo includere:

• il problema generale dell’uso indiscriminato e non mirato degli antibiotici che porta alla selezione di microrganismi mutanti e resistenti a questi farmaci.

• L’aumento del numero di pazienti ospedalizzati immunodepressi, e quindi ad alto rischio.

Questo fenomeno è in gran parte dovuto al progresso delle terapie che aumenta la sopravvivenza di pazienti in condizioni gravi, pazienti che diventano facile bersaglio dei microrganismi; a questa situazione si aggiunge la tendenza alla maggiore ospedalizzazione del paziente immunodepresso, fatto che incrementa la probabilità di contrarre un’infezione durante la degenza.

• L’aumento delle procedure invasive per la diagnosi e la terapia (ad esempio, la cateterizzazione urinaria, i diversi tipi di infusione endovenosa, l’emodialisi, le protesi valvolari, etc.).

• L’incremento del numero delle persone che vengono in contatto con uno stesso paziente comportando un aumento delle fonti di infezione. (Ricordiamoci che è l’uomo la principale sorgente delle infezioni ospedaliere)

• La maggiore mobilità del paziente all’interno dell’ospedale.

• Il maggior impiego del sangue e dei suoi derivati

• l’elevato indice di occupazione dei posti letto che determina un aumento del rischio di infezioni crociate

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In un secondo gruppo, ho cercato di raggruppare quelle cause rilevate da Finzi che, a mio parere, possono avere una rilevanza nel momento dell’ attribuzione di una eventuale responsabilità.

• Le manovre assistenziali, di diagnosi e di cura eseguite nel non rispetto delle norme igieniche.

• L’inadeguatezza delle strutture architettoniche e dei servizi.

• La carenza di attrezzature e strumenti atti a prevenire efficacemente le infezioni ospedaliere a livello di specifiche localizzazioni.

• La carenze di strutture idonee al trattamento del materiale che viene a contatto del paziente.

Il discorso diventa magari più concreto se consideriamo le misure di prevenzione che Finzi elenca nel suo manuale. Come misure di prevenzione verso le persone vengono segnalate:

• Un’adeguata formazione del personale ospedaliero nel rispetto delle norme atte a prevenire le infezioni ospedaliere sulla base di codici comportamentali.

• Un sistema informativo che permetta una rapida individuazione dei pazienti a rischio.

• L’educazione sanitaria dei pazienti ricoverati e dei visitatori.

Verso l’organizzazione, la prevenzione richiede:

• Un corretto uso degli antibiotici.

• Un corretto uso dei disinfettanti e dei mezzi di sterilizzazione.

• L’utilizzazione di presidi medico-chirurgici a perdere e delle metodiche più adatte alla loro eliminazione.

• La definizione dei percorsi “sporchi” e “puliti” all’interno della struttura ospedaliera.

• La disciplina e codifica dei reparti ad alto rischio.

• La riduzione dell’eccessivo affollamento delle degenze.

Infine, tra le misure di prevenzione verso l’ambiente, vengono segnalate:

• La corretta strutturazione degli ambienti per il ricovero di pazienti ad alto rischio.

• La differenziazione degli ambienti per le degenze di pazienti a diverso rischio.

• Una corretta e adeguata pulizia degli ambienti seguita da un’accurata disinfezione ove necessario.

Responsabilità nell’équipe medica ed il rischio di infezione ospedaliera

Risulta palese che i parametri di diligenza in materia di prevenzione delle infezioni ospedaliere interessano a priori i comportamenti di una pluralità di soggetti a tutti i livelli della struttura ospedaliera. Ciò rende particolarmente difficile l’attribuzione precisa di un risultato dannoso - l’infezione ospedaliera - a determinati comportamenti colposi da parte dei singoli operatori. A questo fatto, si aggiunge spesso la difficoltà obiettiva nell’individuare la sorgente e la modalità di trasmissione dei microrganismi responsabili dell’infezione.

Da un punto di vista normativo in Italia, due circolari del Ministero della Sanità, la n. 52 del 19852 e la n. 8 del 19883, si sono occupate dell’argomento, definendo una strategia globale di lotta contro le infezioni ospedaliere. La prima di queste circolari stabilisce la necessità per ogni presidio ospedaliero di dotarsi di un Comitato di lotta contro le Infezioni Ospedaliere, responsabile di definire una strategia in merito e verificare l’effettiva applicazione dei programmi di sorveglianza. Viene inoltre individuata la figura dell’Infermiera addetta al controllo delle infezioni ospedaliere che svolge a tempo pieno mansioni relative alla sorveglianza di tutte le misure di prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere. In pratica, negli ospedali in cui è una realtà, il Comitato di lotta contro le Infezioni Ospedaliere

2 Ministero della Sanità, Circolare n°52 del 20 Dicembre 1985

3 Ministero della Sanità, Circolare n°8 del 30 Gennaio 1988

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viene configurato come un organismo interno, privo di riconoscimento giuridico-formale, che potrebbe considerarsi quale staff di supporto alle competenze della Direzione Sanitaria. Allo stesso modo la figura dell’infermiera addetta al controllo delle infezione ospedaliere non è stata riconosciuta da nessuna disposizione di legge. Sembra inoltre che fino all’anno scorso soltanto una minoranza degli ospedali pubblici italiani si fosse avvalsi di questa figura. In ogni caso, l’esecuzione delle concrete misure di prevenzione riguarda tutto il personale ospedaliero. Ciò rende difficile l’individuazione a priori dei soggetti responsabili in caso di infezione ospedaliera dovuta ad una presunta mancanza di prevenzione. Si potrebbe magari pensare ad una responsabilità del primario del reparto interessato sulla base dei poteri organizzativi e di controllo che gli vengono attribuiti per legge ed sicuramente a quella della Direzione Sanitaria. A questo punto è un dato significativo che il Piano Sanitario Nazionale4 per il triennio 1998-2000 preveda come obbiettivo una riduzione del 25% dell’incidenza delle infezioni ospedaliere in Italia. Nel catalogo delle azioni lo stesso piano contempla

“l’attivazione di un programma per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle infezioni di ogni presidio ospedaliero, orientato sia ai pazienti sia agli operatori sanitari. Tale programma rappresenta un criterio di accreditamento della struttura e deve prevedere l’istituzione di un Comitato di controllo delle infezioni ospedaliere, l’assegnazione di specifiche responsabilità gestionali a personale qualificato e la definizione di politiche di intervento e protocollo scritti.”

Questa situazione in evoluzione potrebbe spiegare perché, essendo tanti i casi di infezione ospedaliera, sia in Italia ancora molto limitato il contenzioso giudiziario. Se lasciamo da parte le fattispecie relative all’uso di sangue ed emoderivati infetti, che costituiscono comunque un capitolo a parte5, le pronunce che affermano la responsabilità di professionisti o di strutture sanitarie derivanti da casi di infezione ospedaliera sono in Italia ancora molto rare.

2. Verso un obbligo di sicurezza in ambito sanitario

Risulta tuttavia doveroso chiedersi se la modesta incidenza ad oggi delle infezioni ospedaliere nel contenzioso giudiziario in Italia non sia un dato che potrebbe cambiare drammaticamente in futuro. Un piccolo viaggio attraverso la giurisprudenza civile di altri paesi europei in materia di infezioni ospedaliere, ci può sicuramente fornire qualche spunto di riflessione.

Cominciando dalla Francia, la giurisprudenza sia del Conseil d’État che della Cour de Cassation ha affermato che il fatto provato che un paziente abbia contratto una malattia durante il ricovero in una struttura ospedaliera, malattia di cui non presentava sintomi all’ingresso, sia sufficiente per operare una presunzione di colpa della struttura per non aver predisposto le misure di prevenzione necessarie. Spetta di conseguenza alla struttura fornire la controprova di aver attuato tutte le misure di prevenzione in conformità alle norme ed agli standard di diligenza in merito. In caso contrario, la struttura sanitaria è tenuta a risarcire i danni derivanti dalla infezione ospedaliera. La prima pronuncia giurisprudenziale in questo senso risale al 19886: il Conseil d’État dichiarava che l’introduzione accidentale di un germe nell’organismo del paziente durante un intervento di chirurgia rivelasse una colpa nella organizzazione o nel funzionamento del servizio ospedaliero. Più recentemente nel 1996, seguiva la Cour de Cassation con una pronuncia emblematica in cui affermava che la casa di cura è presuntivamente responsabile di una infezione contratta da un paziente nel corso di un

4 Ministero della Sanità, Piano sanitario nazionale 1998-2000. Un patto di solidarietà per la salute, Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10/12/1998. “L’incidenza delle infezioni ospedaliere dovrà ridursi di almeno il 25%, con particolare riguardo a infezioni delle vie urinarie, infezione della ferita chirurgica, polmonite post operatorie o associate a ventilazione assitita e infezioni associate a cateteri intravascolari.”

5 Ad esempio Tribunale di Roma 27 novembre 1998

6 Conseil d’État, 9 déc. 1988, Cohen, AJDA 1989, 405.

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intervento svoltosi in sala operatoria7. Nella fattispecie, la clinica convenuta riuscì a provare di aver attuato tutte le misure di igiene e disinfezione secondo le norme in vigore all’epoca.

Esito diverso invece ebbe la lite che diede spunto ad una più recente pronuncia della Cour de Cassation, nel 1998,8 in cui la clinica ostetrica convenuta in giudizio non riuscì a fornire la controprova sulla diligenza nell’attuare le misure di prevenzione in sala parto. In questo caso, furono tenuti al risarcimento anche il chirurgo e il ginecologo curanti per mancata terapia antibiotica di fronte ad evidenti segni di infezione. Questa giurisprudenza, ormai diffusa tra i tribunali di merito francesi, consacra un meccanismo di imputazione organica di colpa in caso di infezione ospedaliera, in quanto tale fenomeno rivela, salvo controprova, una carenza organizzativa e/o funzionale della struttura considerata quale insieme organico. Vengono superati in questo modo i problemi di attribuzione della colpa ai singoli operatori e soprattutto la difficoltà obbiettiva che ne consegue per la parte attrice di fornire la prova del nesso causale. Questo tipo di approccio risulta coerente con il fatto che l’attività di prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere, interessando una pluralità di operatori all’interno della struttura nosocomiale, abbia un carattere multidisciplinare.

Il caso della Francia non è un fatto isolato nel panorama giurisprudenziale europeo. Già nel 1991 il Bundesgerichtshof tedesco formulava, in una sentenza relativa ad un caso di infezione di ferita chirurgica, i principi che guidano ancora oggi la giurisprudenza tedesca in merito. La Suprema corte tedesca dichiarava che soltanto i casi di infezioni ospedaliere, in cui la trasmissione del microrganismo risultasse evitabile e quindi controllabile attraverso le opportune misure di prevenzione, potessero avere una rilevanza in materia di responsabilità civile. Infezioni che non siano suscettibili di essere controllate, sebbene siano attuate tutte le misure di prevenzione dovute, fanno parte del rischio terapeutico a carico del paziente e non possono essere oggetto di risarcimento. Nei casi invece in cui il rischio di infezione sia controllabile attraverso misure preventive efficaci, l’ospedale risponderà del danno che ne consegue per il paziente, se non riesce a fornire la prova che sono state attuate le misure di prevenzione necessarie9. In sostanza, i magistrati tedeschi operano una inversione dell’onere della prova sulla diligenza impiegata dall’organico dell’ospedale nell’attuare le misure di prevenzione, soltanto laddove il rischio di infezione sia controllabile. Questo atteggiamento più moderato rispetto ai tribunali di oltralpe lascia in pratica nelle mani del perito d’ufficio la valutazione in concreto su quanto sia controllabile il rischio di infezione nella fattispecie, questione che determina se verrà o meno operata l’inversione dell’onere probatorio da parte dal giudicante.

Infine, il contenzioso davanti ai tribunali spagnoli in materia di infezioni ospedaliere è in netta crescita. Facendo seguito a pronunce innovative di certi tribunali d’appello10, il Tribunal Supremo spagnolo in una sentenza del 199711 ha confermato un modello che assomiglia a quello dei vicini francesi. L’infezione ospedaliera viene considerata presuntivamente come il risultato di mancanze organizzative della struttura che eroga la prestazione sanitaria. La

7 “…une clinique est présummée responsable d’une infection contractée par un patient lors d’une intervention pratiquée dans une salle d’operation”; Cass. 1ere chambre civile, 21 Mai 1996

8 Cour de Cassation, 1ère chambre civile, 16 Juin 1998, Clinique Belledonne c. Chabal

9 Bundesgerichtshof 6. Zivilsenat, Urteil vom 8. Januar 1991; “Eine Haftung des Krankenhausträgers kommt nur in Betracht, wenn die Keimübertragung durch die gebotene hygienische Vorsorge hätte verhindert werden können”; “Steht fest, daß die Infektion aus einem hygienisch beherrschbaren Bereich hervorgegangen sein muß, so hat der Krankenhausträger für die Folgen der Infektion sowohl vertraglich als auch deliktisch einzusetzen, sofern er sich nicht dahingegen zu entlasten vermag, daß ihn an der Nichtbeachtung der Hygieneerfordernisse kein Verschulden trifft, er also beweist, daß alle organisatorischen und technischen Vorkehrungen gegen von dem Operationspersonal ausgehende vermeidbare Keimübertragung getroffen waren.”

10 Audienza Provincial de Valencia, Sección 8°, 27 noviembre 1995

11 Tribunal Supremo, Sala 1, 21 junio de 1997

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posizione processuale della struttura sanitaria convenuta viene gravata dell’onere di dover provare che siano state attuate tutte le misure necessarie per prevenire le infezioni ospedaliere.

Nella fattispecie, l’infezione di una ferita chirurgica aveva reso necessaria l’amputazione dell’arto inferiore destro della paziente sottoposta ad intervento chirurgico per frattura di caviglia.

Si delinea nella giurisprudenza di tutti e tre i paesi una comune tendenza ad attribuire alla struttura curante l’onere della prova sulla diligenza nella prevenzione delle infezioni ospedaliere. In questo modo, i tribunali tutelano la posizione del paziente che altrimenti andrebbe incontro alla difficoltà di dover provare la non adeguatezza dei singoli comportamenti degli operatori.

Sotto questo profilo, è la struttura che deve pensare a dotarsi degli strumenti che servano, oltre a raggiungere l’effettiva prevenzione delle temute infezioni ospedaliere, a fornire davanti ad un tribunale la controprova della diligenza dovuta in materia di lotta contro le infezioni ospedaliere. A questo punto, l’adozione di linee guida e la creazione di organi di controllo e monitoraggio del fenomeno all’interno dell’ospedale sono elementi riscontrabili che dimostrano l’effettiva volontà di tenere sotto controllo il problema. Qualora un meccanismo di inversione dell’onere probatorio prendesse piede nella giurisprudenza dei tribunali italiani nel futuro, strutture in cui non esiste una strategia definita ed un approccio strutturato nella lotta contro il fenomeno rischiano di non essere in grado di provare la loro diligenza in merito.

3. Riflessioni assicurative sulla questione

Per concludere, il mio ruolo professionale di riassicuratore mi spinge a fare qualche breve riflessione di taglio assicurativo sull’argomento.

Il fenomeno delle infezioni ospedaliere è destinato, a mio avviso, a rivelarsi nel futuro immediato una sorgente di richieste danni che non dovrebbero essere sottovalutate dagli assicuratori di responsabilità civile. I dati del settore non riflettono ad oggi un’esperienza sinistrale significativa. Gli sviluppi osservati negli altri paesi europei fanno temere una prossima evoluzione della situazione italiana.

Occorre anche considerare la necessità di approfondire in sede di assunzione l’analisi del rischio sanitario di responsabilità civile su questo aspetto specifico che interessa l’insieme organico e funzionale della struttura ospedaliera. E soprattutto occorre promuovere ed incentivare una cultura della prevenzione tra gli assicurati come unica misura vincente per tenere sotto controllo un problema che si rivela preoccupante.

Finirei con un richiamo all’ultimo Piano Sanitario Nazionale in cui si legge:

“L’incidenza di infezioni acquisite in ospedale, che in Italia colpisce tra il 5% e il 10% di tutti i pazienti ricoverati, è un importante e sensibile indicatore della qualità dell’assistenza prestata. Accanto ai tradizionali rischi legati a problemi di igiene ambientale, particolare rilevanza nella prevenzione delle infezioni ospedaliere assume infatti l’adozione di comportamenti e pratiche professionali e di assetti organizzativi orientati a minimizzare il rischio di trasmissione dell’infezione”.

Il parere della massima autorità sanitaria italiana non sembra tanto lontano dalla presa di posizione di alcuni tribunali europei che presumono nell’infezione ospedaliera una carenza nell’assistenza sanitaria prestata.

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