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C.R.P.A. S.p.A. - Pubblicazioni - e-book del CRPA - Efficienza energetica e rinnovabili per il caseificio del futuro

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Academic year: 2022

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(1)

Progetto

“ERICA”

LINEE GUIDA

“Efficienza energetica e rinnovabili per il caseificio del futuro”

1

(2)

Indice generale

AUTORI E RINGRAZIAMENTI...6

PREMESSA...7

1. CENNI INTRODUTTIVI SULLA TECNICA DI LAVORAZIONE DEL PARMIGIANO REGGIANO...8

1.1. Sosta e affioramento...8

1.2. Trasferimento del latte in caldaia...8

1.3. Insemenzamento...9

1.4. Aggiunta del caglio e coagulazione...9

1.5. Rottura della cagliata, cottura ed estrazione...9

1.6. Messa in fascera e asciugatura...9

1.7. Salatura...10

1.8. Stagionatura...10

2. INNOVAZIONE TECNOLOGICA DEI CASEIFICI...11

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA...12

3.1. Premessa...12

3.2. I caseifici dell'area del sisma...13

3.3. Il questionario “Caseifici”...13

3.4. Risultati dell'indagine campionaria...14

3.4.1. Dati generali...14

3.4.2. Assetto strutturale e impiantistico dei caseifici...15

3.4.3. Il condizionamento dei locali...18

3.4.4. I consumi energetici...19

3.4.5. Energie rinnovabili ed efficienza energetica...22

3.4.6. I consumi idrici...23

3.4.7. Reflui e sottoprodotti caseari...24

4. TECNOLOGIE PER IL RISPARMIO ENERGETICO...25

4.1. Premessa...25

4.2. Azioni per l'efficienza energetica...26

4.2.1. Rifasamento elettrico...27

4.2.2. Motori elettrici ad elevato rendimento...28

4.2.3. Manutenzione motori e macchine e corretto impiego...29

4.2.4. Rendimento delle caldaie a vapore...29

4.2.5. Cogenerazione...30

4.2.6. Recupero di calore di processo (cascami termici)...31

4.2.7. Efficienza degli impianti di refrigerazione e raffrescamento...32

4.2.8. Ventilazione dei locali...32

4.2.9. Illuminazione degli ambienti di lavoro...32

4.2.10. Automazione degli impianti di lavaggio...33

4.2.11. Siero...34

4.2.12. Vasche di affioramento...35

4.2.13. Isolamento termico delle strutture...38

4.2.14. Conclusioni...39

5. TECNOLOGIE PER L'ENERGIA SOLARE...39

5.1. Premessa...39

5.2. La radiazione solare...40

2

(3)

5.3. Solare fotovoltaico...42

5.3.1. Aspetti tecnici...42

5.3.2. Potenzialità produttiva degli impianti fotovoltaici...46

5.4. Solare termico...47

5.4.1. Aspetti tecnici...48

5.4.2. Potenzialità produttiva del solare termico...52

6. TECNOLOGIE PER IL BIOGAS...53

6.1. Introduzione...53

6.2. Organizzazione della stalla e gestione effluenti...54

6.3. Il processo biologico...55

6.4. Cos'è e come si utilizza il biogas...56

6.5. Componenti di un impianto di biogas...57

7. I CASEIFICI PILOTA...59

7.1. Caseificio A...59

7.1.1. Dati generali...59

7.1.2. Strutture e tecnologie...60

7.1.3. Consumi energetici...61

7.1.4. Principali utenze energetiche...61

7.1.5. Interventi già attuati per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili...62

7.1.6. Consumi idrici...62

7.1.7. Superfici...62

7.2. Caseificio B...62

7.2.1. Dati generali...62

7.2.2. Strutture e tecnologie...63

7.2.3. Consumi energetici...63

7.2.4. Principali utenze energetiche...64

7.2.5. Interventi già attuati per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili...65

7.2.6. Consumi idrici...65

7.2.7. Superfici...65

7.3. Caseificio C...65

7.3.1. Dati generali...65

7.3.2. Strutture e tecnologie...66

7.3.3. Consumi energetici...66

7.3.4. Principali utenze energetiche...67

7.3.5. Interventi già attuati per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili...67

7.3.6. Consumi idrici...68

7.3.7. Superfici...68

7.4. Stima dei consumi energetici per utenza...68

7.4.1. Stime per il caseificio A...69

7.4.2. Stime per il caseificio B...71

7.4.3. Stime per il caseificio C...73

7.4.4. Commento della stima di ripartizione dei consumi...75

8. IMPIANTI SOLARI E RISPARMIO ENERGETICO PER I CASEIFICI PILOTA...76

8.1. Fotovoltaico...77

8.1.1. Superfici utili per il fotovoltaico...77

8.1.2. Calcolo della radiazione solare...78

8.1.3. Impianti fotovoltaici per i caseifici pilota...78

8.1.4. Definizione dei parametri economici...79

8.1.5. Risultati dell'analisi...79

3

(4)

8.2. Solare termico...81

8.2.1. Potenzialità d'impiego del solare termico...82

8.2.2. Incentivi per il solare termico...83

8.2.3. Impianti solari termici per i caseifici pilota...84

8.2.4. Definizione dei parametri economici...85

8.2.5. Risultati dell'analisi...85

8.3. Risparmio energetico...86

9. IMPIANTI DI BIOGAS PER I CASEIFICI PILOTA...88

9.1. Caseificio A...88

9.1.1. Azienda Il Castello...88

9.1.2. Azienda Oppio...89

9.1.3. Studio di fattibilità...89

9.1.4. Upgrading da biogas a biometano...90

9.2. Caseificio B...91

9.2.1. Azienda Bellintani...91

9.2.2. Azienda Caprari...92

9.2.3. Azienda Freddi...92

9.2.4. Azienda Prati...92

9.2.5. Azienda Trevisi...92

9.2.6. Azienda Truzzi...92

9.2.7. Azienda Gentile Nuova...93

9.2.8. Azienda Stalla Tullie...93

9.2.9. Studio di fattibilità...93

9.3. Caseificio C...94

9.3.1. Azienda Cipriani...94

9.3.2. Azienda Salati...95

9.3.3. Azienda Dall'Aglio...95

9.3.4. Studio di fattibilità...95

10. VALUTAZIONE CARBON FOOTPRINT...96

10.1. Descrizione del lavoro...96

10.2. Situazione ex-post (biogas)...98

10.3. Situazione ex-post (fotovoltaico)...100

11. COSTO DI TRASFORMAZIONE DEL LATTE IN PARMIGIANO REGGIANO...100

11.1. Premessa...100

11.2. Metodologia...101

11.3. Costo di trasformazione dei tre caseifici pilota...101

TABELLE...103

SCHEDE EFFICIENZA...129

SCHEDA EFFICIENZA N. 1...129

SCHEDA EFFICIENZA N. 2...130

SCHEDA EFFICIENZA N. 3...131

SCHEDA EFFICIENZA N. 4...132

SCHEDA EFFICIENZA N. 5...133

SCHEDA EFFICIENZA N. 6...134

SCHEDA EFFICIENZA N. 7...135

SCHEDA EFFICIENZA N. 8...136

SCHEDA EFFICIENZA N. 9...137

SCHEDA EFFICIENZA N. 10...138

SCHEDA EFFICIENZA N. 11...139

4

(5)

SCHEDA EFFICIENZA N. 12...140

SCHEDA EFFICIENZA N. 13...141

SCHEDA EFFICIENZA N. 14...142

SCHEDA EFFICIENZA N. 15...143

IMMAGINI...144

ALLEGATO I – Questionario caseifici...197

A. Dati generali e personale...197

B. Raccolta del latte...197

C. Sosta e affioramento...197

D. Cottura...197

E. Messa in fascera e asciugatura...198

F. Salagione...198

G. Magazzino...198

H. Condizionamento locali...198

L. Altre produzioni...199

M. Consumi di energia...199

N. Energia rinnovabile ed efficienza energetica...200

O. Consumi idrici...200

P. Reflui caseari...201

R. Sottoprodotti caseari...201

S. Rifiuti...201

ALLEGATO II...202

Caseificio A...202

Azienda Il Castello...202

Azienda Oppio...203

Caseificio B...216

Azienda Bellintani...216

Azienda Caprari...216

Azienda Freddi...217

Azienda Prati...218

Azienda Trevisi...218

Azienda Truzzi...219

Azienda Gentile Nuova...220

Azienda Stalla Tullie...220

Caseificio C...230

Azienda Cipriani...230

Azienda Salati...230

Azienda Dall'Aglio...231

BIBLIOGRAFIA...239

5

(6)

AUTORI E RINGRAZIAMENTI

Paolo Rossi (capitoli 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8) Tonino Rivieri (capitoli 2 e 4)

Isabel Machiorlatti Vignat (capitolo 3) Giovanni Riva (capitoli 4, 5 e 8) Alessandro Gastaldo (capitolo 5) Nicola Labartino (capitoli 6 e 9) Claudio Fabbri (capitolo 9) Fabio Verzellesi (capitolo 9) Stefano Pignedoli (capitolo 10) Laura Valli (capitolo 10) Cornelis de Roest (capitolo 11) Eugenio Corradini (capitolo 11)

Si ringraziano tutti i caseifici che hanno aderito all'iniziativa, per la fattiva collaborazione e la disponibilità dimostrata nel corso delle attività di progetto.

Un ringraziamento particolare va ai seguenti caseifici, coinvolti nelle attività sperimentali:

• Caseificio Riolo, Castelfranco Emilia (MO), Bonlatte Società Cooperativa Agricola

• Caseificio Agricolo del Milanello Terre di Canossa, Campegine (RE)

• Caseificio Sant'Angelo dei F.lli Caretti, San Giovanni in Persiceto (BO)

• Latteria Tullia di Rolo (RE)

AUTORI E RINGRAZIAMENTI 6

(7)

PREMESSA

Le presenti Linee guida raccolgono in modo organico le analisi, gli studi e i risultati delle attività sperimentali condotti e ottenuti dal progetto ERICA (Efficienza energetica e rinnovabili per il caseificio del futuro), finanziato dall'Assessorato Agricoltura della Regione Emilia-Romagna nell'ambito del Bando 2013 Zona Sisma.

Il progetto, coordinato dal CRPA, avviato nel dicembre del 2013 e conclusosi alla fine del 2015, ha visto il coinvolgimento della Fondazione CRPA Studi Ricerche di Reggio Emilia, del CICA di Bologna, dell'Università Politecnica delle Marche, del Comitato Termotecnico Italiano (CTI) Energia e Ambiente di Milano e dello Studio di Ingegneria e Architettura Rivieri di Reggio Emilia.

Il progetto, rivolto in modo specifico ai caseifici del Parmigiano Reggiano dei comuni ricompresi nell'area del sisma dell'Emilia del 2012, si è posto i seguenti principali obiettivi:

• favorire l'adozione di tecnologie e metodologie per ridurre l’impronta del carbonio, mediante il miglioramento dell’efficienza energetica (risparmio energetico) e l’introduzione di fonti rinnovabili di energia (solare fotovoltaico e termico, biogas) nei caseifici;

• favorire l'adozione di impianti di biogas/biometano interaziendali fra caseifici e allevamenti conferenti.

In pratica, lo scopo principale che ha guidato il gruppo di lavoro di ERICA è stato quello di definire un possibile modello di caseificio del futuro autosufficiente dal punto di vista energetico, in modo da limitare i consumi energetici da fonti fossili nell’intera filiera del Parmigiano Reggiano.

Le Linee guida, per definizione, vogliono essere uno strumento operativo di facile consultazione, che si pone l'obiettivo di guidare il potenziale lettore nelle valutazioni e nelle scelte relative all'efficienza energetica e alla produzione di energia da fonte rinnovabile per i caseifici; questo strumento, ovviamente, non ha la pretesa di essere esaustivo per gli argomenti trattati, ma può essere di valido aiuto per inquadrare le tematiche e stimolare gli approfondimenti.

PREMESSA 7

(8)

1. CENNI INTRODUTTIVI SULLA TECNICA DI LAVORAZIONE DEL PARMIGIANO REGGIANO

Il Parmigiano Reggiano (in seguito P-R) è un formaggio tipo grana, semigrasso, a pasta dura cotta e a maturazione lenta (stagionatura minima di 12 mesi), prodotto a partire da latte vaccino crudo parzialmente scremato per affioramento naturale, ottenuto da 2 mungiture (quella della mattina e quella della sera precedente).

Il latte alla stalla può essere raffreddato subito dopo la mungitura a una temperatura non inferiore ai 18 °C. Si prevedono due munte giornaliere e il tempo massimo di mungitura per ogni munta non deve superare le 4 h.

La consegna al caseificio deve avvenire entro le 2 h dalla fine della mungitura.

La composizione media del prodotto stagionato prevede, su 100 g di massa, circa 30 g di acqua, 33 g di proteine e 28 g di grasso; il P-R è ricco di vitamine e minerali (calcio, fosforo, potassio, magnesio) ed è altamente digeribile.

La forma è cilindrica, con scalzo leggermente convesso alto 20-26 cm e facce piane con diametro di 35-45 cm; il peso minimo è di 30 kg.

L'area di produzione è circoscritta a 4 provincie emiliane e una provincia lombarda: Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (sinistra Reno) e Mantova (destra Po).

Di seguito si descrive brevemente la tecnica di lavorazione per la produzione del formaggio P-R; ad essa si farà riferimento nei capitoli successivi relativi alle azioni del progetto.

1.1. Sosta e affioramento

Questa fase iniziale ha lo scopo di correggere il contenuto in grasso, ottimizzando il rapporto grasso/caseina del latte in caldaia; comporta anche lo sviluppo di una certa flora microbica naturale, la debatterizzazione del latte e la drastica riduzione del contenuto di cellule somatiche.

La sosta del latte della sera avviene in vasche di acciaio (bacinelle) di forma e caratteristiche diverse (figura 1.1), ma che in comune hanno il fatto che la sostanza grassa deve affiorare in modo naturale. La sosta inizia alla temperatura di raccolta del latte (non meno di 18 °C) e prosegue a una temperatura che dipende dalle dotazioni del caseificio (condizionamento della sala latte, raffreddamento delle bacinelle), per un tempo di circa 10-12 h; si ottiene un latte con un contenuto di grasso del 1,7-1,8%.

1.2. Trasferimento del latte in caldaia

Il mattino successivo il latte magro viene convogliato (“spillato”) nelle caldaie, direttamente o previa raccolta nel mix del magro (serbatoio di miscelazione) e poi addizionato del latte intero della mattina, ottenendo un latte al 2,2-2,5% di grasso. La miscelazione può avvenire direttamente in caldaia, oppure preventivamente nello stesso mix del magro.

Le caldaie (figura 1.2), dette doppifondi per il tipo di costruzione che consente la circolazione del vapore surriscaldato, sono in rame (migliore trasmissione del calore), a forma di campana rovesciata e possono contenere circa 1.100 kg di latte.

I doppifondi sono disposti in file, inseriti con la loro parte inferiore nel pavimento della sala, in modo da presentare il bordo superiore a un'altezza adeguata per le operazioni che il casaro e i garzoni dovranno svolgere durante la lavorazione. Nella parte inferiore delle caldaie, al disotto del solaio del locale, sono previsti lo scarico e la raccolta della condensa del vapore.

1. CENNI INTRODUTTIVI SULLA TECNICA DI LAVORAZIONE DEL PARMIGIANO REGGIANO 8

(9)

1.3. Insemenzamento

Al latte in caldaia viene aggiunto il sieroinnesto, contenente una microflora termofila nella quale prevalgono lattobacilli (Lactobacillus bulgaricus, Lactobacillus helveticus, Streptococcus thermophilus ecc.). Il sieroinnesto viene prodotto a partire dal siero cotto della lavorazione del giorno precedente, prelevandolo da alcune caldaie dopo la fine della lavorazione, mettendolo in recipienti specifici e lasciandolo acidificare per 20-22 h.

Le funzioni del sieroinnesto sono le seguenti (Opuscolo C.R.P.A. 3.39):

• favorire l'attività della chimosina del caglio agendo sull'acidità del latte;

• attivare nella pasta del formaggio, già dalle prime ore, un'intensa fermentazione lattica in grado di contrastare lo sviluppo di batteri anticaseari;

• rendere disponibile una quota importante di enzimi utili per ottenere le specifiche proprietà strutturali e organolettiche del formaggio.

Dopo l’insemenzamento, con circa 25 l di sieroinnesto per caldaia, il latte viene portato alla temperatura di coagulazione (33 °C).

1.4. Aggiunta del caglio e coagulazione

La coagulazione presamica è il processo sul quale si basa la produzione di formaggio; il fosfocaseinato di calcio (caseina micellare) è allo stato di sospensione colloidale (sol) e per azione dell’enzima (caglio o presame) passa allo stato di gel (parafosfocaseinato), con liberazione del macroglicopeptide che resta in soluzione (fase primaria). Il gel assume via via una consistenza sempre maggiore perché le micelle si legano fra loro e si contraggono, espellendo il siero (fase secondaria di spurgo o sineresi). Compiuta la fase primaria e comparso il fiocco caseoso, si lascia che la fase secondaria proceda per il tempo necessario affinché il coagulo acquisisca la consistenza desiderata.

1.5. Rottura della cagliata, cottura ed estrazione

Si procede al taglio della massa con strumento apposito detto spino, manuale o meccanico, riducendo i frammenti alle dimensioni di un chicco di riso. Durante la rottura della cagliata si comincia a scaldare gradatamente, sempre agitando la massa, in modo che in 15 minuti si passi dai 33 ai 54 °C, con una sosta a 42 °C per qualche minuto. La cottura ha lo scopo di disidratare il coagulo e di selezionare i batteri termofili che saranno fra i responsabili della maturazione del formaggio. Raggiunti i 54 °C si chiude il vapore. Al termine della cottura la massa caseosa si deposita sul fondo della caldaia, aggregandosi. Complessivamente il tempo in caldaia è di circa 2 h.

Dopo circa 30 minuti di giacenza in riposo nel doppiofondo si estrae la massa caseosa con un telo di lino e cotone. L'operazione viene agevolata dall'impiego di sollevatori mobili (“caprette”) o da sistemi più complessi e moderni a guidovia (figura 1.3); questi ultimi consentono anche un agevole trasporto delle masse alla sala spersori. Da una caldaia si ottengono 2 forme gemelle del peso di circa 35 kg cadauna, per una resa casearia sul fresco intorno al 6,4%.

1.6. Messa in fascera e asciugatura

La massa caseosa ancora avvolta dal telo viene trasferita nella sala dei tavoli spersori (figura 1.4), dove viene applicata la fascera di alluminio o legno. Viene avvolto lo scalzo (parete verticale della forma) mentre il piatto viene pressato con pesi, in modo da agevolare l'espulsione del siero dalla pasta. Alcune ore dopo si

1. CENNI INTRODUTTIVI SULLA TECNICA DI LAVORAZIONE DEL PARMIGIANO REGGIANO 9

(10)

toglie la tela e si inserisce fra massa del formaggio e fascera una speciale matrice che, premendo sulla crosta in formazione, incide su tutto lo scalzo i dati anagrafici e di origine della forma.

La forma, frequentemente rivoltata sull'una e sull'altra faccia, viene lasciata in fascera per farle assumere, in modo definitivo e senza più pericolo di deformazioni, il suo aspetto caratteristico: facce piatte parallele e scalzo leggermente convesso. L'asciugatura avviene sempre in fascera, ma senza i pesi, alla temperatura di 18-20 °C. Il tempo complessivo di permanenza delle forme in fascera è mediamente di 2-2,5 d.

1.7. Salatura

L’apporto di sale al formaggio serve per proteggere la parte superficiale della forma dai microrganismi dannosi, per facilitare l’espulsione del siero e per dare il gusto al formaggio. Le forme sono immerse in una salamoia forte, all'interno di grandi vasche di calcestruzzo rivestite di resina alimentare o acciao inox. Le vasche sono sostanzialmente di due tipi: quelle tradizionali dove le forme galleggiano (figura 1.5) e quelle più moderne a immersione, dove le forme sono disposte ordinatamente all'interno di cestelli d'acciaio e immerse nella salamoia (figura 1.6).

La salamoia è una soluzione satura di cloruro di sodio (NaCl) a 10-15 °C. Durante questa fase si comincia a formare la crosta che preserva il formaggio da inquinamento microbico e rallenta gli scambi con l’esterno.

La fase di salatura (aggiunta del sale al prodotto) dura da un minimo di 16 a un massimo di 25 d. La diffusione del sale negli strati più interni (salagione) si avrà soprattutto nella successiva fase di maturazione, a partire dal sale assorbito dagli strati esterni della forma.

Una innovazione risalente agli anni '90 è stata l'introduzione del locale di stufatura (camera calda), per permettere l'asciugatura delle forme uscite dal salatoio, prima del loro ingresso nel magazzino di stagionatura.

1.8. Stagionatura

La stagionatura del P-R avviene in locali climatizzati (cascine o magazzini), a temperature variabili dai 16 ai 20 °C in estate e dai 13 ai 19 °C in inverno. Nel magazzino le forme sono poste su tavole di legno sostenute da specifiche strutture d'acciaio alte fino a 9-10 m, dette scalere (figura 1.7); queste devono essere saldamente ancorate al suolo, collegate fra loro e agganciate alle strutture portanti del fabbricato. Le scalere possono avere fino a 22 piani di tavole e possono quindi ospitare, per ogni metro di lunghezza, fino a 88 forme per le scalere doppie e fino a 44 forme per le scalere singole (quelle poste contro le pareti laterali del magazzino).

Durante la sosta in cascina vengono eseguiti con regolarità rivoltamenti e puliture delle forme e pulizia delle tavole; oggi queste operazioni vengono svolte da specifiche macchine dotate di una o più pinze, che si muovono automaticamente lungo le corsie di servizio, con possibilità di trattare fino a 4 forme contemporaneamente. Il trattamento manuale può essere ancora presente nei piccoli caseifici o per i primi giorni di permanenza (forme fresche).

Il formaggio viene venduto dopo 18-24 mesi, fino anche a 36 mesi. Durante questa fase si hanno fenomeni proteolitici complessi dovuti principalmente agli enzimi dei microrganismi. Inoltre, si hanno lipolisi e perdita ulteriore di acqua con formazione della crosta compatta. Al termine della stagionatura la forma pesa circa 30 kg, per una resa casearia sullo stagionato intorno al 5,5%.

1. CENNI INTRODUTTIVI SULLA TECNICA DI LAVORAZIONE DEL PARMIGIANO REGGIANO 10

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2. INNOVAZIONE TECNOLOGICA DEI CASEIFICI

Nel 1988 si tenne un Convegno indetto dal Consorzio fra Produttori e Cooperative Agricole (CPCA, oggi Progeo) dal titolo “Importanza della struttura del caseificio nella produzione del formaggio Parmigiano Reggiano”. Fra gli interventi, vi fu la relazione dell'ing. Tonino Rivieri: “Elementi per un progetto del Caseificio di domani”, dalla quale si traggono le considerazioni seguenti.

Si era all’inizio dell'applicazione di uno studio su miglioramenti e adeguamenti delle strutture, delle attrezzature e degli impianti nei caseifici, che allora utilizzavano ancora sistemi tradizionali. I doppifondi venivano ribaltati per i lavaggi, i salatoi erano in un seminterrato, serviti da scale percorse dagli operatori con le forme in spalla, c’erano scalini dappertutto e percorsi incrociati. Il condizionamento era pressoché inesistente e il siero era utilizzato soltanto per l'alimentazione dei suini.

Nello studio si introdussero la linearità dei percorsi “tutto avanti” e le pavimentazioni lavabili ad un unico piano e si ipotizzo un caseificio di potenzialità massima di 10.000÷12.000 t/anno (cioè una cucina con 25÷30 doppifondi). Queste proposte furono molto contestate e ritenute irraggiungibili!

Altre importanti proposte furono le seguenti:

• il trasporto del latte in autocisterna e non in bidoni;

• la sosta del latte in vasche da 550 kg, con spessore latte non superiore a 6÷8 cm, mentre oggi arriviamo a valori molto più elevati (anche 26 cm) con ottimi risultati;

• l’introduzione del freddo nel latte in arrivo e nell’affioramento (con lunghe e pesanti contestazioni);

• il condizionamento in vari locali e la ventilazione in cucina;

• i doppifondi fissi non ribaltabili;

• il sollevamento della cagliata con guidovie;

• l'asciugatoio diviso in due locali, uno per il 1° giorno e l'altro per 2° e 3° giorno;

• i tavoli spersori mobili;

• il salatoio a immersione con cestelli (accettato ufficialmente dagli organi di controllo solo dopo parecchi anni);

• la camera calda, mentre allora si utilizzava il cortile per “stufare” le forme;

• il magazzino di stagionatura con impianti di condizionamento e scalere fino a 20÷22 piani;

• le protezioni contro gli insetti su tutte le aperture verso l’esterno;

• il recupero delle acque di lavaggio;

• l’uso di un depuratore anaerobico aziendale vero e proprio al posto di semplici fosse tipo Imhoff.

Si propose la costruzione di un caseificio pilota che permettesse la verifica di tutte queste modifiche, salvaguardando sempre la tradizione e la qualità del prodotto. Non si fece il caseificio pilota, ma da lì partì l’innovazione nella lavorazione del formaggio grana, sia P-R che Padano e Trentino.

Nelle figure 2.1 e 2.2 si riportano le piante di progetto di due caseifici a diversa potenzialità produttiva e a differente impostazione organizzativa.

Il caseificio tipo 1 ha una cucina con 18 doppifondi e una capacità lavorativa di circa 7.000 t/anno;

affioramento e cucina sono nella stessa sala, secondo uno schema di tipo tradizionale. Il caseificio tipo 2, invece, prevede 52 doppifondi, con una capacità lavorativa di circa 20.000 t/anno, e la sala cottura è separata dalla sala latte, per ovvi motivi energetici (nella prima si scalda, mentre nella seconda si deve raffreddare);

2. INNOVAZIONE TECNOLOGICA DEI CASEIFICI 11

(12)

questo caseificio è stato oggetto di successivi ampliamenti, che ne hanno modificato il layout originario.

Come si vedrà anche più avanti, nella disamina dei risultati dell'indagine campionaria, il siero è utilizzato sempre meno per l'alimentazione dei suini (mentre fino a 20 anni fa era la regola), perché ci sono oggi sbocchi commerciali più remunerativi.

L’affioramento avviene in vasche di grande capienza e sono stati introdotti il mixer e la spillatura automatica, con controllo mediante centraline elettroniche.

Il trasferimento del latte nei doppifondi è stato automatizzato, con sistemi a “elefantino” o con l'impiego di elettrovalvole.

Le guidovie per il sollevamento della cagliata sono diventate obbligatorie e la ventilazione degli ambienti è migliorata; l’asciugatura è stata meccanizzata, mentre per la salatura multipla sono state proposte diverse soluzioni, fra le quali il sistema a immersione con le forme caricate in appositi cestelli.

Tuttavia, l’adeguamento dei caseifici alle più moderne tecnologie, sempre nella salvaguardia della tipicità del prodotto, non è ancora completato e presenta grandi discontinuità nel comprensorio. La tecnologia evolve in fretta, ma ci sono ancora molti interventi da fare; ad esempio, esistono ancora molti sprechi di energia e perdite di efficienza della manodopera e degli impianti.

Nel paragrafo 4.2 relativo alle azioni per l'efficienza energetica si illustreranno molte innovazioni tecnologiche attuate e attuabili nei caseifici del P-R.

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA

3.1. Premessa

Il processo di ristrutturazione del sistema dei caseifici nel Comprensorio del P-R si è tradotto in una continua riduzione del numero delle latterie e nell'aumento della loro dimensione (Montanari e De Roest, 2013).

Il numero di caseifici è passato dalle 733 unità del 1993 alle 373 del 2013, con una riduzione del 50% in un lasso di tempo di soli 20 anni.

Nel 2013 risultano in attività 247 caseifici cooperativi, 57 caseifici artigianali e 69 caseifici aziendali. Solo questi ultimi sono aumentati del 50% rispetto al 1993, mentre le altre due categorie hanno subito notevoli perdite (-60% per quelli cooperativi e -38% per quelli artigianali).

Il 70% dei caseifici è collocato in zona di pianura; i caseifici di montagna sono per quasi il 90% del tipo cooperativo.

Passando alla capacità produttiva, si può dire che in media i caseifici lavorano annualmente circa 4.700 t di latte, con un aumento rispetto al 1993 del 155%. Al di sopra del valore medio si collocano i caseifici cooperativi (5.100 t/anno) e quelli artigianali (5.900 t/anno). La capacità produttiva media è maggiore nei caseifici di pianura (5.100 t/anno).

In totale, il latte conferito ai caseifici nel 2013 ammonta a circa 1.743.000 t, con un incremento del 30%

rispetto al 1993.

La distribuzione della produzione per provincia vede primeggiare Parma e Reggio Emilia, rispettivamente con il 36,4 e il 31,8%, seguite da Modena con poco meno del 20%.

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 12

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La produzione provinciale mostra alcune interessanti peculiarità. Le iniziative di tipo privato hanno trovato terreno più fertile nella provincia di Parma, che detiene il 63% del latte totale conferito nel 2013 alle latterie aziendali e artigianali; in questa provincia, infatti, si concentrano ben 70 dei 126 caseifici privati. Abbastanza consistente è anche la percentuale per la provincia di Reggio Emilia (24%), mentre nelle altre 3 provincie del Comprensorio il latte conferito ai caseifici privati è di entità modesta.

Per i caseifici cooperativi è la provincia di Reggio che si pone in vetta alla graduatoria, con il 34,6% del totale latte conferito a questo tipo di latterie; seguono Parma con il 26,4%, Modena con il 23,4% e Mantova con il 13,6%.

Relativamente al formaggio prodotto, nel 2014 l'intero Comprensorio ha visto una produzione totale di 3.297.723 forme, con un incremento del 7% rispetto all'annata 2004 e una leggera flessione rispetto all'annata 2012 (-0,3%).

Questa produzione è distribuita per il 35,8% nella provincia di Parma, per il 31,4% in quella di Reggio e per il 19,4% in quella di Modena.

La produzione media per caseificio si attesta, sempre nel 2014, su poco più di 9.000 forme, con valori medi provinciali di circa 14.700 forme per Mantova, 10.400 forme per Reggio, 8.900 forme per Modena, 8.100 forme per Bologna e 7.500 forme per Parma.

3.2. I caseifici dell'area del sisma

L'area geografica di riferimento del progetto è quella riportata nell'Elenco comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, individuati nell’allegato A alla delibera RER n. 493 del 22 aprile 2013, Approvazione 3°

Programma operativo e relativo avviso pubblico a valere sulla Misura 126 "Ripristino potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali" per interventi a favore delle imprese danneggiate dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012” – n. 59.

La zona interessata dal terremoto è particolarmente coinvolta nelle principali produzioni di qualità, DOP e IGP, che caratterizzano l’intero sistema agro-alimentare della regione, tra le quali il P-R e il prosciutto di Parma.

In Emilia-Romagna sono state censite 12.618 aziende con allevamenti. In area sisma ne sono localizzate 1.707, pari al 13,5% del totale. La maggior parte di queste sono posizionate in provincia di RE (42%) e MO (34%), seguono BO con l’11% e FE con il 12%.

Rispetto al numero totale di aziende con allevamenti, nell’area del sisma sono posizionati il 34% degli allevamenti della provincia di RE, il 27% di quelli di Modena, il 13% per Bologna e il 49% per Ferrara.

Nelle zone colpite dal terremoto è localizzato il 13 % degli allevamenti bovini dell’intera regione e il 16%

delle aziende con vacche da latte. Le aziende con vacche da latte ricadenti nel comprensorio del P-R e site all'interno della zona sisma regionale sono circa 660 e allevano circa 50.000 vacche.

I caseifici da P-R ricadenti nell'area del sisma sono 71 (tabella 3.1), pari al 18,5% del totale dei caseifici del comprensorio (compresa Mantova); in questi caseifici viene lavorato poco più di un quarto del totale del latte destinato a P-R (il 28,6% di quello trasformato nella zona emiliana del comprensorio). La suddivisione provinciale vede 48 caseifici a Reggio Emilia, 22 a Modena e uno solo a Bologna.

3.3. Il questionario “Caseifici”

Le fasi 1 e 2 dell'Azione 2 del progetto hanno previsto un’indagine conoscitiva su un campione rappresentativo di caseifici dell'area del sisma, finalizzata al rilievo delle principali caratteristiche organizzative e tecnologiche degli stabilimenti e dei consumi energetici e idrici.

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 13

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La prima tappa è stata quella della messa a punto di un questionario (checklist), che fosse al tempo stesso sufficientemente esaustivo circa i temi da indagare e non troppo oneroso in termini di tempo necessario per la raccolta dei dati.

La modalità scelta per il rilevamento è stata quella della compilazione da parte di personale addestrato, con sopralluogo presso ogni caseificio coinvolto; per questo la checklist ha potuto prevedere un numero consistente di quesiti, al fine di caratterizzare meglio l'assetto produttivo delle latterie dell'area del sisma.

La prima versione del questionario è stata testata presso 3 caseifici (i 3 caseifici inizialmente identificati come caseifici pilota del progetto), allo scopo di ottenere indicazioni utili per la stesura della versione finale (consigli da parte dei casari, rilievo di errori, eliminazione di parti non necessarie), ma anche per formare gli operatori coinvolti nella raccolta dati.

Il questionario finale (Allegato I) è suddiviso in 15 sezioni identificate da una lettera dell'alfabeto; più sezioni insieme costituiscono una macroarea, in modo che alla fine si hanno 4 macroaree, ciascuna con uno specifico tema.

Macroarea 1: è costituita dalle prime due sezioni (A e B) e riguarda i dati anagrafici della latteria, la tipologia (sociale, artigianale, aziendale), il numero di conferenti e il latte conferito, il personale (casaro e garzoni), informazioni aggiuntive relative all'eventuale allevamento suinicolo annesso e le modalità di raccolta del latte.

Macroarea 2: è costituita dalle sezioni da C a L ed è la parte più ampia della checklist, in quanto si dedica alla definizione delle caratteristiche tecniche e impiantistiche del caseificio, suddividendo i quesiti in base al processo produttivo. Si parte dalla sosta e affioramento (C) e si arriva al magazzino di stagionatura (G), passando attraverso la cottura (D), la messa in fascera (E) e la salagione (F). Inoltre, sezioni specifiche sono dedicate al condizionamento degli ambienti di lavoro (H) e all'elenco delle eventuali altre produzioni del caseificio.

Macroarea 3: è costituita dalle 3 sezioni più importanti per gli scopi del progetto, cioè quelle che puntano alla definizione dei consumi energetici (M) e idrici (O), oltreché delle energie rinnovabili e degli interventi per l'efficienza energetica (N).

Macroarea 4: è costituita dalle ultime 3 sezioni che si occupano dei reflui caseari (P), dei sottoprodotti del caseificio (R) e dei rifiuti (S).

La raccolta dei dati ha richiesto un impegno maggiore di quanto era stato preventivato, anche perché non sempre i caseifici si sono resi disponibili a collaborare; inoltre, si è reso necessario un lavoro preliminare di richiesta ai caseifici coinvolti di recuperare dati e documenti relativi ai consumi energetici e idrici (bollette e fatture).

Sulla base dell'elenco generale dei caseifici dell'area del sisma sono state selezionate 39 latterie (tabella 3.2);

la scelta è stata fatta sulla base di alcuni criteri principali, fra i quali la dimensione e la localizzazione.

L'elenco iniziale è stato poi rivisto in corso d'opera, al fine di sostituire i caseifici che non hanno aderito all'iniziativa o che, per altri motivi, non hanno potuto collaborare. Alla fine, soltanto 35 caseifici hanno aderito alla proposta (uno in meno di quelli previsti in sede di progetto) e per questi sono state compilate le 35 checklist.

3.4. Risultati dell'indagine campionaria 3.4.1. Dati generali

I 35 caseifici interessati dall’indagine sono collocati nelle province di Reggio Emilia, Modena e Bologna (tabella 3.3), tutti in comuni di pianura.

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 14

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Il comune più interessato dall'indagine è quello di Reggio Emilia (con 11 caseifici), seguito da Campegine (5) e Castelfranco Emilia (3).

Per quanto riguarda la tipologia di caseificio, prevalgono nettamente i caseifici sociali (tabella 3.4).

Il numero di aziende conferenti per singola latteria è molto variabile, anche in dipendenza dalla dimensione del caseificio. Nel grafico del tipo a dispersione di figura 3.1 viene mostrata la relazione fra il numero di conferenti e la potenzialità produttiva del caseificio; il coefficiente di determinazione (R2) della regressione lineare non risulta molto alto, a significare una scarsa relazione fra le due variabili. Si può notare come quasi il 40% dei caseifici raccolga il latte da meno di 10 conferenti e un altro 40% abbia da 10 a 20 conferenti.

La capacità produttiva media del campione di caseifici risulta maggiore rispetto alla media generale di tutti i caseifici del comprensorio del P-R (9.600 contro 5.100 t/anno); il grafico di figura 3.2 mostra infatti come la classe di capacità produttiva più rilevante sia quella da 5.001 a 10.000 t/anno.

Lo spaccio per la vendita diretta del formaggio e di eventuali altri prodotti è presente nella maggioranza dei caseifici (30 su 35), mentre nettamente minoritario è il numero di caseifici che hanno un allevamento suinicolo annesso per lo sfruttamento del siero (appena 3 latterie gestiscono direttamente l'allevamento di proprietà, mentre altre 3 hanno l'allevamento ma lo danno in gestione a terzi). La motivazione di ciò risiede nel fatto che negli ultimi anni il siero ha avuto sbocchi commerciali molto interessanti e più remunerativi in settori alternativi, quali quelli delle preparazioni alimentari umane, della farmaceutica e della cosmesi.

Per quanto riguarda il personale addetto, un primo aspetto che è stato indagato è l'anzianità lavorativa del casaro, che rappresenta un indice dell'esperienza professionale: il casaro medio ha 20 anni d'attività, con valori massimi di 40 anni e valori minimi di 1-2 anni.

Il numero dei garzoni è solo parzialmente legato alla dimensione del caseificio, come si può vedere nel grafico di figura 3.3; è evidente una certa dispersione dei dati nell'intervallo fra 7 e 10 garzoni e il numero massimo di garzoni corrisponde a un valore di latte conferito decisamente più alto rispetto all'andamento della linea di regressione. Lo stesso coefficiente R2, pur essendo abbastanza alto, non dimostra appieno la relazione fra le due variabili.

In effetti, la produttività del lavoro, calcolata come quantità di latte lavorato all'anno per garzone, è molto variabile, andando da minimi di 350 a massimi di oltre 2.000 t. Quasi l'80% dei caseifici ha però una produttività del lavoro compresa fra 750 e 1.550 t/anno per garzone (figura 3.4).

Poco più della metà dei caseifici produce anche altri derivati del latte, oltre al re dei formaggi. Il prodotto più gettonato è la ricotta, presente nel 44% delle latterie; seguono, in ordine di importanza, la panna cotta, le caciotte, lo yogurt, il tosone e infine il burro (solo in 2 caseifici su 36).

3.4.2. Assetto strutturale e impiantistico dei caseifici

Il questionario ha permesso di approfondire gli aspetti tecnici legati alle modalità di lavorazione del latte, con particolare riferimento alla suddivisione in aree produttive e alle tipologie di impianti utilizzati. Di seguito si riportano i dati più significativi, seguendo l'ordine di lavorazione.

Sosta e affioramento

Circa la tipologia di vasche di affioramento, il 54% dei caseifici del campione è dotato di vasche tradizionali a sponde semplici, mentre in un altro 37% sono presenti vasche del tipo a intercapedine per il ricircolo dell'acqua fredda. Solo 3 caseifici sono dotati dei più moderni sistemi di affioramento a disco mono/multi piano (figura 3.5).

La capienza delle vasche, stranamente, non mostra una correlazione elevata con il latte lavorato, come si evince dal grafico a dispersione di figura 3.6; il coefficiente R2, infatti, non supera il valore di 0,7 e risulta evidente, osservando il diagramma, come ci siano caseifici che si allontanano in modo consistente dalla linea

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 15

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di regressione. Con ogni probabilità, essendo questo un dato richiesto al casaro e non misurato, c'è stata una qualche imprecisione nell'indicazione della capienza totale.

La modalità di spillatura del latte è manuale nell'85% dei casi e soltanto in 5 latterie si utilizza la spillatura automatica o semi-automatica. Anche per il lavaggio delle vasche prevale nettamente il tipo manuale.

Infine, è stato verificato se la sala di affioramento è separata dalla sala cottura, perché questa è un'innovazione più recente che sposa il tema dell'efficienza energetica; infatti, nella zona affioramento si deve fare freddo (raffreddamento del latte nelle bacinelle), mentre nella zona cottura si produce inevitabilmente caldo durante la lavorazione e le due cose sono in contrasto dal punto di vista energetico.

Soltanto il 23% delle latterie ha la sala affioramento separata da quella di cottura.

Cottura

Il locale di cottura, detto cucina, è il cuore del caseificio (figura 3.7); in esso avviene la trasformazione fisica del latte in massa caseosa, dalla quale deriverà poi il formaggio.

Le caldaie di lavorazione sono disposte in file e sono presenti in numero proporzionale alla quantità di latte lavorato; la potenzialità del caseificio, in effetti, può essere espressa in quantità di latte lavorato o in numero di doppifondi, anche se quest'ultimo valore può non essere preciso, perché non sempre tutte le caldaie vengono utilizzate e, al contrario, alcune caldaie possono essere utilizzate due volte consecutive nella stessa giornata (doppia lavorazione o ricottura).

Nel 60% dei caseifici i doppifondi sono utilizzati per una quota maggiore del 90%, cioè sostanzialmente a pieno regime, ma nel 30% dei casi tale quota è compresa fra il 70 e il 90% e per il rimanente 10% l'utilizzo è inferiore al 70% della potenzialità presente. Da notare che per effetto della ricottura, ammessa dal disciplinare per una quota di caldaie non superiore al 15%, il numero di doppifondi utilizzati può essere anche superiore a quelli presenti. La ricottura viene praticata dal 23% dei caseifici del campione.

Per questo motivo sono stati indicati sia il numero di caldaie presenti, sia quello delle caldaie mediamente utilizzate nell'arco dell'anno. Ovviamente, esiste anche una variabilità stagionale, in quanto nel periodo estivo, per effetto dello stress termico a cui sono sottoposte le vacche, la produzione di latte delle stalle tende a calare.

In media, i caseifici del campione hanno 27 caldaie e ne utilizzano 25; la variabilità è ovviamente molto elevata, avendo già visto com'è variabile la quantità di latte conferito. Per le caldaie presenti si va da un minimo di 5 a un massimo di 93. Un'ulteriore questione che complica le cose è che circa il 50% delle latterie utilizza latte di riporto, ovvero latte del mattino conservato a temperatura non inferiore a 10°C da utilizzarsi nella lavorazione del giorno dopo. Secondo il disciplinare del P-R tale latte non può superare il 15% del latte del mattino.

Nel grafico di figura 3.8 viene illustrata la relazione fra numero di caldaie utilizzate e quantità di latte conferito; tale relazione è molto forte, come ci si poteva aspettare, con un R2 prossimo a 1. Il diagramma evidenzia come quasi il 70% dei caseifici utilizzi un numero di caldaie uguale o inferiore a 25.

Interessante notare come il valore medio del latte lavorato all'anno in un doppiofondo sia uguale a 376 t, cioè inferiore al dato normalmente utilizzato come riferimento per il calcolo di massima della capacità produttiva della latteria (400 t/anno).

I contenitori per la preparazione e conservazione del sieroinnesto sono per lo più costituiti da fermentiere di acciaio inox; si tratta di serbatoi cilindrici a doppia parete, con raffreddamento ad acqua, della capacità di 800-2.000 l, spesso dotati di termo-programmatore elettronico. In effetti, nel 90% dei caseifici il siero viene raffreddato dopo il suo travaso nei contenitori. La capacità totale media di questi contenitori si aggira sui 1.200 l, con punta massima di 3.500 l nel caseificio più grande. Se si rapporta la capacità delle fermentiere con la quantità giornaliera di latte lavorato si ottiene un valore medio di 55 l/t, con variabilità compresa fra

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20 e 150 l/t.

La spinatura è prevalentemente manuale (62% dei casi), ma una quota non secondaria delle latterie pratica la spinatura manuale e automatica.

Per il sollevamento della massa caseosa si utilizza la “capretta” in più della metà dei caseifici, mentre l'impianto a guidovia è presente solo nel 14% dei casi; ancora un 31% di caseifici solleva la massa in modo manuale.

Il valore medio della temperatura finale di cottura è risultato pari a 55°C; siccome l'unità di misura della temperatura tradizionalmente utilizzata in ambito caseario è il grado Réaumur, il valore equivalente è pari a 44°Ré.

L'ultima domanda relativa alla fase di cottura riguardava il recupero della condensa derivante dal vapore surriscaldato: solo il 26% delle latterie ha un impianto per recuperare questo calore e sfruttarlo per aumentare l'efficienza delle caldaie di produzione del vapore stesso.

Messa in fascera e asciugatura

Il locale specifico per l'asciugatura delle forme è presente nella quasi totalità dei caseifici del campione (33 su 35 casi).

I tavoli spersori sono sempre del tipo tradizionale, con telaio in profilati d'acciaio e superficie realizzata per lo più in acciaio inox, legno o plastica. Soltanto in un caseificio è presente un moderno impianto a nastri multipiano automatici in locale isolato (figura 3.9), per il 2° e il 3° giorno di permanenza; da qui le forme escono in modo automatico e si ritrovano sulle pedane a rulli del salatoio, da dove vengono prelevate per essere inserite nei cestelli delle vasche di salagione.

Il tempo medio di permanenza in questa fase è pari a 56 h, con minimo di 24 e massimo di 72 h; i tempi più frequenti sono 72 h (36%) e 48 h (26%).

Salatura

Innanzitutto è stato rilevato il tipo di salatoio: da questo punto di vista la situazione è alquanto eterogenea, con sistemi molto diversi, figli di epoche diverse. Le soluzioni tradizionali a galleggiamento, che prevedono vasche di calcestruzzo rivestito o vasche di vetroresina, sono ancora l'unica soluzione nel 37% dei caseifici, mentre le più moderne soluzioni a immersione con cestelli di diversa capienza sono maggioritarie (oltre il 50% dei casi). La quota rimanente è data dalle latterie che sono dotate sia di salatoi tradizionali, sia di salatoi a immersione.

Il grafico di figura 3.10 illustra la relazione fra capienza del salatoio e latte conferito; il coefficiente R2 risulta piuttosto alto (di poco inferiore a 0,9), benché sia evidente una certa dispersione nell'intervallo fra 1.500 e 2.000 forme di capienza. Si evidenziano due blocchi principali: il primo, con il 60% dei casi, per capienze del salatoio fino a 1.100 forme, il secondo, con il 31% dei casi, per capienze da 1.400 a 2.000 forme.

La capienza media del salatoio è pari a circa 1.200 forme, con un valore massimo di quasi 5.000 forme per il caseificio nettamente più grande fra quelli analizzati (quasi 33.000 t/anno di latte lavorato). In media, per ogni tonnellata di latte conferito all'anno, sono presenti 0,13 posti in salatoio, con valori minimi di poco inferiori a 0,1 e valori massimi superiori a 0,3. Questo dato, ovviamente, è anche influenzato dal tempo di permanenza in salatoio, che per il campione in esame risulta mediamente pari a 19,2 d, con forbice fra i 15 e i 25 d.

Nella metà dei caseifici è presente una specifica vasca di preparazione e trattamento della salamoia.

Infine, oltre l'80% dei caseifici è dotato di camera calda per la sosta delle forme prima del trasferimento nel magazzino.

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 17

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Magazzino

La capienza del magazzino varia da un minimo di 1.200 a un massimo di 92.000 forme, per un valore medio di 22.200 forme. Il grafico di figura 3.11 mostra la relazione fra la capienza della cascina e la potenzialità produttiva (latte conferito): lo R2 è pari a 0,87 e quindi spiega la relazione in modo abbastanza convincente, benché non in modo perfetto. D'altronde, in questa relazione entra in modo significativo anche il tempo di permanenza nel magazzino, allo stesso modo di come si è visto per il salatoio.

In media le forme permangono 11,7 mesi nel magazzino del caseificio, ma ci sono latterie che superano appena i 2 mesi e altre che arrivano a 2 anni. Ovviamente, la restante parte della stagionatura viene fatta in altri magazzini, che possono essere di proprietà dello stesso caseificio, ma collocati in altro sito (e quindi non rilevati dal questionario), oppure possono essere di proprietà altrui (stagionatura in conto terzi).

E' interessante notare come oltre il 60% dei caseifici sia compreso nel gruppo con capienza fino a 20.000 forme.

Sono state analizzate le modalità di svolgimento delle operazioni più importanti che si effettuano nel magazzino: il rivoltamento e la pulitura delle forme e la pulitura delle tavole delle scalere. In un solo caso le operazioni sono svolte in modo manuale e ciò è giustificato dal periodo di permanenza talmente ridotto (2 mesi) da non rendere economica l'adozione di un robot. In tutti gli altri casi si adottano macchine rivoltatrici- pulitrici automatiche di diversa tipologia.

Tutte le macchine svolgono le 3 operazioni sopra ricordate, ma si differenziano per il numero di forme che sono in grado di trattare contemporaneamente, per la presenza di più pinze: nella maggior parte dei casi una sola forma per volta (80%), ma anche 2 forme (12%) o 4 forme (8%).

Il numero di macchine presenti varia in base alla dimensione del magazzino e al tipo di robot; nel caso di macchine multi-pinza, infatti, è in genere presente una sola macchina, perché la capacità di lavoro è molto maggiore.

La frequenza delle operazioni di rivoltamento delle forme varia da caseificio a caseificio: in media si tratta di un intervallo di 7 d per il primo periodo di stagionatura (fino ai 6-12 mesi) e di circa 16 d per il secondo periodo.

Altra macchina che è molto diffusa nei magazzini (74% dei casi) è la scalonatrice/descalonatrice, comunemente nota come “carica/scarica forme”. La macchina permette il caricamento automatico delle forme sulle diverse tavole delle scalere e il loro prelevamento a fine periodo (figura 3.12).

Una questione importante, inerente l'evento sismico al quale questo progetto fa riferimento, è proprio la presenza di scalere antisismiche nel magazzino. I danni più eclatanti subiti dai caseifici con il terremoto del 2012, infatti, sono derivati proprio dal crollo delle scalere piene di forme di formaggio, con effetto domino che ha comportato, in taluni casi, la caduta a terra della maggioranza delle forme in stagionatura (figura 3.13). In questo caso, ai danni ingenti derivanti dal crollo di parti murarie e di attrezzature, si è aggiunto il danno della rottura delle forme, con gravi perdite economiche.

Nel 2014, cioè due anni dopo il sisma, meno della metà delle latterie ha scalere antisismiche nei propri magazzini. Ovviamente, ne sono dotati tutti i caseifici che hanno subito danni a queste importanti strutture e che quindi sono stati costretti ad installare scalere nuove.

3.4.3. Il condizionamento dei locali

Una parte specifica della checklist ha riguardato l'eventuale condizionamento dei locali di lavorazione e del magazzino, con richiesta dei parametri microclimatici medi di riferimento.

Il grafico a barre della figura 3.14 riassume, per le principali aree del caseificio, la presenza di un impianto di

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controllo/condizionamento automatico della temperatura e dell'umidità relativa dell'ambiente. In tutti i caseifici il magazzino è dotato di impianto di condizionamento; anche nella sala spersori il condizionamento è molto diffuso (88% dei casi), mentre su percentuali un po' più basse si collocano il salatoio (69%) e la sala affioramento (60%).

In quest'ultima la temperatura media impostata è pari a 18°C, con variabilità compresa fra 15 e 22°C.

Situazione non molto diversa per la sala spersori, con 18,5°C di media e range compreso fra 15 e 22°C.

Nel salatoio la temperatura media impostata è un po' più bassa (16,7°C), con minimo di 14 e massimo di 19°C.

Infine il magazzino, dove si hanno dati diversificati in base alla stagione; la media invernale prevede una temperatura dell'ambiente di 16,5°C (da 13 a 20°C), mentre in estate lo stesso valore sale a 18°C (da 16 a 20°C). Nel caso del magazzino, si conosce anche il tasso di umidità relativa impostato sulle centraline di controllo: 80% in media, con variazione da 75 a 85%.

3.4.4. I consumi energetici

Per la macroarea 3 del questionario, relativa all'assetto energetico dei caseifici, si è innanzitutto provveduto a richiedere i consumi totali annui di energia elettrica, energia termica e acqua. La modalità è stata quella di richiedere, prima del sopralluogo del tecnico, la predisposizione della documentazione relativa, che è per lo più rappresentata da bollette e fatture inoltrate dai diversi gestori dell'energia e dell'acqua nell'arco dell'annata. Questo materiale è stato poi elaborato al fine di ricavare le informazioni basilari, che sono soprattutto i valori di consumo totale.

Consumi elettrici

Quasi il 40% dei caseifici ha un contratto di fornitura dell'energia elettrica con ENEL, mentre il secondo gestore dell'energia in ordine di importanza (Power Energia) fornisce poco più del 10% delle latterie. Altri gestori sono presenti, ma nessuno con più di 3 caseifici.

La potenza contrattuale della fornitura elettrica è molto variabile e non trova una piena correlazione con la potenzialità produttiva del caseificio. Ciò è illustrato nel grafico della figura 3.15, dove la linea di regressione fra potenza e latte conferito mostra un R2 di poco superiore a 0,7.

Il valore medio unitario della potenza di contratto è pari a 14,16 W/t anno di latte, ma la forbice è molto ampia, da un minimo di 6 a un massimo di 36 W/t anno. Bisogna però dire che il 70% dei caseifici ha una potenza compresa fra 10 e 20 W/t anno.

Se si parametra la potenza contrattuale al numero di doppifondi utilizzati si ottiene un valore medio di 5,31 kW/doppiofondo, con valori minimi di circa 2,5 e valori massimi di oltre 14 kW.

Si deve chiarire che i consumi energetici sono riferiti a un campione di 29 casi, in quanto 6 caseifici non hanno fornito le informazioni richieste su questo aspetto.

I consumi di energia elettrica correlati al latte conferito restituiscono il grafico di figura 3.16; il coefficiente di determinazione (0,72) non è molto diverso da quello citato in precedenza, a conferma di un legame non molto stretto fra potenzialità produttiva del caseificio e consumi elettrici totali. Una conferma di quanto detto la si può avere osservando i tre punti del grafico indicati dalle frecce, posti più o meno sulla linea orizzontale delle 20.000 t/anno di latte conferito; a queste 3 latterie, della stessa capacità produttiva, corrispondono consumi totali molto diversi: consumo basso a sinistra (circa 300 MWh/anno), consumo alto a destra (circa 1.300 MWh/anno) e consumo nella media al centro (800 MWh/anno).

La media dei consumi, appunto, è pari a 41,4 kWh/t di latte, con variabilità da 15 a 93 kWh/t. Il consumo medio annuo di energia elettrica per singola caldaia di cottura è pari a 15,5 MWh, con ampia variabilità (da 6

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a 37), benché quasi il 60% dei caseifici abbia un consumo compreso fra 10 e 16 MWh/caldaia.

Per stimare il consumo elettrico per formaggio stagionato si è prima di tutto calcolato il peso totale di formaggio prodotto in un anno, considerando una resa casearia del 5,5% (riferita al prodotto stagionato);

quindi, i consumi elettrici sono stati rapportati alla massa totale di formaggio. Risulta un valore medio di 753 kWh/t, con variabilità compresa fra 275 e 1.686 kWh/t.

Il questionario prevedeva anche la raccolta dei consumi di energia reattiva, ma questo dato è stato fornito da soli 6 caseifici; non è quindi stato possibile fare un'elaborazione attendibile e approfondita di questo aspetto.

Comunque, il costo imputabile all'energia reattiva è risultato in media pari all'1,37% del costo dell'energia attiva, con valore minimo dello 0,1% e valore massimo del 3% circa.

Consumi termici

Il combustibile più utilizzato nei caseifici è il metano, spesso come unica fonte energetica termica; in seconda posizione si colloca il gasolio, seguito da olio combustibile fluido 3/5 e gas liquido (gpl). Il grafico di figura 3.17 mostra il numero di caseifici che utilizza le diverse fonti di energia termica; da notare che la sommatoria dei casi supera abbondantemente il numero dei caseifici del campione, perché 10 caseifici utilizzano 2 fonti energetiche diverse.

Il metano è utilizzato nel 77% delle latterie ed è l'unica fonte termica in ben 21 caseifici. Il gasolio è impiegato in 9 latterie (26% del totale), ma in 5 casi è abbinato a un'altra fonte energetica (metano o gpl), benché il suo apporto in termini di energia sia prioritario. L'olio combustibile è quasi sempre utilizzato in abbinamento con un'altra fonte e il suo consumo prevalente è per la produzione di vapore surriscaldato.

I consumi energetici termici sono riferiti a un campione di 29 casi, in quanto 6 caseifici non hanno fornito le informazioni richieste su questo aspetto.

La presenza di fonti termiche diverse e il fatto che alcuni caseifici utilizzino 2 fonti differenti rendono poco interessante la valutazione dei consumi medi unitari dei combustibili. Risulta invece possibile la stima del consumo energetico termico totale, mediante la trasformazione dei volumi di combustibili in energia; per fare ciò è stato attribuito a ogni fonte energetica il rispettivo potere calorifico inferiore (pci), come di seguito indicato:

• pci metano = 31,65 MJ/Nm3 = 30 MJ/Sm3

• pci gasolio = 41,4 MJ/kg (peso di volume di 0,84 kg/l)

• pci gpl = 24,55 MJ/l

• pci olio combustibile 3/5 = 41,02 MJ/kg (peso di volume di 0,91 kg/l).

In questo modo è stato calcolato il consumo termico totale per ogni caseificio e tale consumo è stato parametrato al latte conferito, ottenendo il consumo energetico unitario da fonti termiche. In un solo caseificio il valore risultante è troppo basso e non appare credibile, quindi si è provveduto a eliminarlo dall'elaborazione. Rimangono validi 28 valori unitari, che variano da un minimo di 65 a un massimo di 208 kWh/t di latte conferito, per una media generale di 122,67 kWh/t. In 21 casi su 28 il consumo termico medio è compreso fra 80 e 140 kWh/t.

Nel grafico di figura 3.18 è illustrata la relazione fra livello produttivo (latte conferito) e consumo termico, per un R2 abbastanza alto (0,89) e maggiore rispetto a quello risultante per i consumi elettrici.

Il consumo medio annuo di energia termica rapportato alla singola caldaia di cottura risulta pari a 44,5 MWh, con variabilità piuttosto ampia (da 26,2 a 70,4), ma il 75% dei caseifici ha un consumo compreso fra 30 e 50 MWh/caldaia.

Rapportando il consumo termico al peso del formaggio stagionato (stimato sulla base del latte lavorato) si

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ottiene un valore medio di 2.173 kWh/t, con variabilità compresa fra 1.178 e 3.446 kWh/t.

La spesa energetica termica annua per tipo di combustibile è stata divisa per il consumo annuo di ogni singola fonte, al fine di ottenere il prezzo medio pagato dai caseifici; in media abbiamo 0,496 €/Sm3 per il metano, 0,745 €/l per il gpl, 0,89 €/l per il gasolio e 0,906 €/l per l'olio combustibile.

Consumi energetici totali e spesa energetica

Nella tabella 3.5 vengono riportati i consumi totali di energia diretta dei caseifici, comprensivi della quota imputabile ai magazzini di stagionatura presenti nello stesso stabilimento.

Il consumo unitario riferito al latte lavorato è mediamente pari a 161 kWh/t, con variabilità compresa fra 96 e 243 kWh/t. I consumi unitari maggiori sono più frequenti nei caseifici di piccole dimensioni (< 4.000 t/anno), mentre i 6 caseifici di maggiore capacità lavorativa (> 16.000 t/anno) hanno un consumo medio di 147 kWh/t, inferiore alla media del campione.

Il grafico di figura 3.19 illustra la relazione fra il consumo energetico totale e la quantità di latte lavorato. Si evidenzia un R2 di 0,88 analogo a quello ottenuto nella relazione con il solo consumo termico. Se si escludono i due caseifici con i consumi più alti, oltre i 3.500 MWh/anno, rappresentati dai due punti all'estrema destra del grafico, la distribuzione è abbastanza raccolta intorno alla linea di regressione, a significare che il modello di relazione spiega in modo abbastanza accurato i dati.

Anche per il consumo totale è stata analizzata la relazione con la produzione annua di formaggio stagionato (stimata in base al latte conferito): risulta un consumo medio di 2.924 kWh/t, con variabilità compresa fra 1.740 e 4.425 kWh/t.

I dati bibliografici raccolti, in verità abbastanza scarni e con riferimenti a formaggi di diversa tipologia e provenienza, mostrano dei consumi totali di energia diretta compresi nel range 1.800-6.500 kWh/t di formaggio; quindi, i valori risultanti dalla nostra indagine campionaria si collocano all'interno dell'intervallo ricavato dalla bibliografia.

Un'ultima questione è quella della spesa energetica sostenuta dai caseifici. Il calcolo è stato fatto con riferimento alle spese effettivamente sostenute per energia elettrica e per combustibili, desunte dalle bollette e da altri documenti contabili rilevanti. Questi dati si sono resi disponibili in modo completo per 26 caseifici.

La spesa energetica è stata poi rapportata al quantitativo di latte lavorato (latte conferito). I caseifici spendono in media 15,35 €/t latte, dei quali 7,03 per energia elettrica e i rimanenti 8,32 per combustibili (energia termica). Il range di variabilità è abbastanza ampio, essendoci latterie che spendono in totale meno di 10 €/t (4 casi) e altre che ne spendono più di 20 (6 casi); la cosa risulta evidente nel grafico di figura 3.20.

La verifica dell'eventuale relazione fra livello di spesa energetica unitaria e capacità produttiva delle latterie, immaginabile a livello teorico, restituisce esito negativo; il grafico di figura 3.21 mostra chiaramente una notevole dispersione dei punti e lo stesso R2 della linea di regressione di tipo esponenziale è molto basso.

Quindi, non si può dire che i caseifici più grandi riescano a spuntare prezzi più bassi dell'energia e/o che siano più efficienti in termini energetici, sebbene il caseificio con la maggiore capacità produttiva (punto più alto del diagramma) mostri un costo unitario inferiore ai 10 €/t.

Il costo totale dell'energia diretta rapportato alla quantità di formaggio stagionato (prodotto a partire dal latte conferito) mostra un valore medio di 279 €/t, con valori minimi intorno ai 130-180 €/t e valori massimi di 350-450 €/t.

La suddivisione media delle due componenti energetiche, come deriva dalle elaborazioni dei dati disponibili (circa 46% per l'elettrica e circa 54% per la termica), subisce variazioni anche sensibili nei singoli caseifici:

in alcuni il consumo elettrico è preponderante e arriva a coprire anche il 55-60% della spesa totale, mentre in altri la quota termica raggiunge anche il 65-70%. Ciò è correlato da un lato alla dotazione impiantistica e,

3. CARATTERISTICHE DEI CASEIFICI DELL'AREA DEL SISMA 21

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dall'altro, alle caratteristiche tecnologiche degli impianti, in particolare al loro corretto dimensionamento rispetto ai fabbisogni, nonché al livello di efficienza energetica, al grado di vetustà e alla qualità della manutenzione.

Principali utenze energetiche

Il questionario ha previsto il rilievo di alcuni semplici dati relativi alle principali utenze energetiche del caseificio, che sono la centrale termica per la produzione del vapore surriscaldato (figura 3.22), gli impianti termici per il riscaldamento dei locali e del magazzino e l'impianto di depurazione dei reflui caseari.

Per queste utenze si è cercato di rilevare la potenza di targa e il tempo medio d'impiego espresso in h/d, anche se non sempre con successo.

Per quanto riguarda la centrale termica (CT) del vapore abbiamo i dati di tutti i caseifici; la sua potenza (PCT) è ovviamente rapportata al numero di doppifondi presenti e in genere il dimensionamento di massima viene fatto con la seguente formula:

PCT = df va 0,7 dove:

df è il numero di doppifondi,

va è la massa (in kg) di vapore necessario per un doppiofondo, 0,7 è la potenza (in kW) necessaria per produrre 1 kg di vapore.

Per stimare va è possibile avvalersi del grafico di figura 3.23, dal quale si capisce che all'aumentare del numero di doppifondi cala il fabbisogno per singola caldaia di cottura.

Il calcolo teorico fatto con la formula è stato confrontato con la potenza effettiva della CT di ogni caseificio, al fine di verificare la congruenza dei dati. In 18 casi la CT è risultata sovradimensionata rispetto alla potenza calcolata, anche se in soli 2 casi tale fatto è di entità considerevole (più del 50% di potenza rispetto a quella teorica). In altri 15 casi, al contrario, la potenza reale è minore di quella calcolata e in 4 caseifici ciò è di livello notevole (dal 50 al 100% in meno).

Di fatto, con riferimento alla potenza effettiva della CT, possiamo dire che in media la potenza installata è pari a 73 kW per doppiofondo, con range compreso fra 35 e 170 kW.

Il tempo di funzionamento della CT in fase di lavorazione, dichiarato dai casari, è mediamente pari a 4,2 h/d, con minimi di 2 e massimo di 9 h/d. In alcuni caseifici la CT non viene mai spenta, rimanendo in standby durante l'intervallo fra due lavorazioni successive.

In soli 3 caseifici non è presente un impianto termico per il riscaldamento del magazzino di stagionatura. In tutti gli altri caseifici l'impianto funziona solo nel periodo freddo dell'anno, per un numero di ore/giorno variabile in base alle condizioni climatiche e alle caratteristiche del magazzino (dimensione, livello di isolamento termico ecc.), al fine di mantenere la temperatura di stagionatura desiderata, che come si è già detto varia da 13 a 20°C (media di 16,5°C).

La centrale termica dell'impianto, spesso rappresentata da una o più caldaie murali a gas del tipo utilizzato nelle abitazioni, ha una potenza media di 5,4 W per posto forma del magazzino, con ampia variabilità (da 1 a 20 W/forma, ma l' 85% delle CT ha potenza compresa fra 1 e 9 W/forma).

3.4.5. Energie rinnovabili ed efficienza energetica

Questa sezione della checklist ha raccolto informazioni sugli aspetti dello sfruttamento di fonti di energia rinnovabili (FER) e su interventi di miglioramento dell'efficienza energetica dei caseifici. E' stato chiesto sia ciò che le singole latterie hanno già attuato, sia ciò che vorrebbero attuare in futuro, allo scopo di conoscere

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