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CAPITOLO 8 La Valutazione Integrata del Rischio Incendi Boschivi nella Provincia di Livorno

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CAPITOLO 8

LA VALUTAZIONE INTEGRATA DEL RISCHIO INCENDI

BOSCHIVI NELLA PROVINCIA DI LIVORNO

8.1 INQUADRAMENTO

DELLA

PROBLEMATICA

L’obiettivo del presente lavoro è quello di costruire un sistema esperto di supporto alle

decisioni in ambito spaziale per la valutazione territoriale del rischio incendi boschivi.

Tale sistema si basa sulla sinergia di tecniche di data mining, capaci di estrarre regole decisionali sulla base di ampi database di tipo geografico, procedure di aiuto alle decisioni

multicriteri spaziali e strumenti GIS.

La valutazione del rischio è basata sull’analisi di due aspetti fra loro complementari: la determinazione della probabilità che l’evento calamitoso (l’incendio) si verifichi e la stima degli effetti che l’evento provoca sul territorio considerato.

Nel presente lavoro la pericolosità di un incendio boschivo viene determinata tramite un sistema esperto basato su strumenti di intelligenza artificiale (alberi decisionali), mentre il danno provocato dalla propagazione del fuoco viene stimato tramite la tecnica di analisi multiattributo spaziale denominata AHP.

La valutazione del rischio di incendi boschivi è una questione di notevole rilevanza, sia a livello di pianificazione territoriale il cui obiettivo è quello di prevedere possibili scenari connessi al verificarsi dell’evento calamitoso ed individuare le aree a maggior rischio, sia a livello esecutivo per redigere piani operativi di intervento ed ottimizzare i sistemi di protezione della popolazione e dei beni presenti nel territorio interessato dall’incendio. Nella gestione delle emergenze connesse al verificarsi del dell’evento calamitoso possono essere distinte tre fasi: fase pre-operativa, operativa e post-operativa. In questo lavoro verranno individuate e localizzate le zone a maggior rischio in modo da poter pianificare adeguate misure antincendio (fase pre-operativa).

In tale fase il decisore deve provvedere a dislocare le risorse disponibili nelle zone in cui il rischio stimato risulta particolarmente elevato, così da massimizzare l’efficienza degli interventi, sia in termini di tempo di risposta, che di capacità di fronteggiare l’evento. Inoltre, la possibilità di valutare e modellare ex ante le dinamiche dei principali fattori che determinano l’innesco e la propagazione del fuoco permette di definire politiche per il monitoraggio del territorio e dislocare in modo efficiente i mezzi di spegnimento e di soccorso.

Il sistema,implementato in ambiente GIS, è stato testato sul territorio della Provincia di Livorno in cui il problema del rischio incendi boschivi è divenuto particolarmente grave, soprattutto nella stagione estiva.

Per poter quantificare e localizzare le zone a maggior rischio, l’intera area di studio è stata suddivisa in celle quadrate, di lato 100 metri (oltre 100.000), su ciascuna delle quali viene

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computato un valore di rischio in modo da individuare le zone di maggiore criticità (figura 8.1).

Trattandosi di rischio incendi boschivi, sono state escluse dall’analisi quelle porzioni di territorio, ovvero quelle celle, che corrispondono ai maggiori aree urbanizzate della Provincia, mentre sono stati incluso l’urbanizzato discontinuo e le case sparse, molti dei quali sono ubicati a bordo delle aree boscate e sono, su base statistica, i luoghi dove i danni alla popolazione sono più consistenti e possono riguardare anche perdite umane.

100 mt

Area di Studio

100 mt

Figura 8.1 Area di studio (Provincia di Livorno) con indicazione della unità territoriale minima per la valutazione del rischio incendi boschivi

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8.2 AMBITO

TERRITORIALE

E

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Il territorio della Provincia di Livorno occupa la stretta fascia costiera compresa tra la foce dello scolmatore del fiume Arno ed il golfo di Follonica e comprende alcune isole dell’arcipelago toscano, per un totale di 1.212,83 chilometri quadrati.

E’ la provincia meno estesa della regione, di cui costituisce solo il 5,3% della superficie totale, ma è anche quella più marittima d’Italia, poiché detiene il primato del più alto rapporto (0,24) tra i 290 chilometri di costa e i 1.212 Km2 di superficie amministrativa.

La Provincia di Livorno comprende 20 comuni e sviluppa la sua competenza su un numero di residenti pari a circa 326.500 abitanti ed abbraccia 6.900 Km2di mare.

La porzione continentale del territorio si estende dalla piana dell'Arno sino al canale di Piombino, mentre la parte insulare comprende la maggior parte delle Isole dell’Arcipelago toscano (Elba, Capraia, Pianosa e Montecristo), oltre ad alcuni scogli e isolotti minori. Il territorio, ad eccezione delle isole dell’arcipelago, è prevalentemente di natura collinare, mentre nella parte più interna si estendono rilievi un po’ più aspri che rappresentano le estreme propaggini occidentali delle Colline Metallifere.

Lungo la costa in corrispondenza delle foci dei fiumi Cecina e Cornia si trovano le pianure più estese; la costa si presenta alta e frastagliata nel tratto più a nord, è bassa e uniforme con lunghe spiagge sabbiose nella parte centrale, quindi sporge nel promontorio di Piombino (antica isola rocciosa saldata alla terraferma dalle alluvioni del fiume Cornia) nel tratto meridionale.

Il clima è tipicamente marittimo, con estati calde ed inverni miti, mentre le precipitazioni variano tra i 650 mm e i 1.160 mm annui con due massimi, in autunno e in primavera, e un minimo nei mesi estivi. Le temperature medie annue sono pressoché simili in tutti i comuni appartenenti alla provincia livornese e si aggirano intorno ai 14,5°C.(figura8.2).

Figura 8.2 Andamento dei fattori climatici (Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale, Ufficio Compartimentale di Pisa, 2005).

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Per quanto concerne le trasformazioni del territorio in termini di stratificazione di funzioni nuove rispetto a quelle originarie prevale, al di fuori dei grandi nuclei urbanizzati, la tendenza alla tutela ed alla valorizzazione: ad esempio le pinete costiere e il famoso viale di Bolgheri, pur attraendo un gran numero di turisti, diventano parte del patrimonio naturale e storico. Ovviamente non sono mancati interventi di consistente trasformazione che però risultano confinati nei pressi dei grandi centri urbani di Livorno, Rosignano e Piombino, funzionalmente caratterizzati dalla presenza di industrie pesanti.

La città di Livorno è stata un importante raccordo della Toscana con il mondo e con i paesi e le culture d’Europa; è stata centro di incontro tra cultura europea e mediterranea ed ancora oggi è considerata la porta a mare della Toscana.

Livorno e il territorio della provincia, nel loro insieme, esprimono, dunque, la struttura marittima della Toscana con la stratificazione tipica delle aree marittimo-portuali quali:

La forte presenza di attività industriali tradizionali e tipologicamente riferibili all’industria di base o alla filiera dell’energia;

la forte concentrazione di insediamenti nelle aree urbane;

la presenza di attività turistiche e turistico/nautiche con fenomeni di sovraccarico antropico nel periodo estivo;

la concentrazione di zone ad alto pregio paesaggistico ed ambientale in concomitanza delle isole, delle aree costiere e del primo sistema collinare.

I SISTEMI LOCALI

La struttura economica e sociale della provincia di Livorno è caratterizzata da una molteplicità di aspetti che derivano da percorsi differenziati di sviluppo locale. Non si identifica, infatti, un'unica tipologia dominante di organizzazione sociale o di specializzazione produttiva ma, al contrario, sono presenti sistemi locali, molto diversificati anche al loro interno, che delineano il carattere poliedrico dell’area.

I vari sistemi locali sono intrinsecamente legati all’economia del mare, sia perché questa risorsa è alla base delle più importanti strutture produttive, dai porti ai grandi stabilimenti industriali metallurgici e chimici, sia perché è alla base dell’altra attività economica che connota fortemente la provincia, e cioè, il turismo.

Occorre, tuttavia, segnalare che sono presenti numerose altre attività manifatturiere, mentre si segnala un crescente sviluppo del terziario e dell’agricoltura di qualità.

Sulla base della classificazione del territorio toscano nei 42 Sistemi Economici Locali (SEL), la Provincia di Livorno comprende: l’Area Livornese, la Val di Cecina, la Val di Cornia e l’Arcipelago Toscano (figura 8.3).

Questi sistemi si differenziano tra loro, oltre che per quanto riguarda i caratteri socio-economici e demografici, anche per la struttura geomorfologica.

Mentre l’Area livornese e la Val di Cecina occupano un territorio pianeggiante, la Val di Cornia e le isole dell’Arcipelago sono caratterizzati da un territorio collinare ed a tratti

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montuoso. Infatti, i comuni di Sassetta e di Piombino sono inseriti nella Comunità Montana delle Colline Metallifere e tutti i comuni dell’Arcipelago formano la Comunità Montana dell’Elba e Capraia.

Figura 8.3 I Sistemi Economici Locali della Provincia di Livorno INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO E MOBILITÀ

Riguardo alle infrastrutture di trasporto, occorre operare una differenziazione importante tra la parte continentale e la parte insulare della provincia: per tutti i 20 comuni , infatti, la collocazione geografica costituisce un elemento di primaria importanza nel favorire o limitare i flussi della mobilità.

La parte continentale della provincia, che include l’Area livornese, la Val di Cecina e la Val di Cornia, presenta un sistema di trasporti articolato, comprendente strade, ferrovie e i due porti di Livorno e Piombino.

Una situazione totalmente diversa è, invece, quella che caratterizza l’Arcipelago: i rilievi montani (in particolare nelle isole di Elba e Capraia) e l’isolamento naturale dovuto al carattere insulare, hanno da sempre costituito un ostacolo alla realizzazione di efficienti infrastrutture viarie interne e hanno reso difficoltosi i collegamenti delle isole con la terraferma.

Nella zona continentale la principale connessione stradale è rappresentata dalla Statale Aurelia che percorre l’intera provincia livornese servendo direttamente il capoluogo per un tratto di oltre 90 km. Si tratta di una strada che facilita i collegamenti della provincia con la parte nord ed est del Paese.

Un’arteria fondamentale di comunicazione verso l’interno della regione, lungo il corridoio della Valle dell’Arno, è la Strada di Grande Comunicazione (SGC) Firenze-Pisa-Livorno.

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Essa corre lungo la riva sinistra dell’Arno e, in prossimità di Cascina, si divide in due rami: il primo si dirige verso Pisa (inserendosi nell’autostrada A12), il secondo verso Livorno, incrociando l’Aurelia e immettendosi nell’area portuale. L’autostrada A12 Genova-Livorno-Rosignano, che attraversa la Provincia, rappresenta pertanto una fondamentale via di accesso a Livorno ed al suo porto.

Decisamente inferiore è la rete infrastrutturale presente nell’Arcipelago dove sono soltanto tre le reti di comunicazione di rilievo, mentre è totalmente assente l’infrastruttura ferroviaria. Il collegamento ferroviario che attraversa, invece, la zona continentale copre circa 120 km e, rapportando tale valore all’estensione territoriale della provincia, si osserva che questa dispone di 98,2 km di strada ferrata per ogni 1000 km2

di superficie, pari a una densità quasi doppia rispetto alla media nazionale (che è di 54 km ogni 1.000 km2). La più importante linea ferroviaria è la Roma-Genova-Torino e ad

essa si affianca l’altro collegamento di rilievo, e cioè quello tra il capoluogo e l’interno della regione (Livorno-Firenze).

Oltre al trasporto passeggeri la rete ferroviaria assolve anche alla funzione di trasporto merci che, tramite il collegamento del porto di Livorno ad altre tre stazioni ferroviarie di appoggio, convergono in una stazione di smistamento centrale (Livorno Calabrone).

IL TURISMO

Nella provincia di Livorno il turismo assume un ruolo di particolare rilievo, non solo nei centri della fascia costiera, ma anche e soprattutto nelle isole dell’Arcipelago, dove costituisce l’attività economica prevalente.

L’economia turistica è legata principalmente al mare, quindi raggiunge il culmine delle presenze nel periodo estivo, sottoponendo il territorio ad un notevole sovraccarico antropico.

Dai dati dell’Osservatorio Turistico della Provincia di Livorno evidenziano nel quinquennio a cavallo del 2000 si è verificata una sensibile diminuzione di flussi anche se i flussi relativi gli ultimi due anni mostrano una ripresa netta ripresa dovuta essenzialmente alla componente straniera indotta a soggiornare in questa area anche grazie al potenziamento dei flussi delle navi da crociera nel porto di Livorno.

LE AREE NATURALI E LE PRINCIPALI VALENZE AMBIENTALI

La Provincia di Livorno presenta un sistema molto articolato di aree naturali protette che insistono prevalentemente sulle fasce costiere e sulle colline boscate, in un territorio che presenta complessivamente i caratteri tipici dell’ambiente mediterraneo.

Le isole di Capraia, Gorgona, Pianosa e d’Elba, della Provincia di Livorno, fanno parte del Parco Nazionale dell’arcipelago Toscano ed insieme alle isole grossetane del Giglio e di Giannutri, concorrono a definire un sistema omogeneo di aree a forte valenza naturalistica e paesaggistica..

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Gli habitat naturali, che hanno mantenuto intatti gli aspetti originari, sono prevalentemente concentrati lungo la costa e nelle isole dell’Arcipelago e risultano solo marginalmente interessati dalla pressione turistica antropica; alcuni esempi significativi si hanno negli ambienti di duna e di foresta umida residuali della palude della piane costiere (tomboli di Cecina e Padule di Bolgheri) e sui promontori (Piombino e Calafuria).

La vegetazione del territorio delle aree protette della provincia di Livorno presenta caratteristiche piuttosto omogenee, sia nelle associazioni fitosociologiche che nello stato di conservazione. Il complesso della vegetazione che si sussegue dalle dune costiere fino ai boschi caducifoglie dei rilievi è rappresentativo del paesaggio mediterraneo, insieme alle pinete di origine antropica che si estendono lungo la costa (Riserva Naturale Statale dei Tomboli di Cecina).

Il sistema delle aree protette (figura 8.4) si articola secondo il seguente elenco:

A nord, nei comuni di Livorno e Collesalvetti, sono presenti le Aree Protette dei Monti

livornesi (afferenti al Parco Provinciale dei Monti livornesi);

A sud si tovano i Parchi della Val di Cornia (afferenti al Parco interprovinciale di Montioni);

Nel settore centrale della Provincia, identificato come sistema locale Val di Cecina costiera, è presente un insieme di aree protette relativamente discontinuo e complesso dal punto di vista territoriale che comprende: le ANPIL del Fiume Cecina e

della Magona, la Riserva Naturale Statale Tomboli di Cecina e la Riserva Naturale Statale di Bibbona e l’Oasi WWF di Bolgheri;

Nel sistema delle Isole si trova il Parco Nazionale dell’Acipelago Toscano.

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NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Per lo valutazione del rischio incendi è necessario innanzitutto tener presente il quadro normativo di riferimento in materia di tutela del patrimonio boschivo del fuoco che risulta piuttosto complesso in quanto riguarda ambiti legislativi differenziati che vanno dal codice della strada alla specifica normativa Anti Incendio Boschivo (AIB).

Riportiamo quindi una descrizione di sintesi della Normativa di riferimento, sia a livello nazionale che regionale (Toscana).

La Normativa nazionale comprende:

Il Regio Decreto del 30/12/23 n. 3267 "Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e terreni montani" che è la legge generale di riferimento in materia di vincoli ed obblighi delle aree extraurbane.

Il Regio Decreto del 16/5/1926 n. 1126 "Approvazione dei regolamento per l'applicazione del R.D. 30/12/23 n. 3267” concernente il riordinamento e la riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani". All'art. 19 lett. I ed L, questo decreto stabilisce che vengano presi provvedimenti al fine di prevenire ed estinguere gli incendi nei boschi e di ricostruire quelli danneggiati o distrutti dagli incendi stessi.

Il Regio Decreto del 18/06/31 n. 773 che è il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza in materia di incendi. Esso, all'art. 59, recita:

“E' vietato di dar fuoco nei campi e nei boschi alle stoppie fuori del tempo e senza le condizioni stabilite dai regolamenti locali e a distanza minore di quella in essi determinata.

In mancanza di regolamenti, è vietato dar fuoco nei campi o nei boschi alle stoppie prima del 15 agosto e ad una distanza minore di 100 metri dalle case, dai boschi, dalle piantagioni, dalle siepi, dai mucchi di biada, di paglia, di fieno, di foraggio e da qualsiasi altro deposito di materia infiammabile o combustibile. Anche quando è stato acceso un fuoco nel tempo e nei modi su indicati, devono essere adottate le cautele necessarie a difesa della proprietà altrui, e chi ha acceso un fuoco deve assistere di persona e col numero occorrente di persone fino a quando il fuoco sia spento”.

La Legge del 24/02/92 n. 225 che istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile e ne individua gli ambiti di attività.

Il D.P.R. del 24/07/77, n. 616. E’ il decreto che trasferisce alle Regioni le competenze della L. 47/75 (ora sostituita dalla Legge 353/00) disponendo, in particolare, che ciascuna Regione organizzi uno specifico servizio antincendio e riservando, all'autorità centrale, le competenze “... in ordine all'organizzazione e gestione, d'intesa con le

Regioni, del servizio aereo di spegnimento degli incendi e dell'impiego dei corpo dei Vigili dei fuoco ...”

Il D. Lgs. del 29/10/99, n. 490. E’ un Decreto Legislativo che reca disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali. Va sottolineato che, secondo questa legge,

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nelle aree boscate non è necessaria l'autorizzazione, ai fini del vincolo paesaggistico; per la realizzazione di opere antincendio. Queste devono essere eventualmente autorizzate nei modi di legge per quanto riguarda il vincolo idrogeologico, la concessione edilizia e quanto altro necessario.

E' bene specificare che, quando le aree boscate ricadono in una delle altre categorie previste dall'art. 146 della stessa legge, è sempre necessaria, per la realizzazione di opere antincendio, l'autorizzazione ai fini del vincolo paesaggistico.

La Legge del 21/11/2000 n. 353. E’ Legge quadro in materia di incendi boschivi: con questa legge vengono abrogate le principali norme legislative precedenti ed in particolare la Legge del 1/03/75, n. 47 "Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi".

La legge si articola in vari capitoli: previsione, prevenzione e lotta attiva; funzioni amministrative e sanzioni; disposizioni finanziarie, abrogazioni di norme ed entrata in vigore.

Questa legge in particolare definisce cosa sia un incendio boschivo, ripartisce le competenze fra i vari enti/associazioni preposti al servizio antincendio boschivo (AIB), ribadisce le competenze regionali e dispone il divieto di cambio di

destinazione d'uso dei suoli percorsi da incendio.

Fra le competenze comunali include quella della istituzione di un catasto delle aree

incendiate, necessario all'applicazione dei vincoli di legge.

La Normativa regionale (Toscana) comprende:

La L.R. del 21/03/2000, n. 39. È la Legge forestale della Toscana, successivamente modificata ed integrata con la L.R. n. 1 del 02/01/2003.

La legge 39/2000 stabilisce:

- l'ambito di applicazione ai fini dei Servizio A.I.B, con la definizione di bosco (art.3) e la definizione di incendio boschivo (art. 69);

- la ripartizione delle competenze fra la Regione Toscana e gli Enti Locali (art.70);

- le risorse finanziarie da allocare per la protezione dal rischio incendi.

Sono presenti nel quadro normativo regionale anche il Regolamento di attuazione della L.R. della 39/00, il DPGR n. 48R del 8/08/2003 e il Piano Operativo AIB 2004/2006.

La L.R. 48/94 e successive modifiche (L.R. 26 del 25/5/98). “Norme in materia di

circolazione fuoristrada dei veicoli a motore” consentono la circolazione dei veicoli

antincendio fuoristrada e proibiscono, invece, la circolazione dei normali mezzi di trasporto nelle cesse parafuoco.

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8.3 LA TEORIA DEL RISCHIO

Il rischio è un concetto che associa due elementi fondamentali: il primo è la probabilità che un determinato evento sfavorevole si verifichi, l'altro è la conseguenza che l’evento comporta e pertanto può essere valutato considerando sia la possibilità di accadimento della calamità, sia il danno da essa provocato. La teoria del rischio (Grandell, 1991)

Aspects of risk theory, Springer, New York.indica, quindi, come formalizzare tutte

variabili necessarie per la valutazione dell’evento rischioso che devono essere successivamente determinate in modo quantitativo a seconda della natura del fenomeno analizzato (incendi, alluvioni, frane, sisma etc).

8.3.1 Le Variabili del Rischio

Le variabili che devono essere considerate nell'analisi del rischio sono: gli eventi e la loro probabilità di accadimento o pericolosità;

gli elementi a rischio e la loro esposizione e vulnerabilità agli eventi.

La stima di queste variabili consente di valutare sia il danno potenziale nel caso si verifichi l'evento che il rischio associato al danno provocabile dall'evento stesso.

Occorre, tuttavia, sottolineare come, soprattutto a causa della oggettiva difficoltà che si riscontra nel definire le variabili precedenti, il percorso metodologico che conduce alla definizione di rischio risulti di particolare complessità.

L'analisi del rischio si inserisce in un contesto che, per propria natura, è incerto e in continua modificazione: il territorio va inteso, infatti, come un “entità vivente”, nel quale i comportamenti antropici, associati alla naturale modificazione dell'ambiente, determinano scenari diversi di trasformazione (Etienne De Vylder, 1996).

Le incertezze che si presentano nell'analisi del rischio possono essere suddivise in due classi:

• incertezze aleatorie • incertezze epistemiche

Gli aspetti di aleatorietà riguardano il verificarsi degli eventi che condizionano l'evoluzione degli scenari incidentali. Questi aspetti sono adeguatamente descritti dalla caratterizzazione probabilistica del rischio, cioè dal termine definito “pericolosità”: si può, quindi, ritenere che l'unica variabile aleatoria presente nell'analisi dei rischio sia proprio la pericolosità.(Tira, 1997).

Le incertezze epistemiche si riferiscono ad una non completa conoscenza dei parametri e dei fenomeni coinvolti e pertanto riguardano tutte e tre le componenti dei rischio (pericolosità, esposizione e vulnerabilità).

Queste incertezze epistemiche sono dovute sia alla intrinseca incapacità dei modelli di rappresentare completamente la realtà, sia alla carenza di attendibilità dei dati che alimentano i modelli. di pericolosità in continua evoluzione.

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L’EVENTO

Qualsiasi sia la natura del rischio ed il livello di incertezza ad esso associato, un evento può essere definito come un fenomeno di origine naturale o antropica in grado di arrecare danno.

Esistono varie tipologie di evento ognuna delle quali è comunque caratterizzata da una certa intensità, cioè da un determinato grado di severità.

Gli eventi si possono suddividere in prevedibili e non prevedibili. Gli eventi prevedibili sono eventi preceduti da fenomeni precursori, ossia da fenomeni che, normalmente o molto probabilmente, portano al verificarsi dell'evento stesso. Gli eventi non prevedibili sono eventi che non sono preceduti da alcun indicatore d'evento (fenomeni precursori o dati di monitoraggio) che ne consenta la previsione. Esempi di eventi non prevedibili sono i terremoti e gli incendi boschivi.

LA PERICOLOSITÀ

Ad ogni tipologia di fenomeno rischioso, è associata una pericolosità (H)che rappresenta la probabilità che un evento (Hazard) di una certa intensità si verifichi in una data area e in un dato periodo di tempo.

Per individuare la distribuzione di probabilità è necessario:

determinare la probabilità di innesco degli eventi, in termini di localizzazione puntuale e/o areale;

determinare la probabilità media dell'occorrenza degli eventi per area attraverso dettagliate ricerche storiche;

indicare le cause d'innesco degli eventi, anche in termini di soglie critiche e la probabilità che tali soglie vengano superate.

La possibilità di disporre di una dettagliata analisi storica è quindi un elemento fondamentale, in quanto costituisce, spesso, l'unico strumento utilizzabile per poter validare e verificare le teorie ed i modelli di stima della pericolosità.

GLI ELEMENTI A RISCHIO: ESPOSIZIONE E VULNERABILITÀ

Gli elementi a rischio in una data area sono rappresentati da tutte le risorse di un sistema territoriale il cui stato, comportamento e sviluppo può venire alterato dal manifestarsi di un evento.

Gli elementi a rischio si possono suddividere in varie tipologie, ad ognuna delle quali è possibile associare un valore di esposizione e di vulnerabilità.

L'esposizione (E) è una misura dell'importanza dell'elemento esposto al rischio in relazione alle principali caratteristiche dell'ambiente (naturale e costruito) e rappresenta il valore, tangibile ed intangibile (cioè monetizzabile o meno), o il numero di unità relative ad ognuno degli elementi a rischio in una data area.

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Le più importanti tipologie di elementi a rischio da considerare sono: la popolazione, le proprietà, le attività economiche, le reti infrastrutturali, i monumenti, i servizi sociali. E' ovvio che a ciascuna tipologia di elementi a rischio sarà associato un valore diverso di esposizione: il valore che si associa all'elemento a rischio “uomo” sarà, per esempio, sicuramente maggiore dei valore che si associa all'elemento a rischio “edifici”.

La vulnerabilità (V) fornisce una misura della propensione di ciascun elemento a rischio a subire danni in occasione del manifestarsi di un evento di una certa intensità.

Il suo valore viene espresso generalmente in una scala adimensionale che va dal valore 0 (nessuna danno) al valore 1 (perdita totale).

La vulnerabilità fornisce, pertanto, una misura del legame tra l’ intensità di un evento su un predefinito sistema territoriale e l’ entità dei danni potenziali sul sistema stesso.

IL DANNO POTENZIALE

Il danno potenziale, cioè l'entità potenziale delle perdite attese nel caso si verifichi l'evento temuto, si può esprimere, per ciascuna tipologia di elementi a rischio, in funzione delle loro vulnerabilità e dell’ esposizione, mediante la seguente relazione:

D = V x E [8.1]

Il danno potenziale è indipendente dalla probabilità di occorrenza del fenomeno, ovvero dalla pericolosità, ed esprime la perdita relativa ad un elemento a rischio, causata dal verificarsi di un evento di una certa intensità e (Simonetti, 2002).

I danni potenziali possono essere diretti e indiretti: i danni sono diretti quando la perdita di funzionalità di un elemento è dovuta all’azione di uno stress esterno sulla sua struttura fisica; sono indiretti se le perdite di funzionalità sono indotte dal legame esistente tra l'elemento e i diversi sottoinsiemi costituenti il sistema territoriale.

Un ospedale collegato ai centri urbani limitrofi tramite un'unica strada, per esempio, può perdere la propria funzionalità sia a causa del crollo dell'edificio provocato da un sisma (danno diretto), ma anche se, a causa del manifestarsi di un dato evento (frane, inondazioni., ecc.. ), l'unica strada di collegamento non è transitabile (danno indiretto). Esempi di danni diretti sono costituiti da danni alle persone, danni alle infrastrutture, danni agli edifici e modificazioni dell'ambiente fisico, mentre i danni indiretti più comuni sono: la perdita dell'abitazione, la cessazione o il rallentamento dell'attività produttiva e la disfunzione nell'erogazione dei servizi .

IL RISCHIO

Nel 1989 Il National Research Council propone un definizione di rischio inteso come un “qualcosa che aggiunge alla pericolosità ed alla sua grandezza la probabilità che il danno potenziale o conseguenze indesiderate siano realizzate”. (Neil Sampson, 2005).

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Il rischio è quindi inteso come valore assoluto delle perdite in termine di vite umane, feriti, danni ai beni, alle attività ed all’ambiente, a seguito dello stesso evento temuto. (Simonetti, 2002) e può essere espresso mediante la seguente “equazione del rischio”:

R = H x V x E [8.2]

Tenendo conto della relazione [8.1], si può esprimere il rischio totale associato ad un singolo evento come funzione del danno potenziale e della probabilità di occorrenza dell'evento, mediante la seguente relazione:

RTOT = H x D [8.3]

Una formalizzazione completa del concetto di rischio si ha nel diagramma di flusso di figura 8.5, dove oltre alla pericolosità, all’esposizione e alla vulnerabilità si introduce il concetto di rischio specifico inteso come grado di perdita atteso come conseguenza del fenomeno temuto per una determinata tipologia di elementi a rischio (Simonetti, 2002). Questo può essere espresso dal prodotto tra la pericolosità e la vulnerabilità.

Rspecifico= H x V [8.4]

Figura 8.5 Diagramma di flusso per la definizione del rischio (Simonetti, 2002) In figura 8.6, la relazione [8.3] viene rappresentata in un piano cartesiano, con il danno potenziale D in ascisse e la pericolosità H in ordinate. Tutti i punti nel piano si trovano su rami di iperbole, ognuno dei quali è caratterizzato da coppie di valori (H,D) che danno luogo ad uno stesso valore del rischio.

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Le varie tipologie di rischio vengono innanzitutto classificate sulla base della natura dell'evento che minaccia gli elementi a rischio, individuando due categorie principali:

Rischi Naturali, ovvero legati a processi naturali che, per l'irregolarità e le

dimensioni delle loro manifestazioni, minacciano l'esistenza dell'uomo e le sue attività e, quindi, limitano la possibilità di sfruttare le risorse ambientali ed esercitano un'azione pregiudizievole sui sistemi ecologici;

Rischi Antropici, ovvero legati a situazioni artificiali, dovute ad iniziative e ad

attività dell'uomo che comportano minacce di inquinamento, guasti delle comunicazioni, problemi generali di sicurezza e incolumità.

E’ importante precisare che la definizione di "rischio naturale" non significa che l'uomo non abbia alcuna responsabilità in merito ad essi e neppure che non siano possibili interventi antropici per limitarne i danni.

Si può dire soltanto che, per quanto riguarda l'origine dei rischi naturali, sebbene l'intervento umano possa certamente influire, talvolta anche in modo determinante, nell'innescare il fenomeno o nell'aggravarne le conseguenze, i fattori naturali restano certamente quelli di maggior peso.

Tutti gli altri rischi sono, per contro, sempre, o almeno con maggior frequenza, imputabili all'antropizzazione dell'ambiente ed al cattivo uso delle risorse naturali.

La distinzione sopra effettuata riveste una notevole importanza nello studio della distribuzione spaziale del rischio e, conseguentemente, nella predisposizione delle strategie per la sua riduzione.

All'interno di tali categorie è possibile operare un'ulteriore suddivisione sulla base delle cause che provocano un determinato rischio (es rischio sismico, rischio frane etc) oppure delle componenti dell'ecosistema umano che possono subire danno (ad esempio, rischio sanitario, rischio sociale etc).

A partire da queste premesse generali, nel territorio italiano si possono individuare, o risultano potenzialmente individuabili, le seguenti tipologie di rischio:

RISCHI NATURALI: − Rischio sismico − Rischio idrogeologico − Rischio vulcanico RISCHI ANTROPICI: − Rischio tecnologico:

− Rischio chimico-industriale (incendio/esplosione; rilascio sostanze inquinanti o tossiche)

− Rischio viabilità e trasporti − Rischio incendio urbano

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− Rischio inquinamento (atmosferico; di fonti idriche; da reflui) − Rischio nucleare (rilascio radioattività)

− Rischio sanitario

− Rischio incendi boschivi

Un’altra rappresentazione schematica delle diverse tipologie di rischio viene fornita direttamente dalla Protezione Civile (figura 8.7).

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8.3.2 Il Rischio Incendi Boschivi

Nel corso degli anni, molti esperti hanno fornito varie definizioni di “incendio boschivo”, tuttavia, è stato solo con la legge 21 novembre 2000 n. 353 “Legge-quadro in materia di incendi boschivi” che è stata fissata una definizione in termini precisi e oggettivi.

La legge 353/2000 recita, infatti, all'art. 2:“per incendio boschivo si intende un fuoco con suscettibilità a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree”.

Le caratteristiche principali utilizzate per definire un incendio sono: la durata, l'intensità e la velocità di propagazione.

La durata è il tempo durante il quale si verifica il rilascio di energia in ciascun particolare punto dell'incendio; l'intensità è il flusso di energia rilasciata dal fuoco, mentre la velocità

di propagazione è la velocità con cui il principale fronte dell'incendio si propaga

sottovento.

Le fasi attraverso cui si manifesta l'incendio sono, fondamentalmente, tre: a. l'innesco;

b. la propagazione;

c.

lo spegnimento A) L’INNESCO

Le cause scatenanti gli incendi sono imputabili, essenzialmente, all’azione umana; in particolare, gli incendi possono essere provocati da azioni umane di natura colposa o da azioni di natura dolosa.

Gli incendi colposi, o involontari, sono provocati da comportamenti umani non finalizzati alla specifica volontà di arrecare il danno. Tali incendi si originano quando si opera con negligenza, imprudenza o imperizia, spesso in violazione di norme e regolamenti.

Gli incendi dolosi sono riconducibili alla deliberata volontà di appiccare il fuoco per recare danno all'ambiente e alle cose. Le motivazioni delle cause dolose si possono raggruppare in tre categorie: ricerca di un profitto, come per esempio recuperare terreni per l'agricoltura; manifestazioni di protesta, risentimenti e insensibilità verso il bosco e cause dubbie.

Si possono riscontrare, tuttavia, cause scatenanti incendi che non siano direttamente imputabili all'uomo: le cause naturali e le cause accidentali. Solo una piccolissima percentuale di incendi può essere considerata naturale, causata cioè da eventi propri della natura e quindi inevitabili.

Tra le cause naturali, l'unica che ha rilevanza in Italia è il fulmine, dove la sua incidenza è variabile, ma comunque contenuta. Gli incendi causati dai fulmini si verificano prevalentemente nelle zone montane.

Tra le altre cause naturali sono da considerare, inoltre, le eruzioni vulcaniche e le autocombustioni. Le prime sono rare e circoscritte ad aree particolari: gli incendi si

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originano quando la lava incandescente entra in contatto con la vegetazione del bosco, mentre il fenomeno dell'autocombustione risulta praticamente impossibile con le condizioni climatiche che caratterizzano il nostro territorio.

Le cause accidentali sono quelle che non dipendono direttamente dall'azione umana, sia colposa che dolosa, anche se sono riconducibili alla presenza e alle attività dell'uomo sul territorio. Sono compresi in questa classe di cause gli incendi provocati:

dalle scintille che si originano dall'attrito degli impianti frenanti dei treni sui binari; dalle variazioni di tensione sulle linee elettriche e dalla rottura e conseguente

caduta a terra di conduttori di impianti ad alta tensione.

In entrambi i casi, la presenza di materiale vegetale al suolo, secco e facilmente infiammabile, può favorire l'insorgere dell'incendio.

B) LA PROPAGAZIONE

I tre componenti che influenzano la propagazione di un incendio sono la topografia, il combustibile e le condizioni meteorologiche, questi tre elementi determinano il comportamento dell’incendio stesso e caratterizzano le condizioni circostanti.

LE condizioni meteorologiche sono la componente che varia maggiormente e sono

principalmente influenzate dai seguenti elementi: - temperatura dell’aria;

- velocità e direzione del vento; - precipitazioni.

L’infiammabilità del combustibile dipende dal suo contenuto d’acqua; quando questa supera il 25%, l’accensione è possibile soltanto con un elevato apporto esterno di calore. A prescindere dallo stato fisiologico della vegetazione, il contenuto d’acqua dipende dalle condizioni meteorologiche: le precipitazioni, il vento e la temperatura.

Il vento ha un’influenza determinante; apporta grandi quantità d’aria e quindi d’ossigeno alla combustione, essicca i materiali vegetali esaltando l’evaporazione e la convezione, trasporta a grande distanze i tizzoni e soprattutto impone la direzione e la velocità d’avanzamento dell’incendio. Si calcola che in una lettiera la velocità di propagazione di un incendio sia presso a poco proporzionale alla radice quadrata della velocità del vento, mentre, nella macchia mediterranea la velocità d’avanzamento risulta all’incirca pari al quadrato di quella del vento.

La temperatura riscalda il combustibile e l’essicca, portandolo più vicino alla temperatura d’accensione.

La topografia costituisce l’elemento meno variabile ed i suoi elementi sono: - quota;

- esposizione; - pendenza.

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La topografia influisce maggiormente con l’esposizione e la pendenza: la prima determina l’irraggiamento solare e quindi la temperatura e l’umidità, la seconda facilita l’avanzamento del fuoco verso le zone più alte, preriscaldando i combustibili sovrastanti non ancora interessati dalle fiamme attraverso la convezione dell’aria calda. Inoltre all’aumentare della pendenza la velocità aumenta in modo più che proporzionale. Infatti se la velocità di propagazione è uguale a v su una pendenza dello 0-5%, diventa 2v su una pendenza del 30% e 4v su una pendenza del 55%.

Infine, un altro aspetto da valutare nell’analisi della propagazione dell’incendio è legato alle caratteristiche del combustibile legnoso, cioè l’infiammabilità (la facilità di accensione), la velocità di combustione ed il potere calorifero .

La resistenza del combustibile al fuoco e quindi la velocità di propagazione dell’incendio non dipendono soltanto dalle caratteristiche della singola specie che popola il bosco ma soprattutto dall’insieme della formazione vegetale, per gli aspetti legati alle dimensioni ed alla sua continuità in senso orizzontale e verticale.

Per quanto riguarda il potere calorifico viene effettuata una distinzione fra il potere calorifico superiore (quantità di calore per unità di peso o di volume effettuata a combustione completa e ad acqua tornata allo stato liquido) dal potere calorifico inferiore (quantità di calore prodotta quando l’acqua igroscopica e quella derivata dalla combustione vengono emesse come avviene in pratica allo stato di vapore. Secondo dati di larga massima , per la legna allo stato secco il potere calorifico superiore nella media delle conifere è di 4.700 Cal/Kg, nella media delle latifoglie di 4.350 Cal/Kg.

C) GLI INTERVENTI DI SPEGNIMENTO

Lo spegnimento di un incendio è intrinsecamente dipendente dalle modalità di propagazione dello stesso che ne rendono l'attuazione più o meno difficoltosa. Gli interventi di spegnimento vengono attuati, perciò, con modalità differenti in base alla vulnerabilità dei bosco e, quindi, alle caratteristiche dei territorio ed all'intensità dell'evento, al fine di conseguire il migliore risultato.

Nel caso di incendi facilmente estinguibili, prevedibilmente di breve durata e limitata estensione si possono adottare interventi da terra, con spegnimento per azione diretta sulle fiamme con dispositivo estintori e pale; mentre nel caso di incendi di elevata estensione è più opportuno l'intervento aereo, con impiego di aeromobili sia per azione diretta di spegnimento dell'incendio che per il trasporto di addetti.

Nello studio della problematica del rischio incendi un altro aspetto critico è la classificazione delle tipologie di fenomeno, aspetto che ne influenza l’analisi oltre che le misure di prevenzione e soccorso.

(19)

Non è semplice classificare tipologicamente un incendio in modo univoco in quanto esistono situazioni intermedie che difficilmente possono essere ricondotte con sicurezza ad un caso piuttosto che a un altro.

Inoltre è da considerare che possono essere utilizzate diverse metodologie di classificazione che considerano il tipo di bosco o di combustibile, la presenza di fattori che favoriscono la propagazione del fuoco o la tipologia di comportamento del fronte di fiamma; questo ultimo è, infatti, il metodo di classificazione più largamente adottato. La classificazione seguita da Calbri (1984), il quale a sua volta si è basato su quella americana, suddivide gli incendi in tre gruppi principali secondo il seguente schema generale:

incendi sotterranei nei quali non si osserva fuoco superficiale, in quanto le fiamme bruciano gli apparati radicali ed attraverso questi si diffondono enormemente. Non si verificano di frequente perché richiedono condizioni particolari del suolo (figura 8.8);

Figura 8.8 Incendio sotterraneo

incendi radenti o di superficie nei quali il fuoco brucia rapidamente lo strato arbustivo, quello erbaceo e la lettiera e lambisce la base dei fusti senza procurare grossi danni (figura 8.9);

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incendi di chioma cioè incendi che si propagano attraverso le chiome degli alberi, partendo sempre dalla superficie; si verificano quando esiste continuità tra i diversi orizzonti vegetazionali tanto che a volte possono lasciare intatti i fusti degli alberi (figura 8.10);

Figura 8.10 Incendio di chioma Incendi boschivi di interfaccia con le zone urbanizzate

Le pinete e la macchia mediterranea (particolarmente pericolose in caso di incendio) sono spesso a stretto contatto con centri abitati, per cui con una certa frequenza, in conseguenza di incendi boschivi, si vengono a determinare situazioni di rischio elevato per le persone, le abitazioni e le infrastrutture.

Le strutture abitative infatti generalmente non sono dotate di fasce di sicurezza prive di combustibile vegetale e ciò le rende particolarmente vulnerabili in caso di incendi di intensità elevata.

La situazione risulta particolarmente critica quando il fronte di fiamma, in maniera incontrollata, si avvicina nei pressi di case isolate nel bosco o alla periferia dei centri urbanizzati.

Le aree di interfaccia sono linee, superfici o zone dove costruzioni o altre strutture create dall’uomo si incontrano o si compenetrano con aree naturali.

Gli incendi boschivi di interfaccia possono essere, a loro volta, riferibili a tre tipologie diverse:

− Interfaccia classica: piccolo agglomerato urbano sulle pendici o sulla sommità di una collina circondato completamente da bosco. Situazioni simili si possono riscontrare nella Provincia di Livorno in insediamenti periferici residenziali di nuova costruzione o insediamenti turistici di una certa estensione. In questo tipo di interfaccia un certo numero di abitazioni può essere minacciato contemporaneamente da fronti di fiamma molto estesi . La situazione è di solito, salvo il caso che non si tratti di incendi radenti a bassa intensità, grave per la scarsa accessibilità al bosco delle forze di intervento;

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− Interfaccia occlusa: Presenza di zone più o meno vaste di vegetazione (parchi urbani, giardini di una certa estensione, aree boschive che si insinuano nei centri urbanizzati, circondate da aree urbanizzate); in pratica si tratta di aree boscate, circondate da abitazioni. Di solito l’incendio di vegetazione è facilmente controllabile per la buona accessibilità.

− Interfaccia mista: Aree in cui abitazioni o fabbricati rurali, o case di civile abitazione, sorgono isolati nel bosco. Le strutture minacciate sono difficili da proteggere in quanto disperse sul territorio; le vie d’accesso vengono sovente interrotte dalle fiamme o dal fumo.

Il pericolo per le abitazioni è elevato se le misure preventive sono scarse, in particolare se le abitazioni non sono circondate da una fascia di dimensioni adeguate prive di vegetazione arborea e arbustiva.

Gli incendi di interfaccia possono subire un incremento del danno potenziale se in prossimità delle strutture abitative sono presenti strutture di servizio varie che possono

aumentare l’intensità dell’incendio: esempio serbatoi di GPL o di altri combustibili, magazzini agricoli , autovetture, depositi di pneumatici ecc.

Le possibilità di coinvolgimento delle strutture da parte di un incendio boschivo può avvenire:

- per fenomeni di spotting: i frammenti accesi trasportati dal vento e dalle correnti convettive possono accendere focolai secondari prima dell’arrivo del fronte di fiamma anche a notevole distanza da questo;

- per coinvolgimento diretto da parte delle fiamme del fronte avanzante dell’incendio di bosco: in questo caso l’incendio dovrà essere di intensità sufficiente;

-

per irraggiamento quando la quantità di calore che si sviluppa è tale da

determinare l’accensione; ciò può verificarsi in presenza di fronti particolarmente violenti con vegetazione vicinissima all’abitazione.

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8.4 ANALISI A CRITERI MULTIPLI ED INTELLIGENZA

ARTIFICIALE

Per la valutazione del rischio incendi boschivi viene proposta una metodologia innovativa basata sull’integrazione di tecniche afferenti al campo dell’intelligenza artificiale con le procedure di aiuto alle decisioni multicriteri.

Infatti, come visto nei paragrafi precedenti, lo studio della distribuzione spaziale del rischio, e quindi anche di quello relativo agli incendi boschivi, è basato da un lato sulla stima della pericolosità che riguarda tutti gli aspetti aleatori, quindi relativi alla modellazione dei fenomeni che possono incidere sulla probabilità che un incendio possa verificarsi in una determinata porzione territoriale dell’area di studio, dall’altro sulla misurazione e successiva valutazione del danno che può essere efficacemente effettuata attraverso tecniche di analisi a criteri multipli di tipo spaziale.

Per la stima della pericolosità di un incendio, le tecniche di Data Mining consentono di ricavare, a partire dalle informazioni contenute negli archivi storici delle aree incendiate, quali combinazioni di attributi territoriali ricorrono con maggiore frequenza per l’innesco di un incendio e questo viene ricavato sulla base di algoritmi statistico-matematici.

La valutazione del danno richiede, invece, strumenti, come le tecniche di analisi a criteri

multipli, capaci di quantificare gli effetti dell’evento calamitoso sul territorio dell’area di

studio, non solo in termini economici, ma in rapporto alla perdita di valori sociali ed ambientali, incorporando nel processo analitico anche le preferenze dei decision makers.

R = H ×V × E = H × D

Procedure di Analisi Multicriteri AHP (Analytic Hierarchy Process)

GIS

Tecniche di Data Mining KDD - Alberi Decisionali

Distribuzione Spaziale delle Aree a Maggior Rischio Incendi

Supporto ai decisori istituzionali ed agli attori locali per:

la redazione di piani antincendio e

la progettazione di misure operative di intervento

Figura 8.11 Valutazione del rischio incendi: integrazione fra analisi a criteri multipli e tecniche di Knowledge Discovery in Databases (KDD)

(23)

Nell’ambito della pianificazione dei sistemi territoriali ed ambientali, già da alcuni anni, alcune delle tecniche provenienti dal campo dell’Intelligenza Artificiale sono state impiegate come supporto ai processi decisionali che interessano la dimensione spaziale e che coinvolgono grosse mole di dati, spesso non omogenei, dai quali risulta difficile estrarre, facendo ricorso alle tradizionali tecniche di analisi spaziale e geostatistica, conoscenza aggiuntiva, soprattutto per quanto riguarda la comprensione dei legami e delle correlazioni spaziali fra le variabili in gioco. Pertanto, Algoritmi Genetici, Reti Neurali, Reti Bayesiane ed Alberi Decisionali rappresentano alcuni dei più ragguardevoli strumenti appartenenti al settore di studi ormai identificato con l’acronimo KDD che significa“Knowledge Discovery in Databases” (figura 8.12).

Algoritmi Genetici

•Reti Neurali

KDD

Reti Bayesiane

Alberi Decisionali

Figura 8.12 Tecniche afferenti al campo del Knowledge Discovery in Databases (KDD) Gli Alberi Decisionali (Decision Trees) sono una tecnica appartenente al campo del Datamining e del Knowledge Discovery in Databases e vengono principalmente impiegati per la classificazione di istanze di un dataset, rispetto ad una variabile target, a partire dai valori posseduti dall’istanza stessa in a una serie di variabili di input, generalmente molto numerose (Petri, 2006).

La caratteristica più interessante di queste tecniche risiede nella loro capacità di poter utilizzare una grande quantità di dati e di variabili, anche apparentemente non correlate e spesso fra loro disomogenee (informazioni categoriche, quantitative, georeferenziate e non etc) per creare dei collegamenti logici sotto forma di regole del tipo :

IF (combinazione valori variabili di input) THEN (valore variabile di output)

Pertanto, ciascuna di queste regole è strutturata in una “parte if” che contiene le condizioni per la sua applicazione e dipende dalla combinazione dei valori delle variabili di input, ed una “parte then” che contiene l’esecuzione della regola ed indica i valori assunti dalla variabile “target”, specifica per il caso di studio in esame, in funzione della

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combinazione dei valori di tutte le variabili di input che compaiono nella parte if della regola stessa.

Alcune delle ragioni per cui gli Alberi Decisionali vengono maggiormente impiegati nel campo della pianificazione territoriale, rispetto ad altri strumenti appartenenti all’area del KDD, risiede nel fatto che le regole decisionali non vengono estratte in forma “hard”, cioè attraverso complesse equazioni matematiche, ma in una forma esplicita che può essere, abbastanza facilmente, interpretata, spiegata ed inserita in un processo decisionale reale. Un'altra ragione a favore dell’uso degli Alberi Decisionali è dovuta alla possibilità di integrare le regole decisionali, strutturate nella forma “if-then”, con gli strumenti GIS che consentono una diretta acquisizione dei dati territoriali e permettono di gestire in modo automatico le relazioni spaziali fra gli elementi geografici, come la prossimità a determinati elementi del territorio (strade, fiumi ferrovie, centri urbani etc), tutte le operazioni di geoprocessing dell’informazione, oltre che la possibilità di comprendere nell’analisi non solo tutti gli attributi relativi ad una certa unità territoriale, ma anche tutti quelli che risiedono in un suo intorno di forma e dimensioni variabili.

Per tutte queste ragioni, l’insieme delle tecniche appartenenti al KDD che possono essere applicate nell’ambito dei sistemi territoriali hanno portato alla definizione di un nuovo ramo di studi denominato, appunto, "Spatial Knowledge Discovery in Databases” (SKDD). Per l’impiego degli Alberi Decisionali, anche in un contesto spaziale, le variabili di input devono essere discretizzate in un numero di categorie al massimo pari a dieci o quindici; questo processo spesso richiede l’intervento di un esperto di settore, capace di effettuare l’aggregazione di alcune di queste categorie in classi omogenee.

Le variabili devono, poi, essere sottoposte ad una fase di pre-processing, anche essa implementabile in ambiente GIS, necessaria per costruire in modo corretto le variabili spaziali; in questa fase vengono, quindi, effettuate analisi di vicinanza, di correlazione geostatistica univariata o multivariata, vengono rilevati eventuali outliers ed effettuata la previsione di possibili valori mancanti.

Il dataset ottenuto a seguito di tutte le operazioni di pre-processing viene suddiviso in due parti, il training dataset e il validation dataset.

La tecnica degli Alberi Decisionali analizza le diverse variabili che compongono il training dataset con uno schema top-down di tipo ricorsivo in cui la ricerca dell’ottimo globale (che non necessariamente viene raggiunto) avviene applicando la ripartizione del dataset in modo tale da massimizzare, ad ogni singolo passo scissorio locale, una certa funzione matematica.

La suddivisione del dataset può essere effettuata in maniera diversa a seconda dell’algoritmo implementato, ma i criteri che consentono tale “splitting” appartengono a tre tipologie principali (Petri, 2006):

Algoritmi denominati “Iterative Dichotomizer” (es. l’algoritmo C4.5, impiegato nel presente caso di studio) che fanno riferimento al concetto di teoria

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dell’informazione, derivante dal campo del “machine learning”, e prevedono che, ad ogni passo scissorio, avvenga la selezione di quell’attributo, ovvero di quella variabile territoriale, le cui categorie suddividono il dataset in gruppi che massimizzano la riduzione dell’ entropia;

Algoritmo denominato “Classification and Regression Trees” (CART) che utilizza l’indice di Gini per misurare impurità di un dataset, cercando di minimizzarne il valore ad ogni passo scissorio;

Algoritmo denominato “Chi-squared Automated Interaction Detection” (CHAID) che usa l’indice del Chi-Quadro per misurare le correlazioni fra ciascuna coppia di attributi, scegliendo poi quello che ha la massima correlazione con la variabile target.

Una volta che il classificatore è stato addestrato attraverso il training dataset, deve essere verificate la sua accuratezza: questa verifica viene effettuata applicando le regole IF THEN, ricavate dell’albero decisionale sul training dataset, al validation dataset.

La percentuale di records che sono stati correttamente classificati in questa seconda parte del processo rappresenta l’accuratezza del classificatore estratto.

Alcuni algoritmi, come il C4.5, utilizzano poi la tecnica del “pruning”, ovvero costruiscono l’albero completo fino alle foglie (costituite da un solo elemento) e successivamente cancellano i rami dell’albero, a partire dalle foglie, in cui l’accuratezza è bassa in modo da limitarne la perdita.

La forza degli alberi decisionali nell’estrazione di regole decisionali utili a stimare la pericolosità di un incendio vengono mostrate in maggiore dettaglio nel paragrafo successivo.

Mentre pericolosità viene studiata in termini probabilistici attraverso gli strumenti di intelligenza artificiale, il danno da incendio viene stimato attraverso le tecniche di analisi a criteri multipli di tipo spaziale, basate su GIS. Esse consentono di misurare, fornire una distribuzione spaziale e successivamente calibrare la stima del danno anche sulla base della diversa importanza attribuita, da ciascun decisore esperto, ai criteri di valutazione ed agli attributi rappresentati attraverso mappe geografiche georeferenziate.

Dato che le alternative decisionali spaziali su cui il danno da incendio (e successivamente il rischio) deve esse quantitativamente valutato sono molto numerose (oltre 100.000), essendo rappresentate dalle celle quadrate di una griglia di lato 100 metri che ricopre l’intera area di studio, viene impiegato il metodo di analisi gerarchica spaziale AHP (Analytic Hierarchy Process) proprio perché, fra le tecniche di analisi multiattributo, risulta particolarmente efficace nella gestione di un così elevato, se pur finito, numero di alternative.

La descrizione dettagliata del metodo AHP è interamente oggetto del capitolo 6 del presente lavoro di tesi, mentre la sua applicazione al caso specifico del danno da incendi riportata nei paragrafi successivi del presente capitolo.

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8.5 ANALISI DELLA PERICOLOSITÀ

Nel presente lavoro le tecniche di data mining vengono impiegate per l’analisi della probabilità di innesco di un incendio, infatti la metodologia adottata consente di dedurre la pericolosità del fenomeno attraverso la costruzione di regole derivate direttamente dai dati spaziali relativi al territorio dell’area di studio.

Nell’ambito dei metodi afferenti al campo del KDD, le tecnica impiegata è quella degli

Alberi Decisionali, cioè di strumenti di classificazione capaci di estrarre, attraverso un

algoritmo ricorsivo e sulla base dalle informazioni spaziali disponibili per il territorio analizzato, delle regole decisionali nella forma “in-then”.

Attraverso l’analisi delle regole prodotte è possibile rilevare l’incidenza di rapporti casuali

fra le variabili in gioco, difficilmente ricavabili con tecniche tradizionali quali la

regressione multivariata o altro. La forza del metodo risiede, infatti, nella capacità di individuare non solo quali variabili siano effettivamente influenti nello studio del fenomeno, ma anche quali combinazioni dei valori delle variabili di input incidano effettivamente sul valore assunto dalla variabile di target che, nel nostro caso, è di tipo binario, dato che l’output può assumere solamente due valori, true (incendio si) o false (incendio no).

Ad ogni regola estratta è poi associato un livello di accuratezza, calcolato come il rapporto fra il numero di elementi che soddisfano la regola in questione e tutti gli elementi appartenenti alla classe dell’attributo target, pertanto il grado di accuratezza viene interpretato come la probabilità di accadimento della regola “if-then”.

L’algoritmo impiegato per estrarre delle regole relative alla pericolosità di incendio è quello denominato C 4.5 che usa, come misura di “splitting” delle variabili del dataset, l’entropia che è, infatti, un indice rappresentativo della eterogeneità e della varietà della distribuzione dei dati ed è spesso usato al posto della varianza:

[8.5] ) p log( p E k i i i∗ − =

1 = dove:

i = classi in cui la generica variabile (o attributo) è stata discretizzata (i=1,2….k);pi=

frequenza della classe dell’i-esimo attributo/variabile;

E = entropia della generica variabile (o attributo) inserita nell’albero decisionale.

Come per tutti i modelli di stima della pericolosità, anche nel caso dell’estrazione di regole con i decision trees, la possibilità di disporre di una dettagliata analisi storica è indispensabile.

L’archivio delle aree percorse dal fuoco è stato costruito (informatizzato), per gli anni relativi al periodo 2001-2005, sulla base dei rilievi svolti dal Corpo Forestale dello Stato, mentre, per i dodici anni relativi al periodo 1988-2000, il dato è stato messo a disposizione dalla Provincia di Livorno, essendo già presente nel suo SIT (figura 8.13).

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Figura 8.13 Archivio delle aree percorse dal fuoco nel periodo 1988-2005

Il dato geografico delle aree incendiate è stato poi suddiviso in due sottoinsiemi, detti training e validation, impiegati nella stima della pericolosità, sia per l’estrazione delle regole decisionali (training) che per la loro validazione e per la calibrazione del modello adottato (validation).

Entrambi i subset sono stati creati estraendo in modo casuale dall’archivio delle aree percorse dal fuoco (circa 7500 celle) rispettivamente un 50% delle celle incendiate per entrambi i sottoinsiemi (figura 8.14).

Figura 8.14 Suddivisione del dato geografico delle celle incendiate in due sottoinsiemi uguali di celle casualmente distribuite: training e validation

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8.5.1 Costruzione delle variabili di input

Sulla base dello studio del fenomeno degli incendi boschivi ed anche in funzione di quanto direttamente riportato sui report della Protezione Civile, le variabili di input usate nello studio della pericolosità sono rappresentate schematicamente in tabella 8.1.

VARIABILE TERRITORIALE FONTE LIVELLO DI DETTAGLIO

Quota DEM

Regione Toscana

Raster con dimensione del pixel pari a 100 mt

Pendenza DEM

Regione Toscana

Raster con dimensione del pixel pari a 100 mt

Esposizione DEM

Regione Toscana

Raster con dimensione del pixel pari a 100 mt Altezza di Pioggia (periodo estivo) Stazioni Metereologiche Regionali

Dato Puntuale Georeferenziato

Temperatura Del Suolo

(periodo estivo)

Stazioni Metereologiche

Regionali

Dato Puntuale Georeferenziato

Vento

(periodo estivo)

Stazioni Metereologiche

Regionali

Dato Puntuale Georeferenziato

Rete Stradale Carta Tecnica

Regionale

Dato lineare georeferenziato scala 1: 10.000 ed 1: 2.000

Uso del Suolo Inventario Tecnico

Forestale (IFT)

Dato areale georeferenziato scala 1: 10.000

Flussi Turistici

(periodo estivo)

Osservatorio Provinciale (Livorno)

Dato areale georeferenziato Livello comunale

Tabella 8.1 Variabili decisionali di input per la stima della pericolosità attraverso gli alberi decisionali

Tutte le variabili riportate in tabella 8.1 costituiscono gli input all’albero decisionale, pertanto la struttura generale delle regole estratte viene schematicamente riportata in figura 8.15.

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Nella parte if (condizione) di ciascuna regola che l’albero decisionale individua sono riportate le combinazioni congiunte dei valori di alcune (o potenzialmente di tutte) le variabili territoriali in ingresso, riferite a ciascuna cella elementare ed alle celle di un intorno predefinito (nel caso specifico, Moore del secondo ordine), che producono un certo valore della variabile di output la quale, nel caso della pericolosità, è binaria, quindi assume il valore di 1 (true) oppure 0 (false) a seconda che il pixel risulti incendiato oppure no.

Per poter estrarre le suddette regole decisionali è necessario, quindi, disporre del valore assunto da ciascuna variabile di input in ogni cella di lato 100 mt che rappresenta l’unità territoriale minima di analisi considerata per lo studio della pericolosità. Come si evince dall’esame della tabella 8.1 non tutti i dati di input sono immediatamente disponibili sull’ intero territorio della provincia di Livorno, come nel caso dei dati meteo-climatici (pioggia, temperatura e vento) i cui valori sono rilevati solo in corrispondenza delle stazioni di misura e necessitano di essere “spazializzati” su tutta l’area di studio tramite tecniche di interpolazione spaziale robuste ed efficienti, descritte in dettaglio nel paragrafo successivo.

In altri casi, invece, sono necessarie semplici procedure di analisi spaziale, direttamente implementabili in ambiente GIS per costruire le mappe geografiche dei valori delle variabili di ingresso al decision tree. È questo il caso dei caratteri morfologici, cioè di quegli strati informativi che delineano l’orografia del territorio ed hanno una grande influenza sia sull’innesco che sull’intensità del focolaio condizionandone spesso il destino evolutivo.

I map layers relativi alla quota, alla pendenza ed all’esposizione sono derivati dal modello digitale del terreno (DEM) costruito in ambiente GIS a partire dai punti quotati, estratti dalla Carta Tecnica Regionale (CTR, scala 1:10.000), e dalle curve di livello, dato di tipo lineare anch’esso derivato dalla CTR.

Oltre ai caratteri morfologici del territorio vengono considerate nell’analisi della pericolosità anche alcune variabili connesse all’attività antropica che rappresenta indubbiamente la causa scatenante della maggior parte degli incendi boschivi (Landi, 1994). È proprio attraverso lo studio deii caratteri del territorio (distanza dalle strade e

flussi turistici) che si delinea l’incidenza della presenza umana sulla pericolosità.

La distanza dalle strade è, infatti, connessa all’accessibilità da parte dell’uomo all’area in questione ed è stata calcolata andando ad integrare il dato delle strade asfaltate (estratto dalla CTR) con quello delle reti viarie a maggior valenza turistica (informatizzate da carte tematiche). Per quanto concerne i flussi turistici, il dato è stato ricavato dall’osservatorio turistico della Provincia di Livorno e si riferisce ad un periodo di analisi che va dal 1999 al 2005 ed ai mesi di luglio ed agosto.

Infine è stato considerato uno strato informativo rappresentativo del livello di

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tipo di copertura vegetale attraverso il giudizio di esperti di settore. L’informazione geografica di base è quella fornita dall’inventario forestale della Regione Toscana (IFT), dove ad ogni classe è stato associato un indice di incendiabilità determinato con il metodo dei confronti a coppie.

Caratteri Morfologici

Esposizione Pendenza Quota

Legenda Legenda

Legenda

Figura 8.16 Caratteri Morfologici: quota, pendenza ed esposizione Caratteri dell’Uso del Territorio

Incendiabilità Distanza da Strade Flussi Turistici

Legenda Legenda Legenda

Figura 8.17 Caratteri dell’Uso del Territorio: livello di incendiabilità (da uso del suolo), distanza dalle strade e flussi turistici

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8.5.2 Interpolazione spaziale dei dati

La costruzione della distribuzione spaziale, su tutto il territorio della provincia di Livorno, dei valori delle variabili di tipo meteoclimatico (pioggia, temperatura e vento) necessita l’impiego di strumenti di interpolazione spaziale, capaci di passare dai valori puntuali registrati nelle stazioni di misura ad una distribuzione continua e significativamente verosimile dei valori della variabile in tutti gli altri punti dell’area di studio dove la misura non viene effettuata.

Per la pioggia e la temperatura il processo viene condotto attraverso gli strumenti di geostatistica, ed in particolare mediante la tecnica del Kriging che consente stimare il valore della variabile in esame, in ogni punto dell’area di studio, come somma pesata dei contributi degli n punti di controllo del neighborhood che viene scelto in base alla distribuzione spaziale delle osservazioni stesse. Una descrizione completa delle tecniche di Kriging e degli step del metodo necessari per costruire una mappa di interpolazione spaziale vengono descritti in dettaglio nel capitolo 5.

Per quanto riguarda, invece, la variabile relativa al vento, anche a causa della minor disponibilità di dati di rilevamento del fenomeno, è stato adottato un modello diagnostico, ampliamente sperimentato, denominato WINDS, che permette la costruzione di un campo di vento tridimensionale integrando le informazioni misurate, relative ad intensità e direzione del fenomeno, con le caratteristiche morfologiche di rugosità del territorio.

PIOGGIA

Il processo di interpolazione spaziale della variabile pioggia è basato su un ampio database costruito a partire dalle informazioni rilevate nelle stazioni di rilevamento pluviometrico di tutta la Toscana (figura 8.18). Il periodo di osservazione è quello estivo (mesi di luglio ed agosto) e l’ampia estensione spaziale dei campionamenti (livello regionale) è stata adottata sia per garantire una migliore accuratezza nella scelta del modello di interpolazione, sia per evitare i problemi di bordo che sarebbero occorsi considerando le solo stazioni dell’area livornese.

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Il primo passo per la determinazione della distribuzione spaziale della variabile considerata è l’analisi della posizione dei punti di campionamento dove i valori dei pioggia vengono misurati. Viene infatti determinata, per ogni coppia di stazioni, la differenza fra i valori assunti dalla variabile in due punti considerati che si trovano a distanza h. Il vettore h che collega i due punti è detto lag e come tale possiede una norma (lunghezza), una direzione ed un verso. È possibile quindi scomporre il vettore h lungo le due direzioni cartesiane x ed y e, per ciascuna coppia di punti di controllo a distanza h calcolare il valore della semivarianza tramite la relazione:

γ

(h)=[(z(x)-z(x+h))2]/2 [8.6]

Viene quindi costruita la mappa del variogramma (figura 8.19) che consente di individuare la direzione il corrispondenza della quale i valori delle dissomiglianze tra i valori assunti in corrispondenza di coppie di punti di misura xi ed xj (distanti h) è minima:

tale direzione è detta di massima stabilità del valore della variabile.

D ire zio ne d i m assim a sta bilità

Figura 8.19 Mappa del variogramma della pioggia con indicazione della direzione di massima stabilità

Viene quindi computato il (semi)variogramma sperimentale (ESV), cioè basato sui valori campionati, che riporta per ogni multiplo del lag (h) il valore della semivarianza nella direzione di massima stabilità che, nel caso in esame, corrisponde al Nord 135.

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Una volta esplorata, tramite il variogramma sperimentale ESV, la struttura spaziale del dataset relativo alle osservazioni campionate della variabile territoriale in esame, è necessario comprendere quale modello matematico consente un miglior “fitting” dei dati sperimentali, in modo da poter costruire una funzione continua capace di descrivere la struttura della covarianza spaziale e consentire il processo di interpolazione sulle regioni dell’area di studio dove il dato non viene campionato.

Il modello di variogramma adottato nel caso della pioggia è di tipo sferico anisotropo (figura 8.21) ed i valori dei suoi parametri (nugget, sill e range) sono riportati in figura 8.20. Il semivariogramma sperimentale viene determinato anche nella direzione di minima stabilità di γ(h), ortogonale a quella di massima stabilità, ed il rapporto fra i valori dei parametri misurati nelle due direzioni serve per calcolare il coefficiente di anisotropia necessario per effettuare l’interpolazione.

Figura 8.20 Parametri del modello di variogramma per la pioggia

Figura 8.21 Parametri del modello di variogramma adottato

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All’interno della famiglia dei metodi denominati Kriging, l’interpolazione spaziale della pioggia viene effettuata con la procedura denominata “Ordinary Kriging” (descritta in dettaglio nel capitolo 5) che consente di determinare i valori incogniti della variabile nei punti non campionati attraverso la somma pesata dei punti misurati appartenenti ad un neighborhood mobile.

La distribuzione spaziale dei valori di pioggia, interpolati con la suddetta tecnica su tutto il territorio della Regione Toscana viene riportata in figura 8.23.

High

Low Legenda

Valori interpolati di pioggia (Toscana)

Figura 8.23 Distribuzione spaziale dei valori interpolati di pioggia sul territorio della Regione Toscana

La mappa geografica rappresentativa di valori interpolati di pioggia nella Provincia di Livorno (figura 8.24) costituisce uno degli input dell’albero decisionale per la determinazione della pericolosità di un incendio.

High Low Legenda Valori interpolati di pioggia (Provincia di Livorno)

Figura 8.24 Distribuzione spaziale dei valori interpolati di pioggia sul territorio della Provincia di Livorno

Figura

Figura 8.5  Diagramma di flusso per la definizione del rischio (Simonetti, 2002)  In figura 8.6, la relazione [8.3] viene rappresentata in un piano cartesiano, con il danno  potenziale D in ascisse e la pericolosità H in ordinate
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Figura 8.13  Archivio delle aree percorse dal fuoco nel periodo 1988-2005
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