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CAPITOLO 7 Discussione dei risultati

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Academic year: 2021

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Discussione dei risultati

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Le prove sperimentali condotte nella presente tesi hanno interessato lamiere ossidate o non in presenza o meno di inibitori di corrosione. Sembra utile dapprima evidenziare le differenze riscontrate nel condurre decapaggio in presenza o meno di un agente filmante anticorrosivo.

Trattare laminati di acciaio nero con decapaggio senza l’uso di inibitori sembra portare a conseguenze tanto più marcate, in termini di entità e morfologia del danneggiamento superficiale, quanto maggiore è il tempo di permanenza in vasca. Questo problema va affrontato considerando sia velocità di corrosione del metallo nella soluzione acida con cui viene a contatto, sia le modalità in cui tale corrosione avviene. In questo caso l’analisi comparativa dei risultati delle perdite in peso e delle correnti di permeazione ha mostrato il diverso comportamento a corrosione dei due acciai analizzati. Il campione P044 è un acciaio LC, mentre il PH10 è un IF: la differenza in termini di contenuto di carbonio, conseguentemente di cementite nella struttura, comporta una suscettibilità a corrosione maggiore nel primo. L’analisi della struttura dei due acciai, effettuata al microscopio ottico, chiarisce questo aspetto.

Figura 7.1 Microstruttura dell'acciaio LC (P044). Figura 7.2 Microstruttura dell'acciaio PH10.

La maggiore attività elettrochimica dell’acciaio LC può ragionevolmente imputarsi alla maggiore frazione volumetrica di carburi di ferro. Ciò comporta la presenza alternata di zone di ferrite e cementite, quest’ultima più catodica rispetto alla ferrite. Pertanto in ambiente corrosivo, vengono a costituirsi micro-coppie galvaniche sulla superficie esposta che incrementano l’attività

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superficiale e, di conseguenza, decrementano la resistenza a corrosione del materiale.

I valori di velocità di corrosione misurati nei test di perdita in peso in assenza di inibitore (tab 6.14), eliminato il contributo della scaglia, confermano di fatto tale previsione.

Nel corso dell’analisi sperimentale è stato possibile affrontare il problema di come rilevare l’insorgere di overpickling partendo dai difetti che questa condizione comporta nel prodotto finito, ossia analizzando lo stato finale della superficie (legato alle modalità di corrosione e distacco della scaglia).

Nonostante il PH10 abbia una maggior resistenza a corrosione l’esame delle superfici condotto al SEM (fig.6.44÷6.46) ha mostrato che tale acciaio va incontro a fenomeni indesiderati di corrosione localizzata (tipo pitting). Questo comportamento è riconducibile al diverso spessore o, probabilmente, ad una diversa aderenza dell’ossido superficiale. Quindi i campioni di IF, esposti per lungo tempo all’azione della soluzione acida,nonostante una bassa Vcorr,

presentano in alcune zone una superficie totalmente disomogenea, con presenza di notevoli difetti. Difetti di natura contrapposta sono stati trovati in alcuni punti dei campioni immersi per tempi troppo brevi, stavolta in termini di residui di ossidi in superficie (underpickling).

Dall’analisi effettuata sulla scaglia si ricava uno spessore medio di ~6 µm per l’acciaio LC, contro i ~10 µm per l’IF (fig. 6.27 e 6.39). Laminati di acciai al Ti avvolti ad alta temperatura (~700°C), presentano una scaglia più compatta e aderente, ciò impedisce che la soluzione acida agisca uniformemente e in tempi brevi su tutta la superficie. La notevole aderenza e spessore della scaglia, riscontrata negli acciai IF, comporta che il distacco dell’ossido non avviene contemporaneamente su tutta la superficie del metallo (cap6, fig 6.44 – 6.43), e si completa in un intervallo di tempo abbastanza ampio. Nel caso analizzato la maggior resistenza a corrosione non è benefica al fine di ottenere la buona riuscita del decapaggio: essa comporta l’allungarsi del tempo necessario per completare l’operazione. Perciò il tempo di contatto con la soluzione decapante varia in modo significativo sulla superficie. In questo

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senso l’impiego di inibitori agevola notevolmente la buona riuscita del processo poiché come si vede dalle micrografie indicate (fig. 6.40÷6.42) protegge la superficie da attacchi localizzati e permette di completare il processo in maniera omogenea.

Nel caso di impiego di inibitori si sono osservate sensibili modificazioni non solo nella velocità di corrosione delle lamiere ma anche nelle caratteristiche morfologiche delle superfici decapate. Gli effetti prodotti dall’uso di inibitori sono stati studiati attraverso prove di perdita in peso e test di permeazione di Idrogeno attraverso l’acciaio.

Dalle prove di perdita in peso si è ottenuta l’efficacia dell’inibitore nel portare a valori minimi la velocità di corrosione: già a basse concentrazioni si nota una riduzione di circa un ordine di grandezza (risultati riportati in [mdd], tab. 6.12-6.13-6.14). I dati ottenuti nei test di immersione sono fortemente influenzati dalla presenza della scaglia di ossido. Per ottenere le velocità di corrosione dei due metalli sono state effettuate anche prove su campioni già trattati con decapaggio. L’elaborazione dei risultati dei test di perdita in peso eseguiti in assenza e in presenza di scaglia (tab. 6.8 - 6.9) dà informazioni sui tempi di distacco della scaglia stessa.

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Figura 7.3 Tempo necessario per il completo distacco della scaglia nell’acciaio LC (blu) e nell’IF (rosso)

La figura 7.3 rappresenta l’andamento della descagliatura nei due acciai analizzati, in presenza di inibitore: in ordinata è riportata la differenza tra le misure di perdita in peso con e senza scaglia (W-W*) per ciascun tempo di immersione in vasca. Il grafico mostra la differenza di peso iniziale, per unità di superficie, dei due strati d’ossido e la velocità di rimozione della scaglia; è evidente che il distacco totale avviene per t≤ 30 sec nell’acciaio P044, mentre nel caso del PH10 si ha la prima lettura certa per t≤ 60 sec. Questa procedura può essere adottata come metodo alternativo rispetto alla diffusa metodologia che, per individuare la cinetica di distacco della scaglia (fig.6.14bis), prevede la misura di variazione del potenziale di corrosione. Di fatto la rilevazione di quest’ultimo, con l’utilizzo di un potenziostato, impone tempi relativamente lunghi rispetto ai tempi di decapaggio dei laminati, con il rischio quindi di errori di valutazione anche rilevanti.

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Figura 7.4 Individuazione di due zone a comportamento diverso rispetto alle perdite in peso. Effettiva rimozione della scaglia superficiale e separazione tra underpickling e overpickling relativamente al tempo di permanenza in vasca. Accaio PH10 nero.

Nella figura 7.4 sono riportati i dati relativi alle prove sull’ acciaio PH10: in assenza di inibitore la relazione tra perdita in peso e tempo è lineare sul metallo nudo, e tale linearità si manifesta anche in presenza di scaglia ma solo dopo il tempo t* a cui avviene il completo distacco dell’ossido. Il confronto tra i dati di perdita in peso, per ciascuna concentrazione di inibitore, porta all’individuazione di un intervallo temporale per il passaggio under/over-pickling delle diverse lamiere esaminate. E’ stato quindi evidenziato dai risultati come questi tempi dipendano fortemente sia dal tipo di acciaio trattato sia dallo spessore e dalle caratteristiche dell’ossido.

Questi risultati sono stati convalidati dall’esame delle superfici effettuato al SEM accompagnato da microanalisi (EDS).

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Figura 7.5 Microanalisi superficiale dell’acciaio LC dopo 30” di immersione in soluzione acida con concentrazione di inibitore allo 0.3%vol.

Figura 7.6 Microanalisi superficiale dell’acciaio IF dopo 30” di immersione in soluzione acida con concentrazione di inibitore allo 0.3%vol.

in

Figura 7.7 Microanalisi superficiale dell’acciaio IF dopo 90” di immersione in soluzione acida con concentrazione di inibitore pari allo 0.3%vol.

La figura 7.5 prova l’assenza di ossidi superficiali nell’acciaio LC già dopo 30” di permanenza in soluzioni ben inibite. Al contrario l’esame dei campioni di IF, fig. 7.6 - 7.7, mostra come sulla superficie vi sia presenza di ossidi fino a 90” di permanenza; è altresì evidente però come l’inibitore protegga la superficie evitando i danni del pitting superficiale.

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I dati delle perdite in peso ottenuti per diverse concentrazioni di inibitore (fig. 6.17÷6.20) sono fondamentali quindi per tenere in considerazione la dinamica del processo. Tuttavia queste prove non siano adatte a valutare in maniera significativa la differenza nell’utilizzo di diverse concentrazioni di inibitore.

I test di permeazione sono invece, come mostrato in letteratura, notevolmente precisi nel valutare il contenuto e l’efficienza [10] di inibitori presenti in soluzioni acide.. Infatti le correnti di permeazione che si ricavano, allo stazionario, sono proporzionali all’attività dell’idrogeno sulla superficie del campione.

Figura 7.8 Variazione delle curve di perdita in peso e delle curve di permeazione nel tempo, ottenute per le stesse concentrazioni di inibitore. Si nota come i test di permeazione risultino molto più sensibili alla quantità di inibitore presente nel bagno.

Come è mostrato nel paragrafo 6.1.1 i risultati dei test di permeazione danno, per ciascuno dei due acciai, il preciso andamento della corrente permeata (decrescente) all’aumentare della concentrazione di inibitore nel bagno. Ciò ha permesso anche di quantificare l’aggressività di soluzioni reali (campionamento da vasca), effettuando un confronto con gli effetti prodotti dalle soluzioni preparate in laboratorio. Questo metodo, praticato normalmente in ambito siderurgico [30] per l’immediatezza del risultato, va considerato con i limiti imposti dalla possibile presenza di inquinanti nelle soluzioni industriali. Nel caso dei risultati qui presentati, le soluzioni prelevate in impianto sono state titolate,

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quantificata la presenza di ione ferroso ed esclusa quella di arsenico. Comunque in linea generale una corrispondenza diretta tra corrente di permeazione e concentrazione di idrogeno prodotto da corrosione si può ammettere solo se non intervengono agenti esterni sulle cinetiche di adsorbimento superficiale e ricombinazione dell’idrogeno atomico sulla superficie del metallo. L’effetto dell’aggiunta di inibitore sulla corrente di permeazione è mostrato in fig.7.9.

Figura 7.9 Effetto dell’aggiunta di quantità note di inibitore ad un volume costante di soluzione decapante reale (bagno della seconda vasca sulla corrente di idrogeno in uscita).

Buona conferma della validità della prova è data dalla somiglianza (in termini cinetici) tra la curva di permeazione con quella di discesa dopo l’aggiunta di inibitore, fino a raggiungere un nuovo valore asintotico (stazionario).

In particolare confrontando i valori di corrente relativi alle prove effettuate sull’acciaio PH10 (tab 6.5) si può dare indicativamente come limite superiore di

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inibitore presente nella soluzione della vasca 2 una concentrazione dello 0.02%(vol). Il confronto tra i valori delle correnti è mostrato in fig. 7.10

Figura 7.10 Confronto tra flusso di idrogeno diffuso durante un decapaggio effettuato con la soluzione della vasca 2 e con una soluzione a bassa concentrazione di inibitore (0.02%).

Questo tipo di analisi apre finestre sulla possibilità di realizzare misure, anche in linea, della quantità di idrogeno prodotto durante il decapaggio, per stabilire una relazione con i risultati dei test di permeazione riguardo l’efficacia dei diversi inibitori e l’efficienza relativa alle concentrazioni usate.

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CONCLUSIONI

Limitatamente ai materiali esaminati e alle condizioni industriali studiate, i tempi necessari per ottenere completo decapaggio sono risultati proporzionali allo spessore della scaglia (rispettivamente 30” e 60” per l’acciaio LC e l’IF). Tali tempi sono verificati dall’analisi delle superfici dopo differenti tempi di esposizione ad ambiente aggressivo.

In assenza di inibitori anche tempi brevi di esposizione possono portare fenomeni di danneggiamento localizzato delle superfici. L’impiego di inibitori riduce notevolmente questo rischio grazie all’azione filmante esercitata.

L’efficacia di questi inibitori, già a piccole concentrazioni, è stata provata dai test di corrosione per perdita in peso. Tuttavia questi ultimi non hanno evidenziato in maniera sufficientemente apprezzabile variazioni in funzione della concentrazione di inibitore impiegata.

Le prove di permeazione di Idrogeno condotti sono risultati assai efficaci nel mettere in luce variazioni di attività della superficie metallica in ragione del tipo e concentrazione di inibitore impiegato.

Per sviluppi futuri questa metodologia sperimentale potrebbe rivelarsi assai utile nella scelta di tipo e concentrazione di inibitori ottimali anche a livello industriale.

Figura

Figura 7.1  Microstruttura dell'acciaio LC (P044).  Figura 7.2  Microstruttura dell'acciaio PH10
Figura 7.3  Tempo necessario per il completo distacco della scaglia nell’acciaio LC  (blu) e nell’IF (rosso)
Figura 7.4  Individuazione di due zone a comportamento diverso rispetto alle perdite in peso
Figura 7.7 Microanalisi superficiale dell’acciaio IF dopo 90” di immersione in soluzione acida  con concentrazione di inibitore pari allo 0.3%vol
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Riferimenti

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