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3 . 1 Effetti del campo magnetico statico B 3 . Esposizione durante l’esame MRI

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Academic year: 2021

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3. Esposizione durante l’esame MRI

Per quanto riguarda l’induzione di effetti biologici, l'esame MRI presenta sicuramente dei vantaggi rispetto ad altre tecniche diagnostiche, in quanto i campi elettromagnetici a cui è esposto il paziente fanno parte delle cosiddette NIR (Non Ionizing Radiation); queste radiazioni non hanno energia sufficiente per rompere direttamente i legami molecolari delle cellule all’interno dei tessuti biologici. Si tratta perciò di analizzare quali tipi di interazione con l’organismo umano, eccettuata la ionizzazione, essi possono procurare.

Come in precedenza detto, un apparato di RM comporta l’utilizzo di un campo magnetico statico molto intenso, di un campo elettromagnetico in radiofrequenza oscillante nell’intervallo tra 2 e 200 MHz, e di un elevato gradiente di campo magnetico variabile nel tempo (picchi fino a 50 T/s). Specialmente i primi due agenti possono interessare, oltre il paziente, anche il personale addetto.

Sebbene i livelli tipici di esposizione al campo magnetico statico non sono correlati a particolari effetti diretti e comprovati sperimentalmente nei confronti dell’organismo, i campi elettromagnetici variabili possono indurre due effetti nei tessuti e organi su cui interagiscono: induzione di correnti elettriche, secondo la legge di Faraday, e innalzamento della temperatura, per cessione di energia. Fino alla frequenza di circa 1 MHz prevale l’induzione di correnti elettriche nei tessuti elettricamente stimolabili (nervi e muscoli), invece, con l’aumentare della frequenza, diventa prevalente l’assorbimento di energia nei tessuti, e a frequenze superiori a circa 10 MHz questo effetto è l’unico a permanere; analizziamo di seguito gli effetti che ciascuno delle tre tipologie di campi, a cui si è esposti durante un esame MRI, può indurre sull’uomo.

3

.1 Effetti del campo magnetico statico B

o

In generale, per gli apparati di uso diagnostico, l’intensità del campo Bo assume

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2,3 T e 5 T, e sono in corso di allestimento strumentazioni operanti anche a campi più alti (7-10 T).

Questi valori sono elevatissimi se paragonati al campo magnetico terrestre che varia tra 25-65 μT, secondo la posizione geografica considerata.

Tuttavia non sono ancora state determinate le soglie oltre le quali il campo magnetico statico potrebbe esercitare effetti avversi su diversi tessuti biologici, anche se sono stati riportati in letteratura esempi di alterazioni provocate a carico di alcuni parametri fisiologici.

In generale, quando un materiale, biologico e non, è sottoposto ad un campo magnetico, la capacità di generare una relativa magnetizzazione è detta suscettività magnetica; questa proprietà è una caratteristica intrinseca e specifica di ciascun materiale, che permette di classificarlo come diamagnetico, paramagnetico o ferromagnetico.

D’altra parte, essendo il valore della suscettività magnetica associata al tessuto biologico estremamente basso, i conseguenti movimenti di rotazione o traslazione innescati dalla presenza del campo Bo (effetti magneto-meccanici), vengono

generalmente trascurati.

Un altro tipo di effetto derivante dall’interazione del campo statico con le cariche in movimento, è il cosiddetto effetto magnetoidrodinamico; ad esempio, riferendoci agli elettroliti del sangue, il risultato di tale interazione è quello di ritardare il flusso sanguigno con conseguente aumento della pressione arteriosa: è stato verificato che la pressione arteriosa subisce un aumento percentuale del 2% per ogni Tesla applicato oltre i 2 T.

Infine, pur essendo un effetto completamente reversibile e non a rischio, vi è la possibilità che il campo statico interagisca con il soggetto esposto, alterandone l’attività cardiaca: le differenze di potenziale necessarie per indurre depolarizzazione del nodo seno-atriale sono indotte da campi magnetici superiori a 5 T.

Alcune indagini su volontari sottoposti ad un campo statico di intensità superiore a 2 T, hanno evidenziato, che il movimento della testa comporta l’insorgere di

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La maggior parte degli studi condotti su animali non ha fornito alcuna coerente evidenza di effetto cancerogeno per campi inferiori a 2 T, anche se la probabilità di insorgenza di questi effetti aumenta al progressivo aumentare dei valori di campo oltre tale soglia.

Alcuni studi sperimentali su animali da laboratorio hanno verificato l’influenza del campo magnetico sulla produzione di melatonina, ormone che sembrerebbe avere un effetto protettivo contro il tumore mammario; tuttavia studi su volontari non hanno confermato queste variazioni.

In ultima analisi, vanno considerati gli effetti indiretti che il campo statico potrebbe causare interagendo con protesi, dispositivi medicali, o materiali con proprietà ferromagnetiche.

Infatti, gli incidenti più gravi fino ad ora registrati, in seguito all’esecuzione di un esame RM, sono stati causati dall’interazione tra il campo magnetico statico e oggetti metallici inavvertitamente introdotti nella sala esami; è noto il cosiddetto “effetto proiettile”, per il quale oggetti ferromagnetici sono attratti in direzione delle linee di campo verso il centro del magnete.

A tal riguardo non va sottovalutata la pericolosità derivante dall’interazione con materiali ferromagnetici presenti nel corpo di alcuni pazienti, siano questi valvole cardiache, protesi ortopediche, impianti oculari, piercing, o pacemaker; in particolare, per quest’ultimo, bisogna considerare che un campo magnetico maggiore di 0,5 mT può alterarne la normale funzionalità, con le relative e possibili conseguenze per l’individuo.

3.2 Effetti dei gradienti di campo magnetico

Durante un esame a risonanza magnetica, viene generato, tramite le bobine dei gradienti, un campo magnetico aggiuntivo che modifica localmente il campo statico nelle tre direzioni dello spazio.

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La loro intensità è quantificata in termini della massima variazione di campo ottenibile per unità di lunghezza (mT/m), con valori che variano tra 6-8 mT/m fino a 30-40 mT/m ed oltre.

Tali campi magnetici sono variabili nel tempo, in quanto si “accendono” e si “spengono” molto rapidamente durante e tra l’emissione degli impulsi a RF, raggiungendo valori compresi fra 0,5 T/s e 50 T/s.

I più alti valori di dB/dt sono caratteristici delle tecniche cosiddette di fast imaging come le EPI (Echo Planar Imaging); è infatti durante quest’ultime, che si riscontrano effetti particolarmente intensi, in termini di stimolazione di nervi periferici o comparsa di effetti luminosi sulla retina, scientificamente conosciuti come magnetofosfeni (Flashes visivi).

Considerando, infatti, nervi, muscoli e vasi sanguigni come conduttori, in accordo alla legge di Faraday, in tali distretti, le variazioni dei campi magnetici potranno indurre correnti elettriche.

Pertanto, per frequenze fino ad alcune centinaia di kHz, la densità di corrente indotta nei tessuti è il principale parametro con cui correlare l'esposizione agli effetti biologici che si manifestano negli individui esposti; è quindi questo il parametro che occorre determinare a partire dalle caratteristiche del campo e dalle modalità di esposizione.

Dall’analisi dei risultati sperimentali per campi elettromagnetici variabili tra qualche hertz e qualche centinaio di migliaio di hertz, risulta che nessun effetto acuto si manifesta con valore di soglia della densità di corrente inferiore a 10 mA/m2; tale valore è stato assunto dall’ICNIRP come base per i limiti di sicurezza, mentre per le persone professionalmente esposte il valore di sicurezza è 1 mA/m2.

Le correnti indotte producono effetti biologici solo per valori maggiori di 10 mA/m2 corrispondente ad una variazione del campo magnetico superiore a 0,5 T/s.

Tra 10 mA/m2 e 100 mA/m2 si può avere sensazione di nausea, vertigine ed effetti che non si classificano come danno biologico; anzi, è noto che l'induzione di correnti di questa entità facilita il processo di ricomposizione delle fratture ossee.

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Gli effetti di eccitazione neurale cominciano a verificarsi per densità di corrente attorno ai 100 mA/m2; la stimolazione nervosa periferica non è rischiosa per il paziente, ma risulta talmente fastidiosa da provocare l’interruzione dell’esame. Oltre tale valore di soglia, gli effetti potrebbero essere ben più rischiosi per la salute umana; ad esempio densità di corrente superiore a 1 A/m2 sono in grado di produrre effetti biologici irreversibili a livello di stimolazione cardiaca: induzione di un battito ectopico o di altra aritmia cardiaca, molto pericolosa per il paziente.

Tab. 1 Densità di corrente e relativi effetti biologici indotti

Densità di corrente

(mA/m2) Effetti

> 1000 Extrasistole e fibrillazione ventricolare 100 ÷1000 Stimolazione dei tessuti eccitabili in genere:

possibili rischi per la salute 10 ÷100 Possibili effetti sul sistema nervoso

1 ÷10 Effetti biologici minori

Generalmente le correnti elettriche indotte, oltre a stimolare i tessuti eccitabili, provocano il riscaldamento dei tessuti stessi, secondo l’effetto Joule; d’altra parte, data la bassa frequenza dei gradienti di campo magnetico, quest’ultimo effetto è normalmente trascurabile, ossia non producono un aumento misurabile di temperatura nel corpo.

Un altro problema associato ai gradienti, non sempre trascurabile, è il caratteristico rumore acustico, dovuto ai campi magnetici generati dai gradienti stessi.

Il rumore si genera durante le rapide variazioni delle correnti all’interno delle bobine di gradiente; queste correnti, in presenza dell’intenso campo magnetico statico, secondo la legge di Lorentz, producono forze che agiscono sulle stesse

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bobine di gradiente; quest’ultime, a causa di tali forze, urtano contro i sistemi di supporto che alternativamente vibrano e si flettono.

Il rumore può essere particolarmente intenso e doloroso; in particolare, al variare dell’intensità dei gradienti, si passa da livelli di pressione sonora compresi tra 103-112 dB per sequenze fast Gradient Echo (GE), ai 114-115 dB per sequenze EPI.

Alcune apparecchiature recenti utilizzano le “quiet” gradient coils, progettate in modo che tutte le forze di Lorenz prodotte si bilancino in modo tale da ridurre la vibrazione meccanica e il rumore associato.

Attualmente, non c’è nessuna evidenza convincente di effetti cancerogeni conseguenti all’esposizione dei gradienti di campo magnetico.

Un piccolo numero di studi suggerisce un aumento del rischio di leucemie o di tumori cerebrali, ma sono molto discordanti per quanto riguarda il tipo di cancro di cui si osserva un aumento di rischio; ne consegue che i dati forniti dalla letteratura sono insufficienti per fornire una base per linee guide di esposizione a questa tipologia di campi.

3

.3 Effetti dei campi elettromagnetici a RF

Durante l’esame MRI, oltre ai campi prima menzionati, il paziente sarà sottoposto a campi magnetici variabili alle radiofrequenze,impiegati per la stimolazione del fenomeno della RM.

In generale, a frequenze da 100 kHz a 300 GHz, com’è già detto, il riscaldamento è l’effetto principale dell’assorbimento di energia elettromagnetica.

D’altra parte, perché la capacità della radiazione di penetrare all’interno dei tessuti biologici è inversamente proporzionale alla frequenza, oltre a dipendere dalle caratteristiche elettriche del tessuto colpito, il corpo umano assorbe più energia nel range delle radiofrequenze (100 kHz-300 MHz); all’aumentare della

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Fig. 7 Diminuzione dell’assorbimento di energia all’aumentare di f

Pertanto, quando è esposto a campi elettromagnetici nell’intervallo delle radiofrequenze, il tessuto biologico assorbe energia; ovviamente, a seconda di quanta energia viene assorbita, si ottengono effetti termici differenti.

Pertanto, se i livelli di esposizione sono bassi si assiste ad un lieve innalzamento della temperatura, che viene ridotto dai naturali meccanismi di termoregolazione del corpo umano.

Invece esposizioni a campi di elevata intensità possono annullare la capacità di termoregolazione corporea e si può arrivare a livelli molto elevati di riscaldamento dei tessuti, fino a vere e proprie ustioni e necrosi tissutale da radiofrequenze.

In particolare, nel caso in cui l’esposizione avvenga a livelli elevati e per un tempo prolungato, ci possono essere gravi conseguenze per quegli organi, quali ad esempio gli occhi o le gonadi, che, a causa della scarsa vascolarizzazione e della bassa conducibilità elettrica, non riescono a smaltire il calore in eccesso, provocando cataratta oculare o infertilità maschile, rispettivamente.

D’altra parte, vi sono casi in cui, per finalità terapeutiche, volutamente si induce il riscaldamento dei tessuti irradiati; ad esempio la marconiterapia, detta anche

f

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terapia ad onde corte, utilizza campi elettromagnetici con frequenza di 27,12 MHz o 40,68 MHz, e potenza massima di 500 W.

Pertanto, quando l’intensità della radiazione è sufficiente a causare il riscaldamento del sistema biologico, può essere misurata una risposta a questo tipo di sollecitazione.

Se invece l’intensità dell’esposizione è abbastanza bassa da non provocare il riscaldamento dei tessuti, la natura della risposta biologica è molto meno evidente; infatti, l’effetto generato non è direttamente percepibile ma possibile visto che comunque il campo elettromagnetico esercita un’azione sugli organi umani che colpisce.

Queste reazioni, definite “non-termiche”, potrebbero conseguentemente riguardare quei processi che non producono un aumento di temperatura misurabile in una grande massa di tessuto, ma che potrebbero essere osservati a livello microscopico e molecolare come interazione diretta del campo.

Pertanto la gravità di questo tipo di effetto va ricercata nel fatto che tale riscaldamento avviene internamente al corpo e non viene percepito dagli organi sensoriali, ossia per l’organismo non è possibile attivare meccanismi di compensazione.

Grazie a numerosi studi di laboratorio in vitro, sono stati indagati gli effetti biologici di tipo non termico dovuti ad esposizioni a campi RF.

Alcuni studi hanno rilevato che anche deboli campi a radiofrequenze hanno un effetto sul sistema immunitario e che questi risultati potrebbero essere considerati non-termici, come per esempio una modificazione dell’espressione e della distribuzione di componenti della superficie delle cellule (proteine interne ed esterne della membrana plasmatica).

Sono stati osservati cambiamenti nelle trasmissioni sinaptiche e sono state riportate variazioni nei potenziali evocati, anche se il significato fisio-patologico di queste risposte, purtroppo, non è ancora ben chiaro.

Molti studi epidemiologici sull'uomo hanno considerato possibili le connessioni tra l'esposizione a campi RF ed un aumento del rischio di cancro.

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D’altra parte le attuali evidenze scientifiche indicano come improbabile che i campi RF inducano o promuovano tumori; gli studi di cancerogenesi su animali non hanno fornito evidenze convincenti di un effetto sull'incidenza di tumori. In conclusione, perché i loro risultati sono incoerenti ed appaiono molto limitati dal punto di visto metodologico, gli studi fino ad oggi disponibili, non possono fornire un'informazione sufficiente per un’appropriata valutazione del rischio di cancro nell'uomo in conseguenza dell’esposizione a campi RF.

D’altra parte, considerando l’eterogeneità dei parametri di cui bisogna tener conto durante lo svolgersi di un esperimento, si giustifica l’impossibilità di replicarne fedelmente l'esecuzione e l'interpretazione.

Queste considerazioni richiamano la necessità urgente di una standardizzazione delle metodiche di studio a livello internazionale, allo scopo di permettere il confronto dei risultati e, rendere, pertanto, questi ultimi, pienamente fruibili ai fini della valutazione del rischio.

Figura

Tab. 1 Densità di corrente e relativi effetti biologici indotti
Fig. 7 Diminuzione dell’assorbimento di energia all’aumentare di f

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