• Non ci sono risultati.

Capitolo 1: Misure di rischio

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1: Misure di rischio"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1: Misure di rischio

Nella pratica è impossibile identificare accuratamente la distribuzione dei rendimenti finanziari; ne consegue che la scelta tra due possibili asset con distribuzioni diverse si potrebbe effettuare tramite una comparazione dei rispettivi rischi finanziari. Tale rischio è comunque di difficile previsione, poiché esso non può essere calcolato direttamente, ma deve essere dedotto dal comportamento dei prezzi.

L' approccio di risoluzione più utilizzato a tale problema è l' utilizzo di una misura di rischio, cioè un metodo matematico per calcolare il rischio il cui fine ultimo è proprio quello di supportare il processo di decision-making. Solitamente, se più misure di rischio danno il medesimo risultato, si sceglie quella con cui è più facile lavorare. Al fine di definirne alcune, quali Volatilità, Value At Risk ed Expected Shortfall, si assume che le distribuzioni statistiche del sottostate siano conosciute.

1.1 Volatilità

La Volatilità, cioè la deviazione standard dei rendimenti, è la principale misura di rischio nella maggior parte delle analisi finanziarie, ma è sufficiente solo quando i rendimenti sono normalmente distribuiti, poiché tutte le proprietà statistiche della distribuzione normale sono racchiuse nella media e nella varianza. La volatilità varia nel tempo, per cui, dati dei cicli chiari ed evidenti, essa è parzialmente prevedibile; questo grazie ad un fenomeno conosciuto come Volatility Cluster, illustrato nelle Fig 1.1. che rappresenta i rendimenti e la volatilità. All'inizio la volatilità aumenta, e siamo dunque in un raggruppamento di alta volatilità, mentre in seguito diminuisce, per cui ci troviamo in un raggruppamento di bassa volatilità; questo si ripete nel tempo. Quasi tutti i rendimenti presentano dei Volatility Cluster, e questa loro peculiarità ottenne un diffuso riconoscimento con la pubblicazione di Engle, nel 1982. Se si riuscisse ad

(2)

arrivare ad una prevedibilità nella volatilità, sarebbe possibile perfezionare le scelte di portafoglio, la gestione del rischio e l' apprezzamento di opzioni in altre applicazioni. Un metodo grafico standard per esplorare la prevedibilità nei dati statistici è la Funzione di Autocorrelazione, che misura come i rendimenti di un giorno sono correlati con i rendimenti del giorno precedente; se questa correlazione è statisticamente rilevante, allora si ha forte dimostrabilità per la prevedibilità.

Ma l' assunzione della normalità dei rendimenti è il più delle volte smentita nell' osservazione dei rendimenti finanziari, per cui usare la volatilità come misura di rischio può portare a conclusioni errate. La non accuratezza di tale misura dipende dalle applicazioni specifiche, ma nella maggior parte dei casi l' applicazione della volatilità comporta una sistematica sottostima del rischio.

Fig 1.1. A sinistra i rendimenti, a destra la volatilità 1.2 Value At Risk

E' definito come la perdita di portafoglio tale che esista una probabilità p di avere perdite maggiori o uguali al VaR stesso in un certo periodo, ed una probabilità (1 – p) di avere perdite minori; questo è funzione di due parametri, l' intervallo di confidenza p e l' orizzonte temporale T, per cui può essere intesa come il livello di perdita su T giorni che ha una probabilità p di essere superato.

Essa è la misura di rischio più comune insieme alla volatilità, perchè è facile da capire, interpreta le perdite come risultato tipico dei movimenti di mercato ed è indipendente dalle distribuzioni dei rendimenti, il che vuol dire che, nel

(3)

calcolarlo, si può usare qualsiasi tipo di distribuzione (la più utilizzata è la distribuzione normale). Il VaR viene anche definito come il quantile sulla distribuzione dei profitti e delle perdite su un portafoglio di investimento, indicati dalla variabile casuale Q, con una sua realizzazione particolare indicata da q; per cui, se Q = Pt – Pt-1 si ha che, nel discreto,

Pr [ Q ≤ -VaR(p) ] = p (1.1)

mentre, nel continuo

−∞ −VaR ( p)

ƒq( x)dx (1.2)

Il VaR è indicato con un segno negativo poiché è un elemento positivo, ma noi stiamo trattando delle perdite.

(a) Funzione di densità e VaR (b) Coda sinistra della funzione e VaR

(c)Funzione di Ripartizione (d) Coda della funzione e VaR Fig 1.2. Value At Risk

(4)

Graficamente, è illustrato nelle Fig 1.2. che considera l' intera funzione di densità ƒ(x); il VaR corrisponde all'area colorata nella coda sinistra della distribuzione. Nella Fig 1.2. (b) viene visto più da vicino, ai livelli dell' 1% e del 5%, mentre nelle Fig 1.2.(c) e 1.2. (d) si osserva la funzione di ripartizione F(x), cioè quella funzione che considera la funzione di densità da -∞ sino alla soglia -VaR(p). Al fine di calcolare il VaR, si deve conoscere la probabilità p, che solitamente è pari a 1%; in linea teorica, comunque, questa viene scelta sulla base di come l' utilizzatore del sistema di gestione del rischio ha intenzione di interpretare il VaR. Ad esempio, in applicazioni sul capitale economico, su analisi di sopravvivenza o su analisi di rischio nel lungo periodo per i fondi pensione, si utilizzano probabilità molto più basse, come ad esempio lo 0.1%.

Una volta definita la probabilità, si deve conoscere l' Holding Period, cioè il periodo di tempo durante il quale si possono verificare perdite; questo solitamente è un giorno, ma anche in questo caso può variare in base alle circostanze, infatti investitori istituzionali e società non finanziarie adotteranno holding periods superiori al giorno. Ovviamente, maggiore è l' holding period e più ampio è il VaR. Infine, si deve conoscere la distribuzione di probabilità dei profitti e delle perdite del portafoglio, la quale solitamente si ottiene osservando i comportamenti passati e facendo riferimento a modelli statistici.

Sebbene il VaR non colga alcuni aspetti, quali condizioni avverse di liquidità, e quindi alti costi di transazione, il suo utilizzo è comunque considerato vantaggioso rispetto alle greche, poiché è un concetto universale che può essere applicato alla maggior parte degli strumenti finanziari, e che riassume in un solo numero tutti i rischi di un portafoglio. Tale soglia è considerata come valore positivo, ma può succedere che, per periodi di riferimento molto lunghi, se la media della funzione di densità è sufficientemente ampia, il quantile corrispondente al VaR finisca oltre lo zero, diventando così di valore negativo. Quando ciò accade, il VaR non ha significato, perchè le perdite potenziali, in questo caso, diventano profitti.

(5)

1.3 Criticità nell' applicazione del VaR

Ci sono tre principali problematiche che devono essere considerate nell' implementazione del Value At Risk:

1. Il VaR è solo un quantile della distribuzione dei profitti e delle perdite di portafoglio.

2. Non è una misura di rischio coerente. 3. E' facile da manipolare.

Riguardo alla prima problematica, si deve tenere presente che il VaR è la perdita potenziale minima che un portafoglio può soffrire in caso di esito negativo. Quindi fornisce solamente il migliore del peggiore dei casi, e, come tale, sottostima inevitabilmente le perdite potenziali associate a quella probabilità, visto che la forma della coda prima e dopo il VaR non incide sul valore di quest'ultimo.

Con riguardo alla seconda criticità, perchè una misura di rischio sia coerente, e quindi utile ed affidabile, deve soddisfare quattro proprietà. Denotando una qualsiasi misura di rischio (il VaR nel nostro caso) con φ (.), e considerando due variabili casuali X e Y, la funzione è φ(.) : X, Y →R

• Monotonia; se le perdite del portafoglio X non eccedono mai quelle del portafoglio Y, allora il rischio di Y non dovrebbe mai eccedere quello di X.

X , Y∈V => φ( X )≥ φ(Y ) (1.3) • Omogeneità Positiva; se la composizione percentuale è la stessa, allora il

VaR è proporzionale al valore iniziale del portafoglio.

X∈V , c>0 => φ(cX )=cφ( X ) (1.4)

(6)

piccole e liquide, ma più la posizione diventa grande, o la liquidabilità di essa diminuisce, più è probabile che si verifichi una situazione in cui il rischio aumenta più che proporzionalmente rispetto al portafoglio. Infatti, se si tentasse di vendere tale stock di azioni si eserciterebbe un forte impatto sui prezzi, i quali scenderebbero sino ad un livello inferiore rispetto ai prezzi iniziali di mercato.

• Invarianza per Traslazione; aggiungendo una somma fissa c al portafoglio, che funge da assicurazione, si ottiene che il rischio del portafoglio inclusivo della somma c è inferiore a quello del portafoglio che invece non la include.

X∈V ,c∈ R => φ( X +c)=φ( X )−c (1.5)

• Subadditività; il rischio del portafoglio composto da X e Y non può mai essere maggiore della somma dei due rischi presi individualmente. Questo corrisponde al principio di diversificazione di portafoglio. Quelle misure di rischio che violano tale assioma potrebbero portare alla conclusione erronea che la diversificazione di portafoglio comporta un aumento del rischio.

X , Y , X+Y ∈V => φ( X +Y )≤ φ( X )+φ(Y ) (1.6) Il VaR è coerente se si assume la normalità della distribuzione dei rendimenti, poiché esso, in questo caso, è proporzionale alla volatilità, la quale è subadditiva; talvolta però non è una misura di rischio coerente, proprio perchè non sempre soddisfa questa quarta proprietà. Al fine di dimostrare ciò facciamo un esempio: Si consideri un asset X tale che ci sia una probabilità pari al 4,9% di avere un rendimento pari a -100, ed una probabilità di 95,1% di ottenere un rendimento pari a 0. In questo caso il VaR(5%) = 0, e VaR(1%) = 100. Adesso si supponga di avere un portafoglio ugualmente pesato tra X ed Y, i quali hanno stessa distribuzione e sono indipendenti gli uni dagli altri. In questo caso il VaR(5%) ≈ 50. Abbiamo quindi il seguente risultato

(7)

VaR5% (0.5X+0.5Y) ≈ 50 > VaR5% (X) + VaR5%(Y) = 0+0

Il portafoglio comprensivo di entrambi gli asset sembra essere più rischioso rispetto al caso in cui i fondi siano investiti in un solo asset. Questo perchè la probabilità di una perdita è leggermente inferiore alla probabilità di riferimento del VaR per un singolo asset (4.9% rispetto a 5%), ma quando si hanno due asset, la probabilità che un asset perda soldi è più alta di quella del VaR, poiché corrisponde a

Pr = 1 – (0.951 * 0.951) ≈ 0.096

Quindi il VaR è senz'altro subadditivo sotto l' ipotesi di normalità della distribuzione dei rendimenti, mentre non lo è nel caso in cui la coda della distribuzione sia di tipo super fat. Nella pratica è importante sapere se un portafoglio soffre di violazioni di subadditività; il più degli asset non hanno questo problema, ma alcuni si: sono quegli asset soggetti occasionalmente a rendimenti largamente negativi. Ne sono esempi i tassi di cambio di paesi che mantengono fissa la propria valuta, ma che sono soggetti a svalutazioni occasionali, prezzi dell' elettricità soggetti a forti oscillazioni e defaultable bonds, le quali il più delle volte assicurano un rendimento positivo costante, ma che possono occasionalmente fallire, e quindi essere soggette a rendimenti largamente negativi.

Infine, riguardo alla terza criticità, si deve tenere presente che il VaR può essere facilmente manipolato; infatti, essendo un quantile, può essere spostato. Un modo per far diminuire il VaR è quello di ridurre il possesso di asset rischiosi, oppure attuando strategie di trading che coinvolgono opzioni. Quindi il VaR potrebbe essere abbassato a spese della redditività complessiva o aumentando il rischio di ribasso. Ma questa diminuzione di VaR è un' illusione, perchè a seguito di questo il rischio aumenta e la redditività diminuisce. Per capire questo si consideri un esempio:

Supponiamo che il VaR prima di una qualsiasi manipolazione sia VaR0, e che ci sia una banca che vorrebbe avere un VaR pari a VaR1, tale che 0 < VaR1 < VaR0.

(8)

Un modo per ottenere questo risultato è vendere una Opzione Put con prezzo di esercizio inferiore a VaR0, e comprarne un'altra con prezzo di esercizio maggiore di VaR1. Il risultato che si ottiene da questa strategia è una diminuzione dei profitti attesi ed un aumento del rischio di ribasso, come illustrato nella Fig 1.3.

Fig 1.3. Manipolazione della distribuzione dei profitti e delle perdite

1.4 Expected Shortfall

L' Expected Shortfall corrisponde alle perdite o i profitti attesi Q quando questi sono minori del VaR negativo , cioè

ES = [Q | Q ≤ -VaR (p)] (1.7)

Questa misura di rischio permette di ovviare al fatto che il VaR non sempre è subadditivo, ed inoltre permette di ottenere maggiori informazioni riguardo alla forma della coda della distribuzione. L' Expected Shortfall permette di sapere qual' è la perdita attesa qualora le perdite eccedano il VaR, definendo il valore atteso in corrispondenza del quantile associato con probabilità p, ed il fatto di utilizzare un valore atteso significa che tale misura di rischio è a conoscenza della forma della coda della distribuzione, mentre il VaR non lo è.

Matematicamente, il valore atteso è definito come

E( x)=

−∞

(9)

Nel caso dell' Expected Shortfall però si considera il valore atteso da -∞ a -VaR(p); ne consegue che l' area sottostante alla funzione di densità ƒq(.) nell' intervallo [-∞; -VaR(p)] non corrisponde ad 1, ma è inferiore, per cui si deve definire una nuova funzione, ƒVaR(.), ottenuta estendendo l' area sotto ƒq(.) fino ad uno.

a) Densità Value At Risk b) Coda della densità e Value At Risk

c)Espansione della coda; l' area più scura ha valore p, mentre l' area di tutta la parte scura vale 1 Fig 1.4. Expected Shortfall

L' espressione matematica che definisce l' Expected Shortfall si deriva identificando, per prima cosa, la densità corretta da utilizzare:

1=

−∞ ƒq( x)dx (1.9) p=

−∞ −VaR( p ) ƒ( x)dx (1.10)

(10)

Quindi la densità della coda ƒVaR(.) è data da 1=

−∞ −VaR ( p) ƒVaR( x)dx = 1/ p

−∞ −VaR ( p) ƒq( x)dx (1.11)

Dunque l' Expected Shortfall è il valore atteso negativo dei profitti o delle perdite relative alla densità della coda ƒVaR(.).

p 0.5 0.1 0.05 0.25 0.01 0.001

VaR 0 1.282 1.645 1.960 2.326 3.090

ES 0.798 1.755 2.063 2.338 2.665 3.367

Tab 1.1 VaR ed ES alla corrispondente probabilità p per una distribuzione normale standard

Nella tabella 1.1 viene calcolato il VaR per diversi intervalli di confidenza in corrispondenza al livello di ES per un portafoglio normalmente distribuito, con media pari a 0, volatilità pari ad 1 e valore nominale di 1$. In queste condizioni (distribuzione normale, valore nominale e volatilità pari ad 1) l' Expected Shortfall può essere calcolato con

ES=−ø(Φ −1

p)

p (1.12)

dove ø corrisponde alla densità normale, mentre Φ corrisponde alla distribuzione normale. La tabella mette in evidenza che l' Expected Shortfall non è molto più basso del VaR nelle zone lontane dalla coda della distribuzione, quindi risalta il fatto che la coda di una distribuzione normale decresce molto rapidamente. Man mano che il livello di confidenza aumenta, il rapporto tra le due misure di rischio converge verso 1, ma questo solo nel caso di una distribuzione normale.

L' Expected Shortfall condivide diversi vantaggi con il VaR, infatti anche questa è una misura di rischio universale che può essere applicata quasi ad ogni

(11)

strumento ed ad ogni fonte di rischio, e ogni banca che ha un sistema di Risk Management basato sul VaR può implementare l' Expected Shortfall senza eccessivi sforzi; in più esso è sempre subadditivo, a differenza del VaR. Nella pratica però la maggior parte delle istituzioni finanziarie applica il VaR, principalmente per due ragioni:

1) L' Expected Shortfall è una misura di rischio con maggiori incertezze rispetto al VaR. Questa infatti si basa sull'accertamento del VaR e sulla previsione dei valori che assumerà la coda della distribuzione.

2) L' Expected Shortfall è più difficile da verificare rispetto al VaR. La procedura ad esso relativa richiede infatti una stima della coda della distribuzione da commisurare ai valori previsti dell' Expected Shortfall. Di conseguenza, l' Expected Shortfall può essere comparato solo con i risultati derivanti da un modello, mentre il VaR può essere verificato tramite le attuali osservazioni della realtà.

1.5 Holding Period

Il periodo di riferimento più comune è il giorno, ma anche altri vengono utilizzati con frequenza; holding periods più brevi vengono utilizzati per il risk management della sezione commerciale, come 1 ora, venti o dieci minuti. Questo perchè si vuole evitare che i singoli traders assumano troppo rischio in un breve periodo di tempo. I modelli infragiornalieri sono considerevolmente più difficoltosi rispetto a quelli giornalieri, poiché c'è bisogno di una frequente fornitura di dati, che è molto più costosa e può contenere degli errori, e di modelli molto più accurati e costosi. Definire modelli di Value At Risk per un holding period che eccede il giorno è altrettanto difficile, poiché si stimano degli eventi che raramente si verificheranno; ciò nonostante, molte istituzioni finanziarie hanno bisogno di previsioni del VaR di questo tipo, principalmente a causa degli Accordi di Basilea, che prevedono che tali istituzioni adottino modelli di VaR con un holding period di 10 giorni.

(12)

Riferimenti