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Il recente art. 445 bis c.p.c. tra antinomie sistemiche e prospettive razionalizzanti. - Judicium

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VALERIO MONTELEONE

Il recente art. 445 bis c.p.c. tra antinomie sistemiche e prospettive razionalizzanti.

Sommario: 1- Un frastagliato quadro normativo sostanziale, ed una “affrettata” e “speculare” novella processuale. 2 – La razionalizzazione del sistema in alcune pronunce della Corte di cassazione. 3 – Una prospettiva “di sistema” nel solco tracciato dalla giurisprudenza. 4- Per una valida riforma del settore.

1- Un frastagliato quadro normativo sostanziale, ed “un’affrettata” e “speculare” novella processuale.

Risale a circa sei anni or sono una significativa riforma del diritto previdenziale (disciplina frastagliata e di per sé complessa, in quanto contenuta in numerose ed eterogenee fonti normative, emanate a più livelli) che ha ricondotto nell’alveo esclusivo delle funzioni dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale l’accertamento del requisito sanitario a supporto del riconoscimento delle indennità per invalidità e cecità civili, sordomutismo, handicap e disabilità1. Il medesimo intervento legislativo, poi, da un lato, ha soppresso la qualifica di litisconsorte necessario del Ministero dell’Economia e della Salute, eliminando dal punto di vista procedurale l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di un eventuale giudizio anche all’Avvocatura dello Stato; dall’altro, ha sancito che, a decorrere dal 1.1.2010, le domande volte ad ottenere i sussidi in commento, fossero direttamente presentate all’I.N.P.S. (corredate dalla documentazione medica certificante la natura delle infermità lamentate) secondo le modalità dettate con circolari interne dell’Istituto stesso, il quale, successivamente, avrebbe trasmesso in via telematica le domande all’Azienda Sanitaria Locale competente per le opportune indagini mediche. Dopo il positivo riscontro delle condizioni fisiche, l’Istituto avrebbe dovuto vagliare la sussistenza degli ulteriori requisiti socio-economici. Dal punto di vista del procedimento amministrativo, dunque, la “nuova” normativa ha postergato la verifica meramente amministrativa a quella sanitaria. Tali requisiti devono, però, sussistere entrambi per il riconoscimento del beneficio richiesto. Ne consegue, logicamente, che mancando il secondo, anche la verifica del condizioni fisiche dell’istante si renderebbe, nei limiti di legge, superflua2. Ad ogni modo questo è l’ordine che la riforma ha inteso dare alle questioni da accertare.

1 Trattasi del D.L. 1.7.2009 n. 78 (G.U. n. 150 del 1.7.2009), convertito con modificazioni in L. 3.8.2009 n. 102.

2 Si pensi esemplificamente ad un domanda per un sussidio derivante da diabete invalidante, presentata da un soggetto effettivamente menomato, ma dichiarante un reddito di 1 milione di euro annui.

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Specularmente ed in modo alquanto repentino, a distanza di un biennio dall’introduzione della normativa di settore, il Legislatore si è preoccupato di disciplinare gli aspetti processuali del tema, introducendo l’art. 445 bis c.p.c.3. Si trascrive, ad ogni buon fine, la recente norma: “1. Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’art. 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696 bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’art. 10, comma 6 bis, del decreto legge 30 settembre 2005 n. 203 […] 2. L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso. 3. La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione. 4. Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio. 5. In assenza di contestazione, il giudice, se non provvede ai sensi dell’art. 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni. 6. Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma

3 Il nuovo articolo è stato introdotto con il D.L. 6.7.2011 n. 98, art. 38, comma 1, lett. b), n. 1), convertito con modificazioni in L. 15.7.2011 n. 111, con applicazione a decorrere dal 1.1.2012. Successivamente, alla disposizione in commento è stato aggiunto un settimo comma dalla L. 12.11. 2011 n. 183. Per una analisi ragionata della nuova disciplina si veda D.DALFINO,“La nuova giustizia del lavoro”, Bari 2011 pp. 59 e ss.

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primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione. 7. La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile”.

Due dati emergono immediatamente e con chiarezza dal citato dato letterale. Intanto, è stato applicato allo schema processuale il medesimo ordine logico adottato dalla normativa previdenziale, ritenendo di dover dare primario rilievo alla certificazione del requisito sanitario, e solo successivamente alla verifica dei requisiti socio-economici4: tant’è che l’accesso al procedimento di a.t.p. presuppone che la visita medica delegata al S.S.N. abbia dato esito negativo; e, poi, per come è stato congegnato il nuovo procedimento, potrebbe verificarsi la paradossale conseguenza che, in caso di contestazione delle risultanze sanitarie di cui all’a.t.p., l’I.N.P.S. debba proseguire un giudizio instaurato contra se, con onere di specificazione, a pena di inammissibilità del ricorso, delle contestazioni non solo sanitarie, ma anche di quelle attinenti al profilo socio economico, le quali potrebbero risultare assorbenti.

Si tratta, dunque, di una novella processuale “speculare” alla legge sostanziale, ed affrettata in quanto emessa nel tentativo di sgravare gli organi giudiziari della notevole mole di ricorsi previdenziali, ponendo però dei problemi di non facile soluzione, messi già in luce nelle immediatezze dell’entrata in vigore della nuova disposizione5. La costruzione impiantata dal Legislatore sulla base di quanto precedentemente disposto in materia previdenziale, inoltre, comporta un’antinomia sistemica di non poco momento nella parte in cui sembrerebbe, contro i più basilari principi processuali, disciplinare un procedimento a prima vista indirizzato all’accertamento di un mero fatto, svincolando quella che comunque consiste in una domanda giurisdizionale (il

4 Se ciò poteva avere una giustificazione nell’intento di sgravare il carico di lavoro dell’Istituto, nel tentativo di accelerare l’iter amministrativo, dal punto di vista del processo e dell’azione giurisdizionale perde ogni rilevanza, in quanto, si ripete, un soggetto sanitariamente potrebbe avere diritto alla prestazione, senza però averlo dal punto di vista socio economico, con inutile dispendio di denaro e spreco di attività giudiziaria.

5 V. G.MONTELEONE, “Manuale di Diritto Processuale Civile”, VI ed., Padova 2012, I, pp. 826-827: “ […] Se invece il giudizio di merito non fosse già iniziato, si pongono alcuni problemi di non facile soluzione. Il primo sta nelle conseguenze dell’inutile decorso del termine perentorio per il deposito del ricorso introduttivo. Se il dissenziente è l’Ente previdenziale convenuto, egli si può imporre di presentare il ricorso contro se stesso, magari sotto forma di una domanda di accertamento negativo? E se non viene depositato alcun ricorso introduttivo, o in esso non vengono adeguatamente specificate le contestazioni avverso la consulenza preventiva, il giudice dovrà emettere il decreto di omologazione della stessa (come nel caso di omessa contestazione) oppure tutto perderà efficacia e dovrà ricominciarsi ex novo? Infine si prospetta il dubbio più radicale, e cioè se l’istruzione preventiva debba reputarsi in corso di causa ai sensi dell’art. 699 c.p.c. anche nel caso previsto dal 1° comma dell’articolo qui commentato. Se così fosse, la disposizione del sesto comma sarebbe del tutto priva di senso”.

V. anche ID., “Il nuovo processo previdenziale alla luce dell’art. 445 bis c.p.c”, in www.judicium.it

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ricorso per a.t.p.) dal diritto con essa fatto valere. Difetto rivisto e corretto in un pregevole sforzo ermeneutico da parte della S.C., cui in questa sede si vuol cercare di contribuire.

2 – La razionalizzazione del sistema in alcune pronunce della Corte di cassazione.

In alcune recenti pronunce la Corte di cassazione è intervenuta sul procedimento dettato dalla norma di cui all’art. 445 bis cercando di costruire un filo conduttore giuridico nel sistema ambiguo e tortuoso creato da questa disposizione6.

Il tratto comune evidenziato dalla S.C. nell’esame delle diverse fattispecie sottopostele, premessa la natura degli interventi normativi effettuati nel settore, è il mancato coordinamento tra la disciplina dettata dall’articolo che si commenta e uno dei principi fondamentali che sorreggono l’intero impianto della giurisdizione civile, ossia quello secondo il quale l’azione giurisdizionale non può essere volta all’accertamento di un mero fatto, pur se giuridicamente rilevante, separatamente dalla pretesa giuridica, dal diritto soggettivo, che quel fatto è chiamato a sorreggere7.

La tutela giurisdizionale è, dunque, tutela dei diritti, come peraltro è semplice evincere da numerose disposizioni in seno all’ordinamento: su tutte l’art. 24 della Costituzione che sancisce il diritto ad agire in giudizio “per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi”, nonché gli artt. 99 c.p.c., ai sensi del quale si deve proporre domanda al giudice competente per “far valere un diritto in giudizio”, e 2097 cod. civ. secondo il quale, su domanda di parte, l’autorità giudiziaria provvede

“alla tutela giurisdizionale dei diritti”8.

6 Cass., Sez. Lavoro, Pres. F.ROSELLI, Rel P.GHINOY, n. 8533 dei 17.2/27.4.2015; ID. n. 8878 dei 17.2/4.5.2015; Id. n.

8932 dei 17.2/5.5.2015;

7 Cfr. la motivazione delle sentenze di cui alla nota precedente: “costituisce principio condiviso e consolidato di questa Corte quello secondo il quale non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che integrino solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, che può costituire oggetto di accertamento giudiziale solo nella sua interezza”. V. anche Cass. Sez. Lav. Ord. 2051 del 27.1.2011; Cass., Sez. III, n.

5074 del 5.3.2007; Cass. Sez. Un. N. 27187 del 20.12.2006, tutte richiamate nelle citate pronunce di cui alla superiore nota. Ovviamente tale principio è corretto in quanto l’accertamento della fattispecie fattuale relativo alle condizioni sanitarie non vale autonomamente ed indipendentemente da altri elementi e requisiti, a sorreggere da solo la pretesa contributiva. Accertato il requisito sanitario e mancante altro requisito socio-economico, l’azione volta al mero accertamento del primo comporterebbe uno spreco di attività giurisdizionale poiché diretta al consolidamento incontestabile solo di un elemento non risolutivo della fattispecie, e quindi perfettamente inutile dal punto di vista dell’accertamento del diritto.

Tant’è che la S.C. (ex plurimis Cass. 1035/2015 e 6731/2014) ha negato l’ammissibilità dell’azione di mero accertamento dello stato di invalidità civile dopo l’entrata in vigore del D.Lgs 31.3.1998.

8 Così le statuizioni prese in esame hanno sancito che: “i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Solo in casi eccezionali e predeterminati per legge possono essere accertati dei fatti separatamente dal diritto che l’interessato pretende di fondare su di essi […] Non sono ritenute quindi proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti pur giuridicamente rilevanti, ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva del diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziale solo nella sua funzione genetica del diritto azionato, e cioè nella sua interezza”.

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Reinterpretando la disposizione sopra riportata in un senso giuridicamente corretto ed orientato al rispetto delle fondamentali istanze appena rassegnate, la S.C. ha ritenuto che il Legislatore sia intervenuto anche sulla materia disciplinata dall’art. 147 delle disp. att. c.p.c.9, ed abbia, così, introdotto un accertamento preventivo delle condizioni sanitarie comunque strumentale e preordinato all’emanazione di un provvedimento attributivo della prestazione (in ogni caso subordinato, nell’eventualità di omologa dell’a.t.p.o., all’accertata sussistenza dei requisiti giuridico-economici). Ciò implica che la richiesta di a.t.p. deduce implicitamente in giudizio il diritto alle prestazioni previdenziali e, quindi, che, argomentando ex art. 100 c.p.c., questa debba essere valutata anche con riferimento ad un concreto interesse del ricorrente, ossia nell’ottica della sussistenza degli ulteriori presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento del sussidio richiesto10. Il Giudice adito, pertanto, dovrà preliminarmente accertare, ai fini dell’ammissibilità della istanza di consulenza preventiva: l’effettivo versarsi in una fattispecie rientrante tra quelle espressamente indicate in seno all’art. 445 bis c.p.c.; l’avvio dell’iter amministrativo; l’eventuale presentazione del ricorso amministrativo; la tempestività del ricorso giudiziario. Nonché, sotto il profilo dell’interesse ad agire, lo stesso dovrà vagliare la futura utilità dell’accertamento medico invocato in rapporto alla concessione del beneficio invocato, utilità, specifica la Corte, “che potrebbe difettare ove manifestamente manchino, con una valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’a.t.p.”.

Se tale verifica dovesse dare esito negativo il giudice dovrebbe dichiarare l’inammissibilità del ricorso ex art. 445 bis.

Specularmente, se la parte richiedente l’accertamento sanitario inevitabilmente rimette al giudice l’intera fattispecie relativa al diritto per cui ha agito, così la parte resistente, nelle proprie contestazioni successive all’accertamento peritale11, ai sensi dei commi 4° e 5° della disposizione in

9 “Nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie sono privi di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, gli arbitrati rituali, gli arbitrati irrituali, le collegiali mediche, quale ne sia la natura giuridica, e le conciliazioni stragiudiziali intervenute anteriormente o posteriormente alla proposizione dell’azione giudiziaria. Nelle controversie di cui al comma precedente i ricorsi amministrativi hanno effetto sospensivo di ogni provvedimento che implichi l’annullamento del rapporto assicurativo”.

10 Così la Cassazione richiamata in nota 11: “l’accertamento medico-legale, pur sempre richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale” deve rispondere “ad un concreto interesse del ricorrente, dovendo escludersi che ess possa essere totalmente avulso dalla sussistenza di qualsivoglia ulteriore presupposto richiesto dalla legge per il riconoscimento dei diritti corrispondenti allo stato di invalidità allegato dal ricorrente, con il rischio di una proliferazione incontrollata ed incontrollabile del contenzioso sanitario”.

11 Ma non solo successive, essendo proponibili, ed anzi essendo preferibile proporle, anche in sede di udienza di comparizione ex art. 694 c.p.c.

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commento, volte ad evitare il decreto di omologa, potrà/dovrà prendere posizione in ordine sia alle conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia agli aspetti preliminari relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione.

Si apre dunque, nella prospettiva di razionalizzazione fornita dalla S.C., orientata verso i fini di evitare uno spreco di attività giurisdizionale e di ricondurre all’armonia il sistema introdotto con i fondamenti processuali richiamati, uno scenario in cui, anche in ossequio al principio dispositivo, la parte istante dovrà mettere in condizione il Tribunale di poter vagliare i requisiti di ammissibilità dell’accertamento sanitario, allegando documenti e formulando motivi entrambi attinenti alla sussistenza degli altri presupposti; analogamente la parte resistente dovrà contestare in toto e con riguardo all’intera fattispecie gli assunti contenuti nel ricorso sia in sede di comparizione, e (specificatamente in relazioni alle conclusioni mediche del consulente tecnico, richiamando anche la mancanza degli ulteriori requisiti) in sede di contestazioni scritte da formularsi in sede post peritale.

Tale ricostruzione, peraltro condivisibile, della S.C. offre lo spunto per addentrarsi in un ulteriore sforzo ricostruttivo della disciplina relativa a questa delicata materia.

3 - Una prospettiva di sistema nel solco tracciato dalla giurisprudenza.

L’impianto originario della norma di cui all’art. 445 bis non realizza l’intento acceleratorio e deflattivo che pur si era prefisso il Legislatore. La Suprema Corte è intervenuta attribuendo dunque al Giudice un ruolo di filtro dell’ammissibilità dell’azione riferito ad un seppur sommaria verifica del buon esito dell’istanza per il riconoscimento di un beneficio previdenziale.

Non rimane che cercare di offrire una soluzione che sia utile nel diritto vivente, conciliando sia la lettera della norma (che di certo non può cancellarsi con un tratto di penna) con gli indefettibili principi processuali richiamati dalla Cassazione e la lettura che ne è stata data dalla stessa.

Lo spunto argomentativo (considerato che l’istanza di a.t.p.o. investe l’intera fattispecie sia nella prospettiva del ricorrente che da quella del resistente) che si ritiene essere alla base di una ricostruzione effettivamente deflattiva e razionalizzante del fenomeno, mantenendo ferma la normativa processuale, è dato dalla disposizione di cui al comma 2 della norma in commento, il quale prevede che detto a.t.p.o., pur essendo condizione di procedibilità della domanda, possa essere svolto anche in corso di causa, nonché dall’esplicito richiamo di cui al comma 1 all’art. 696 bis che disciplina l’accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi.

Più che proporre un’autonoma istanza di accertamento tecnico preventivo delle condizioni sanitarie, che sulla scorta della richiamata giurisprudenza deve contenere anche la prospettazione, a pena di

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inammissibilità, dell’effettiva sussistenza degli ulteriori requisiti imposti dalla legge per l’ottenimento della prestazione previdenziale, l’attore potrebbe benissimo proporre un ricorso ordinario contente la domanda di accertamento del diritto e di condanna al versamento del contributo12, formulando contestualmente l’istanza di accertamento ex art. 696 bis e 445 bis comma 1.

Il giudice, con decreto, fissa l’udienza di comparizione anche per l’effettivo esame dell’ammissibilità dell’istanza e (edotto sin da dieci giorni prima sulle posizioni dell’Ente previdenziale, o comunque sentito lo stesso in udienza in caso di contestazione tardiva), valutata in via sommaria la sussistenza degli ulteriori requisiti giuridico-amministrativi per la prosecuzione dell’accertamento peritale sulla base del ricorso introduttivo e della memoria di costituzione, o nomina il consulente oppure rinvia per la discussione e decisione della causa ad altra udienza.

In tal modo è possibile superare sia il problema di un accertamento di fatto avulso dalla pretesa azionata in giudizio e comunque non risolutivo ai fini del contributo, in quanto la consulenza omologata non è di per sé sufficiente ad ottenere l’erogazione della prestazione, poiché successivamente l’I.N.P.S. dovrà valutare la sussistenza degli altri requisiti (con la concreta prospettiva di una duplicazione del contenzioso, dopo l’a.t.p. previdenziale, ossia un giudizio di accertamento posteriore al rifiuto opposto nuovamente dall’Istituto); sia il problema nascente dalla necessità di introdurre il giudizio di merito a seguito della consulenza al fine di evitare l’omologa, e quindi con interversione delle posizioni processuali, e quantomeno irrazionale squilibrio, costringere l’Ente a coltivare il giudizio, da altri incoato di fatto, contra se.

Questa sembra essere l’unica interpretazione possibile dell’art. 445 bis idonea a superare le antinomie sistemiche che il medesimo comporta, e che possa garantirgli un certo ruolo deflazionante e acceleratorio del contenzioso in materia, nonché una effettiva utilità, rinviando la prosecuzione del giudizio al mancato accordo tra le parti. Epperò, anche così interpretata, la disposizione di recente introduzione non parrebbe comunque raggiungere lo scopo che il Legislatore si era prefissato, ossia quello di sgravare gli uffici giudiziari da una mole ingente di domande, filtrando le azioni per mezzo del preventivo e rapido accertamento del punto dolente della disciplina di settore (identificato con le contestazioni sanitarie), in quanto in ogni caso si rende necessario il ricorso alla giurisdizione. Rimane, dunque, auspicabile un intervento del Legislatore, che in ossequio alla certezza del diritto, rimetta ordine, in sinergia con il lavoro degli interpreti,

12 Per una analoga conclusione V. A.FRABASILE “L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c.:

questioni controverse e soluzioni possibili”, in www.judicium.it, p. 7

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nella disciplina in oggetto, cancellando i tratti critici della norma o riformandola in modo stabile, definitivo ed efficiente.

4 – Per una valida riforma del settore.

Nella prospettiva appena tracciata si tenterà, in conclusione, di offrire un possibile schema di riforma del settore delle controversie in commento, che passa per l’abrogazione dell’art. 445 bis e della antiquata ed anacronistica norma di cui all’art. 147 disp. att. c.p.c.

In questo sforzo ricostruttivo vanno tenute in considerazione due premesse di fondo: a) il Legislatore ha ritenuto che la “litigiosità” in materia è determinata da contestazioni inerenti al requisito sanitario (tant’è che per deflazionare il carico ed accelerare la risoluzione delle controversie si è stabilito di dare rilievo all’accertamento dello stato fisico del richiedente mediante un’azione all’uopo proposta a pena di improcedibilità della domanda di riconoscimento). Pur volendo far fede alla bontà del dato statistico, risulta di difficile comprensione il passaggio logico in base al quale, per deflazionare il carico giurisdizionale, si sia imposto all’avente diritto (o presunto tale) il ricorso ad un procedimento che ha comunque natura giurisdizionale, dovendosi instaurarlo con ricorso innanzi al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro; b) la Corte di Cassazione ha con estrema chiarezza esplicitato, riprendendo precedenti orientamenti già dalla stessa elaborati proprio in materia previdenziale, che il ricorso all’accertamento tecnico preventivo implicitamente introduce innanzi all’organo giudicante la pretesa giuridica asseritamente vantata dal ricorrente nella sua interezza. Ciò è, poi, facilmente deducibile dalla stessa disposizione di cui all’art. 445 bis:

se, infatti, il deposito del ricorso per a.t.p. interrompe il decorso del termine prescrizionale, è evidente che la parte istante, proponendo l’azione di accertamento preventivo, esercita il diritto alla prestazione previdenziale; c) pur sotto le mentite spoglie di un semplice accertamento delle condizioni fisiche dell’istante, dunque, l’intera questione avente ad oggetto il diritto ai sussidi in materia di invalidità civile, cecità, ecc. non è stata sottratta preliminarmente alla giurisdizione del giudice del lavoro, ma viene comunque rimessa per l’intero al suo esame, di fatto svuotando di senso logico e giuridico la norma di cui all’art. 445 bis, il quale oltre ad aver creato problemi di natura sistemica, non risponde neanche all’esigenza di fondo per il quale è stato introdotto.

Tenuti ben presenti questi punti preliminari, l’insufficienza del rimedio approntato dal Legislatore emerge nitidamente: poiché la norma così concepita, e poi rettamente interpretata dal Giudice della legittimità, più che deflazionare, ha aggravato il carico giudiziario, aprendo la via ad una pioggia di ricorsi più o meno fondati, e ad una duplicazione delle controversie, le une attinenti ai requisiti

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sanitari, le altre, ipotetiche, relative al rigetto dell’istanza per motivi attinenti agli ulteriori requisiti richiesti.

Come, dunque, risolvere il problema? Di certo non potrà farsi ricorso puramente e semplicemente alla mediazione preventiva o alla negoziazione assistita, mentre un efficiente modello che potrebbe essere adottato nel settore in esame, data l’affinità (più o meno specifica) tra gli oggetti, è quello oggi previsto in materia tributaria.

È noto, infatti, come con l’art. 39, comma 9, D.L. 6.7.2011 n. 9813, il Legislatore abbia introdotto per tutte le controversie di valore non superiore ad € 20.000 un tentativo di mediazione obbligatoria con istanza da notificare direttamente all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate emittente l’atto impugnando. Trascorsi novanta giorni dal ricevimento dell’istanza, senza che il procedimento abbia avuto inizio o si sia concluso, l’istante è libero di adire le Commissioni Tributarie territorialmente competenti. La presentazione dell'istanza comporta la sospensione ex lege dell'esecuzione dell'atto impugnato per novanta giorni14.

Ora, appare logico ed opportuno riformare il settore delle controversie previdenziali introducendo un analogo meccanismo che funga da reale filtro dell’azione giudiziaria e possa condurre ad una reale deflazione del contenzioso.

Una volta presentata la domanda amministrativa all’Ente Previdenziale, ed effettuata la visita medica delegata da questo al S.S.N., qualora l’accertamento sanitario abbia dato esito negativo l’istante potrebbe rivolgersi direttamente all’I.N.P.S. per effettuare una nuova visita in contraddittorio, con un medico nominato dall’Ente. La proposizione di tale istanza sospenderebbe il decorso dei termini prescrizionali. Trascorso un termine ragionevole (sessanta/novanta giorni dal ricevimento dell’istanza), senza che il procedimento così azionato sia giunto a termine, non abbia avuto inizio, o abbia dato esito negativo, l’istante potrebbe liberamente adire con ricorso ordinario il Giudice del lavoro devolvendo alla cognizione di quest’ultimo l’intera pretesa contributiva (requisito sanitario e socio-economico), nei soli casi residuali in cui nella sede amministrativa la domanda di prestazione previdenziale non sia stata accolta. Naturalmente lo strumento qui descritto raggiungerebbe la massima utilità pratica, solo se accompagnato da una parallela riforma della normativa sostanziale che posponga l’accertamento del requisito sanitario ad una indagine sul requisito socio economico: presentata la domanda nelle forme di legge, l’Istituto provvederà alla

13 V. superiore nota 3.

14 L. 27.12.2013, n. 147, art. 1 comma 611.

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verifica della documentazione versata in atti e, riscontrata la sussistenza del requisito socio- economico trasmetterà all’A.S.P. il fascicolo per la visita medica di accertamento.

Ciò consentirebbe di espungere dal codice di rito la lacunosa ed ambigua disposizione di cui all’art.

445 bis, rivedendo anche la correlata disposizione di cui all’art. 147 disp. att., che non risponde più alle esigenze dei tempi presenti.

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