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È IL NESSO CAUSALE IL VERO DELLA RESPONSABILITA PROFESSIONALE

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È IL NESSO CAUSALE IL VERO DELLA RESPONSABILITA PROFESSIONALE

Prof. Mario Graev

Il mio intervento è un doveroso omaggio alla memoria del Prof. Antonio Fornari, Maestro e delicato amico. La responsabilità professionale, di cui si discute in questa Tavola Rotonda, offre spunti infiniti di riflessione.

A me preme sottolineare che nel tema devono essere distinti gli elementi fondamentali da quelli accessori, questi ultimi non appartengono alla medicina clinica e medico legale, ma sono espressione per lo più di dettati giurisprudenziali che tentano di definire non tanto il nesso causale, ma i soggetti deputati al risarcimento o le modalità di accadimento del fatto. Il problema di fondo della responsabilità professionale medica è solo quello relativo al nesso causale che deve riposare su elementi tecnici e deontologici anche se questi ultimi, agli inizi del terzo millennio, dovrebbero essere già ormai acquisti come espressione del buon agire del medico nel preminente rispetto della libertà dell'utente.

Gli elementi, che definisco accessori, sono rappresentati dal consenso informato che attiene più alla deontologia che alla colpa. L'art. 30 del Codice deontologico lo ricorda. Se viene prodotto un danno all'utente per imperizia, imprudenza e negligenza o per inosservanza di norme, regolamenti, leggi e discipline questo si è verificato sia che vi sia stato o meno il consenso1 all'atto medico. Il consenso all'atto medico fa parte del comportamento deontologico, e il mancato consenso non dovrebbe configurare responsabilità professionale e non essere ragione del relativo risarcimento del danno. Dovranno essere trovati adattamenti legislativi eventualmente punire, in maniera a se stante il comportamento mancato per consenso dell'utente. In tema di omessa informazione la Cassazione 8 agosto 1985, n. 9394 ha riconfermato che dà luogo a vera responsabilità e a conseguente risarcimento del danno. Sorprende, che Tribunale di Napoli il 12 febbraio 1998 affermi, che deve ritenersi sussistere responsabilità professionale ogni volta che ci sia la violazione del dovere di informazione cui consegue non solo la violazione del diritto medico

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costituzionalmente garantito nell'autodeterminazione, ma anche il danno alla salute del paziente derivato dall'intervento pur necessario e correttamente eseguito. La Giurisprudenza (Cass. 24 settembre 1997, n. 9374, Cass. Civile 6 ottobre 1997, n.

9705) il solo motivo di difetto di informazione comporta il diritto al risarcimento, addirittura a prescindere nella ricorrenza di un effetto dannoso sulla salute, configurandosi un danno autonomo. Importante la sentenza della Corte di Appello Milano 2 maggio 1995 in cui raggiunta la prova della mancata informazione, la violazione diritto di scelta da parte del paziente, quale inadempimento contrattuale, è ritenuta senz'altro fondare la responsabilità in ordine al danno subito dal paziente: la lesione del diritto alla salute, è reputata eziologicamente collegata alla lesione del diritto nell'autodeterminazione come può agevolmente dedursi dal fatto che rispettato quel diritto o non si sarebbe verificata la grave ed irreversibile lesione, ovvero se ne sarebbe trasferito il relativo rischio contrattuale in capo al paziente stesso.

Anche il problema della responsabilità contrattuale ed extra contrattuale, anche se nella attualità vi è la tendenza giurisprudenziale a rilevarne il cumulo soprattutto per il medico della struttura pubblica, non attiene strettamente alla responsabilità medica, ma rappresenta un elemento accessorio per lo più giurisprudenziale per individuare più direttamente i responsabili del danno. L'errore può prodursi sia che si versi nella responsabilità contrattuale che in quella extra contrattuale sia da parte dell'ente pubblico che del medico2.

La obbligazione di mezzi e di risultato3 rappresenta altro elemento accessorio in quanto questa, pur assumendo connotazioni diverse soprattutto negli interventi terapeutici che si presume facili non sono facilmente identificabili casi lineari e da qui le difficoltà che si presentano nei casi concreti. A pensarci bene se vi è un errore fonte di danno nel campo dell'illecito civile la obbligazione si smantella di quando aveva resistito a lungo e che oggi tende a allentarsi 4.

Altro quale elemento accessorio è la colpa presunta per la deve essere il professionista per l'inversione dell'onere della prova assolta dall'attore a dimostrare che ha correttamente agito e se ciò non fosse dimostrato perché emotivamente debole o potrebbe non essere in grado di dimostrarlo, sarebbe questa fonte di errore colposo.

Già Ordinario di Medicina Legale e delle Assicurazioni Università di Firenze

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Il problema è denso di connotazioni tecniche non sempre facilmente dimostrabili e non registra decisamente gli estremi di una colpa reale. E il silenzio non è detto che sia assenso di dichiarazione indiretta di colpa.

La Giurisprudenza tutela prevalentemente il paziente utente e non è affatto propensa di trovare elementi per una più equilibrata difesa con dati obbiettivi della colpa del professionista, che in genere deve essere comunque decisamente affermata!

Probabilmente in quanto deve esserci sempre qualcuno che deve risarcire il danno!

Solo nel campo della condotta colposa omissiva vi è stato da parte della Giurisprudenza un nobile tentativo di equilibrare il problema sul nesso causale in quanto dalla probabilità di accadimento si tende a dimostrare o rasentare la sua certezza. Le numerose sentenze della Corte di Cassazione, quale quella del 13 maggio 1983 n. 43-20 bis, quella del 23 novembre 1990 n. 15, 1565 del 5 novembre 183 n.

9176, quella del 17 gennaio 1992 n. 371, quella del 16 novembre 1993 n. 10437, quella del 7 luglio 1993 n. 66 indicano che il Medico soccombe (penalmente) per condotta omissiva poiché viene individuato nesso causale tra la condotta e l'evento anche quando non ricorra certezza, bensì solo apprezzabile possibilità di successo.

Nel 1998 la sentenza della Corte di Cassazione 20 ottobre 1998 n. 10929 in tema di condotta omissiva indica che tra omissione ed evento (morte) devono ricorrere termini di certezza travolgendo nel rapporto eziologico precedenti sentenze della medesima Corte.

Su “Toscana Medica” in un breve commento indicai che si trattava di una sentenza equilibrata ed espressi anche il parere di quale valore poteva assumere tale sentenza.

Ritenevo che la sentenza si ponesse con innovazione nel dibattito giudiziario, ma gli effetti della sua applicazione non risolvevano il problema per variare in ordine ”all' orientamento” del giudice.

Dicevo che, in campo operativo, prendeva nel panorama delle responsabilità certamente luce da questa sentenza e confortava quei sanitari che, dotati di perizia, prudenza e diligenza, avevano sempre operato al massimo della tecnica e nel rispetto della deontologia e che si trovano coinvolti, loro malgrado, in questioni di responsabilità.

Ma la luce sprigionata dalla sentenza avrebbe illuminato solo l'opera professionale del medico bravo? Il Giudice come potrebbe comportarsi di fronte a pesanti decisioni

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in casi cui mal si bilancia la probabilità e la certezza in tema di nesso causale? Nel dibattito forense di tale sentenza si farà forte il difensore dell'indagato nel processo penale e del convenuto nel processo civile, mentre il procuratore della parte offesa o dell'attore si atterrà alle sentenze della “probabilità”. Come si comporterà il Giudice?

Raccoglierà certamente gli elementi per costruire il suo convincimento. Tutti si augurano che nel particolare settore della responsabilità medica, tra la certezza e la probabilità, in tema di nesso causale tra condotta omissiva ed evento, venga trovato il giusto equilibrio da applicare, volta per volta, al caso specifico il dato oggettivo.

Infine la Corte di Cassazione Sezione IV con la sentenza n. 37692 del 2001 ha affermato ancora un importante principio causalità per fra individuare l'esistenza del nesso la condotta omissiva di un medico ed di il verificarsi di un evento dannoso ed afferma che il nesso sussiste solo quando risulti accertato che l'intervento omesso avrebbe avuto “un alto grado di plausibilità di successo”, dovendosi intendere tale espressione nel senso che vi deve essere una connessione fra gli eventi in una percentuale vicina a cento. In caso contrario, cioè se manca questa certezza di connessione fra il comportamento omissivo del medico e l'evento dannoso, non vi può essere responsabilità per colpa professionale. E le Sezioni Riunite dalla Corte di Cassazione hanno finalmente espresso con la sentenza del 12.9.2002 n. 27/2002 in merito prevalentemente alla condotta omissiva, una decisione importante in tema di responsabilità professionale indicando che spetterà al giudice valutare, di volta in volta, le circostanze specifiche e raccogliere tutte le prove per arrivare ad una verità processuale che deve essere dotata di un elevato grado di credibilità razionale. Indica comunque che è sufficiente un ragionevole dubbio, per scagionare i medici dall'accusa di aver danneggiato o addirittura provocato la morte di un paziente. In una scienza delicata e non retta da leggi certe, quale è la medicina, non ci si può appellare rigidamente a criteri statistici e probabilistici. In altri termini la colpa va provata.

Questa sentenza risolverà gran parte dei problemi che assillano l'esercizio professionale medico, oppure essendo il Giudice autonomo nelle decisioni può trascurarla? Se è vero che la Magistratura deve essere autonoma, altrettanto il giudizio del Giudice non può sempre ritenersi “autonomo”. Né risulterà un accentuarsi dei ricorsi nella speranza che qualcuno dei Giudici tenga conto della sentenza della Cassazione a Sezioni Riunite.

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L'importante è raggiungere la vera giustizia nonostante il prezzo economico del costo dei ricorsi. Tutti gli elementi accessori più avanti indicati niente hanno a che vedere con la scienza medica e medico legale anche se pur utili alla soluzione dei numerosi problemi che prospetta la responsabilità professionale. Il problema medico legale fondamentale è quello di affrontare decisamente il ruolo che assume il nesso causale, che dovrebbe rappresentare l'unico e insostituibile elemento di giudizio base di qualsiasi soluzione giuridica e giudiziaria ad esso conseguenti. La medicina legale si deve porre a garanzia della realtà obiettiva avvalendosi soprattutto della conoscenza della scienza medica attuale e seguendo la educativa criteriologia medico legale indicata dal Cazzaniga o i riferimenti moderni prospettati dal Barni.

Vi sono casi in cui affermare l'errore operato dal medico è agevole rispetto ad altri in cui anche la scienza non riesce a differire il certo dal possibile e dal probabile. Ci si rende conto che la colpa del medico inerisce la vera responsabilità professionale e la Medicina Legale offre un servizio insostituibile per offrire una obbiettiva garanzia.

La Medicina Legale, per esigenze di giustizia identifica se vi è la colpa o la demolisce se da qualcuno è invocata se questa non sussiste. Questo è il suo compito!

La Medicina Legale è quella grande disciplina che ha dominato la nostra vita accademica, scientifica e perché no anche umana che non sempre si identifica nel medico legale ed è chiamata ad offrire alla giustizia gli strumenti più obbiettivi basati su elementi tecnici e deontologici che gli sono propri che afferiscono al nesso causale con finalità direi istituzionale. Quanti processi sono incardinati per qualche medico che si è improvvisato medico legale o per un medico legale che ha redatto una C.T.

non dominato tanto dal senso di giustizia, ma da fini forse meno nobili.

Il problema della responsabilità professionale che si dilata a vista d'occhio dovrebbe indurre il Giudice che informi, i C.T.U. clinici che potrebbero essere lontani dal discorso medico legale che il loro operato ha finalità medico-legale ai fini superiori di giustizia ed il medico legale, loro associato, delineerà comunque la fatti specie sul versante del diritto.

A parere del sottoscritto sarebbe responsabilità professionale fosse opportuno nominato che nella un solo C.T.U. ma tre C.T.U. al fine che la loro conclusione opponesse valida resistenza alle parti che tentano di rovesciare i termini obbiettivi dei problemi scientifici su cui verte la questione. Vi sembra poco che la medicina legale

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sia una garanzia in problemi emotivi anche tragici non disgiunti da riferimenti?

L'altro giorno stavo effettuando una necroscopia per rilevare se vi era stato un ritardo nell'intervento chirurgico e se questo ritardo poteva ritenersi responsabile della morte.

Credete voi che mi siamo venuti in mente i problemi del consenso, della colpa presunta, della responsabilità contrattuale ed extra contrattuale, della obbligazione di mezzi e del comportamento e di risultato? Neanche per sogno!

Questi grandi problemi, vi assicuro, al momento sono stati i dimenticati perché il mio obbligo vorrei dire giuridico, ma tale non lo è, ma soprattutto deontologico ed etico era quello di affrontare solo la logica basata sugli elementi tecnici sul nesso causale sulla eventuale condotta omissiva e la morte e non tanto sugli elementi giurisprudenziali che sono corollario di vero rilievo sul versante della dialettica, pur sempre utile e che esprime anche gli avanzamenti del diritto, ma niente hanno a che vedere sul versante biologico, il quale, si badi bene può avere la sua verità!

Norelli e Bonelli a questo proposito, non mancano di riconoscere che la Giurisprudenza ha fornito sulla materia pareri e decisioni che superano l'argomento specifico del pronunciamento rivestendo un ambito più esteso quale precedente essenziale ed analisi dottrinaria sul comportamento medico. Indubbiamente le pronunce Giurisprudenziali spesso hanno dato dimostrazione di essere più vicine e meglio risponderti alle istanze della pubblica opinione.

Questo è un angolo della verità!

Lo sappiamo tutti che la scienza deve farsi verità attraverso la medicina legale, che diventa una forza reale e ideale per offrire serenità in un campo che sta travolgendo patrimoni ed onorabilità.

Questi discorsi possono essere ritenuti teorici e fuori tempo, ma noi siamo qui per rendere omaggio ad un Maestro, il Prof. Fornari che è stato dominato nella sua vita accademica e peritale da questi intendimenti.

NOTE

1 Il Diritto Vivente, secondo Enrico Quadri è il rapporto che lega il medico al paziente in

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ordine alla tutela della persona della sua libertà e della sua salute di cui è posto in primo piano il rispetto della autodeterminazione del paziente. Anche in Francia il Cod. Civile n.

16/3 si rispetta il principio secondo cui il consenso dell'interessato, deve essere ottenuto preventivamente per qualsiasi intervento terapeutico. Anche la deontologia medica sottolinea significativamente il consenso informato al fine di una concezione paritaria e collaborativa del rapporto medico-paziente e questo non possa prescindere da una convinta adesione di quest'ultimo alle proposte terapeutiche. Il profilo della responsabilità Civile nei confronti del paziente ha visto così profondamente mutare gli atteggiamenti e in particolare, quelli giurisprudenziali sul rapporto sanitario ed hanno fatto avvertire la inadeguatezza delle regole tradizionali del contratto di opera intellettuale in vista del soddisfacimento dell'esigenza del contratto di opera professionale ormai ritenuto del tutto prioritario di evitare che la vittima del danno resti senza riparazione. Pare risolta la conservazione di consolidate distinzioni e contrapposizioni quale in particolare quelle della responsabilità contrattuale ed extra contrattuale e quella delle obbligazione di mezzi e di risultati nonché sulla ripartizione degli oneri probatori. Il diritto vivente tenta di compensare situazioni istituzionali equilibrio tutelato l'interesse del soggetto consumatore-cliente-utente di partizioni e servizi, nei confronti di una controparte professionale ed organizzata.

2La Cassazione del 21 dicembre 1978, n. 6141 ha affermato che l'ente Ospedaliero conclude con il ricoverato un contratto d'opera intellettuale obbligandosi ad eseguire prestazioni mediche necessarie a mezzo dei sanitari suoi dipendenti e con una conseguente responsabilità che è quella tipica del professionista. La Cass. del 24 marzo 1979 n. 1716 afferma che la accettazione del paziente nell'ospedale ai fini del ricovero oppure di o una visita ambulatoriale comporta la conclusione di un contratto d'opera professionale. Contratto questo che viene concluso con il paziente e l'ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico nei confronti del paziente, l'obbligazione di svolgere l'attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica, in relazione alla specifica situazione patologica del paziente stesso in cura. Controversa è la natura delle responsabilità del medico dipendente a una struttura pubblica nei confronti del paziente. L'estraneità del rapporto contrattuale con quest'ultimo in effetti ha indotto la giurisprudenza a trasformare il carattere extracontrattuale con le conseguenze che ne derivano essenzialmente dal tema di prescrizione di una tale responsabilità (Cassazione 24 marzo 1979 n. 1716, Cassazione 20 novembre 198 n. 11743).

In conseguenza di una tale assimilazione della responsabilità medica a scavalcare tradizionali steccati contrattuale ed extra contrattuale, ritenendo di natura contrattuale la responsabilità del medico dipendente.

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Una simile qualificazione è ad esempio esplicita (Cassazione 2 dicembre 1998, dalla n.

12233) traendosi evidentemente le file di un indirizzo iniziato Cassazione 1998, n. 2144 cui si è allineata larga parte della Giurisprudenza successiva (Cassazione 27 maggio 1993 n.

5939 fino a Cassazione 27 luglio 1998, n. 7336) ed una volta evidenziata la comune radice della responsabilità dell'ente e del medico nella esecuzione non diligente della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente nell'ambito della organizzazione sanitaria, conclude che la responsabilità del medico dipendente è come quella per l'ente pubblico dovendo essere applicate anche ad esse le norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale.

Non è trascurabile che quanto indicato dalla Cassazione il 22.01.1999, n. 589 in cui si prospetta che il medico e proprio colui che si presenta al paziente come apprestatore di cure, viene considerato “come l'autore di un qualsiasi fatto illecito”. Si delineano obblighi di comportamento, nei confronti di chi sulla sua professionalità ha fatto affidamento entrando in contatto con lui. Risulta che la responsabilità a contenuto contrattuale è di entrambi (ente e medico) risulta omogenea avendo per entrambi radice nell'esecuzione non diligente dalla prestazione sanitaria da parte del medico la quale non può essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto di opera professionale tra medico e paziente. La responsabilità della struttura e dell'opera assume la valenza di una rafforzata tutela per così dire forte del paziente. Quanto attiene il medico che opera nelle casa di cura l'importante è quanto indica la Cassazione 1'8 gennaio 1998, n. 103 secondo cui nei casi causati dell'inaccesso di un intervento chirurgico, la Casa di Cura nella quale l'intervento chirurgico è stato praticato risponde, a tipo contrattuale ex art. 1218 cc. dal danno causato dal chirurgo anche nei casi in cui quest'ultimo non fa parte dell'organizzazione aziendale della casa di cura.

3 Per quanto attiene l'obbligazione di mezzi, meno si parla di comportamento e l'obbligazione dei risultati, è opportuno ricordare che si basa sullo svolgimento dell'attività professionale necessaria ad utile in relazione al caso concreto in vista del risultato che attraverso il mezzo tecnico professionale il cliente spera di conseguire cosiddetta obbligazione di mezzi e non del risultato (Cassazione 18 giugno 1975 n. 2439 e Cassazione 21 dicembre 1978 n. 6141).

Quanto attiene la diligenza richiesta è quella media ciò e del professionista e di preparazione professionale media e di attenzione media nell'esercizio della propria attività con scrupolosa attenzione e adeguata preparata (Cassazione 15 dicembre 172 n. 3616 e Cass. 12 agosto 195 n. 8845).

Particolare considerazione sono gli interventi di facile esecuzione che prospetta un indirizzo giurisprudenziale nuovo che più ha sconvolto i più tradizionali equilibri in materia di

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responsabilità medica (come da Cassazione 16 novembre 1988 n. 6220 e Cassazione 16 novembre 1993 N. 11287).

Una serie di sentenze quali quelli della Cassazione del 21 dicembre 1978 n. 6141 del 15 gennaio 1997 n. 363, del 4 febbraio 1998 n. 1127 e Cassazione 22 gennaio 1998 n. 589 secondo cui la prova concernente l'esecuzione medico-chirurgica è da considerare relativa nel senso che l'oggetto della prova può e deve essere qui o meno ampio a seconda della natura dell'intervento. Si è in proposito operata una distinzione tra l'intervento di “difficile esecuzione perché richiede notevole abilità ed implica un ampio margine di rischio” e l'intervento di facile esecuzione, che “non richiede una particolare abilità” essendo sufficiente una preparazione professionale ordinaria e il rischio di esito negativo o addirittura peggiorativo, è minimo potendo derivare al di fuori della colpa del chirurgo dal sopravvenire di eventi imprevisti ed imprevedibili secondo la ordinaria diligenza oppure dall'esistenza di particolari condizioni fisiche del cliente non accertabili con il medesimo criterio dell'ordinaria diligenza professionale. Solo nel primo caso il paziente dovrebbe provare e particolareggiatamente con precisione il modo di esecuzione dell'intervento operatorio esecuzione nelle sue varie fasi nonché ove sia necessario il modo di delle prestazioni post- operatorie. Nel secondo caso invece un tale rigore probatorio non è necessario e perciò non può essere richiesto quando il risultato conseguitone sia peggiorativo, nel senso che le condizioni finali del cliente siano deteriori rispetto a quelle preesistenti. Sarà quindi il chirurgo ove voglia liberarsi da responsabilità e dove fornire la prova contraria in relazione alla quale quella di aver eseguito diligentemente dimostrazione la propria prestazione che tende a risolversi nella della causa estranea, e che cioè l'esito peggiorativo fu causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile secondo l'ordinaria diligenza professionale, oppure dall'esistenza di una particolare condizione fisica del cliente non accertabile con il medesimo criterio dell'ordinaria diligenza professionale (Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, Cass. 16 novembre 1993 n. 11282).

La dimostrazione della natura facile dell'intervento e il giudizio di dei facilità tende a risultare sempre di più quale regola indipendenza progressi nella scienza medica da parte del paziente cui grava la dimostrazione (Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127 e Cass. 22 gennaio 1999 n. 589) si risolve così con inversione dell'onere della prova e in caso di non identificabilità dell'errore del mancato risultato positivo atteso, l'incertezza degli esiti probatori in ordine all'esatto adempimento della prestazione professionale a carico del prestatore d'opera e della struttura in cui lo stesso è inserito (Cass. 15 gennaio 1998 n. 364).

4 La circostanza che la colpa si presume come indicato dalla Cassazione, terza sez. Civile n.

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589/1999 detta anche del “contatto sociale”, la Suprema Corte ha infatti più volte affermato che l'onere di parte attrice in ambito di responsabilità contrattuale è limitato a provare: 1) il danno o maggior danno rispetto alla condizione clinica precedente al trattamento medico chirurgico, 2) il nesso di causalità materiale, 3) l'assenza di speciale difficoltà nella prestazione d'opera ex art. 2236. Se tale onere probatorio è assolto si inverte l'onere della prova per cui spetta a parte convenuta di aver fatto tutto il possibile per ottemperare alla propria obbligazione. In caso di impossibilità tale colpa si presume.

BIBLIOGRAFIA:

1) Barni M., Deontologia e Responsabilità medica. La responsabilità del medico all'inizio del terzo millennio, Toscana Medica 10 dicembre 2000.

2) Barni M. La Consulenza Medico-legale e Responsabilità medica. Giuffrè Ed. Milano 2002

3) Fiori A. Il Dovere del medico di informare il paziente non ha più limiti?

Responsabilità del medico all'inizio del terzo millennio. Toscana Medica. Dicembre 2000.

4) Fiori A. Medicina Legale nella responsabilità Medica. Giuffrè Ed. Milano 1999.

5) Fiori A. A. Bottone e E. D'Alessandro. Quarant'anni di Giurisprudenza della Cassazione nella responsabilità medica. Giuffrè Ed. Milano 2001.

6) Graev M. Finalmente una sentenza equilibrata. Medica gennaio 2001. Toscana 7) Norelli G. e Bonelli A. L'evoluzione nel concetto di responsabilità: aspetto giuridici e

assicurativi. La responsabilità del medico all'inizio del terzo millennio. Toscana Medica 10 dicembre 2000.

8) Quadri E. La Responsabilità medica tra obbligazione di mezzi e di risultato. Materiali e opinioni 1165. Danno e responsabilità 12/1999. Relazione "Il Rischio in medicina oggi" organizzato dalla FNOMCeO, Roma 26 giugno 1999.

TAGETE n.2 Giugno 2003 Anno IX

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