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L’IMPORTANZA DELLA VERIFICA DELLA VIS LESIVA NEL GIUDIZIO MEDICO-LEGALE SUL NESSO CAUSALE FRA ANTECEDENTE E CONSEGUENZE MENOMATIVE AD ESSO ASCRITTE Dr. Gianfranco Tucci

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L’IMPORTANZA DELLA VERIFICA DELLA VIS LESIVA NEL GIUDIZIO MEDICO-LEGALE SUL NESSO CAUSALE FRA ANTECEDENTE E

CONSEGUENZE MENOMATIVE AD ESSO ASCRITTE Dr. Gianfranco Tucci

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In un precedente numero di questa rivista (Tagete, n. 2/2004) venne pubblicato uno scritto del prof. Demori in cui il professionista criticava la condotta di un Giudice di Pace il quale, sulla sola base del responso di una perizia cinematica affidata ad un consulente geometra (e senza pertanto disporre visita medica), negò il riconoscimento di postumi permanenti alla colonna cervicale ad un soggetto di sesso maschile (non ne conosciamo l’età in quanto il prof. Demori non ne fa menzione) che, alla guida di una Fiat Punto e con cinture di sicurezza allacciate, quasi fermo per intenso traffico, fu tamponato da un Panda Nella mattinata dello stesso giorno il p. si recò in un Pronto Soccorso, dove fu posta diagnosi di “distorsione rachide cervicale” e furono eseguite radiografie (che mostrarono una “marcata”

rettilineizzazione del tratto rachideo in questione, in assenza di fratture), prescrivendosi uso di collare, antidolorifici e 10 gg. di prognosi.

Seguirono certificazioni dell’Istituto Assicuratore (con prolungamento del periodo di inabilità temporanea assoluta al lavoro), nonché controlli specialistici ortopedici e fisiatrici, in occasione dei quali vennero consigliate sedute di FKT, poi effettivamente eseguite dal periziando.

Pur riportando in modo particolareggiato l’iter clinico, il prof. Demori non dice alcunché sul grado di deformazione dei lamierati delle vetture e/o sul danno materiale dei due mezzi entrati in collisione, elementi che pure vengono abitualmente utilizzati nel nostro lavoro per avere un’idea della entità della vis lesiva e, di conseguenza (seppure indirettamente e senza dubbio con un significativo grado di approssimazione) della validità della sollecitazione indiretta cervicale dell’occupante il veicolo tamponato.

In altri termini, senza voler sconfinare in competenze che riguardano il perito tecnico- cinematico e non il medico legale, in presenza di aspecifici reperti obiettivi cervicali che si

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dovessero riscontrare a carico di un periziando in occasione dell’esame clinico (aspecifici per le ragioni che appresso indicheremo), venire a conoscenza di alcune notizie di carattere estimotecnico è a mio parere (ed anche a parere di professionisti più qualificati di me) uno dei pochi elementi (o certamente uno dei più significativi) che il medico legale possiede per formulare un giudizio di attendibilità o meno sul nesso causale tra sinistro e condizione menomativa (soggettiva ed oggettiva) eventualmente ancora riscontrata all’atto dell’accertamento medico-legale.

Ad ogni buon conto, pur non disponendo di dati “oggettivi” su questo argomento, è evidente che nel caso di specie dovette trattarsi di un urto assai modesto se è vero che allo specifico quesito del Giudice di Pace “… accerti altresì se il danno materiale subito dall’attore sia compatibile con le lesioni fisiche lamentate…”, il consulente tecnico rispose che “… le sollecitazioni subite dal corpo del sig. XY siano state tali da poterle ragionevolmente ritenere prive di efficienza lesiva…”.

Completo il sunto dell’articolo del prof. Demori ricordando che la decisione del Giudice di Pace (quella cioè di respingere le richieste attoree sulla sola base del responso negativo della perizia cinematica) venne appellata e che il Giudice di secondo grado ammise invece la Consulenza Tecnica medico-legale, affidandola appunto allo stesso prof. Demori che riconobbe un periodo di inabilità temporanea di 10 gg. al 75%, di 20 gg. al 50%, di 30 gg. al 25% e un danno permanete biologico dell’1-2%.

Contrariamente al prof. Demori, non entro nel merito dell’operato del Giudice, se cioè sia stato corretto da parte sua formulare il quesito in “quella” maniera (mettendo cioè in relazione diretta danno materiale e lesioni fisiche lamentate) e pervenire alla fine ad un giudizio di assenza di postumi basandosi solo sull’esito della perizia cinematica. Mi interessa invece analizzare una affermazione decisamente sostenuta dal prof. Demori secondo cui la

“validità” del trauma distorsivo cervicale riportato dal sig. XY la si desume “sulla base della documentazione sanitaria allegata al fascicolo (che consta anzitutto di certificazioni ospedaliere e dell’INAIL che sono atti pubblici dotati di fede privilegiata e contestabili nella loro veridicità solo mediante querela di falso), dell’anamnesi raccolta dal periziando e della visita effettuata”. E’ fin troppo palese pertanto che il professionista non abbia preso in alcuna

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considerazione l’esito della perizia cinematica, lasciando anzi intendere (e neanche troppo velatamente) che dette perizie sono evidentemente inutili da questo punto di vista poiché non tengono conto di tante altre variabili (reazione di allarme e di risposta da parte del soggetto, come il trauma abbia interagito con l’attentività della persona, con lo specifico rapporto osso- struttura muscolare… e via elencando).

Ne deduco che il prof. Demori abbia giudicato il trauma cervicale riportato dal sig. XY “valido”

e quindi compatibile con il residuare di postumi permanenti (mi scuso per la ripetizione del periodo)“… sulla base della documentazione sanitaria allegata al fascicolo (che consta anzitutto di certificazioni ospedaliere e dell’INAIL che sono atti pubblici dotati di fede privilegiata e contestabili nella loro veridicità solo mediante querela di falso), dell’anamnesi raccolta dal periziando e della visita effettuata.

Andiamo però con ordine e poichè il prof. Demori, per giungere alle conclusioni cui è giunto, cita una certa letteratura specialistica, mi sembra il caso completare la disamina della stessa ricordando che studi recenti, basati sui dati forniti dalle Imprese di Assicurazione italiane (Coroner, n.1 pag. 94 ; Atti del convegno di Bologna, 1995 ; rendiconto ANIA 1995) documentano che i traumi minori del collo rappresentano (al pari di quello che si registra in altri Paesi) circa il 50-55%.

Ciò che invece differenzia in maniera rilevantissima le nostre statistiche rispetto a quelle che registrano le Imprese di Assicurazione di altre Nazioni e rispetto anche a quanto ci dice la letteratura specializzata, è la percentuale di casi in cui, sul piano medico-legale e risarcitorio, si giunge alla fine a riconoscere dei postumi permanenti.

A fronte infatti di una percentuale di guarigioni con postumi riconosciuti dalle Imprese di Assicurazione degli altri paesi che si attesta su valori oscillanti fra il 15% ed il 20% ed a fronte di percentuali ancora più contenute (10-15%) che vengono indicate dalla letteratura specializzata (Lancet, 1991, Journal of Neurology, 1995, Spine 1995), le statistiche pubblicate in Italia indicano che le vertenze nate con un primo referto medico che attesta il ricorrere di una cervicalgia post-traumatica, conducono alla fine in oltre l’80% dei casi a giudizi di guarigione con esiti permanenti (valori che superano il 90% nella trattativa stragiudiziale in

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alcune realtà locali come ad esempio quella bolognese e sfiorano il 100% nei casi di vertenze giudiziarie).

E’ evidente pertanto che vi è un vizio di fondo nella metodologia che viene usualmente seguita in sede di accertamento peritale medico-legale allorquando si tratta di valutare le conseguenze di un (vero o presunto che sia) colpo di frusta.

Analizziamolo allora questo “iter metodologico” (purtroppo ancora oggi seguito nella stragrande maggioranza dei casi), ben stigmatizzato nella monografia “Il colpo di frusta cervicale” (ANIA-ACI, 2002):

“… L’accertamento inizia con l'anamnesi del paziente, il quale nella fattispecie dichiara di essere rimasto vittima di un incidente stradale (solitamente, ma non sempre, un classico

“tamponamento”) a seguito del quale ha accusato una certa sintomatologia dolorosa al collo, più o meno intensa e più o meno correlata ad altri disturbi.

Alle dichiarazioni del leso fa riscontro una serie di referti medici, il primo dei quali spesso di un posto di pronto soccorso, nel quale solitamente compaiono le diagnosi di "distorsione cervicale" oppure "colpo di frusta" oppure trauma indiretto del rachide cervicale. Sempre nel caso tipico, la restante documentazione attesta il protrarsi dei disturbi per un periodo di tempo più o meno prolungato e la prescrizione (non sempre osservata) di uno o due cicli di cure fisiche.

Il medico legale poi interroga il paziente sulla sua attuale condizione e registra (consentitemi di aggiungere "inevitabilmente") la descrizione di episodi più o meno frequenti di male al collo (quando questo non è detto continuo) associato più o meno ad altri disturbi (vertigini, formicolii alle mani, nausea... e via dicendo).

Si passa quindi all'esame obiettivo che, sempre nella maggioranza dei casi, si limita ad evidenziare una qualche contrattura muscolare ed una qualche limitazione (spesso determinata solo dalla riferita insorgenza di dolore) dei movimenti del capo.

Raccolti questi elementi, il professionista procede alla valutazione che, mediamente (come si è già detto) nella quasi totalità dei casi porta al riconoscimento dei postumi permanenti…”.

Ed a questo “iter” non si è sottratto neppure il prof. Demori, il quale ha preso atto dell'evento riferitogli ed ha giudicato la plausibilità del nesso causale fra detto evento e la lesione

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attestata (colpo di frusta) solo ed esclusivamente sulla base della documentazione clinica. In altre parole, a quel che mi sembra di capire, il processo logico seguito dal professionista è stato il seguente: poiché esiste una certificazione che attesta in prossimità cronologica con il sinistro la comparsa di una lesione al collo (certificazione che è “contestabile nella sua veridicità solo mediante querela di falso”), è evidente o comunque non vi è ragione di dubitare che questo disturbo derivi dal sinistro. Ed una volta ammesso, essenzialmente sulla base di questo solo ragionamento, il nesso causale fra evento e lesione certificata, avuta conferma dal paziente della persistenza di disturbi e rilevando quei reperti clinici sopra ricordati, ecco che giunge al riconoscimento dei postumi permanenti.

Prima di analizzare criticamente questo processo logico e metodologico è necessario far presente che, come peraltro hanno ben sottolineato diversi studi (cito per brevità Radanov e coll., Journal of Neurology, 1995) la sindrome da colpo di frusta che cronicizza, quella cioè che noi identifichiamo come postumo permanente da colpo di frusta, è, in caso di traumi minori del collo, una sindrome pressochè esclusivamente soggettiva e senza una sua caratterizzazione sul piano della obiettività clinica. Il che significa che l'esame obiettivo, che pure nella restante pratica medico-legale è fondamentale per il giudizio valutativo, nel caso di sequele di traumi minori del collo rappresenta invece un elemento di giudizio quasi sempre privo di valore reale.

Senza eccezioni, infatti, i rilievi riscontrati sono, oltre che minimali e sfumati, del tutto aspecifici, nel senso che non consentono di verificarne la derivazione causale, potendo essi dipendere, al momento dell'osservazione (che soprattutto in caso di CTU è almeno di diversi anni dilazionata rispetto al sinistro), da tanti altri fattori, primo tra tutti l’artrosi cervicale (Di Lorenzo e collaboratori, in un lavoro pubblicato nel 1994 hanno riscontrato che il 60% dei cinquantenni ed il 90% dei sessantacinquenni è portatore di una artrosi cervicale), ma anche (ad esempio) riposi notturni con collo e capo in posizione viziata, ovvero (volendo usare un linguaggio di gergo comune) “colpi d’aria” presi per le più svariate ragioni (viaggi in auto con finestrini aperti, esposizione a correnti d’aria dopo aver sudato per svariate ragioni…e via elencando).

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E’ quindi necessario per quanto riguarda la competenza del medico-legale, mettere in atto un approccio metodologico meno approssimativo di quello appena illustrato, senza cioè che venga “automaticamente” attribuito ad un pregresso sinistro stradale (magari anche di anni prima) una riferita sintomatologia ed una (eventuale e comunque come già detto aspecifica) obiettività cervicale solo perché in presenza di una certificazione “congrua” e formalmente ineccepibile.

Premesso che il termine "colpo di frusta" non indica una diagnosi clinica, ma semplicemente un meccanismo potenzialmente lesivo, con le modalità che lo stesso prof. Demori ha ricordato (il caso più classico è quello del tamponamento) e ricordato altresì che questo meccanismo a colpo di frusta a seconda della sua intensità può anche (incredibile ma vero) non dare alcuna lesione, ovvero provocare danni rachidei e midollari incompatibili con la vita, per correggere quel processo metodologico prima illustrato a mio avviso non occorre fare altro che seguire una corretta metodologia medico-legale, metodologia che impone di verificare innanzitutto il criterio della efficienza lesiva (cfr. atti del convegno “I traumi minori della colonna vertebrale”;

Bologna 1995).

Se infatti è vero (come indirettamente sostiene il prof. Demori), che a fronte di certificazioni mediche ospedaliere, è pressoché impossibile negare che il soggetto, in prossimità cronologica col sinistro, ha accusato dolore al collo, è però anche vero che questa prima certificazione, deve essere analizzata a posteriori con specifiche capacità critiche dal medico- legale. E tale certificazione non può dirci altro che in quel momento il paziente si è recato dal medico riferendogli di avere male al collo. Non può certo stabilire (sempre naturalmente rimanendo nell'ambito dei traumi minori) quale lesione anatomica è alla base di quel dolore, atteso che un colpo di frusta può generare cervicalgia sia che si sia reso responsabile di una semplice contrattura muscolare, o magari di uno stiramento, ovvero di un più complesso quadro di "distorsione cervicale". Come viene ben specificato infatti nella già citata monografia “Il colpo di frusta cervicale”, questo termine è spesso usato impropriamente, ma ha un significato ben preciso e cioè quello di un movimento abnorme del capo che, superando i limiti massimi della sua normale escursione, determina la perdita per qualche millesimo di

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secondo dei normali rapporti articolari tra i somi vertebrali, con conseguente sofferenza delle relative strutture muscolari e legamentose).

Orbene, se è vero che una lesione può generare postumi solo in presenza di una alterazione anatomica permanente, diviene fondamentale cercare di stabilire, nello specifico, 1) se il colpo di frusta è compatibile col tipo di collisione e 2) se ha determinato una semplice contrattura muscolare, ovvero lesioni anatomicamente più significative, fino ad arrivare alla vera distorsione cervicale.

E' evidente, sul piano biologico (torno a citare quanto trascritto nella medesima monografia) come sia quasi impossibile attribuire a semplici contratture muscolari la responsabilità di lesioni anatomiche permanenti, come pure è altrettanto evidente che una vera distorsione cervicale, anche in assenza di rilievi strumentali oggettivabili, possa plausibilmente generare dei disturbi che si protraggono nel tempo; è pertanto fondamentale, per ammettere il nesso causale fra un quadro lesivo iniziale e quel quadro che eventualmente si osserva al momento della valutazione, tentare di risalire al tipo di lesione il colpo di frusta ha generato.

Purtroppo (e parlo della mia esperienza quotidiana, che non credo tuttavia differisca più di tanto da quella di altri Colleghi), soprattutto in sede di CTU, pur sollevando questo legittimo problema, per motivi che non è il caso di analizzare ed anche di fronte a casi di palese e talvolta addirittura “disarmante” inverosimiglianza (per dirla in termini pratici collisioni di entità così modesta da scrostare appena la vernice del paraurti ed in cui la perizia estimotecnica concludeva per un danno materiale di poche decine di euro) l'atteggiamento del medico valutatore è troppo spesso irragionevolmente possibilista, portando, a fronte dei disturbi riferiti dal periziando, a giudizi basati unicamente sul criterio del "...non si può escludere che"

(criterio definito dal Barni: "... il nulla concettuale e soprattutto giuridico" e ritenuto da Introna come “assolutamente estraneo alla Medicina Legale").

Procedendo però secondo la metodologia prima indicata, cerchiamo di stabilire se e come sia possibile provare a risalire, con un'analisi peritale a posteriori, al tipo di lesioni che il colpo di frusta (vero o presunto che sia) può avere determinato in quel particolare soggetto in esame.

Nel caso esaminato dal prof. Demori la modalità della collisione (tamponamento) è effettivamente compatibile con una sollecitazione indiretta del capo, ma la stessa collisione ha

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avuto la particolarità, come ha dimostrato l’altro CTU in qualità di perito tecnico incaricato (dal sig. Giudice) proprio di verificare la entità delle forze sviluppatesi nel contatto fra i due veicoli, di essere stata decisamente lieve (in assenza infatti di altri elementi, non ho motivo di dubitare della correttezza del giudizio del perito geometra secondo cui “… le sollecitazioni suite dal corpo del sig. XY siano state tali da poterle ragionevolmente ritenere prive di efficienza lesiva…”).

E dunque il prof. Demori, dal Giudice che lo aveva incaricato, aveva ricevuto il compito di stabilire non solo se quella determinata collisione aveva la idoneità di provocare la patologia certificata inizialmente (nesso causale fra evento e lesione) ma anche (e principalmente) se dalla lesione eventualmente riconosciuta secondaria al sinistro, fosse poi derivato un danno permanente (nesso causale fra lesione e menomazione).

In realtà il prof. Demori, dopo aver richiamato autorevoli pubblicazioni scientifiche, ha in sintesi concluso che siccome nulla è possibile dire con esattezza circa i meccanismi di eventuale lesività collegata ai tamponamenti a bassa velocità (nel senso che nessuno dei modelli sperimentali disponibili si è dimostrato del tutto soddisfacente) e siccome a suo avviso esistono delle perplessità circa la esattezza dei calcoli del perito cinematico (nel senso che questi non avrebbe tenuto conto delle fotografie del mezzo tamponante, ma solo di quelle dell’auto tamponata), “…le considerazioni riportate nella perizia ergonomica non sono condivisibili…” giungendo così evidentemente al riconoscimento di postumi solo “sulla base della documentazione sanitaria allegata al fascicolo… dell’anamnesi raccolta dal periziando e della visita effettuata”.

Questo convincimento del prof. Demori e l’iter metodologico attraverso il quale il professionista vi è pervenuto, e per quanto già detto sopra, e per quanto si dirà in seguito, non possono risultare condivisibili, almeno per quanto riguarda la parte del giudizio che attiene la individuazione e la quantificazione di postumi permanenti.

E’ vero infatti che la parte della letteratura citata dal professionista afferma che non è possibile conoscere esattamente quali sono le dinamiche biomeccaniche che entrano in gioco nel determinismo dei traumi minori del collo, ma è anche vero che negli ultimi anni vi è stato un crescente numero di altri lavori sperimentali che hanno in realtà cercato di studiare fin nei

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minimi dettagli cosa accade nel corso di tamponamenti a bassa velocità (nella cui categoria evidentemente rientra il caso in discussione).

La letteratura al riguardo, partendo dalle prime esperienze di Wielke e Danner, è poi divenuta troppo vasta per essere qui illustrata per intero e nei minimi dettagli (anche in questo caso, riporto in sintesi stralci contenuti nella più volte menzionata monografia redatta con la collaborazione dell’ANIA e dell’ACI, rimandando ovviamente ad essa per una bibliografia più completa).

Ritengo vada innanzitutto citato il tentativo di schematizzazione proposto da Schmidt nel 1989 che, modificando la precedente classificazione di Erdman sviluppata alla luce dei risultati dei tests sperimentali, pone una correlazione fra violenza dell'urto, tipo di lesioni ad essa attribuibili secondo la scala internazionale AIS e tipo di conseguenze cliniche e biomeccaniche (Versicherungsmedizin, Heft/4, S121-125, 1988).

Fissando la cosiddetta soglia minima di lesività in almeno 8 km/h la variazione di velocità del veicolo tamponato ed in almeno 4 g l'accelerazione passiva subita dal capo del passeggero, a partire da questi valori, attribuisce agli urti la possibilità di generare "lievi colpi di frusta"

classificati come AIS1 e guaribili in meno di tre settimane (la scala AIS - abbrevied injured score - è la classificazione internazionale della lesività traumatica e la cifra 1 sta ad indicare che si tratta di lesioni che colpiscono un solo distretto corporeo e che risultano del tutto lievi, guaribili appunto in pochi giorni).

L'altro lavoro da citare è quello di McConnel del 1993 che, pur giungendo sostanzialmente alle stesse conclusioni, precisa meglio le motivazioni (Healt Science Center, Univ. Of Texas, SAE International, 1993). Si tratta di uno studio condotto su soggetti di età compresa tra i 45ed i 56 anni, collocati all'interno di autoveicoli (alcuni con, altri senza poggiatesta) tamponati da altre auto a velocità programmate. Ogni soggetto è stato filmato, durante le fasi del tamponamento, con cineprese in grado di produrre 500 fotogrammi al secondo.

Ebbene, i risultati in estrema sintesi sono questi: alle velocità stimate (4 e 8 km di DV) il collo dei soggetti ha subito un movimento di estensione (mai di ritorno in flessione) e compressione rientranti ampiamente in limiti fisiologici.

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In pratica in nessuno dei soggetti esaminati, il capo, a seguito dell'urto, ha subito spostamenti passivi all'indietro superiori ai 20-30 gradi (da rilevare che l'angolo di escursione fisiologico normale è di circa 70-80 gradi) e che in alcuni il capo non ha nemmeno raggiunto il poggiatesta, laddove presente nel veicolo. Mc Connel conclude dunque indicando in un DV di 8 km/h la cosiddetta soglia minima di lesività.

Più recentemente esperti della materia hanno pubblicato i risultati di studi di comparazione, cercando appunto (e fornendo alla fine risultati davvero interessanti) di accertare in quali atti della comune vita quotidiana si rinvengano sollecitazioni al capo ed al collo assimilabili, per entità, tipologia e momento di picco, a quelle registrate nei tamponamenti a bassa velocità (entro la gamma di 4-8 Km/h di DV). Ed anche in questo caso, Rosenbluth e Hicks (Journal of Forensic Science; 39, 6, 1393-1424; 1994) hanno riscontrato che una sollecitazione analoga ad un tamponamento a bassa velocità è ad esempio quella che si verifica in una bimba che salta la corda o nel passeggero di un fuoristrada che con le ruote scende da un marciapiedi alto 15 cm.

Non vorrei puntualizzare l’ovvio, ma è chiaro che quando si parla di “soglia di lesività” la si vuole intendere in senso assoluto, ossia valori di vis inerziale talmente irrisori da ritenersi incompatibili con la produzione di postumi permanenti a prescindere da tutte quelle “variabili”

citate dal prof. Demori (posizione assunta dal capo al momento dell’impatto, condizioni generali di salute, stato fisiologico o patologico del distretto colpito… e via elencando).

Tornando dunque al caso in questione, non avendo il prof. Demori nel suo scritto parlato di dati “oggettivi” e/o “numerici”, è evidente che non conosco i valori della accelerazione “g” e della differenza di velocità (DV) cui il perito meccanico è pervenuto e, di conseguenza, neanche di quanto detti valori si discostano dalle “soglie” che sono state sopra indicate.

Pertanto, pur desumendo (visto l’esito delle perizia cinematica) che si trattò di un urto comunque modesto e verosimilmente compatibile solo con una qualche transitoria sensazione dolorosa nel p. (così come si desume dalla certificazione che lo stesso ha prodotto), in assenza tuttavia dei dati numerici suddetti non ho elementi sufficienti per sostenere con certezza (anche se in effetti è questa la mia impressione) che il tamponamento

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in questione abbia prodotto una vis inerziale insufficiente ed incompatibile con lesioni cervicali permanenti.

La critica invece che sento di muovere nei confronti del prof. Demori attiene l’iter metodologico da questi applicato e seguito nel redigere la Consulenza Tecnica d’Ufficio, dal momento che, sia in generale, sia in particolare nei casi di traumi minori del collo (visto che è di questi che stiamo parlando), la certificazione medica deve sì essere attentamente vagliata e valutata dal medico legale in relazione a quanto sopra si è detto, ma non può e non deve costituire l’argomentazione principale per giustificare il riconoscimento di postumi permanenti.

Essa infatti non può dare al medico legale, per i motivi sopra esposti, nessun’altra informazione se non quella appunto che il p. si è presentato in un Pronto Soccorso lamentando dolore al collo e che questo dolore è persistito per un certo arco di tempo (come attestato nelle ulteriori certificazioni). Anche la rettilineizzazione riscontrata radiograficamente in quella sede, pur potendosi teoricamente ritenere espressione di una contrattura muscolare antalgica, non è certo da sola sufficiente a giustificare il riconoscimento di postumi cervicali a carattere permanente.

Posso inoltre constatare che, nel caso di specie, non vi è forse stata una rigida applicazione di tutti quei criteri che la Dottrina medico-legale elenca, criteri che, nella maggior parte, non solo non sono rispondenti, ma sono addirittura dimostrativi della esclusione del nesso tra lesione inizialmente diagnosticata e quadro menomativo emerso in corso di CTU.

Basti pensare al criterio statistico epidemiologico che, come abbiamo visto, ci dice che l’ipotesi di una guarigione con postumi è evento decisamente infrequente; manca inoltre la evidenza di una significativa continuità fenomenica (a fronte di un fatto del luglio ‘99 vi fu “chiusura”

della malattia due mesi dopo e non risulta documentato, per gli anni successivi, che il p. abbia mai manifestato disturbi e/o che abbia avuto necessità di cure), manca, ripeto, ogni evidenza clinica di una alterazione anatomica che possa giustificare in qualche modo la connessione causale con il sinistro di tre anni prima (tanto è infatti l’arco di tempo intercorso tra incidente e data di espletamento della CTU medica) e lo stesso esame obiettivo mostra reperti (inevitabilmente) aspecifici.

Su tutto comunque sembra prevalere la mancata soddisfazione del criterio della adeguatezza

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lesiva, così come parrebbe dimostrare l’esito della perizia cinematica. E ricordo da ultimo che recentemente, ha preso posizione sull’argomento anche la Società Italiana di Medicina Legale, laddove, nella recentissima “Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente” (a cura di Bargagna, Canale, Consigliere, Palmieri e Umani Ronchi, Giuffrè Editore), viene esplicitamente affermato che la valutazione delle sequele di traumi minori del collo, proprio per la mancanza di reperti oggettivi e per il sovrapporsi assai spesso di altre patologie che possono giustificare da sole i disturbi lamentati (prima fra tutte la cervicoartrosi) è ....problematica... e non può prescindere dalla documentata efficienza dell’atto lesivo”.

In definitiva, quindi, a mio parere (e concludo), soprattutto nei casi di urti apparentemente tutt’altro che “devastanti” (in cui immagino rientri quello in questione), per risalire alla efficienza dell’atto lesivo non vedo come il medico-legale (il cui accertamento, lo ricordo ancora, spesso avviene a notevole distanza di tempo dal fatto) possa fare a meno di dati meccanici e cinematici (nemmeno menzionati dal prof. Demori) ovvero ed ancora di più (quando disponibili) di studi cinematici (questi ultimi inspiegabilmente del tutto ignorati dal professionista, nonostante non fossero neanche di “parte”, ma disposti direttamente da un Giudice).

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