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IL NESSO CAUSALE È L’ELEMENTO CENTRALE NELLA VALUTAZIONE DELLA DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE

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IL NESSO CAUSALE È L’ELEMENTO CENTRALE NELLA VALUTAZIONE DELLA DISTORSIONE DEL RACHIDE CERVICALE

Dr. Luigi Mastroroberto*

E’ convinzione comune che il cosiddetto “colpo di frusta” è in assoluto la più frequente patologia traumatica da incidenti stradali, ed è noto che su di esso ruotino rilevanti interessi economici.

E’ però altrettanto comune e diffusa la sensazione che su quest’argomento, soprattutto negli ultimi anni, i vari operatori del settore (anzitutto il medico-legale, ma anche il patrocinatore del danneggiato, il liquidatore della Compagnia di Assicurazione e via elencando, fino al magistrato o, meglio, al Giudice di Pace, al quale oggi giunge la quasi totalità di questi casi che sfociano in vertenze giudiziarie) hanno affrontato l’intera problematica basandosi più su prassi locali consolidate, spesso diverse fra loro anche in maniera significativa, piuttosto che su una precisa metodologia, frutto di una complessiva conoscenza del fenomeno.

Il fenomeno peraltro, sia pur anche in questo caso con notevoli differenze, si registra anche al di fuori dell’Italia, nella maggior parte degli altri Paesi industrializzati, cosa che emerge ben evidente, esaminando la letteratura internazionale.

Presentandosi quindi oggi l’opportunità di dare avvio ad un dibattito anche multidisciplinare su quest’argomento, sembra opportuno anzitutto conoscerne la dimensione epidemiologica, se così si può dire, quanto meno in termini di frequenza e incidenza.

A tal fine riporto i risultati di una recente statistica effettuata su un cospicuo campione (2.648 casi di incidenti stradali con lesioni personali) prelevato dagli archivi della Unipol Assicurazioni, selezionato con il criterio della randomizzazione in un arco di tempo delimitato e raccolto su tutto il territorio nazionale.

Lo studio ha consentito di accertare che su questo campione di sinistri con danni a persona i traumi del collo hanno rappresentato quasi la metà (48%) di tutti i tipi di lesioni riscontrate.

Questo dato, che peraltro conferma sostanzialmente i risultati di altre analoghe verifiche, è stato anche disaggregato per macroregioni, evidenziando un fenomeno di cui peraltro si era già avuto percezione, quello cioè che esiste una significativa differenza fra la frequenza di tali lesioni tra il Nord d'Italia e il Sud. Rilevandosi peraltro, come ad esempio nel Molise, percentuali ancora minori (c.a. 10%).

Al di là comunque di questo particolare, che pure deve indurre a riflessioni su di una possibile connotazione socioeconomica del “fenomeno colpo di frusta”, analizzando i dati che sono riuscito ad acquisire su ciò che avviene in alcuni dei Paesi più industrializzati, si rileva (e ciò peraltro credo confermi la validità del nostro studio) una frequenza dei traumi al collo nell'ambito dell'intera lesività da circolazione stradale del tutto analoga a quella da noi registrata in Italia.

Si rileva, infatti, ad esempio, che di tutte le lesioni da incidenti stradali, i traumi del collo si verificano nel 46% in Francia, nel 48% in Germania, nel 51% in Giappone.

Rappresentando dunque questa una stima attendibile di quale è la frequenza in Italia dei traumi al collo rispetto alla totale lesività da circolazione stradale, l'ulteriore verifica ha riguardato lo studio della evoluzione di queste lesioni traumatiche.

In sintesi, dallo studio della letteratura specializzata, ho rilevato quanto segue:

* Medico Legale Consulente Centrale UNIPOL, Bologna

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Nel 1991 i vari studi pubblicati nella letteratura mondiale recensita su Index Medicus riportavano una frequenza di guarigioni con postumi conseguenti a traumi del rachide cervicale

oscillanti da un minimo dell'8% ad un massimo del 43%, lavoro quest'ultimo che però prendeva in considerazione solo traumi "maggiori", caratterizzati da fratture o lussazioni, alcuni dei quali trattati chirurgicamente. Ad ogni modo, su questi studi è stata pubblicata anche una valutazione statistica complessiva, effettuata mediante il sistema della metanalisi, che attesta la frequenza media delle guarigioni con postumi attorno al 10-15%.

Mi sembra interessante citare in particolare uno studio pubblicato nel 1991 su Lancet da Radanov e coll., particolarmente significativo rispetto al tema che oggi stiamo discutendo, quello cioè di traumi "minori" al rachide cervicale.

Da questi Autori è stata studiata in modo prospettico una popolazione di soggetti che, a seguito di sinistri stradali, avevano riportato proprio un trauma minore del collo.

L'osservazione è iniziata dalla prima visita al pronto soccorso (ossia dalla immediatezza dell'evento) e si è protratta per 6 mesi.

In estrema sintesi si è rilevato che, a 6 mesi di distanza dall'incidente, il 27% dei soggetti lamentava ancora qualche disturbo soggettivo. L'unica disaggregazione che ha dato risultati statisticamente significativi è stata relativa all'età dei pazienti, risultando più frequente il residuare dei disturbi in soggetti di età più elevata.

Analogamente a quanto fatto per la determinazione statistica della frequenza delle lesioni, mi è sembrato opportuno verificare questo parametro (frequenza delle guarigioni con postumi) nei confronti dei dati forniti da alcune Imprese Assicuratrici estere (Germania, Francia, Giappone e Olanda).

Ebbene, nei riguardi dei dati di cui sono riuscito a venire in possesso, le percentuali stimate in questi Paesi non sono sostanzialmente dissimili dalla letteratura clinica, andando da un minimo dell'8% registrato in Germania ad un massimo 15-20% registrato in Giappone.

Ovviamente, nel completare l'analisi "epidemiologica" del fenomeno in discussione, abbiamo voluto verificare anche cosa avviene a questo proposito in Italia.

Premettendo che il dato rilevato sul nostro campione è stato desunto analizzando i sinistri fin dalla loro apertura, con l'unico requisito quindi di una prima segnalazione di una lesione personale, su scala nazionale registriamo che in oltre l'80% dei casi in cui è stata denunciata una lesione al collo, si è giunti alla fine a risarcire dei postumi permanenti.

La differenza fra questo dato e quanto ci dicono le statistiche cliniche mondiali e quelle relative alle casistiche assicurative di altri paesi è così rilevante che deve indurci necessariamente ad un’attenta riflessione.

Le cause a mio parere sono molte e vanno ricercate in tutte le componenti che, istituzionalmente, ruotano intorno al risarcimento del danno alla persona in Responsabilità Civile.

Evitando però ovviamente (non è questa la sede) di scendere in considerazioni che non sono di carattere strettamente tecnico-medico, la mia opinione è che nell'effettuare un'analisi di questo fenomeno bisogna anzitutto cercare di comprendere quale è l'iter metodologico medico-legale che, mediamente, viene seguito in sede di valutazione dei cosiddetti "colpi di frusta".

Classicamente l'accertamento medico-legale (da qualsiasi parte venga svolto: perizia per danneggiato, perizia per Assicurazione o CTU che sia) nella stragrande maggioranza dei casi inizia con l'anamnesi del paziente, il quale nella fattispecie dichiara di essere rimasto vittima di un incidente stradale a seguito del quale ha accusato una certa sintomatologia dolorosa al collo, più o meno intensa e più o meno corredata da altri disturbi.

Alle dichiarazioni del leso fa riscontro una serie di referti medici, il primo dei quali spesso (ma non sempre) proviene da un pronto soccorso, nel quale nella maggioranza dei casi

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compaiono le diagnosi di "distorsione cervicale" oppure "colpo di frusta" oppure trauma indiretto

del rachide cervicale. A volte però manca addirittura la diagnosi, venendo ad esempio soltanto riferita la presenza di cervicalgia, ossia di dolore al collo.

Sempre nella maggioranza dei casi l'esame radiografico è negativo e la descrizione della obiettività clinica, quando presente e quando non detta negativa, segnala la presenza di contrattura muscolare e limitazione dei movimenti del capo.

Sempre nel caso tipico la restante documentazione attesta il protrarsi dei disturbi per un periodo più o meno prolungato e la prescrizione (non sempre osservata) di uno o due cicli di cure fisiche.

Il professionista interroga il paziente sulla sua attuale condizione e registra (e mi si consenta l'aggiunta del termine "inevitabilmente") la descrizione di episodi più o meno frequenti di male al collo (quando questo non è detto continuo) associato più o meno ad altri disturbi (vertigini, formicolii alle mani, nausea...).

Si passa quindi all'esame obiettivo che, sempre nella maggioranza dei casi, si limita ad evidenziare una qualche contrattura muscolare ed una qualche limitazione (spesso determinata solo dalla riferita insorgenza di dolore) dei movimenti del capo.

Raccolti questi elementi, il professionista procede alla valutazione che, mediamente (rispetto al campione da noi esaminato) porta al riconoscimento dei postumi in oltre l'80% dei casi su scala nazionale ed in oltre il 90% in alcune specifiche realtà.

In sintesi:

Il medico prende atto dell'evento riferitogli e giudica la plausibilità del nesso causale fra detto evento e la lesione attestata (colpo di frusta) solo ed esclusivamente sulla base della documentazione clinica. In altre parole il processo logico che viene seguito è: esistendo una certificazione che attesta in prossimità cronologica con il sinistro la comparsa di una lesione al collo non vi è motivo di dubitare che questo disturbo derivi dal sinistro.

Ammesso dunque, sulla base di questo unico ragionamento, il nesso causale fra evento e lesione certificata, avuta conferma dal paziente che persiste ancora qualche disturbo e riscontrandolo mediamente nei referti clinici sopra ricordati, ecco che si giunge ineluttabilmente al riconoscimento dei postumi permanenti.

Prima di analizzare criticamente questo processo logico e metodologico, mi sia consentito di dire, senza timore di essere smentiti, che l'esame obiettivo, che pure nella restante pratica medico-legale rappresenta uno degli elementi fondamentali per il giudizio valutativo, nel caso di ipotetiche sequele di traumi minori del collo, rappresenta invece un elemento di giudizio quasi sempre privo di valore reale.

Non solo, infatti, i rilievi che mediamente vengono descritti sono per lo più sfumati e di non univoca interpretazione, ma va anche detto che essi sono del tutto aspecifici, nel senso che non consentono di verificarne la derivazione causale, potendo essi dipendere, al momento dell'osservazione che solitamente è almeno di diversi mesi dilazionata rispetto al sinistro, da tanti altri fattori.

Si tenga conto ad esempio che da rilevazioni recenti (Di Lorenzo e collaboratori, Federazione Medica nel 1994) il 60% dei cinquantenni ed il 90% dei sessantacinquenni sono portatori di un’artrosi cervicale.

Questa dunque l'analisi della metodologia medico-legale che, nella maggioranza dei casi, viene applicata di fronte ai casi di colpo di frusta, metodologia che, come abbiamo visto, ha portato e porta nel nostro Paese al riconoscimento di postumi permanenti che va al di là di ogni

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ragionevole oscillazione rispetto a quanto si registra, in media, nell'esperienza clinica ed in quei paesi esteri di cui abbiamo informazioni. E non è da sottacere l’assoluta iniquità di un siffatto sistema che, avendo comunque trovato (come tutti i sistemi) una sorta di punto di equilibrio, si basa sul criterio del 2% “politico”, ossia di una standardizzazione e stratificazione delle valutazioni del danno permanente, che evidentemente viene riconosciuto sia in quella (cospicua) parte dei casi che andrebbero risolti come guarigioni senza esiti, sia in quei soggetti che invece realmente presentano dei disturbi, a volte anche decisamente rilevanti e, sia pur raramente, nascondono alterazioni traumatiche “maggiori” che però, proprio per questa “standardizzazione” non vengono adeguatamente studiate, evidenziate e, conseguentemente valutate.

E' possibile allora che, almeno per quanto riguarda la competenza del medico-legale, si possa in qualche modo mettere in atto un approccio metodologico più accurato e meno approssimativo di quello appena illustrato ?

Io credo di sì.

Innanzitutto deve essere chiaro che il termine "colpo di frusta" non indica una diagnosi clinica, ma indica semplicemente un meccanismo lesivo o potenzialmente lesivo.

Il caso più classico è quello del tamponamento: il veicolo, urtato da tergo, subisce una spinta in avanti. Il tronco del passeggero viene a contatto con lo schienale del seggiolino ed a quel punto diviene parte integrante del veicolo seguendone la spinta in avanti. Il capo invece, che a quel punto diviene un corpo mobile all'interno dell'abitacolo, tende ad essere proiettato all'indietro e solo in un secondo momento, esauritasi la spinta in avanti, compie un movimento passivo opposto di flessione.

Orbene, è fondamentale comprendere che questo meccanismo, secondo la sua intensità, possa non dare alcuna lesione (quante volte nella nostra vita ordinaria si verificano situazioni analoghe che passano del tutto inosservate?) ovvero non provocare danni rachidei e midollari incompatibili con la vita e, quindi, mortali.

Ciò premesso, proviamo a vedere come potrebbe essere rischematizzato quel processo metodologico prima illustrato.

In sostanza a mio avviso non occorre fare altro che applicare una corretta e completa metodologia medico-legale, la stessa che tutti i testi su cui abbiamo studiato impongono di mettere in atto per verificare il nesso causale fra un determinato evento ed il quadro clinico che viene prospettato al momento del giudizio conclusivo, metodologia che impone di verificare innanzitutto il criterio della efficienza lesiva.

In pratica, se spesso è vero, come molti obiettano, che a fronte di certificazioni mediche ospedaliere, non è possibile negare, senza dimostrare la "compiacenza" del referto, che il soggetto, in prossimità cronologica col sinistro, accusa dolore al collo, è però anche vero che questa prima certificazione deve essere analizzata a posteriori con specifiche capacità critiche dal medico-legale (ed è questo peraltro uno dei suoi compiti essenziali, quello che in pratica differenzia la sua professionalità da quella di altri Specialisti).

E tale certificazione, se attentamente vagliata, non può dirci altro che in quel momento il paziente si è recato dal medico riferendogli la presenza del dolore al collo.

Non può, in particolare, stabilire (sempre ovviamente nell'ambito dei traumi minori) quale lesione anatomica supporta quella sintomatologia dolorosa, atteso che un colpo di frusta possa generare dolore sia che si sia reso responsabile di una semplice contrattura muscolare, o magari di uno stiramento ovvero di un più complesso quadro di "distorsione cervicale", parola di cui si è troppo abusato fino a farne perdere il senso reale. Con questo termine, infatti, pur rimanendo ancora nella maggioranza dei casi nel novero dei traumi minori, si intende un movimento abnorme del capo che, superando i limiti massimi della sua normale escursione, determina quasi un meccanismo a fisarmonica dei corpi vertebrali, che perdono per qualche millesimo di secondo i loro normali rapporti articolari, con conseguente sofferenza delle relative strutture muscolari e legamentose di contenimento.

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Ed ecco quindi che, al primo giudizio sul nesso causale fra evento e lesione iniziale, basato come abbiamo visto sulla semplice attestazione che il soggetto lamentava inizialmente dei disturbi, deve necessariamente seguire un secondo giudizio, quello riguardante l'accertamento del nesso causale fra la lesione (meglio sarebbe dire il quadro sintomatologico) iniziale ed il quadro menomativo che si vuole attribuire all'evento.

In sostanza, rifacendoci al principio, a mio parere indiscutibile, che una lesione può generare postumi solo in presenza di un’alterazione anatomica permanente, diviene fondamentale cercare di stabilire, nello specifico, se il colpo di frusta è compatibile col tipo di collisione e in secondo luogo se ha determinato una semplice contrattura muscolare, ovvero lesioni anatomicamente più impegnative, fino ad arrivare alla vera distorsione cervicale.

E' evidente, sul piano biologico, come sia quasi impossibile attribuire a semplici contratture muscolari la responsabilità di lesioni anatomiche permanenti, come pure è altrettanto evidente che una vera distorsione cervicale, anche in assenza di rilievi strumentali oggettivabili, possa plausibilmente generare dei disturbi che si protraggono nel tempo.

Ed ecco dunque che, in caso di colpi di frusta, diviene fondamentale, per ammettere il nesso causale fra un quadro lesivo iniziale e il quadro che si osserva al momento della valutazione, prevalentemente soggettivo e obiettivamente caratterizzato quasi sempre da reperti a specifici, cercare di verificare che tipo di lesione ha generato il colpo di frusta.

Purtroppo, nell’esperienza quotidiana, soprattutto in sede di CTU, sollevandosi questa pur legittima problematica, per motivi che non è il caso di analizzare, anche di fronte a casi che hanno della quasi comica inverosimiglianza, l'atteggiamento del valutatore è stato troppo spesso irragionevolmente possibilista, portando, a fronte dei disturbi riferiti dal periziando, a giudizi basati unicamente sul criterio del "...non si può escludere che…".

Ebbene di fronte alle tante incertezze che il colpo di frusta ancora presenta e concordando pienamente con quanti hanno già evidenziato la necessità di ulteriori approfondimenti scientifici, ritengo però che una certezza metodologica la si debba avere: il criterio del "...non si può escludere che..." deve essere totalmente aborrito dalla metodologia di giudizio medico- legale.

E ricordo quanto hanno scritto alcuni fra i più insigni medici-legali italiani, cercando appunto di definire il criterio del "... non si può escludere che...":

Dr. Barni: "… il nulla concettuale e soprattutto giuridico…".

Dr. Introna: "…criterio assolutamente estraneo alla Medicina Legale…".

Orbene, escludendo questo criterio di giudizio e procedendo secondo la metodologia prima indicata, resta da chiedersi se e come sia oggi possibile cercare di risalire, con un'analisi peritale a posteriori, al tipo di lesioni che il colpo di frusta (vero o presunto che sia) può avere determinato in quel particolare soggetto in esame.

Innanzitutto potrebbe essere sufficiente già in molti casi l'esame accurato della modalità di collisione fra i due veicoli, essendo evidente che alcuni tipi di urto (collisioni tra specchietti retrovisori, strisciamenti di fiancate senza urti diretti... e tanti altri casi di cui l'esperienza quotidiana è piena), non provocando alcun movimento passivo del veicolo, non possono, giocoforza, provocare alcun movimento passivo del capo.

In secondo luogo, sulla base di studi ormai sempre più numerosi, è possibile, almeno entro certi limiti, affermare che, alcuni urti, soprattutto i tamponamenti, per la loro lieve entità, sviluppano, nel veicolo tamponato, un’accelerazione passiva in avanti talmente modesta, da non potere provocare alcun tipo di lesione.

Negli ultimi anni, infatti, grazie anche alla messa a punto di tecnologie sempre più sofisticate, vi è stato un fiorire di ricerche che, avvalendosi non solo di cadaveri e manichini

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altamente sofisticati, ma anche e soprattutto di soggetti volontari, hanno studiato fin nei minimi dettagli il tipo di sollecitazione che subisce il corpo del passeggero di veicoli tamponati a basse velocità.

La letteratura al riguardo è troppo vasta per essere oggi illustrata per intero.

Mi limito quindi in questa sede ad illustrare almeno due esperienze che, a mio parere, sono più esplicative di altre.

Innanzitutto voglio citare il tentativo di schematizzazione proposto dal Dr. Schmidt nel 1989 che, modificando la precedente classificazione del Dr. Erdman sviluppata alla luce dei risultati dei test sperimentali, propone una correlazione fra violenza dell'urto (addirittura con la descrizione delle rotture mediamente riscontrabili sui veicoli) il tipo di lesioni ad essa attribuibili secondo la scala internazionale AIS e il tipo di conseguenze cliniche e biomeccaniche.

Fissando in almeno 8 km/h la variazione di velocità del veicolo tamponato ed almeno in 4 g l'accelerazione passiva subita dal capo del passeggero, la cosiddetta soglia minima di lesività, si attribuisce agli urti la possibilità di generare "lievi colpi di frusta" classificati come AIS1 e guaribili in meno di tre settimane.

L'altro studio che vorrei citare, forse il più esauriente ed attendibile per rigore metodologico, è quello del Dr. McConnel del 1993 che, pur giungendo sostanzialmente alle stesse conclusioni, precisa meglio le motivazioni.

Lo studio è stato condotto su soggetti non giovanissimi (45-56 anni) collocati all'interno di autoveicoli (alcuni con, altri senza poggiatesta) tamponati da altre auto a velocità programmate. I soggetti, ciascuno dei quali ha partecipato a più test, sono stati filmati durante le fasi del tamponamento, con cineprese in grado di produrre 500 fotogrammi al secondo.

Ebbene, i risultati in estrema sintesi sono questi: alle velocità stimate (4 e 8 km di DV) il collo dei soggetti ha subito un movimento di estensione e compressione rientrante ampiamente nei limiti fisiologici.

In pratica in nessuno dei soggetti esaminati il capo, a seguito dell'urto, ha subito spostamenti passivi all'indietro superiori ai 20-30 gradi (l'angolo di escursione fisiologico normale è di circa 70-80 gradi). In alcuni casi il capo non ha nemmeno raggiunto il poggiatesta.

Mc Connel conclude dunque indicando in un DV di 8 km/h la cosiddetta soglia minima di lesività. E mi sembra estremamente interessante riportare, a conferma peraltro del rigore metodologico, quali sono state le motivazioni di questa affermazione:

• "... per collisioni entro la gamma di velocità comprese nelle nostre prove, il meccanismo classico di lesione da colpo di frusta sembra improbabile…".

• "... i risultati indicano un meccanismo lesivo da compressione-tensione che probabilmente può provocare risentimenti muscolari di entità minore ed autolimitati…".

• “... sono ipotizzabili altri meccanismi potenzialmente lesivi (microcontusioni alle articolazioni o al tessuto connettivo) ma appaiono meno probabili...".

• "... i lievissimi disturbi lamentati da tre dei soggetti di prova, solo dopo loro esposizione a più collisioni, indicano che le condizioni di prova dei veicoli colpiti con DeltaV pari a 6-8 Km/h erano probabilmente al limite, o vicine al limite umano tipico per lesioni di entità molto ridotta da tensione cervicale...".

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A commento di quanto appena detto, mi sembra interessante far rilevare come nel corso degli ultimi anni le ricerche specializzate su questo campo hanno subito una certa evoluzione.

Dopo i primi studi effettuati negli anni ottanta soprattutto su manichini, cadaveri ed animali di laboratorio e dopo quelli successivi (fine anni ottanta, inizi anni novanta) effettuati su soggetti viventi volontari (oltre quelli da me citati ve ne sono altri effettuati anche per verificare alcune variabili quali la posizione ruotata del capo al momento dell'urto, la differenza che si registra nella sollecitazione passiva del capo a seconda che il soggetto sia muscolarmente preparato all'urto o sia completamente rilassato... e via elencando), più recentemente esperti della materia hanno pubblicato i risultati di studi di comparazione, cercando appunto (e fornendo alla fine risultati davvero interessanti) di accertare in quali atti della comune vita quotidiana si rinvengano sollecitazioni al capo ed al collo assimilabili per entità, tipologia e momento di picco, a quelle registrate nei tamponamenti a bassa velocità (entro la gamma di 4-8 Km/h di DeltaV).

Ed anche in questo caso, per brevità, mi limito a citare che secondo i risultati ottenuti dal Rosenbluth e il Dr. Hicks (Journal of Forensic Science; 39, 6, 1393-1424; 1994), una sollecitazione analoga ad un tamponamento a bassa velocità è ad esempio quella che si verifica in una bimba che salta la corda, nel passeggero di un fuoristrada che con le ruote scende da un marciapiedi alto 15 cm.

Addirittura Allenn et al. (Spine; 19, 11, 1285-1290; 1994), effettuando prove con caschi muniti di acclerometri triassiali, hanno verificato (ed assimilato) le energie inerziali che si determinano sul capo e sul collo dei soggetti di prova ad esempio dopo uno starnuto, un colpo di tosse, la caduta in posizione seduta in una poltrona... e via elencando.

Questi studi appena citati, che ovviamente non possono e non debbono in alcun modo legittimare giudizi medico-legali affrettati, che si basano sul semplice automatismo (inverso a quello che oggi si verifica) “urto lieve Æ lesione impossibile”, sono però un ulteriore espressione della necessità di affrontare il problema in termini ben diversi da quelli attuali e, soprattutto, mettono ben in evidenza quanto oggi poco si sappia non solo circa i meccanismi che determinano la late whiplash syndrome, ossia la sindrome caratterizzata da disturbi cronici che fanno seguito ad un trauma minore del collo, ma anche sulla reale esistenza e significato clinico di questa sindrome.

Esaminando infatti la letteratura scientifica, accanto a pur autorevoli lavori che sembrano sconfessare la reale esistenza di una siffatta sindrome (Natural evolution of the late whiplash syndrome outside the ledicolegal context. Schrader H et al. Lancet, 347: 1207-11, 1996 May 4), ve ne sono altri che, con pari accuratezza scientifica, hanno cercato, ma sempre con incerti risultati, di evidenziare una qualche lesione anatomica alla sua origine.

Cito ad esempio il lavoro di Otte A et al. (Eur J Nucl Med, 23: 72-4, 1996 Jan) che ha tentato un’osservazione di questi pazienti mediante la SPET quantitativa; quello di Petterson K. Et al. (Spine, 22: 283-7, 1997 Feb) dove nei pazienti sono state verificate mediante Risonanza Magnetica Nucleare, eventuali lesioni dei dischi intervertebrali; quello di Smed A (Acta Neurol

Scand, 95: 73-80 1997 Feb) e quello di Karlsborg M. et al. (Acta Neurol Scand, 95: 65-72 1997 Feb) che hanno verificato le funzioni cognitive e le implicazioni dello stress… e via elencando.

Tutto questo per dire in sostanza che, secondo l’attuale stato dell’arte della letteratura medica, la whiplash syndrome è un’entità clinica abbastanza ben definita, frequente, ma ad evoluzione benigna. Molto meno conosciuta e definita è invece la late whiplash syndrom che, seppur esiste, riconosce alla sua origine una molteplicità di fattori, solo alcuni dei quali dipendenti dal trauma iniziale.

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Essendo quindi evidente che l’attuale nostro metodo di approccio medico-legale a questo complesso problema è gravemente carente, superficiale e privo di basi scientifiche, credo sia indispensabile, anche per l’enorme rilevanza economica che ad esso si correla, che la Medicina Legale italiana esca dalla quasi totale indifferenza scientifica che ha mostrato fino ad oggi e si impegni per trovare quanto meno delle linee-guida che consentano di avvicinarsi allo scopo vero di questa Disciplina, quello cioè di giungere, attraverso i suoi strumenti propri, a giudizi che, il più possibile, consentano di distinguere quei casi in cui è legittimo riconoscere dei postumi permanenti, da quelli invece in cui una siffatta condizione non è giustificata né giustificabile.

E, per completare la disamina della letteratura, cito ad esempio il criterio che è stato proposto dall’Associazione Nazionale dei Neurologi Olandesi nel definire i parametri di identificazione e di valutazione dei casi in cui un trauma minore del collo sfocia in una cronicizzazione dei disturbi:

le lesioni da colpo di frusta che generano disturbi soggettivi persistenti, in assenza di lesioni oggettivabili, possono comportare postumi permanenti valutabili nel 2-5% purché:

• il dolore, localizzato alla regione del collo, si manifesti entro 48 ore;

• la colonna cervicale subisca un urto meccanico violento (DV > 11 Km/h);

• il dolore abbia richiesto assistenza medica e cure per più di un anno;

sia dimostrata la prolungata restrizione (o abolizione) di alcune delle attività quotidiane.

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