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LA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

L'infertilità di coppia è un problema da sempre molto sentito che in passato veniva affrontato, per le scarse conoscenze in modo non sempre rigoroso e scientifico. Il forte desiderio di avere dei figli da parte della coppia fino ad assumere una rilevanza sociale ha spinto i ricercatori fin dal XIX secolo a interessarsi alla riproduzione umana ed a studiare tecniche per risolvere il problema dell‟infertilità di coppia.

Alla fine del 1700 In Inghilterra John Hunter lascia una memoria in cui dichiara di essere riuscito a fecondare artificialmente una sua paziente. Nel 1878 Schenk fa il primo tentativo di fecondazione in vitro con gameti di mammiferi (“La Procreazione Medicalmente Assistita”di Serena Minervini, Editrice Halley). Agli inizi del „900, quando la ricerca scientifica diventa più avanzata vengono scoperti i principali ormoni della fertilità: ormone Follicolo- Stimolante, Gonadotropina Corionica, ormone Luteinizzante. Fino al 1927 si registrano 88 casi di inseminazione artificiale, ma è solo durante la seconda guerra mondiale che si assiste ad una grande diffusione di tale tecnica quando molti soldati americani al fronte inviano il proprio sperma alle mogli nella speranza di avere un figlio. Nascono in questo modo circa 20.000 bambini (“La Procreazione Medicalmente Assistita”di Serena Minervini, Editrice Halley).

Parallelamente alle pubblicazioni dei primi dati sulla Procreazione Medicalmente Assistita e sulle sue sempre maggiori applicazioni (Edweard e Steptoe, 1965) cominciano le critiche, i processi, le proposte di legge per porre un freno alla pratica. Il progresso, tuttavia, corre più veloce delle polemiche e il 25 luglio 1978 Edweard e Steptoe annunciano la nascita di Lowise Brown, la prima bambina concepita in vitro.

Oggi i notevoli progressi ottenuti nel campo della medicina della riproduzione hanno portato alla messa a punto di numerose tecniche ognuna da impiegarsi in casi portatori.

La diagnosi prenatale è stata messa a punto per la prima volta intorno agli anni ‟80con lo scopo di identificare in cellule fetali prelevate tramite amniocentesi la presenza di eventuali anomalie cromosomiche. L'amniocentesi è una procedura che consiste nel prelevare da sacco amniotico entro le prime 15-18 settimane di gravidanza, per via transaddominale o intravaginale, liquido

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7 amniotico contenente cellule di sfaldamento di origine fetale (gli amniociti), che, poste in coltura, vengono successivamente utilizzate per ottenere preparati cromosomici. Nel 1983 Giuseppe Simoni esegue la prima diagnosi di Trisomia 21 (Sindrome di Down) con una procedura alternativa all‟amniocentesi, la villocentesi. Questa tecnica consiste nell‟aspirazione di una piccola quantità di tessuto coriale tra la decima e l‟undicesima settimana di gravidanza. Sia l‟amniocentesi che la villocentesi consentono la coltura di cellule fetali per la determinazione del cariotipo fetale e/o l‟estrazione di DNA per l‟analisi di mutazione di specifici geni.

Nel corso degli ultimi anni è notevolmente aumentata la necessità da parte di molte coppie di ricorrere a trattamenti di fecondazione assistita e diagnosi prenatale, non determinata solo da una diminuzione della fertilità della coppia, in cui parte determinante costituita da fattori ambientali, ma anche da un cambiamento della società che attribuisce alla famiglia e ai figli valori diversi da un tempo.

Il passaggio da una società rurale e preindustriale ad una post industriale, ha segnato un declino del concetto di famiglia tradizionale rispetto al bisogno innanzitutto di un‟affermazione professionale ed economica. Tutto ciò ha determinato una posticipazione dell‟età della donna nell‟affrontare la prima gravidanza e di conseguenza una maggiore esposizione a fenomeni ambientali precedenti al concepimento. E‟ ormai accertato che l‟età della donna è determinante in merito alla possibilità di rimanere gravida, portare a termine la gravidanza e generare un figlio non affetto da sindromi causate da alterazioni cromosomiche di origine materna.

Tutto ciò ha di conseguenza implicato una maggior richiesta da parte di molte coppie di sottoporsi a tecniche di procreazione medicalmente assistita ed a diagnosi prenatale con lo scopo di avere più possibilità di avere una gravidanza e di diagnosticare alterazioni cromosomiche e/o geniche responsabili dello sviluppo di determinate patologie.

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8 Le maggiori conoscenze mediche di alcune sindromi congenite cromosomiche hanno cambiato radicalmente le finalità per cui si ricorreva in passato alla DP. Oggi questa tecnica non ha esclusivamente il compito di selezionare feti affetti ma si assume il compito di informare la coppia del benessere del futuro figlio così da decidere quale futuro riservare alla gravidanza ed al feto.

Con l‟aumento delle conoscenze sullo sviluppo in vitro dell‟ embrione e con il perfezionarsi delle tecniche di diagnosi prenatale e di fecondazione medico assistita è diventata sempre più evidente l‟esigenza di verificare la presenza di alterazioni cromosomiche e/o mutazioni geniche in embrioni ancor prima del loro trasferimento in utero.

Al fine di fine di diminuire l‟impatto emotivo psicologico e fisico da parte della donna, ed in generale della coppia dovuto ad un aborto terapeutico, si ricorre sempre più spesso (almeno nei paesi esteri) alla DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO, la quale si propone, come nel caso della diagnosi prenatale, di mettere al corrente la coppia dello status genico dell‟embrione prima di un suo trasferimento in utero.

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1.1.

LA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO

La Diagnosi Genetica Preimpianto (DGP) rappresenta quindi una nuova metodologia, complementare alle tecniche di diagnosi prenatale, che permette di identificare la presenza di malattie ereditarie, autosomiche dominanti e recessive, legate al cromosoma X o alterazioni cromosomiche in embrioni, nelle primissime fasi di sviluppo, ottenuti in vitro prima del loro trasferimento in utero da coppie a elevato rischio riproduttivo.

I pazienti che richiedono l‟accesso alle tecniche di diagnosi preimpianto inizieranno un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) che permetterà per la donna il recupero di ovociti da fertilizzare e per il partner maschile il recupero degli spermatozoi più vitali. Una volta che si è ottenuta la fecondazione, dagli embrioni ai primi stadi di sviluppo di 4-8 cellule (giorno 3), si preleveranno uno o due blastomeri che varranno utilizzati in relazione al tipo di malattia genica o cromosomica da diagnosticare. Gli embrioni che risulteranno non affetti potranno così essere trasferiti.

1.1.1. Differenze tra Diagnosi Genetica Prenatale e Preimpianto

Dal punto di vista procedurale, la diagnosi genetica prenatale è totalmente diversa dalla DGP. Nel primo caso infatti dai prelievi dei tessuti fetali vengono ottenute moltissime cellule adatte per una o più colture oppure per ottenere una notevole quantità di DNA. Inoltre, in caso vi sia un dubbio interpretativo è possibile ripetere il test, perché possiamo avere a disposizione il tempo sufficiente a completare tutte le verifiche possibili. Nella diagnosi preimpianto, invece, il materiale su cui viene eseguito l‟esame genetico è rappresentato da una singola cellula (e quindi una sola copia di DNA), con tempi analitici molto ristretti, in quanto l‟esame deve essere completato entro il quinto giorno di sviluppo dell‟embrione. Ovviamente tutto questo incide notevolmente sulla scelta della strategia operativa da seguire, che deve essere rapida, precisa e deve fornire risultati attendibili.

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1.2. CENNI STORICI SULLA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO

Il primo caso di DGP eseguito su animali fu messo a punto da Gardner e Edwards nel 1968, i quali prelevarono tramite biopsia una piccola porzione del trofoectoderma di una blastocisti di coniglio, tramite la quale identificarono il sesso degli embrioni impiantati successivamente in una femmine adottiva.

La prole nata da tale femmina adottiva risultò essere del sesso ipotizzato (Edwards & Gardner, 1967; Gardner & Edwards, 1968). La buona riuscita di tale lavoro fece pensare ad altri autori di poter sperimentare la medesima tecnica su blastocisti umane che purtroppo non ebbe lo stesso esito positivo (Steptoe et al., 1971).

Nel 1985 durante il meeting del Ciba Foundation di Londra fu discussa la possibilità di utilizzare questo tipo di tecnica al fine di diagnosticare malattie genetiche in embrioni umani, ma allo stesso tempo fu obbiettato che ciò non era possibile dal momento che non erano ancora disponibili tecniche diagnostiche in grado di analizzare singole cellule, nonostante l‟impiego della tecnica di PCR, che pur essendo un metodo decisamente innovativo e rivoluzionario, non era comunque in grado di amplificare il DNA contenuto in una singola cellula (Saiki et al., 1985).

La possibilità di utilizzo delle tecniche di biologia molecolare su singola cellula fu momentaneamente accantonata e gli studi successivi si focalizzarono su possibili metodi in grado di effettuare una biopsia embrionale e l‟applicazione di tecniche di citogenetica molecolare. Edwards e Hollands ipotizzarono che solamente tramite metodi non invasivi fosse possibile dissolvere la zona pellucida, disaggregare l'embrione, così da separare le cellule l‟una dall‟altra e poterle mettere in coltura al fine di effettuare la diagnosi (Edwards e Hollands,1988), nello stesso periodo in Australia Leeanda Wilton sperimentava metodi per la rimozione di cellule provenienti da una blastocisti di topo (Wilton & Trounson, 1986; Kola &

Wilton, 1991).

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11 Mentre André Van Steirteghem tentava di separare un solo blastomero da un embrione a due cellule (Nijs & Van Steirteghem, 1987), Marilyn Monk e Alan Handyside tentavano di rimuovere una o due cellule da un embrione allo stadio di otto in modo da poter diagnosticare il deficit di un enzima, quale l‟ ipoxantina fosforibosil-transferasi (HPRT) (Monk et al., 1987).

Negli anni successivi lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare permise di poter effettuare indagini su quantità piccolissime di DNA ottenute da un sempre minor numero di cellule, per cui gli studi si concentrarono nuovamente su quale potesse essere il metodo migliore per effettuare l‟analisi del DNA di una singola cellula. Per Edwards e Holland il metodo più affidabile era l‟utilizzo di sonde di DNA in grado di identificare il genotipo dell'embrione umano e predire in questo modo la presenza di eventuali anomalie geniche (Plachot et al.1987).

Alla fine degli anni ‟80 Alan Handyside e Marilyn Monk effettuarono biopsie di blastomeri dall‟embrione di topo dove eseguirono diagnosi.

Grazie a quelle esperienze Handyside eseguì la prima diagnosi su embrioni del primo topo geneticamente modificato portatore di una mutazione sul gene HPRT, il modello murino per la sindrome di Lesch- Nyhan nell'essere umano. Il topo transgenico fu creato tramite l‟iniezione di cellule staminali mutanti in una blastocisti ospite,e il trasferimento di esse nell'utero di una madre adottiva dalla quale nacque una prole di sesso maschile portatrice del gene mutato a livello della linea germinale (Monk et al., 1987) e alcune delle sue figlie eterozigoti per la mutazione HPRT.

Grazie a quei primi successi Monk, in collaborazione con Handyside, diagnosticò lo stesso tipo di mutazione su embrioni provenienti da tali femmine eterozigoti, da cui risultò che la metà dei maschi erano portatori della malattia. Questa fu la prima dimostrazione di diagnosi preimpianto effettuata correttamente (Monk et al., 1987, Monk et al., 1988; Benson &

Monk, 1988; Monk, 1988; Monk & Handyside, 1988; Holding & Monk, 1989;

Monk & Holding, 1990; Monk, 1990a, 1990b, 1990c, Monk, 1991a, 1991b, 1991c).

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12 Nello stesso periodo iniziarono le sperimentazioni anche su embrioni umani, in collaborazione con Braude e Johnson all‟Università di Cambridge, Monk dosò l‟ attività del gene HPRT nei singoli blastomeri (Braude et al., 1989). Marilyn Monk e Cathy Holding tentarono di creare ulteriori saggi enzimatici per comuni malattie genetiche ereditarie e allo stesso tempo mantenere il loro interesse per i geni X-linked e per la loro regolazione durante il processo di inattivazione del cromosoma X. Uno di questi enzimi corrispondeva all‟adenosina deaminasi, una carenza di tale enzima comportava l‟insorgenza di una grave malattia da immunodeficienza (Benson

& Monk,1988). Allo stesso tempo a Bruxelles sulla stessa linea di ricerca Karen Sermon nella squadra di André Van Steirteghem tentava di valutare la possibilità di diagnosticare la malattia di Tay-Sachs attraverso la misurazione dell‟attività dell'enzima β-N-acetilexosaminidasi (Sermone et al.,1991). I loro studi dimostrarono che il suddetto enzima era metabolicamente attivo nel topo, ma purtroppo non nell'essere umano. Più tardi il medesimo gruppo (Van Blerk et al.1991) riuscì a dimostrare lo stesso per quanto riguarda l‟enzima β-glucuronidasi, enzima lisosomiale carente in pazienti affetti da mucopolisaccaridosi di tipo VII.

Holding e Monk, in collaborazione con Cathy Abbott, focalizzarono le loro attenzioni sulla tecnica di PCR con lo scopo di rendere tale metodica specifica a tal punto da riuscire ad amplificare la quantità di DNA, presente in una sola cellula, sul quale andare a ricercare la presenza di una particolare mutazione responsabile della comparsa della β talassemia (Holding & Monk, 1989). Per poter rendere la reazione di PCR molto più specifica effettuarono due amplificazioni, nella prima utilizzarono primers complementari alle sequenze di DNA di interesse, mentre nella seconda utilizzarono una coppia di nested primers, in grado di legare regioni di DNA più interne rispetto alle prime. Riuscirono ad analizzare infatti il DNA contenuto in ogni blastomero e rilevare la sua presenza tramite una corsa elettroforetica su gel di agarosio.

Nel 1990 sempre Holding e Monk , questa volta in collaborazione con Peter Braude, al Rosie Maternity Unit all‟Addenbrookes Hospital di Cambridge, utilizzando la PCR, dimostrarono che era possibile diagnosticare malattie genetiche anche mediante analisi del globulo polare espulso durante

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13 la meiosi da un ovulo non fecondato, evitando così la sperimentazione su embrioni umani (Monk & Holding, 1990).

1.2.1. I primi casi clinici

Le prime applicazioni cliniche della DGP sono state condotte in Inghilterra alla fine degli anni 80 in pazienti portatrici di malattie genetiche legate al cromosoma X (Handyside et al., 1990).

L‟interesse per le patologie X-linked portò Elena Kontogianni a determinare il sesso cromosomico in una singola cellula tramite amplificazione di una regione ripetuta del cromosoma Y, che consentì il trasferimento selettivo di quelli femminili (sani o eterozigoti) evitando l'impianto di embrioni di sesso maschile, il cui rischio di essere affetto corrispondeva al 50% delle probabilità (Kontogianni et al., 1991).

In particolare fu amplificata una regione del cromosoma Y altamente ripetuta, in quanto comportava meno difficoltà piuttosto che tentare di amplificare una regione poco rappresentativa. Durante questi studi si verificarono diversi inconvenienti, come la presenza di blastomeri anucleati, o reazioni di PCR non avvenute correttamente, ed è proprio a causa di essi che su un totale di 21 cicli effettuati in due serie si verificò un errore di diagnosi. Al fine di ridurre la probabilità di tale rischio Kontogianni proseguì i suoi studi co-amplificando sequenze sui cromosoma X e Y(Kontogianni et al., 1991).

All‟inizio in pazienti sottoposti a fecondazione assistita gli embrioni fecondati in vitro venivano trasferiti esclusivamente al secondo giorno di sviluppo dal momento che con il terreno di coltura utilizzato gli embrioni non andavano oltre questa fase. Ma per poter effettuare la diagnosi genetica preimpianto la biopsia di tali embrioni veniva eseguita al terzo giorno di sviluppo, le risposte delle diagnosi venivano date in un giorno, e di conseguenza il trasferimento veniva effettuato oltre il terzo giorno. Nonostante ciò, facendo un confronto tra trasferimenti di embrioni al secondo giorno e al terzo giorno di sviluppo, videro che ciò non influiva sostanzialmente nella percentuale dei tassi

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14 di gravidanza (Dawson et al., 1995). Il rischio che gli embrioni potessero andare in arresto mitotico era tuttavia talmente alto che alcuni venivano trasferiti alle prime ore del quarto giorno, in modo tale che gli embrioni potessero essere rimossi al più presto dal mezzo di cultura. Inoltre in quel periodo sulla contaminazione delle cellule del cumulo, o la mancata amplificazione del DNA presente in una singola cellula e ancora di più sul fenomeno dell‟allele dropout si sapeva molto poco, ciò implicava sicuramente un maggior rischio di diagnosi errata o che il trasferimento stesso non andasse a buon fine.

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1.3. LA DIAGNOSI GENETICA PREIMPIANTO, APPLICAZIONI E LIMITI

Attualmente la DGP viene presa in considerazione per i seguenti gruppi di pazienti:

Coppie a rischio per patologie autosomiche recessive (es. Fibrosi Cistica, Beta Talassemia, etc.) (Strom et al. 1995, Fiorentno F et al., 2003) identificate tramite tecnica PCR.

Coppie a rischio per patologie autosomiche dominanti ad insorgenza tardiva (es. Corea di Huntington, Alzheimer)

Coppie a rischio per malattie X-linked (es. Distrofia di Duchenne)(Griffin et al., 1992)

Pazienti fenotipicamente normali ma portatori di traslocazioni bilanciate, cioè alterazioni cromosomiche strutturali in cui segmenti cromosomici, più o meno lunghi, cambiano posizione o si dispongono in modo anomalo, che non comportano né perdita né guadagno di materiale genetico (Munné S et al., 1998; Munné S. et al., 2000; Cozzi J.

Et al., 1999; Verlinsky et al., 1995; Harper et al., 1995). Chi è portatore di traslocazioni bilanciate è perfettamente normale, ma un‟alta percentuale dei suoi gameti può presentare gravi sbilanciamenti cromosomici, che o sono causa di aborti precoci o impediscono il concepimento sia naturale che assistito. Queste persone hanno una probabilità inferiore alla media di mettere al mondo figli sani, ma la DGP consente loro di selezionare gli embrioni privi di riarrangiamenti sbilanciati, evitando di conseguenza la nascita di bambini con alterazioni cromosomiche gravi e migliorando l‟outcome riproduttivo di queste coppie. L‟analisi di anomalie cromosomiche strutturali tipiche delle traslocazioni può essere effettuata impiegando la metodica FISH(Geraedts JPM et al., 2008).

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16 Pazienti con poliabortività, nella cui storia riproduttiva si annoverano due o più aborti spontanei non dovuti a cause “meccaniche” quali patologie dell‟utero (fibromi, malformazioni congenite etc.) (Kahraman S.,et al., 2000).

Pazienti infertili o subfertili che si sottopongono a programmi di concepimento assistito (FIVET o ICSI) con scarse possibilità di successo, perché la loro storia riproduttiva ha già dimostrato una difficoltà al concepimento, sia naturale che assistito (Hoffher LJ., 2004);

ad esempio per quanto riguarda quelle coppie in cui la donna ha un‟età superiore ai 37 anni e quindi la qualità degli ovociti è in fase di declino biologico. La DGP viene quindi impiegata con la finalità di migliorare i risultati delle tecniche di IVF, selezionando e trasferendo in utero gli embrioni che all‟analisi genetica risulteranno essere privi di anomalie cromosomiche, responsabili delle basse percentuali di successo delle tecniche di PMA (K. Pagidas et al. 2008, Gianaroli L et al., 1999).

Coppie con un figlio affetto da una malattia genetica curabile mediante trapianto di cellule staminali (es. Beta Talassemia, Anemia falciforme, Anemia Fanconi, etc.), per il quale un trapianto di cellule staminali ematopoietiche da un donatore HLA identico e consanguineo offre un‟alta possibilità di sopravvivenza e un ridotto rischio di rigetto o di complicanze fatali post trapianto. Per tali pazienti, la tipizzazione HLA, associata alla DGP, consente di individuare e trasferire gli embrioni che risulteranno non affetti dalla malattia genetica e HLA compatibili con il figlio malato (Fiorentino et al., 2004, 2005). Alla nascita del bambino, le cellule staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale del nascituro potranno essere isolate e trapiantate nel figlio malato della coppia, per consentire se non la guarigione completa, almeno un miglioramento delle condizioni cliniche. L‟approccio analitico per DGP, infatti, prevede una tipizzazione indiretta (analisi di linkage) mediante l‟impiego di diversi marcatori genetici polimorfici Short Tandem Repeats (STR), localizzati lungo la regione HLA (Human Leucocyte-Antigens). La genotipizzazione di questi markers permette di ottenere il profilo genetico

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17 specifico, per la regione HLA, del bambino affetto della coppia. Tale profilo verrà quindi ricercato anche nelle cellule embrionali; gli embrioni a cui verrà riscontrato il medesimo profilo genetico per la regione HLA del bambino della coppia, saranno diagnosticati come HLA-identici o HLA- compatibili e quindi considerati idonei per il transfer (Mieke Geens et al., 2009).

Coppie portatrici di una mutazione germinale in geni (oncogeni o oncosoppressori), predisponenti allo sviluppo di un tumore specifico (es. tumore alla mammella, melanoma, tumore al colon, retinoblastoma, tumori di Wilms, ecc..), che possono essere trasmesse alla prole. Con l‟ausilio della diagnosi preimpianto è possibile identificare negli embrioni, prima dell‟impianto in utero, o negli ovociti, la presenza di tali mutazioni predisponenti, evitando così il ricorso all‟interruzione di gravidanza a seguito di diagnosi prenatale, la cui accettabilità dal punto di vista etico, per tale genere di rischio genetico, è controversa.

In linea generale, la DGP può essere applicata per tutte quelle patologie genetiche autosomiche dominanti, recessive, legate al cromosoma X (X-linked) e cromosomiche, per le quali é stato identificato il gene responsabile e per le quali è possibile sviluppare protocolli diagnostici specifici. Nel caso di malattie rare, essendo la maggior parte di esse autosomiche recessive, prima di studiare la strategia idonea per eseguire la diagnosi preimpianto devono essere caratterizzati gli eventuali difetti genici e/o cromosomici di entrambi i partners.

Patologie genetiche molto comuni nella popolazione italiana, in cui la DGP trova una valida applicazione comprendono: Beta-Talassemia, Anemia Falciforme, Emofilia A e B, Distrofia Muscolare di Duchenne-Becker, Distrofia Miotonica, Fibrosi Cistica, Atrofia Muscolare Spinale e X-Fragile .

Le prime malattie che sono state diagnosticate utilizzando la tecnica della DGP sono quelle ad esordio precoce e estremamente debilitanti con aspettative di vita breve. Le stesse malattie per le quali la diagnosi prenatale è una procedura di routine. Recentemente c‟è stata la tendenza ad utilizzare la DGP dove la diagnosi prenatale non è normalmente praticata, ad esempio

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18 per quanto riguarda malattie ad insorgenza tardiva, compresa la predisposizione al cancro. La DGP è infatti già stata eseguita per la predisposizione alla poliposi del colon (Aoki et al., 1998), il cancro alla mammella e altri tipi di tumore (Harper et al. 2008a). Può essere quindi una valida alternativa per la diagnosi di quelle malattie non così gravi da dover ricorrere alla PND ma che comunque la coppia non vuole trasmettere al proprio figlio.

Un altro uso controverso della DGP è la tipizzazione HLA. In questi casi la DGP dà la possibilità di ottenere un embrione non affetto dalla malattia monogenica e HLA compatibile (HLA matching) (Fiorentino et al., 2004, 2005) (Verlinsky et al., 2001).

Lo sviluppo delle conoscenze sul genoma umano, l‟identificazione di nuovi geni coinvolti nell‟insorgenza di malattie ereditarie, unitamente all‟avanzamento della tecnologia strumentale, ha notevolmente esteso il campo di applicazione della DGP. E‟ aumentato infatti anno dopo anno il numero di diagnosi eseguite. Inoltre si è registrata una costante evoluzione delle tecniche diagnostiche che ha condotto, da un lato ad un maggiore affinamento delle metodiche, e dall'altro ad un continuo aumento dell‟affidabilità dei risultati ottenuti.

Ad oggi esistono protocolli diagnostici per oltre 120 malattie monogeniche, autosomiche dominanti, recessive o legate al cromosoma X, ed altrettante patologie cromosomiche.

La Diagnosi Genetica Preimpianto è tuttavia una tecnica che presenta ancora non pochi LIMITI :

Rischi connessi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita propri della tecnica stessa e già descritti in paragrafi precedenti (vedi cap.1.5). E‟ stato osservato che in seguito a stimolazione ovarica massimale potrebbe verificarsi una serie di problemi, tra cui la possibilità per molti oociti di produrre un maggior numero di embrioni con anomalie cromosomiche condizionando pesantemente il risultato (Reis Soares S et al., 2003).

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19 Possibili effetti negativi che l‟embrione impiantato potrebbe avere durante il suo sviluppo in seguito a biopsia.

Si ritiene che l‟effetto di danneggiamento dell‟embrione sia quello definito come “tutto o nulla”, se l‟embrione risulta danneggiato in modo irreparabile non prosegue il suo sviluppo, viceversa lo continua senza che ne conseguano evidenti alterazioni.

Il rischio di arrecare danno all‟embrione è stimato intorno all‟1%, una percentuale che ovviamente dipende dalla competenza dell‟operatore che esegue la biopsia (Munné S et al, 1999). Sulla base dei dati pubblicati solo 1/4 degli embrioni biopsiati risulta idoneo al trasferimento in utero (Gianaroli L et al., 1999).

Rischio di fallimento dell’analisi, valutabile in circa 10-15 % per il blastomero (fallimento della PCR e/o della FISH) (Orizzonti FC, 2009).

Probabilità di diagnosi errate e quindi il possibile trasferimento in utero di embrioni malati ritenuti sani (Thornhill AR et al., 2005;

Garagiola I et al., 2003).

Necessità di riscontro attraverso la diagnosi prenatale, la quale risulta di fondamentale importanza non solo a conferma della diagnosi fatta prima che l‟embrione sia impiantato ma per escludere la possibilità di alterazioni cromosomiche avvenute successivamente all‟impianto in utero.

Limiti non tecnici ma legati alla legge 40 non meno determinanti

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1.3.1. Le Diagnosi Errate

La Diagnosi Genetica Preimpianto da un punto di vista tecnico ha un‟attendibilità diagnostica variabile ma sicuramente inferiore rispetto alle procedure tradizionali di diagnosi prenatale. I rischi diagnostici, presenti sia nel caso di analisi tramite FISH che PCR, sono da imputare essenzialmente alle quantità esigue di DNA da esaminare e ai limiti propri di ciascuna tecnica impiegata.

In generale per cercare di diminuire il rischio di una diagnosi errata, quando possibile, dovrebbero essere prelevate due cellule da ogni embrione, entrambe sottoposte ad analisi tramite due metodi di diagnostica differenti, esempio tecnica PCR e tecnica FISH, ed assicurarsi che entrambe concordino nel risultato.

La percentuale di errore diagnostico riportato negli ultimi dati dell‟

ESHRE DGP Consortium corrisponde a circa il 2,2% (Sermon et al., 2007). Tale valore, ovviamente, tiene conto anche degli errori di diagnosi incorsi nei primi anni di applicazione della tecnica. Tuttavia, secondo recenti dati Europei relativi agli anni 2002 e 2003 (Harper et al., 2006; Sermon et al., 2007) non è stato segnalato alcun errore diagnostico. Ciò rende, secondo queste casistiche, l‟errore diagnostico tendenzialmente vicino allo 0%.

Certamente sarebbe importante per poter valutare l‟incidenza effettiva delle diagnosi errate, nel caso della DGP, analizzare i risultati di tutte le diagnosi che sono state eseguite fino ad oggi.

La diagnosi su una singola cellula resta comunque un tipo di diagnosi in cui l‟errore diagnostico, non potendo ripetere una stessa analisi più di una volta, non potrà mai essere eliminato completamente 0(Geraedts JPM et al., 2009).

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1.3.2. Limiti imposti dalla legge 40/2004

Per molte coppie la DGP offre una alternativa più accettabile rispetto alla diagnosi prenatale e all‟interruzione di una gravidanza già avviata, a seguito di esito sfavorevole, tuttavia non solo gli aspetti tecnico-scientifici,ma anche quelli giuridici ed etico-religiosi delle procedure inerenti la DGP sono ancora molto dibattuti.

In Italia la legge 40 del 19 febbraio 2004 regola la materia della Procreazione Medicalmente Assistita.

L‟articolo 1 della legge recita in questo modo: “è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita per favorire la soluzione dei problemi derivanti dalla sterilità o infertilità umana”.

L‟accesso alle tecniche di PMA è quindi consentito solo a coppie infertili e non a quelle portatrici di malattie genetiche ereditarie. Inoltre è limitato a 3 il numero di embrioni da trasferire e soprattutto la diagnosi genetica sarebbe possibile solo nel caso in cui sia rivolta a dare informazioni alla coppia infertile sullo stato di salute degli embrioni, permette quindi la sola analisi di tipo osservazionale e obbliga il trasferimento anche di embrioni diagnosticati come affetti.

In Italia, in seguito a tale promulgazione le procedure di DGP sono state interrotte, dal momento che certi veti hanno reso tali procedure inapplicabili.

Nel corso dell‟ultimo triennio numerosi Tribunali in diverse sedi hanno disposto interventi che consentivano a coppie portatrici di gravi malattie genetiche che avevano presentato ricorso di accedere alle tecniche di DGP e/o di rifiutare l‟impianto di embrioni risultati affetti.

In seguito ad alcune sentenze dei TAR regionali che di fatto consentivano la DGP, nel 2008 è stata apportata una revisione della LG/DM 11.04.2008, la quale ha cancellato la disposizione che permetteva la sola indagine osservazionale dell‟embrione. Nel 2009 altri due interventi della Corte Costituzionale hanno condotto ad un‟ulteriore revisione della legge in seguito alla quale è stato rimosso anche il limite di 3 embrioni.

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22 Oggi la nuova interpretazione della legge prevede che “Le

tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell‟evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall‟articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario”. Inoltre embrioni diagnosticati come non sani inoltre

possono essere crioconservati e non trasferiti, almeno fino al momento in cui si possa effettuare una terapia sugli stessi, a salvaguardia della salute del feto e della madre. Sempre attraverso sentenze e ricorsi le nove disposizioni, oltre a ribadire la liceità della diagnosi preimpianto, riconoscono, per la prima volta alla coppia non sterile, che abbia avuto un figlio affetto da grave malattia genetica, l‟accesso a tale procedura.

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23 Al fine di capire meglio tutti i tipi di implicazioni e problematiche presenti nell’eseguire correttamente la tecnica di Diagnosi Genetica Preimpianto è risultato di fondamentale importanza acquisire quante più informazioni e conoscenze sullo sviluppo embrionale e su tutte le fasi di cui è composto.

1.4. L’ EMBRIOGENESI

In seguito al fenomeno della fecondazione, congiunzione dei due gameti, lo spermatozoo perde la sua corazza periferica con liberazione del pronucleo maschile che si avvicina al pronucleo femminile, entrambi duplicano il proprio corredo di genetico. A questo punto ha inizio la prima fase della mitosi e ha cosi inizio il vero e proprio processo di embriogenesi costituito essenzialmente da tre fasi:

1) SEGMENTAZIONE

2) GASTRULAZIONE

3) ORGANOGENESI

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24 1. LA SEGMENTAZIONE

Nell‟uomo questa fase è di tipo oloblastico rotazionale, l'ovulo fecondato subisce una serie di divisioni mitotiche che portano alla divisione in cellule chiamate blastomeri.

La prima divisione dello zigote avviene a circa 24-30 ore dalla fecondazione, le altre mitosi si succedono con un ritmo più rapido dando origine a cellule più piccole, i suddetti blastomeri. Tale processo al terzo giorno di sviluppo porta alla formazione della morula (stadio di 8-16 blastomeri). In questo stadio i blastomeri si compattano non lasciando fra loro spazi vuoti e creando sulla superficie esterna un rivestimento continuo costituito dalle membrane plasmatiche delle cellule periferiche, le quali sono sensibilmente più piccole rispetto a quelle interne e formano fra loro una rete di giunzioni occludenti, sigillando così la morula. Le cellule interne sono invece unite da giunzioni comunicanti. Sulle zone in contatto con l‟esterno delle membrane plasmatiche si formano inoltre microvilli. Allo stadio di morula tutte le cellule sono ancora cellule staminali totipotenti, cioè indifferenziate e in grado di originare tutti i tessuti embrionali ed extra- embrionali. La morula è ancora circondata dalla zona pellucida (figura 1).

Figura 1 Morula (da: www.lookfordiagnosis.com)

(20)

25 Avvengono poi anche cambiamenti metabolici: c‟è un marcato aumento 3della sintesi di RNA e proteine e cambiamenti nella composizione delle membrane. Lo stadio successivo è quello di blastocisti (figura 2).

Figura 2 Blastocisti (da: www.lookfordiagnosis.com)

A 5 giorni dalla fecondazione, all'interno della morula, si forma una cavità, il blastocele, circondata da un uniforme strato sottile di cellule chiamato trofoblasto. Oltre a questi due elementi, si forma la massa cellulare interna (CIM), o embrioblasto, un ammasso di cellule localizzato ad un polo della blastocisti, che caratterizzerà il "polo embrionale". La massa cellulare interna darà origine a tutte le strutture embrionali, invece il trofoblasto andrà a costituire le strutture extraembrionali, placenta e strutture a essa correlate. Questi tre elementi costituiscono appunto la blastocisti (figura 3).

Figura 3 Segmentazione

(21)

26 A 6-7 giorni dalla fecondazione vi è l'impianto della blastocisti nell'endometrio. L'adesione avviene tramite il "polo embrionale", dal quale dipartono delle estroflessioni radicali che si insinueranno tra le cellule epiteliali dell'endometrio. La forma della blastocisti si appiattisce, per aumentare la superficie di adesione.

Tra il 7° e 10° giorno dalla fecondazione il trofoblasto si differenzia in citotrofoblasto, costituito da cellule ben distinguibili tra loro, e in sinciziotrofoblasto (per ora solo nella zona del "polo embrionale"), un sincizio caratterizzato da un continuum citoplasmatico e nuclei sparsi. Ad 11 giorni dalla fecondazione, l'impianto è completo ed anche a livello del polo embrionale il trofoblasto è distinto in citotrofoblato internamente e sinciziotrofoblasto esternamente.

Durante questa fase il feto è soggetto al fenomeno del mosaicismo che può avvenire in un momento qualsiasi della divisione e comporta la presenza di differenti linee cellulari, in cui le cellule che presentano anomalie geniche e/o cromosomiche avranno un tasso di incidenza maggiore quanto più il fenomeno del mosaicismo sarà avvenuto precocemente. Da ciò deriva ovviamente un grosso limite per la Diagnosi Genetica Preimpianto (Munné S et al, 2003).

(22)

27 2. LA GASTRULAZIONE

Inizia quindi la fase di gastrulazione che consiste in movimenti morfogenetici e di differenziamento utili alla sistemazione dei foglietti embrionali primari (ectoderma, endoderma) e di quello secondario (mesoderma). Un gruppo di cellule migra verso l‟interno formando un‟invaginazione che va a costituire l‟intestino dell‟embrione: archenteron.

L'embrione non si accresce e in conseguenza di ciò il materiale genetico non varia molto (figura 4).

Figura 4 Fasi della gastrulazione

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28 3. L’ORGANOGENESI

L'organogenesi è il meccanismo di costruzione e crescita delle varie parti dell'embrione che rispetta parametri quantitativi e qualitativi tali da far riconoscere un individuo come appartenente a una determinata specie. Si può iniziare a parlare di organogenesi quando l'embrione ha raggiunto lo stadio di gastrula.

Da ogni foglietto della gastrula si formano specifici organi.

Ectoderma: Epidermide e suoi derivati (organi pilo-sebacei, ghiandole sudoripare, unghie e squame), rivestimento di bocca e ano, recettori sensoriali dell'epidermide, cornea e cristallino sistema nervoso, midollare della ghiandola surrenale, smalto dentale, epitelio delle ghiandole epifisi ed ipofisi.

Endoderma: Epitelio del canale digerente (tranne quello orale e rettale), epitelio dell'apparato respiratorio, fegato, pancreas, tiroide, paratiroidi, timo, epitelio dell'uretra, vescica urinaria, apparato riproduttore.

Mesoderma: Corda dorsale, apparato scheletrico, apparato muscolare, apparato circolatorio e linfatico, apparato escretore, apparato riproduttore (ad eccezione delle cellule germinali che iniziano il differenziamento durante la segmentazione), derma, rivestimenti delle cavità corporee, corteccia delle ghiandole surrenali.

(Barbieri M, Carinci P, Embriologia,CEA Milano,1997,(nuova edizione 2009);

Scott F. Gilbert. Developmental Biology. Sinauer, 2003; Larsen William J.

Embriologia umana, Idelson-Gnocchi, 2002; De Felici, Boitani, Bouchè, Canipari, Dolfi, Filippini, Musarò, Papaccio, Salustri. Embriologia Umana, Piccin, 2009).

(24)

29 Il trattamento di Procreazione Medicalmente Assistita rappresenta il primo passo per tutte quelle coppie infertili che desiderano sottoporsi Diagnosi Genetica Preimpianto.

1.5. LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Con il termine procreazione medicalmente assistita (PMA) ci si riferisce a tutte le metodiche che permettono di aiutare gli individui a procreare, siano esse chirurgiche, ormonali, farmacologiche o di altro tipo.

Comprende tutte le metodiche di Primo (inseminazione intrauterina), di Secondo (FIVET e ICSI) e di Terzo livello (metodiche che richiedono il prelievo chirurgico degli spermatozoi).

1.5.1. La Fivet

La Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer è una tecnica di procreazione assistita che consiste nella fecondazione in vitro dell'ovulo con successivo trasferimento dell‟embrione così formato nell‟utero della donna (figura 5).

Figura 5 FIVET (da : www.fertilita.org)

(25)

30 Il protocollo adottato per questo tipo di tecnica si divide nelle seguenti fasi:

Alla donna vengono somministrati per via intramuscolare o sottocutanea dei farmaci (gonadotropine) finalizzati all'iperovulazione, cioè allo sviluppo di più follicoli e quindi di un numero maggiore di cellule uovo (nel ciclo spontaneo ne viene prodotta di solito una sola), di modo che possa essere prelevato un numero maggiore di ovociti (Scott RT., 1989). La paziente viene sottoposta ad un monitoraggio teso a individuare il momento adatto a condurre a maturazione gli ovociti (ad esempio con la somministrazione di gonadotropine corioniche). Si procede quindi all'aspirazione ecoguidata dei follicoli, al fine di recuperare gli ovociti maturati.

Il liquido follicolare viene esaminato in laboratorio e ne vengono recuperati gli ovociti ritenuti idonei alla fecondazione in base alla sola osservazione morfologica degli stessi, eseguita al microscopio.

I gameti, cioè il seme maschile e l‟ovocita della donna, vengono collocati insieme in un apposito recipiente affinché uno spermatozoo penetri nell‟ovocita.

L‟embrione così formatosi viene trasferito in utero per via vaginale, normalmente entro 72 ore (“Le tecniche di procreazione medicalmente assistita” di Giuseppe D‟Amato).

Le percentuali di successo di questa metodica sono, pertanto, estremamente variabili.

Per aumentare le percentuali di successo viene utilizzato il metodo di trasferire nell‟utero un numero multiplo di embrioni valutato di caso in caso in modo da raggiungere un compromesso tra le probabilità di successo e il rischio di gravidanze plurigemellari;

(26)

31 generalmente vengono trasferiti, ove siano disponibili, non più di tre embrioni.

Possibili rischi appartenenti a questo tipo di tecnica (Handyside AH et all., 1992) consistono nella possibilità di:

Sviluppo di differenti patologie, come la Sindrome da

Iperstimolazione Ovarica, una complicanza dei trattamenti di induzione dell‟ovulazione con gonadotropine (FSH e/o HMG) caratterizzata da una formazione massiva di corpi lutei e la conseguente attivazione di una serie complessa di eventi che portano alle manifestazioni cliniche tipiche della Sindrome;

oppure lo sviluppo di neoplasie come conseguenza ad un‟assunzione prolungata di farmaci (Chang et al., 1998;

Fratarelli et al., 2000).

Sviluppo di gravidanze multiple gemellari e trigemine, con una probabilità rispettivamente del 22% e del 4%,per le quali è presente una maggiore possibilità di complicanze durane la gravidanza e alla nascita del feto (Berlingieri. Ginecologia e ostetricia).

Rischi chirurgici durante il prelievo degli ovociti, come la possibilità,se pur rara (1/5000) di un‟infezione o di una complicanza operatoria.

Rischi genetici per il nascituro, sebbene emerga dagli ultimi studi effettuati che la percentuale delle malformazioni congenite o delle aberrazioni cromosomiche non sono significativamente differenti da quelle osservate nella popolazione generale. Il rischio genetico aumenta comunque parallelamente all‟aumentare dell‟età della donna, in caso di alterazioni cromosomiche o geniche dei due partner o in caso

(27)

32 di malattie multifattoriali presenti nei genitori (Berlingieri.

Ginecologia e ostetricia).

1.5.2. La Icsi

L'ICSI ovvero l‟Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo è una tecnica di PMA che consiste nella microiniezione di un singolo spermatozoo, o di un suo precursore, direttamente nel citoplasma ovocitario. Simile per procedimento alla FIVET, ma con la sostanziale differenza che nel caso dell'ICSI si superano gli ostacoli della fecondazione dell'ovocita. Infatti, mentre nella FIVET l'ovocita viene messo a contatto con gli spermatozoi, di cui uno penetra spontaneamente nell'ovocita, nella ICSI lo spermatozoo è micro- iniettato, sotto guida microscopica all'interno dell'ovocita mediante un micromanipolatore (figura 6).

Figura 6 ICSI (da : Preimplantation Genetic Diagnosis. Second Edition Edited by Joyce C.Harper)

Grazie a tale tecnica anche gravi condizioni di infertilità risultano essere trattabili, anche quei casi in cui il numero e la motilità degli spermatozoi risultano a livelli minimali. Purtroppo però questo tipo di tecnica non è esente da rischi. In molti studi è stato visto infatti che l‟utilizzo di questa tecnica potrebbe causare l‟aumento dell'incidenza di malformazioni al momento della nascita, come difetti cardiovascolari, urogenitali (come ipogonadismo) muscolo scheletrici.

(28)

33 Ciò è dovuto al fatto che il prelievo degli spermatozoi viene eseguito nel momento in cui essi non sono ancora completamente maturi, come quelli prelevati dal testicolo e dall'epididimo (TESA e PESA),i quali potrebbero avere una incompleta inattivazione di geni atipici. Inoltre viene fatto un prelievo casuale dello spermatozoo che deve essere iniettato nell'ovocita, eliminando il normale processo fisiologico di selezione dei gameti portatori di mutazioni genetiche. E‟

infatti noto già da alcuni anni (De Rycke et al, 2002) che questa procedura può causare alterazioni epigenetiche (disordini dell‟imprinting genomico). Nel 2003 sono stati pubblicati tre studi, uno britannico, uno statunitense e uno francese che evidenziano una maggior frequenza di casi di sindrome di Beckwith-Wiedemann (macrosomia e malformazioni della parete addominale) dovuti ad alterazione epigenetica (rivisti da Gosden et al, 2003). Lo stesso meccanismo è stato individuato come causa di sindrome di Angelman (gravi alterazioni neurologiche) in alcuni bambini concepiti con ICSI (Gosden et al, 2003). Inoltre è stato visto che alcune forme di alterazione epigenetica possono favorire la crescita dei tumori, attivando oncogeni o bloccando geni onco-soppressori (Bjornsson et al, 2004; Feinberg, 2004). Tuttavia le alterazioni epigenetiche che sembrerebbero associate alle tecniche di PMA sono patologie molto rare che difficilmente emergono dalle casistiche anche perché molte di esse, in grado di causare un maggior rischio di alterato sviluppo e/o di neoplasie (ad es. il cancro del colon; Feinberg, 2004), potrebbero rivelarsi in tempi più lunghi rispetto a quelle già sospettate (Lucifero et al, 2004; Devroey e Van Steirteghem, 2004; Niemitz e Feinberg, 2004). I dati sinora disponibili non permettono di escludere tale eventualità anche se, fortunatamente, i bambini seguiti per alcuni anni dopo la nascita non sembrano mostrare una maggior incidenza di tumori attribuibili ad alterazioni epigenetiche (Bradbury e Jick, 2004;

Lidegaard et al, 2005).

(29)

34 Una volta ottenuti degli embrioni in vitro vitali e morfologicamente sani all’osservazione microscopica su di essi deve essere eseguita la biopsia al fine di prelevare uno o due blastomeri.

1.6. PRELIEVO CELLULE

Le cellule da sottoporre ad analisi genetica possono essere ottenute sia dall‟ovocita, attraverso il prelievo dei globuli polari (PB), che

dall‟embrione, mediante l‟analisi dei blastomeri allo stadio di segmentazione o di blastocisti.

Dalla biopsia sono dapprima esclusi gli embrioni definiti di bassa qualità biologica, vale a dire quelli che alla valutazione osservazionale in microscopia ottica, presentano alterazioni dei blastomeri, come ad esempio la presenza di più nuclei, e considerati quindi incapaci di evolvere ed

annidarsi (Thornhill AR et al., 2005).

La biopsia dell‟embrione (detta anche diagnosi pre-impianto o DPI) è effettuata di preferenza su embrioni composti da otto cellule, condizione raggiunta normalmente a partire dal terzo giorno (Van De Velde H et all., 2000). Una o due di queste cellule, possono essere rimosse con scarsi rischi relativi al possibile sviluppo futuro dell'embrione (Hardy K et all., 1990). La metodica è molto simile a quella di prelievo dei globuli polari, ma è leggermente più rischiosa in quanto c'è la possibilità di danneggiare le cellule vicine a quella rimossa.

Il prelievo può essere eseguito tramite tre metodi:

Metodo Chimico Metodo meccanico Metodo tramite laser

(30)

35 Tramite il metodo meccanico viene effettuata un‟incisione o un

piccolo foro a livello dello strato più esterno della zona pellucida con l‟utilizzo di un coltello microchirurgico o una particolare punta di vetro (Selva, 2000;

Cieslak et al.,1999).

Il metodo chimico è quello più utilizzato (Harper et al., 2008), consiste invece nell‟impiego di una soluzione acida, generalmente acido tiroideo in grado di digerire una porzione della zona pellucida (C. Staessen et al., 1996).

Oggi, nei centri più all‟avanguardia, la perforazione della zona pellucida viene effettuata, non più utilizzando acido tiroideo, ma mediante l’azione di un raggio laser. Dopo aver digerito parzialmente lo strato più esterno dell‟embrione i tre metodi proseguono nel medesimo modo aspirando mediante una micro pipetta di vetro una o due cellule, che vengono poi rilasciati nel terreno di coltura, e nel frattempo mantenendo l‟embrione fermo tramite una pipetta holding(figura 7).

I blastomeri così ottenuti vengono, quindi, sottoposti ad analisi citogenetica o molecolare. Se la tecnica è eseguita correttamente non vi sono rischi per l‟embrione, come dimostrato da diversi studi eseguiti sugli animali e sull‟uomo (Boada et al., 1998).

Figura 7 Prelievo blastomero (da: Preimplantation Genetic Diagnosis. Second Edition Edited by Joyce C.Harper)

I rischi per l‟embrione biopsato mediante l‟uso di un laser sono simili ai rischi propri del metodo chimico o meccanico. Essi consistono nella

possibilità di danneggiare e/o distruggere completamente l‟embrione.

Tuttavia l‟impiego del laser incide notevolmente sulla velocità della metodica,

(31)

36 e la precisione di essa. Inoltre esso permette un distacco rapido, semplice ed efficace delle cellule dall‟embrione evitando di ricorrere all‟acidificazione del mezzo e quindi manipolando l‟embrione stesso in maniera meno drastica rispetto agli altri due metodi (Phophong et al., 2001; Joris et al., 2003; Chang et al., 2004; Chatzimeletiou et al., 2005; Jones et al., 2006).

1.6.1. Biopsia dell’embrione allo stadio di morula

Verso la fine degli anni „80 molti gruppi hanno sperimentato tecniche al fine di prelevare in maniera il meno possibile invasiva uno o più blastomeri dall‟embrione oggetto di studio. Il gruppo di Hammersmith di Londra guidato da Handyside e Winston e quello di Jacques Cohen a New York lavoravano principalmente sulle varie fasi di biopsia dell‟embrione mentre il gruppo Verlinksy a Chicago sul prelievo del globulo polare.

Alan Handyside, con l'aiuto di Kate Hardy, eseguì le tecniche di biopsia generalmente utilizzate per embrioni murini su quelli umani mediante l‟uso di acido tiroideo, capace di creare un foro nella zona e aspirando una o due cellule da embrioni allo stadio di otto; questo consentì ad embrioni a tre giorni di sviluppo di continuare a crescere normalmente. Gli embrioni di controllo (32) e quelli che avevano subito biopsia (45 embrioni) sono quindi stati trattati tramite colorazione differenziale e misurato l'assorbimento di piruvato e glucosio in modo tale da contare il numero di cellule del trofoectoderma e cellule della massa interna così da verificare che le tecnica di prelevamento dei blastomeri non avesse influito negativamente sul normale sviluppo della blastocisti (Hardy et al., 1990). Dal momento che questo studio mostrò scarsi effetti sul tasso di sviluppo della massa cellulare interna e del trofoectoderma, o sul metabolismo embrionale, dette il via libera alle sperimentazione su materiale umano.

Oggi è utilizzata la stessa tecnica di biopsia dell‟embrione al terzo giorno di sviluppo (Harper et al., 2008), il prelievo eseguito allo stadio di 2 o 4 cellule e‟ stato abbandonato, perché la riduzione della massa totale dell‟embrione in modo così drastico ne comprometteva lo

(32)

37 sviluppo successivo (Tarin et al., 1992). Il terzo giorno dopo la fecondazione, infatti l‟embrione e‟ solitamente allo stadio di 4 – 8 cellule,in questa fase le cellule sono totipotenti, non compattate e quindi facilmente prelevabili.

1.6.2. Biopsia dell’embrione allo stadio di blastocisti

La blastocisti che si forma a partire dal sesto giorno dopo la fertilizzazione contiene da 100 a 300 cellule e oltre. Il prelievo di cellule in questa fase e‟ potenzialmente molto utile alla diagnostica, in quanto e‟ possibile prelevare un discreto numero di cellule senza creare problemi allo sviluppo successivo dell‟embrione (Van den Abbeel E. et al., 1997). Gli embrioni a tale stadio infatti oltre che essere sicuramente più vitali sono costituiti da un gran numero di cellule, molte delle quali andranno a formare la placenta, tali cellule del trofoectoderma possono essere quindi rimosse in sostituzione a quelle che andranno a costituire l‟embrione stesso (Dokras A. et al., 1998). Ciò può comportare ovviamente indiscussi vantaggi sia biologici che etici.

La biopsia della Blastocisti biopsia ha riscontrato tuttavia solo recenti successi nella pratica clinica (de Boer et al.,2004; Kokkali et al., 2005; McArthur et al., 2005; McArthur et al.2008) e solo se effettuata mediante l‟uso di un laser (Veiga et al., 1997).

La biopsia viene effettuata praticando un foro, con la tecnica precedentemente descritta, ed aspirando le cellule (circa 10 o 20) con una pipetta da biopsia o provocando una erniazione delle cellule del trofoectoderma all‟esterno, le quali vengono successivamente separate sempre mediante l‟uso del laser. Esistono tuttavia pochissimi dati sulle analisi da blastocisti e, sebbene siano state riportate nascite dopo biopsia allo stadio di blastocisti, attualmente la procedura e‟ da ritenersi sperimentale.

Il rischio più ricorrente verificatosi in questo tipo di prelievo consiste nel fatto che una elevata percentuale di embrioni allo stadio di blastocisti non riesce ad impiantarsi nell‟utero (Dokras A. et al., 1998).

(33)

38

1.7. L’IBRIDAZIONE IN SITU FLUORESCENTE (FISH)

L‟analisi del cariotipo si avvaleva, fino a qualche anno fa, esclusivamente dell‟evidenziazione di caratteristici bandeggi sui cromosomi dopo colorazione con intercalanti fluorescenti del DNA.

Queste metodiche, però, oltre a richiedere l‟impiego di cellule in grado di riprodursi al fine di ottenere cromosomi in metafase, presentavano una risoluzione piuttosto bassa: non potevano, quindi, essere visualizzate piccole alterazioni cromosomiche, quali microdelezioni o microriarrangiamenti.

Recentemente, con lo sviluppo della citogenetica molecolare, si sono rese disponibili nuove tecniche per lo studio dei cromosomi applicabili sia a nuclei in interfase che a metafasi e che consentono un‟analisi più fine della struttura cromosomica in tempi decisamente ristretti (Arturo Anguiano, 2000).

Nell‟ambito della citogenetica molecolare, l‟ibridazione in situ fluorescente (FISH) è la metodica che si presta al maggior numero di applicazioni ed è diventata uno strumento di indagine essenziale in molti campi della ricerca di base e della medicina quali la pediatria, l‟ostetricia, l‟oncologia e la genetica clinica, nonché la Diagnosi Genetica Preimpianto tramite l‟analisi dei nuclei interfasici.

Essa permette di individuare anomalie cromosomiche:

di tipo numerico (aneuploidie) la cui frequenza aumenta con

l‟aumentare dell‟età materna e, secondo studi recenti, negli embrioni concepiti in vitro, in particolare con la tecnica ICSI (Bonduelle M, 2005)

di tipo strutturale (trisomie, traslocazioni sbilanciate, delezioni) (Munné S et al., 1998; Cohen J. 1998). Per quanto riguarda la ricerca di sbilanciamenti cromosomici vengono utilizzate sonde specifiche per ciascuna traslocazione parentale presente nella coppia in studio, che quindi deve anch‟essa essere sottoposta ad analisi, come per le malattie monogeniche.

(34)

39 Prevede differenti fasi:

1. Denaturazione del DNA tramite il raggiungimento di una temperatura generalmente di 75°C±1

2. Ibridazione della sonda alla regione del DNA a cui è specifica tramite un‟incubazione a 37°C

3. Lavaggi del vetrino al fine di eliminare la sonda legata in modo aspecifico

4. Rivelazione tramite microscopia a fluorescenza

La prima ibridazione in situ degli acidi nucleici è stata eseguita da Gall e Pardue (Gall JG, Pardue ML, 1969) su preparati citologici. La preparazione di cromosomi sparsi su un vetrino tramite la lisi del nucleo metafisico ha fornito un supporto solido per tentare l‟ibridazione radioattiva in situ. Anche se la tecnica radioattiva è stata preziosa per dimostrare i principi dell‟ibridazione in situ, si è dimostrata poco pratica e di lunga esecuzione.

Da allora, la graduale acquisizione di nuove tecniche di genetica molecolare, una migliore comprensione della struttura dei cromosomi e lo sviluppo di sensibili molecole reporter fluorescenti, hanno creato le condizioni per lo sviluppo della FISH (Rudkin GT, Stollar BD,1967; Pinkel D, Straume T, Gray JW, 1986). Questo approccio ha consentito di evitare con successo le difficoltà tecniche legate all‟utilizzo delle sonde radioattive, facendo sì che oggi la FISH sia la metodica di elezione per molti dosaggi di ibridazione in situ.

Le sonde fluorescenti sono molecole di DNA che legano in modo estremamente selettivo una specifica regione cromosomica, la visualizzazione alla microscopia a fluorescenza del segnale indica la presenza di tale frammento nel corredo cromosomico della cellula. La mancanza di specificità della sonda causa delle ibridazioni crociate ed aumenta il background, perciò essa deve avere una sensibilità analitica sufficiente per la rivelazione del segnale di fluorescenza.

Le sonde utilizzate a scopo clinico devono attraversare un processo di studio e di validazione appropriato, e devono essere adottate misure adatte a garantire la certezza ed il controllo della qualità.

(35)

40 I principali tipi di sonda sono:

Alfoidi: specifiche per le regioni centromeriche Painting: specifiche per un intero cromosoma

Subtelomeriche: specifiche per un intero braccio cromosomico o per regioni più o meno estese di esso

Locus-specifiche: specifiche per regioni cromosomiche di piccole dimensioni

L‟avvento della FISH su cellule amniotiche in coltura (Klinger K, Landes G et al., 1992) offre la possibilità di rivelare rapidamente le anomalie numeriche più comuni (che coinvolgono i cromosomi X, Y, 13, 14, 18 e 21), ed i risultati sono tipicamente disponibili entro 24-48 ore. La sensibilità analitica, l‟efficienza di ibridazione e la potenziale contaminazione con cellule materne sono state identificate come fonte di potenziali problemi (Bryndorf T, Christensen B et al., 1997). Per questi motivi, la metodica di FISH su cellule amniotiche non coltivate è considerata un supporto agli studi di citogenetica convenzionale. L‟American College of Medical Genetics (ACMG) ha indicato che non dovrebbero essere prese delle decisioni mediche sulla base della sola FISH .

Nella genetica preimpianto, la FISH consente di ottenere informazioni sulla costituzione genetica delle biopsie del primo e del secondo globulo polare, del blastomero, della blastocisti e dei pre-embrioni (Laverge H et al. , 1999). Le sonde che si utilizzano sono sonde subtelomeriche, che si vanno a legare alle regioni terminali dei cromosomi coinvolti nella traslocazione, sonde centromeriche per controllo di una corretta ibridazione o sonde locus specifiche. Le informazioni che si possono ottenere con questo tipo di analisi riguardano esclusivamente la presenza o meno di uno sbilanciamento cromosomico, e non se l‟embrione e‟ portatore di una traslocazione bilanciata, come il genitore (Geraedts JPM et al., 2009).

(36)

41

1.7.1. I limiti della tecnica FISH e rischio di errore diagnostico

Il margine di errore della tecnica FISH e‟ sicuramente un problema rilevante. Infatti, anche in mani esperte, in taluni casi le percentuali di errore dovute a falsi positivi, falsi negativi posso raggiungere valori relativamente alti (7/10%)(Thornhill AR. et al., 2005;

Lewis CM, 2001).

Tali errori possono essere dovuti a colorazione di fondo, sovrapposizione dei segnali di ibridazione, segnali diffusi, segnali cosiddetti “splittati”, perdita del nucleo, o parte di esso, durante il fissaggio (Staessen et al., 1999). Essi possono comportare non solo l‟assenza della sonda all‟interno del nucleo e quindi il fallimento della tecnica FISH, ma anche una difficoltosa lettura del vetrino causata da ibridazioni aspecifiche, presenza di materiale proteico proveniente dal terreno di coltura, colorazione di fondo che possono condurre a una diagnosi erronea (Harper et al., 1994)

Inoltre, bisogna tener conto del problema del mosaicismo, a causa del quale è possibile che cellule provenienti dallo stesso embrione presentino un differente cariotipo (Munné S. et al, 2003) . In pratica può accadere che la cellula analizzata mediante DGP risulti normale all‟analisi citogenetica, mentre altre cellule dello stesso embrione presentino invece alterazioni cromosomiche, o viceversa (Fauzdar et al. 2008). Tale fenomeno negli embrioni è relativamente frequente e può condurre ad errori di diagnosi. Ovviamente, come già detto precedentemente, quanto prima sarà avvenuto il fenomeno del mosaicismo nell‟embrione portando alla nascita di nuova linea cellulare anomala, tanto maggiore sarà la probabilità di prelevare una cellula con alterazioni cromosomiche. Al contrario per embrioni in cui il fenomeno è avvenuto in uno stadio già avanzato del loro sviluppo, ad esempio allo stadio di blastocisti, la probabilità di prelevare da esso cellule con cariotipo alterato sarà nettamente inferiore (Munnè et al., 1998). Questo inciderà ovviamente sul tipo di risultato ottenuto, che sarà un falso positivo o un falso negativo a seconda del tipo di cellula prelevata.

(37)

42 E‟ possibile inoltre che il mosaicismo sia confinato alle sole cellule del trofoectoderma senza coinvolgere le cellule embrionali. La spiegazione di questa alta discordanza tra cariotipo placentare e fetale si trova nella derivazione embriologica ed in particolare nella differenziazione degli annessi e dei tessuti del feto. Frequenti mutazioni dovute a nondisgiunzione mitotica o “lagging” anafasico possono verificarsi in momenti differenti, precocemente o tardivamente, nel corso dell‟embriogenesi e quindi interessare o no il feto e/o gli annessi (Crane e Cheung, 1988).

Figura 8 Colonizzazione tissutale in relazione all'epoca embrionale di insorgenza del mosaicismo nell'unità feto-placentare (Crane e Cheung, 1988)

I mosaicismi limitati al trofoblasto non devono tuttavia essere sottovalutati dal momento che è stato riscontrato in questi casi un maggiore rischio di abortività spontanea e ritardo di crescita fetale (Coonen et al., 1994).

Occorre inoltre tenere presente che con questa tecnica vengono analizzate una o due cellule in una fase dove le modificazioni embrionali sono moltissime. Questo comporta ad esempio che cellule con alterazioni cromosomiche siano maggiormente eliminate e sostituite da cellule con un corretto corredo cromosomico. In questo caso un embrione con diagnosi di anomalia cromosomica potrebbe risultare un falso positivo ed essere eliminato inutilmente.

(38)

43 Pertanto la coppia deve essere preventivamente informata dei limiti tecnici della procedura, consigliando la conferma dei risultati della diagnosi mediante tecniche convenzionali di diagnosi prenatale (Shenfield F et al., 2003).

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