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Parte prima: Quadro di riferimento.

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Academic year: 2021

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PARTE PRIMA: QUADRO DI RIFERIMENTO.

1.1 Lo sviluppo urbano e l’importanza dell’ubicazione degli Enti Pubblici nelle città.

Le città non sono solamente un insieme di case: sono la casa della società, della comunità. Nate come luogo di difesa e scambio, si sono poi adattate morfologicamente alle attività sociali, politiche, religiose dei popoli che le abitano.

Le città sono sempre state soggette a metamorfosi per adattarsi ai cambiamenti degli stili di vita dei propri abitanti. Queste mutazioni avvengono ancora oggi, come è naturale che sia, e coinvolgono sia i nuclei storici sia le periferie più giovani. Molteplici sono le cause che impongono l’evoluzione dei centri urbani: le attività lavorative, la mobilità, lo stile di vita. All’interno delle città, hanno sempre avuto un ruolo “da protagonista” gli edifici che ospitano i principali enti pubblici e politici. Essi hanno sempre rappresentato un punto di riferimento per la popolazione. La loro architettura è spesso un elemento caratterizzante del territorio tanto da divenire frequentemente elemento identificativo della città stessa. Le attività che si svolgono al loro interno sono il fulcro di un variegato intreccio di relazioni sociali e lavorative.

Ancora oggi le istituzioni pubbliche mantengono questo ruolo rappresentativo e vitalizzante per la città. Se nel recente passato c’è stato un allontanamento dei cittadini da questi luoghi, perché percepiti come grandi “cattedrali della burocrazia”, attualmente la voglia di partecipazione della società civile alla vita pubblica ha permesso un nuovo avvicinamento dei cittadini alle istituzioni.

Anch’esse, e in particolare le Amministrazioni Pubbliche, stanno cambiando il loro aspetto. Per effetto dell’aumento delle loro competenze e del mutato assetto politico che le spinge a fornire sempre maggiori servizi al cittadino. In molte città italiane nasce quindi l’esigenza di trovare sedi più adeguate a queste istituzioni. La loro localizzazione classica è il centro storico, visto spesso come il nucleo della vita amministrativa delle città. La ricerca di spazi più ampi, di una diversa visibilità sul territorio, le difficoltà della mobilità spingono tuttavia verso lo spostamento delle sedi di tali enti nelle periferie.

La prospettiva di inserirsi in zone più estese e più facilmente raggiungibili sono elementi sicuramente attrattivi per un trasloco dal centro alla periferia. Negli ultimi anni si è infatti

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assistito allo spostamento di molte attività del terziario dai centri storici ai quartieri periferici, perché più competitivi in termini di accesso, spazi e costi. Anche gli enti pubblici, spinti dalle medesime motivazioni, sono quindi portati a cercare una nuova sistemazione, maggiormente periferica, per poter gestire al meglio i loro compiti e per sanare la difficoltà di raggiungimento e le deficienze di spazi. Se questa impostazione può essere condivisa per le attività che devono confrontarsi in una logica di mercato e quindi vedono nelle periferie meno costi e più prospettive di crescita e di guadagno, lo stesso ragionamento non può essere fatto per gli enti pubblici che, in virtù della loro natura, non subiscono la concorrenza di altri soggetti e quindi possono risiedere in zone con maggiori difficoltà di spazi e di mobilità. L’allontanamento di strutture pubbliche dalle loro ubicazioni storiche centrali rischia di andare ad incrementare quello che molti urbanisti chiamano “la crisi delle città”, un fenomeno complesso dovuto all’incapacità di adattare l’evoluzione urbanistica al variare delle caratteristiche della società negli ultimi sessant’anni.

Dal dopoguerra ad oggi in Italia è avvenuta una rapida crescita sociale, culturale ed economica dovuta principalmente al miglioramento dell’economia. Lo sviluppo urbanistico, però, non è stato in grado di mantenere tali ritmi di crescita. I soggetti interessati alla pianificazione urbana – tecnici urbanisti e politici – spesso non hanno saputo cogliere i principali elementi di mutazione delle esigenze della popolazione per le quali pianificare lo sviluppo urbano, in primis il fenomeno della motorizzazione di massa.

Dal ’45 ad oggi l’Italia si è trasformata da nazione fatta principalmente di campagne e paesi in nazione di città.

Tale evoluzione urbana è stata caratterizzata da tutta una serie di errori di pianificazione e di conseguente realizzazione. In particolare non si è saputo o voluto rendersi conto dell’importanza dell’automobile nell’attuale assetto della mobilità, con conseguente carenza nelle città degli adeguati spazi che il traffico automobilistico richiede per le strade, le intersezioni e, in particolare, i parcheggi. Sono proprio le difficoltà di accesso e di sosta i principali motivi che inducono i cittadini a lasciare le città per spostarsi in zone fortemente periferiche.

Nel dopoguerra, la prima fase dell’urbanistica italiana è stata dettata dalla ricostruzione: i bombardamenti hanno decimato gran parte delle città e una ricostruzione rapida, voluminosa, mal pianificata e finalizzata principalmente alla quantità piuttosto che alla qualità e al riassetto urbano appariva come un rimedio alle ferite territoriali e morali che la guerra aveva causato. Non di meglio venne fatto negli anni a seguire quando, pur preso atto del “boom” della motorizzazione di massa e delle conseguenze che questa comporta per l’organizzazione

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territoriale, si continuò a puntare su uno sviluppo carente di adeguati spazi per la collettività, i servizi, le infrastrutture.

L’accesso alla proprietà è stata troppo spesso sostenuta artificiosamente dallo Stato. Ciò ha originato uno sviluppo urbanistico basato sulla quantità piuttosto che sulla qualità, al contrario di quanto accadeva nel resto d’Europa dove l’acquisto della casa era più aderente alle logiche di mercato, avveniva in tempi brevi e con una certa gradualità, permettendo maggiori controlli, minori volumi edificati, più infrastrutture, spazi pubblici, sviluppo dei trasporti pubblici, servizi.

In questo contesto tecnico-storico è facile intuire come mai si cerchi di spostare in periferia molte sedi di istituzioni pubbliche. E’ però ancora da capire se la perdita di importanti nuclei vitali non rischi di impoverire ulteriormente i centri storici, gia colpiti dagli errori di pianificazione degl’ultimi sessant’anni.

Il comune di Pisa da alcuni anni sta portando avanti una politica di decentramento delle attività pubbliche e amministrative dal centro storico alle periferie giustificata principalmente dalla difficoltà di mobilità e di sosta all’interno della città storica, ed anche dall’assenza di spazi confacenti alle stesse attività.

Questo tipo di impostazione rischia di andare a svuotare il centro di quella linfa vitale che lo mantiene attivo, di vederlo svuotarsi sempre più di attività pubbliche e private, di residenti, di finanziamenti finalizzati alla conservazione e al recupero.

È impensabile che le sole attività turistica – limitata a piccole aree della città storica – e quella universitaria, i cui protagonisti sono soggetti non radicati con il territorio ma che lo utilizzano provvisoriamente, siano in grado di impedire il declino e il conseguente degrado del nucleo fondamentale della città.

È altresì impensabile che sia il cittadino ad utilizzare per le sue attività – lavoro, residenza, svago – un quartiere della città quando questo non è adeguato alle sue esigenze.

Una città vive e prospera fino a quando è al servizio del cittadino e declina quando si pretende che sia il cittadino al servizio della città, con la motivazione che questa è diventata nobile per effetto dei suoi fasti passati, di quando cioè serviva molto bene i suoi abitanti.

Per tenere in vita una città si reputa necessario, innanzitutto, conservare il bene culturale che l’ ha portata fino a noi, cioè la cultura dei suoi abitanti. Questi hanno sempre modificato nel corso della storia la città per adeguarla ai loro nuovi standard di vita e far si che fosse agevole e comodo risiedervi e lavorarci. È necessario fare altrettanto oggi, contrariamente al sostenere l’imbalsamazione dell’esistente in quanto tale. Le discussioni a tal proposito dovrebbero vertere non sul se modificare ma bensì sul come modificare.

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La concorrenza, cioè le motivazioni della scelta del luogo della residenza o di altra attività, si sviluppa principalmente sul piano della comodità di accesso: l’appetibilità in termine di fascino dell’ambiente è molto spesso secondaria alla facilità di raggiungimento. Alla residenza sono poi legati tutti gli altri servizi: impossibile pensare che la telematica, anche nel lungo periodo, possa risolvere tutti i problemi.

In una città come Pisa è l’automobile il cardine della mobilità e quindi dell’accessibilità ai quartieri; è pertanto errato combatterla e non adeguare la città alle esigenze dei fruitori di tale mezzo, disposti comunque a percorrere ragionevoli tratti a piedi quando certi di poter raggiungere circoscritte aree pedonali ove la città storica è mantenuta e utilizzata nel modo suo proprio.

Se quindi si ammette il principio della modificabilità della città, è possibile garantire quelli spazi per l’accesso e la sosta che l’automobile richiede. Garantita l’accessibilità è altrettanto garantito il ritorno della residenza e dei servizi terziari, quindi di tutte quelle attività umane che impediscono il declino e il degrado urbano.

Movendoci in questa ottica risulta quindi fortemente criticabile il principio del decentramento amministrativo intrapreso anche dall’Amministrazione pisana. Meglio sarebbe utilizzare le risorse pubbliche per gli adeguamenti suddetti.

1.2 Il tema della tesi.

La presente tesi di laurea vuole analizzare i progetti di sviluppo di un’area centrale della zona di Cisanello, territorio ad est della città di Pisa, partendo dalla valutazione dell’inserimento urbanistico per l’intero assetto della città, dell’impatto in termini di mobilità, per poi passare ad una più ampia analisi dei progetti in atto.

Il progetto in questione è stato pianificato dal nuovo Piano Regolatore comunale e prevede la realizzazione di un “Centro Direzionale” di Enti Pubblici costituito da Palazzo di Giustizia, nuova Sede della Provincia di Pisa e nuovi uffici comunali, il tutto all’interno di un’area situata sul lato nord della principale arteria del quartiere, via Cisanello, denominata dal nuovo Piano Regolatore del Comune di Pisa “Parco Centrale di Cisanello”.

Il progetto non prevede la sola realizzazione dei nuovi edifici ma vuole dotare il quartiere di un ampio parco centrale che compensi il deficit di verde attrezzato della zona, cercando quindi il riassetto del quartiere in modo da ottenere, come lo stesso Regolamento Urbanistico

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sottolinea, “una nuova centralità urbana” a scapito però della vecchia – la città storica – che tenderà quindi sempre più a impoverirsi.

È quindi nostro proponimento andare a fare una analisi oggettiva e obbiettiva dei progetti di sviluppo di tale area, in virtù dei principi sopra esposti e legandola a filo diretto con lo sviluppo urbano dell’intera città.

Per far ciò ripercorriamo brevemente le tappe dello sviluppo urbano della città di Pisa e del quartiere di Cisanello, in modo da comprendere il contesto storico all’interno del quale dare giudizi e fare scelte tecniche. Inoltre, accertata la difficoltà di mobilità sul territorio, visualizzeremo i cardini del problema per il miglioramento di tale aspetto.

1.3 Le scelte urbanistiche nel Comune di Pisa e i problemi di mobilità.

La città di Pisa è stata tutt’altro che immune dall’errata pianificazione urbanistica che negli ultimi anni ha interessato tutto il territorio nazionale. Il dibattito sul recupero e il riutilizzo di certe aree e di certi volumi della città è tutt’ora aperto e coinvolge, oltre alle forze politiche, anche molti progettisti e larga parte della società civile.

I problemi della città sono molteplici, dall’eccesso di densità edilizia alle difficoltà del trasporto pubblico e privato.

In questa sede ripercorriamo la storia dello sviluppo della città al fine di comprendere meglio le ragioni dell’attuale pianificazione urbanistica.

Insediamento etrusco prima e romano poi, Pisa vede il MedioEvo coincidere con il suo periodo di massima fioritura economica, politica ed artistica, di cui restano vive testimonianze nella forma urbis del centro storico, nei numerosi edifici religiosi e civili, nelle piazze, nei tipici vicoli stretti che corrono perpendicolari all’Arno, la grande via di comunicazione che per secoli ha brulicato di vita con i suoi numerosi scali cittadini. Mentre non restano tracce tangibili dell’insediamento alto medievale, rimangono però ampi tratti delle mura comunali, costruite a partire dal 1154-1155 e concluse intorno alla metà del XIV secolo, che dopo aver difeso l’abitato dagli attacchi nemici, per secoli hanno separato la città dalla campagna ed oggi sono un documento attraverso il quale ripercorrere le alterne vicende della storia pisana. Da sempre città di foce, sorta in ambiente lagunare, la rinascita di Pisa non avviene intorno all’antico nucleo romano ma al fiume che l’attraversa: nella zona nord-est dell’Arno si sviluppa l’abitato di Forisportam e sulla riva sinistra quello di Chinzica, che insieme a Mezzo e Ponte formano i quartieri medievali.

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La città si adagia sul suo tessuto tipicamente medievale che si evolve poi in forme rinascimentali e settecentesche, circondata da campagne palustri fino al XIX secolo, quando ha inizio una elevata produzione e trasformazione edilizia, nel centro storico e nelle zone limitrofe, tipica del periodo storico e provocata dalle mutate condizioni economiche per effetto dell’instaurarsi di vari insediamenti industriali e artigiani.

Immagine 1.01: pianta della città di Matteo Carboni, 1834.

Agli inizi del novecento la città di Pisa presenta una struttura urbana ed architettonica intimamente legata agli sviluppi dei piani ottocenteschi. Tale situazione e la continua crescita demografica denunciano la necessità di un nuovo piano per lo sviluppo della città. Sin dal 1929 viene affidato a vari tecnici il compito di ridisegnare l’assetto urbanistico della città, ma tali piani vengono sistematicamente ignorati. Gli edifici pubblici di grande importanza, quali il Palazzo di Giustizia nel quartiere di S.Andrea, le nuove cliniche dell’ospedale di S.Chiara, la fabbrica della Marzotto a S.Zeno, l’istituto industriale vicino al Duomo e le case popolari a nord della città sono esempi di interventi indipendenti da ogni visione globale di sviluppo del territorio. Emblematici sono la fabbrica della Marzotto,che si inserisce a ridosso delle mura urbane in un un’area naturalmente destinata a fascia di rispetto, e il Palazzo di Giustizia che, con la sua elevata volumetria, è eccezionalmente invasivo per il quartiere in cui viene ubicato. Il grande entusiasmo degli inizi del secolo per i temi della riqualificazione e della costruzione della città sembra ormai svanire e si annuncia la genesi di una situazione di degrado che sarà enfatizzata dalle distruzioni belliche e dagli interventi di ricostruzione che, in tempi esasperatamente brevi, urbanizzarono tutte le aree limitrofe alla cinta muraria fino ad arrivare alla creazione di una periferia priva di qualità urbana.

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Durante la seconda guerra mondiale Pisa subisce gravissimi danni. Le distruzioni belliche sono viste dunque come un’occasione per adottare tutta una serie di provvedimenti diretti al riordino della rete stradale interna ed esterna, alla realizzazione di nuove piazze ed al risanamento della città.

Immagine 1.02: Palazzo di Giustizia nel quartiere di S.Andrea.

Ciò non accadrà. La volontà di costruire al più presto nuovi alloggi, la mancanza di adeguate leggi urbanistiche, gli interessi speculativi hanno distorto questa visione. Gli anni del dopoguerra videro uno sviluppo urbano disordinato sia nella periferia, invasa da una edilizia scarsamente qualificata allargatasi a macchia d’olio in zone spesso prive di opere di urbanizzazione e di servizi essenziali, sia dentro la città murata dove la speculazione edilizia si indirizzò a realizzare esagerati aumenti di cubatura. Molti edifici crollati avevano lasciato spazio ad aree che potevano essere utilizzate per parcheggi, strade, giardini pubblici, invece, vennero ricostruiti più grandi e con tecniche e geometrie per l’epoca moderne, nel completo disinteresse delle caratteristiche artistiche e architettoniche della città.

Molti dei palazzi danneggiati dai bombardamenti, che necessitavano esclusivamente di una ristrutturazione, vennero dilatati in altezza e larghezza, senza rispettarne le caratteristiche storiche e architettoniche. Non raramente si assistette inermi alla trasformazione di antichi

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edifici che conservavano ancora la struttura e l’aspetto medioevale in moderni condomini, utilizzando tecnologie e materiali alieni al contesto storico e architettonico in cui si inserivano. Conseguenza di ciò è lo sviluppo di una eterogeneità edilizia eccessiva con frequente degrado, abbinata all’assenza di spazi per l’accesso e la sosta.

Spesso si è assistito inermi all’inserimento di edifici in aree in cui non veniva rispettata la stratigrafia architettonica, i materiali, i colori, e spesso ci sono stati interventi per i quali il fine del progettista era quello di lasciare un segno della propria opera e ovviamente l’unico modo per firmare la storia doveva essere quello di interrompere, stravolgere, sbalordire. Seguire le trame dell’architettura esistente, rispettando l’uso di colori e materiali non avrebbe portato che all’essere non visti, non percepiti e quindi probabilmente non conosciuti.

Immagine 1.03: Lungarno Pacinotti a Pisa.

Gli effetti più gravi di questo tipo di ricostruzione si ebbero nelle zone più delicate, specie sul lungarno Mediceo: i volumi eccessivi andarono ad alterare il profilo complessivo del fronte edificato ed una progettazione scadente, sorda al valore di superficie continua che costituiva il carattere primario e il denominatore comune di quell’insieme edilizio storicizzato attraverso i secoli, vi s’inserì con zone di frazionamento chiaroscurale e cromatico particolarmente disambientate.

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Non di meglio venne fatto nel settore viario: delle numerose strade progettate vennero realizzate solo quelle attorno alla stazione ferroviaria, ma nonostante ciò vennero ugualmente smantellate le due linee tranviarie inaugurate nel 1912. Intanto il problema dell’Università e dei suoi rapporti con la città si fece sempre più pressante, sia per l’elevato incremento della popolazione studentesca che non riusciva a trovare condizioni accettabili d’alloggio, sia per la difficoltà di reperire gli ambienti dove inserire i nuovi istituti. Spesso si ricorse all’acquisto di palazzi storici nel centro storico, col vantaggio di recuperarne i grandi volumi, ma con lo svantaggio di perdere i giardini annessi destinabili a verde pubblico, molto carente in centro. Simbolo dell’anarchia urbanistica fu l’assenza totale di un piano comunale territoriale. In pratica fino al 1965 il comune di Pisa rimase senza Piano Regolatore: vani furono gli sforzi di realizzare e adottare un Piano di Ricostruzione prima e un Piano Regolatore dopo.

Al momento dell’adozione del piano, però, i maggiori danni alla città storica e alla periferia erano ormai stati fatti, tanto che l’Arc. Piccinato, progettista insieme all’Arc. Dodi, del piano regolatore del ’65, scriveva:

“Pisa è brutta: laddove Pisa non ha saputo essere alla pari della sua storia, alla pari della sua edilizia, laddove si è lasciato, per errore, per incapacità di comprensione, molte volte per forza di cose, che un quadro così equilibrato e perfetto, quale è quello che ha rappresentato la città fino alla fine del secolo scorso, venisse in gran parte sconvolto.”

Il Piano Regolatore Dodi-Piccinato prese atto degli errori del passato, dell’eccesso di densità abitativa e della carenza di infrastrutture e servizi del centro storico, della periferia sviluppatasi senza regole a macchia d’olio, di una Università sempre più importante ma difficile da gestire. Intervenne, pertanto, su queste problematiche indirizzando attorno all’area di Cisanello lo sviluppo residenziale e di alcune attività amministrative di carattere provinciale, dotando la zona di un’ adeguata viabilità e di servizi.

Tale piano, però, non solo non venne messo in pratica, ma venne più volte modificato nel corso degli anni settanta fino a stravolgerlo completamente, con il risultato che di tutto ciò che era stato previsto venne effettivamente realizzato solo quello che interessava alla speculazione edilizia, spesso con la complicità dell’abusivismo.

Aumentò, così, lo sviluppo residenziale, causato anche dalle errate previsioni di crescita della popolazione, e rimasero irrisolte molte problematiche: il controllo e lo sviluppo di grosse realtà istituzionali ed economiche, quali l’Università, il nuovo CNR, l’Ospedale di Cisanello,

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il futuro Palazzo di Giustizia, segnano i nodi da sciogliere per la definizione strutturale, morfologica e ambientale del territorio comunale.

Presa coscienza dei problemi della città, l’amministrazione comunale decide nel 1986 di realizzare un nuovo Piano Regolatore: l’incarico viene affidato prima all’ Arc. Giovanni Astengo, prematuramente scomparso, e successivamente all’Arc. Bruno Gabrielli. I progetti portati avanti per anni non verranno mai adottati a causa delle variazioni politiche che si hanno alla guida del Comune di Pisa. Nel 1995 la Regione Toscana scinde il Piano Regolatore in due strumenti urbanistici: il Piano Strutturale e il Regolamento Urbanistico. L’Amministrazione Comunale si adegua e li elabora, adottandoli definitivamente nel novembre 2001. Sono questi nuovi strumenti, sui quali torneremo specificatamente in seguito, a pianificare lo spostamento di molti enti pubblici dal centro storico alla periferia, in particolare nell’area di Cisanello, riprendendo concettualmente il progetto originario del piano Dodi-Piccinato.

Rispetto ad allora, però, sono venute meno le condizioni di crescita edilizia e di aumento della popolazione residente, che erano alla base di tali scelte tecniche, e il centro storico non è più il nucleo residenziale e commerciale della città soffocato da una eccessiva densità di popolazione, ma si va impoverendo sempre più per le difficoltà legate alla mobilità, non riuscendo più ad attirare verso di se i residenti e quelle attività che lo rendono vitale.

Entreremo più avanti nello specifico delle scelte del nuovo Piano Regolatore della città, allorché ci addentreremo nello specifico del presente lavoro. Intendiamo ora soffermiamoci sullo sviluppo dell’area di Cisanello che dovrà ospitare molte delle nuove sedi di enti pubblici della città, primo fra tutte il nuovo complesso ospedaliero universitario.

1.3.1 Lo sviluppo urbanistico dell’area di Cisanello.

Esemplificativo di quanto descritto nel paragrafo precedente è il quartiere di Pisanova, nome dato ad un quartiere prevalentemente residenziale situato nell’area di Cisanello. Da sempre zona modestamente agricola, attorno al settecento alcune delle famiglie più ricche della società pisana decisero di costruirvi alcune case per destinarle a luogo di villeggiatura. Nei primissimi anni del XX secolo nacquero nuovi insediamenti, le cosiddette case operaie, destinati agli operai delle fabbriche di ceramica di S.Michele.

Il nome Pisanova è molto recente e ha origine dall’omonima società che cominciò a costruire nell’ex campo di granturco tra via del Padule e via Pungilupo. La vera svolta del quartiere ci

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fu nel 1965 con il Piano Regolatore Dodi-Piccinato che prevedeva per l’area oltre ad uno sviluppo residenziale, industriale, dei servizi pubblici, dell’Ospedale, anche un nuovo sistema di viabilità territoriale costituito da un’ampia tangenziale e da due anelli più interni a servizio della nuova espansione.

Immagine 1.04: ubicazione e viabilità principale di Cisanello.

In pratica, l’area di Cisanello doveva diventare una estensione naturale della città storica completa di tutti i servizi e di una adeguata mobilità, con lo scopo di far fronte all’aumento demografico e di decongestionare il centro storico. Nella realtà le cose andarono diversamente. Dal ’72 fino al giorno del suo fallimento, la società denominata ”Pisanova” si lanciò in progetti futuristici, prevedendo percorsi pedonali, strade, piste ciclabili, costruendo ovunque e disinteressandosi dei più elementari vincoli urbanistici. La viabilità prevista era totalmente assente, idem gli spazi verdi e i percorsi ciclo-pedonali, mentre gli edifici pubblici

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non furono neppure progettati. I palazzi spuntati come funghi un po’ ovunque, spesso privi di ogni qualità edilizia e abitativa, avevano il soffitto del piano terra troppo basso per essere trasformati in esercizi commerciali, quindi, oltre all’assenza di servizi e infrastrutture pubbliche mancavano anche quel minimo di servizi privati essenziali per la vita del quartiere. In pochi anni l’area era stata trasformata da zona agricola in un “dormitorio”.

Immagine 1.05: edifici di bassa qualità edilizia e abitativa nella zona di Cisanello.

Per sanare questa situazione negli anni ottanta nacquero i due supermercati in via Carnelutti e in via De Ruggero, predecessori del grande centro commerciale di via Cisanello, seguiti dagli uffici postali e dalla farmacia in via Viale, dalla scuola media di via Padule e dalla chiesa del quartiere dedicata alla Sacra Famiglia.

Tutta la viabilità si appoggia principalmente su via Cisanello che, oltre ad essere l’asse principale del quartiere, deve sostenere anche gran parte del traffico di attraversamento interprovinciale in direzione nord-sud ed est-ovest.

Il nuovo Regolamento Urbanistico prevede per l’area di Cisanello importanti variazioni: spostamenti di consistenti strutture cittadine, riqualificazioni di aree esistenti, nuovi insediamenti, creazione di nuovi spazi di verde attrezzato, conservazione delle tracce storiche rimaste. Allo spostamento definitivo di tutte le strutture ospedaliere si sommeranno altre importanti trasformazioni: l’area di fronte al CNR vedrà sorgere un nuovo edificio

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dell’Azienda per il Diritto allo Studio, la sede della Guardia di Finanza, gli uffici locali del Ministero dell’Economia. Nel lotto di terreno compreso tra via Cisanello e via Bargagna dovrebbe sorgere un grande parco centrale con annesso il centro direzionale, un insieme di enti pubblici primo fra tutti il nuovo Palazzo di Giustizia.

Immagine 1.06: difficile convivenza tra “vecchio e nuovo” in Cisanello e conseguente degrado.

Per l’area di Cisanello è, quindi, prevista una evoluzione che riprende i progetti pensati dal vecchio Piano Regolatore Dodi-Piccinato tenendo conto, però, della realtà dell’esistente. Se da una parte questa impostazione è letta positivamente perché può avviare la riqualificazione del quartiere e prevede di dare “a Pisanova” quei servizi di cui è carente, dall’altro lato, come

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è gia stato evidenziato precedentemente, lo sviluppo della zona non può essere visto isolato dal contesto urbano pisano.

A questo proposito, e riprendendo anche ciò che è stato detto nel paragrafo precedente, possiamo affermare che l’attuale programmazione di sviluppo urbano della città non può più essere motivata dall’elevata crescita della popolazione e dell’attività edilizia, ma bensì dai problemi generati da una rete viaria inadeguata, dall’assenza di parcheggi, dal forte pendolarismo.

È quindi doveroso soffermarsi sui principi progettuali di mobilità urbana per consentire l’adeguata accessibilità e contemporaneamente la giusta qualità della vita.

1.3.2 La mobilità urbana e l’importanza della pianificazione dei parcheggi.

La possibilità di muoversi da un luogo ad un altro è l’elemento caratterizzante la civiltà umana e le città hanno sempre rappresentato la meta principale degli spostamenti. Le persone si mettono in viaggio per molte ragioni: il commercio, la religione, la tutela dei diritti, la scuola, la cultura, la politica e il governo, ed ognuna di queste attività si è sempre svolta nelle città.

Gli anni del boom economico hanno visto nascere e svilupparsi il fenomeno della motorizzazione di massa e l’automobile ha rappresentato per molto tempo la crescita socio-economica di molti strati della popolazione italiana. Le maggiori difficoltà all’adattamento delle città ai traffico veicolare si riscontrano nei centri storici, dove strade e piazze vecchie di centinaia di anni non sono in grado di sostenere l’enorme mole di traffico automobilistico. D’altra parte, però, non è possibile immaginare di isolare completamente i centri storici e le aree più congestionate, vietando in esse l’accesso agli autoveicoli, poiché così facendo, si corre il rischio di impedire quella naturale mobilità che è il fulcro della vita delle città. È difficile pensare che i mezzi pubblici, pur potenziati, possano essere in grado di soddisfare appieno tutte le necessità di spostamento della popolazione e contemporaneamente non si può tornare ad una visione del tutto pedonale della città come era forzatamente in passato.

Un fenomeno che deve essere assolutamente evitato è quello della crisi dei centri storici, ovvero l’impossibilità per un cittadino di raggiungere le aree centrali in modo agevole. Le difficoltà che un individuo incontra nel raggiungere le sue mete portano molte volte all’abbandono dei centri storici e allo sviluppo di aree a maggiore accessibilità in zone

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suburbane. Come è stato verificato nel tempo questo induce a sua volta una perdita di funzioni di intreccio sociale per le quali i centri storici hanno vissuto per secoli.

Preso atto della intrinseca difficoltà di adattamento delle nostre città storiche alle esigenze del trasporto privato su gomma, vediamo come l’urbanista e le amministrazioni locali possono muoversi per creare un nuovo impianto urbano in cui l’accessibilità – nella sua definizione più ampia, cioè spostamento e sosta – sia uno degli elementi cardini della pianificazione, e nel quale l’automobile riacquisti il suo giusto ruolo di mezzo di trasporto individuale, nel rispetto dell’ambiente e dei contesti storici - culturali che i centri urbani rappresentano.

La ricerca di modelli di funzionalità dei centri urbani, comunque, non può concentrarsi solo sul problema della circolazione e della sosta delle automobili. Quest’ultimo aspetto deve essere inserito in un quadro più ampio di coordinamento dei vari elementi che rispondono alla questione della mobilità urbana.

Si impone adesso una riflessione sui mezzi di trasporto pubblico. Le funzioni di quest’ultimo sono essenzialmente due: la prima, intrinseca alla sua natura fisica, è il trasporto delle persone; la seconda è la funzione sociale, dare cioè la possibilità di muoversi a chi non ha la possibilità di farlo indipendentemente.

Nelle grandi città, distribuite su ampi territori con elevata densità di popolazione, la possibilità di avere un mezzo di trasporto indipendente, su sede propria, rapido nel collegare la periferia e i grandi parcheggi scambiatori con il centro è sicuramente il punto di partenza per dare nuova linfa vitale ai centri urbani. In esse tale modello di trasporto pubblico è vincente rispetto all’automobile in quanto più rapido e più economico; l’utenza lo utilizza non per scelta politica ma per un oggettivo vantaggio. Nelle medie e piccole città come Pisa, però, questo modello non funziona perché a causa delle limitate dimensioni cittadine il trasporto individuale con l’automobile è enormemente più efficiente e quindi il cittadino si muove principalmente con essa anche laddove il sistema di trasporto pubblico è ben concepito. Un dato su tutti. I parcheggi scambiatori funzionano bene se sono ubicati almeno a 4-5 chilometri dal centro. Se invece sono troppo vicini a quest’ultimo, come accade sempre nelle piccole città, l’utenza automobilistica tende a non utilizzarli e a raggiungere autonomamente la propria meta.

Nelle piccole città quindi al trasporto pubblico non rimane che la funzione sociale, ed è per questa che andrebbe concepito a attuato sul territorio.

Nello specifico, se analizziamo più da vicino il territorio della provincia di Pisa e più in generale tutto il Val d’Arno, possiamo notare che questa vasta area non è formata da grandi nuclei abitativi ma da una miriade di piccoli e piccolissimi paesini sparsi su tutto il territorio.

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Ne deriva che i mezzi pubblici di trasporto, pur validi, non potranno mai essere in grado di servire efficientemente una popolazione così poco egualmente distribuita.

Per tutte queste ragioni non è possibile pensare che nell’area pisana il trasporto pubblico urbano e extraurbano sia in grado di andare oltre alla sua funzione sociale.

È quindi necessario dare all’automobile gli spazi di cui necessita anche nelle aree storiche, specialmente in quelle meno estese come quella di Pisa. A questo proposito è fondamentale sottolineare come sia essenziale la creazione di ampi parcheggi dato che l’automobile passa il 90% della sua vita in sosta.

A questo scopo possiamo pensare la città come un insieme di “aiuole” di dimensioni di pochi centinaia di metri al cui interno ci si possa spostare a piedi; tra le varie “aiuole” un numero limitato di parcheggi di grande dimensione ben collegati alla viabilità esterna alla città con un numero di posti auto tale da rispondere ottimamente alla domanda di sosta prodotta dalle attività che al suo interno si svolgono.

Così facendo si eliminano tutti quelli stalli di sosta “on-street” e tutti i mini-parcheggi che creano disagio alla mobilità, impediscono la delimitazione di vere e proprie isole-pedonali, deformano l’assetto dei luoghi e fanno nascere fenomeni di traffico passivo, cioè quel volume di automobili in circolazione nelle strade del centro solo per la ricerca di uno stallo di sosta libero.

Ma il realizzare tale progetto impone interventi definibili di giardinaggio, cioè l’individuazione di “aiuole” da coltivare e la creazione, eventualmente anche con “potature”, dei vialetti per raggiungerle.

È da sottolineare che volendo operare in questa ottica ci si imbatte in innumerevoli problematiche legate alla realizzazione degli accessi, all’abbattimento delle barriere architettoniche, al rinvenimento di reperti archeologici, alla realizzazione di opere edilizie in contesti storici in cui risulta necessaria una certa sensibilità per non sconvolgere le compagini architettoniche da salvaguardare. Questi però sono solo aspetti tecnici che in quanto tali possono e devono essere risolti. Frequentemente ciò che manca è la volontà politica e neanche la penuria di risorse economiche può essere issata come ostacolo invalicabile; anche da questo punto di vista, infatti, ci sono gli strumenti finanziari che permettono di far entrare capitali pubblici o privati anche in questi tipi di interventi (finanziamenti comunitari, project financing)

A questo modello di organizzazione dell’accessibilità va affiancato un modello di sviluppo urbano dei centri storici che non li impoverisca di attività, in modo da garantire il mantenimento delle funzioni residenziale e commerciale che li rende vitali.

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Naturalmente i problemi della mobilità non riguardano esclusivamente i centri storici ma anche le periferie le quali, sviluppatesi troppo spesso senza prevedere l’attuale volume di traffico, presentano gli stessi problemi dei centri storici. Particolare attenzione va posta, negli interventi di nuova edificazione, nella previsione dei necessari posti auto, troppo spesso ancora oggi sottostimati anche a causa di inadeguati strumenti normativi, nazionali e locali, per la regolamentazione della sosta.

1.4 La metodologia di lavoro.

Dopo questa breve analisi necessaria al fine di prendere cognizione delle condizioni di inserimento urbano e di progettazione, torniamo al tema specifico del presente lavoro.

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L’area di interesse destinare ad ospitare il nuovo Centro Direzionale è un ampio lotto di terreno non urbanizzato e non più coltivato caratterizzato da abbandono, ubicato sul lato nord di via Cisanello tra l’intersezione con via Di Padule e quella con via Ariosto Maghi.

Gli ambiti di relazione più diretti sono il grande Centro Commerciale sul lato sud della stessa via Cisanello, un’area modestamente agricola a nord di confine con il Comune di San Giuliano Terme, il policlinico ad est e, più a sud, il Parco fluviale.

Inizialmente il Regolamento urbanistico aveva previsto per l’area di interesse la sola costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia più due piccoli edifici accessori a destinazione terziaria. Successivamente l’amministrazione Comunale e quella Provinciale hanno deciso di inserire nello stesso lotto anche gli edifici di loro competenza, andando quindi oltre i limiti previsti dal stesso strumento urbanistico.

La Provincia di Pisa è stata la prima interessata allo spostamento della propria sede nella zona è si è quindi fatta carico della fase iniziale della progettazione. Ha pertanto demandato al Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Pisa il compito di realizzare le linee guida di progettazione di un concorso internazionale finalizzato alla sistemazione degli spazi con l’inserimento dei tre edifici previsti e con l’organizzazione della mobilità, delle aree a verde e con la progettazione architettonica della propria nuova sede.

Il concorso si è svolto a cavallo tra il 2003 e il 2004 ed è arrivato alla fase conclusiva decretando un progetto vincitore.

In questo caso l’opportunità data al progettista non è quella di occuparsi di un solo aspetto della progettazione, ma di vedere quest’ultima in maniera olistica per ottimizzare il risultato sotto tutti gli aspetti (urbanistico, funzionale, impiantistico, sismico, ecc.).

L’obbiettivo di questo lavoro è appunto quello di analizzare la progettazione scaturita dal concorso facendo una analisi critica sotto ogni aspetto dello sviluppo della zona e successivamente presentare eventuali proposte alternative scaturite non da valutazioni per compartimenti stagni, come avviene abitualmente nella moderna logica progettuale, ma da una visione globale delle problematiche.

Il discutibile standard che attualmente guida la stesura di un progetto è in genere caratterizzato dai seguenti passaggi tecnici:

1. La stesura da parte dell’Amministrazione competente dell’apposito piano urbanistico che prevede per l’area di interesse la possibilità di edificare;

2. La realizzazione di un progetto architettonico in genere basato su considerazioni legate alla funzionalità degli spazi e all’aspetto estetico;

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4. La pianificazione e la messa in opera di impianti tecnici e di climatizzazione.

L’iter di progettazione corretto, capace di fornire soluzioni funzionali, non può che discendere dalla giusta definizione di “progetto” e cioè consistere in una operazione iterativa di ideazione e successiva verifica delle diverse prerogative dell’opera.

Ciò comporta una evoluzione globale e progressiva della progettazione nella quale la iniziale ideazione viene costantemente messa in gioco nella sua interezza ed è soggetta ad una graduale messa a punto che può portare anche alla rivoluzione completa del progetto e all’abbandono delle scelte fatte in prima istanza.

Tutto questo non è possibile se il progetto viene condotto per “compartimenti stagni” e da staff diversi, ciascuno incompleto per spettro di competenze.

Le carenze che in seguito verranno messe in evidenza nella fattispecie in esame dipendono prevalentemente da questo modo di operare. Purtroppo è da sottolineare che sotto questo aspetto i progettisti italiani hanno dimostrato più carenze rispetto agli stranieri.

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