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Infezione post intervento: come chiedere il risarcimento?

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Infezione post intervento: come chiedere il risarcimento?

Autore: Carlos Arija Garcia | 18/08/2021

Come avvengono questi episodi in corsia o in sala operatoria e quando tocca al paziente o alla struttura l’onere della prova.

Capita, purtroppo, con una certa frequenza che al paziente sottoposto ad un intervento chirurgico venga riscontrata dopo qualche ora o nei giorni successivi

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un’infezione contratta proprio in sala operatoria o nei reparti dell’ospedale in cui è stato ricoverato dopo l’operazione. Il danno che ne consegue dipende, ovviamente, dall’entità dell’infezione o dalla parte dell’organismo in cui si manifesta, dall’età del paziente e di altri fattori. In ogni caso, quando c’è un’infezione post intervento, come chiedere il risarcimento, sempre che se ne abbia diritto? Si può considerare un caso di malasanità? E chi ne risponde?

Evitare un’infezione in una struttura sanitaria non è sempre una battaglia facile, nemmeno quando si prendono tutte le precauzioni possibili e si lavora con tutta la buona volontà del caso. Già alla fine degli anni ’80, il ministero della Salute aveva cercato di prevenire questo fenomeno con procedure e azioni da adottare in cliniche e ospedali.

Recentemente, la legge Gelli-Bianco ha modificato la normativa che riguarda gli aspetti medico-legali sulla responsabilità del personale sanitario nei casi di infezione in sala operatoria o in corsia. Tutto gira attorno alla responsabilità contrattuale della struttura, perché identificare la singola persona a cui attribuire la colpa di un episodio infettivo a carico del paziente risulta assai complicato e, d’altra parte, occorre dare delle risposte agli utenti che hanno subìto loro malgrado un danno. Vediamo, allora, come chiedere il risarcimento in caso di infezione post intervento.

Infezione in ospedale: come avviene?

Ci si chiede spesso come sia possibile prendere un’infezione in un luogo che dovrebbe essere il più sicuro dal punto di vista igienico-sanitario come un ospedale. Si pensi che di norma questi episodi avvengono nei primi tre giorni di degenza a causa di una presenza prolungata in un ambiente chiuso da parte di chi ha già problemi di salute. Nella maggior parte dei casi, spiegano gli esperti, il paziente entra in contatto attraverso il personale, la strumentazione medica, i parenti in visita o i compagni di stanza con dei germi che resistono agli antibiotici: se le sue condizioni sono già precarie, a volte l’infezione può essere fatale.

Il problema non è la mancanza di igiene o il fatto che i locali non siano disinfestati a dovere: questo avviene, ma non sempre è sufficiente. Anche perché, come detto, ci sono dei germi difficilmente debellabili.

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Cosa sono le infezioni da sito chirurgico

In linguaggio tecnico si chiamano SSI, cioè Surgical Site Infection, che sta per infezione da sito chirurgico. Si tratta di infezioni postoperatorie riscontrate mediamente dopo un paio di giorni dall’intervento ed entro un lasso di tempo da 1 a 12 mesi in caso di impianto permanente di dispositivo (protesi, pacemaker, ecc.).

Naturalmente, si parla di infezioni che il paziente non aveva prima di entrare in sala operatoria e che si manifestano prima delle dimissioni. Il che vuol dire che sono state contratte proprio in ambiente ospedaliero. Una complicanza, insomma, sorta durante la degenza postoperatoria.

Dal punto di vista legale, e stando a quello che la giurisprudenza ha detto sull’argomento, il termine «complicanza» indica un evento dannoso avvenuto durante l’iter terapeutico e, per quanto prevedibile, non sempre evitabile. Ciò non toglie, però, che debba essere fatta una valutazione di questo tipo: o l’evento era prevedibile ed evitabile e, a questo punto, la responsabilità cade sulle spalle del personale sanitario, oppure non era prevedibile o non era evitabile. In quest’ultimo caso, l’episodio rientra nella «causa non imputabile» [1].

Che cosa significa? Che, quando si presenta un’infezione post intervento ed il paziente agisce per chiedere il risarcimento, il medico deve dimostrare di avere tenuto un comportamento corretto, in modo da essere esente da ogni responsabilità in merito. Altrimenti, se non riesce a darne prova – come sostiene la Cassazione – non potrà nemmeno sostenere che l’evento non era prevedibile e non era evitabile [2].

Infezione post intervento: la responsabilità contrattuale

Poiché, come detto, non è sempre facile provare che sono state eseguite correttamente tutte le procedure per evitare un’infezione post operatoria, di fronte ad un caso di responsabilità medica i tribunali tendono a condannare la struttura sanitaria al risarcimento del danno patrimoniale e biologico riportato dal paziente all’interno dell’ospedale. In capo alla struttura, infatti, è prevista la responsabilità contrattuale.

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Per quanto riguarda, invece, il singolo medico che opera all’interno della struttura, in virtù di quanto disposto dalla legge Gelli-Bianco risponderà solo in ambito extracontrattuale, che riversa l’onere della prova sul paziente danneggiato: sarà quest’ultimo, infatti, a dover dimostrare di aver subìto il danno all’interno dell’ospedale per una procedura sbagliata e a provare il nesso causale tra la condotta del medico e il danno riportato. Inoltre, la prescrizione si riduce da 10 a 5 anni.

Facile intuire, a questo punto, che il paziente tenderà a percorrere la strada della responsabilità contrattuale, con la quale l’onere della prova è in capo alla struttura e i tempi di prescrizione sono più lunghi.

Per dirlo con parole della Cassazione, «ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o del contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante» [3].

Infezione post intervento: il risarcimento del danno

Detto tutto ciò, come chiedere il risarcimento del danno da infezione post intervento? Come appena accennato, ci sono dieci anni di tempo per fare la richiesta nel caso in cui si agisca contro la struttura e cinque anni se si vuole chiamare in causa il singolo medico (con l’onere della prova a carico del paziente).

Quello che il danneggiato dovrà, comunque, fare è dimostrare la sua presenza all’interno dell’ospedale nel momento in cui ha contratto l’infezione, il peggioramento delle sue condizioni durante la degenza postoperatoria e l’inadempimento della struttura; la quale, a sua volta, dovrà dimostrare di non essere stata inadempiente e che non sono state le procedure seguite durante la degenza a peggiorare le condizioni di salute del paziente.

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Note

[1] Art. 1218 cod. civ. [2] Cass. sent. n. 13328/2015. [3] Cass. sent. n. 4564/2016.

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